Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Sui principi del processo sportivo (riflessioni a margine dell´art. 2 del codice di giustizia sportiva) (di Andrea Panzarola, Andrea Panzarola, professore ordinario di diritto processuale civile nella Università LUM di Bari (Casamassima).)


This paper focuses on Art. 2 of the Code of Sports Justice of CONI and the relation it implies with the principles and general rules of civil procedure: the fair trial and its attempt to coordinate the sources and procedure models; the search for a balance between security and effectiveness. In case of gaps, principles can offer remedy to uncertainty, allowing the part not only to predict the course of the trial but to influence its performance. The principle may dilate the discretion of the court but, at the same time, it can represent a tool to curb the excesses of arbitrary.

SOMMARIO:

1. Il catalogo «aperto» dei principi menzionati nell’art. 2 del Codice - 2. Il «giusto processo». Il coordinamento fra le fonti ed i modelli processuali: alla ricerca di un equilibrio fra garanzia ed effettività - 3. La mutevolezza dei principi esistenti. L’emersione di nuovi principi - 4. Sulla collocazione dei principi del processo sportivo. Il confronto con le più recenti codificazioni processuali - 5. La motivazione e pubblicità delle decisioni - 6. La sinteticità e chiarezza dei provvedimenti del giudice - 7. La sinteticità e chiarezza degli atti di parte - 8. Il trattamento dei vizi formali ed il pregiudizio ai principi - 9. I principi non inseriti nel Codice - 10. I principi generali del processo sportivo nella prospettiva generale - NOTE


1. Il catalogo «aperto» dei principi menzionati nell’art. 2 del Codice

Il capo I del titolo I del Codice di Giustizia sportiva del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) – adottato il 15 luglio 2014 – è dedicato ai «principi del processo sportivo». Delle due disposizioni che compongono il capo I, viene in rilievo in particolare l’art. 2, che enumera i principi intorno ai quali sono organizzati i procedimenti di giustizia sportiva [1].

L’inventario di tali principi non è evidentemente esaustivo. Bisogna anzitutto tenere conto della generica relatio – che figura nell’art. 2, comma 6 – «ai principi e alle norme generali del processo civile». Ad essi gli organi di giustizia dovranno comunque conformare la propria attività, nel rispetto del «carattere di informalità» che è proprio dei procedimenti sportivi.

Si aggiunga che altri principi possono essere rinvenuti in distinte parti del Codice di Giustizia, vuoi perché vi sono esplicitamente fissati, vuoi perché è consentito desumerne la esistenza da regole particolari. Per la loro indiscutibile importanza vanno almeno menzionati il diritto di agire in giudizio innanzi agli organi di giustizia (art. 6 [2] – dietro il quale si intravede il principio della atipicità della azione in giudizio ex art. 24, comma 1, Cost. per la tutela dei diritti ed interessi protetti –), come pure la garanzia della autonomia ed indipendenza degli organi di giustizia (art. 3, comma 3), che estende all’ordinamento sportivo valori radicatisi da secoli nell’ordina­mento statale con l’affermazione della separazione dei poteri (e sanciti ora negli artt. 101, comma 2, 104, comma 1, 107, Cost.) e frammisti alla regola millenaria della imparzialità [3] della persona chiamata a giudicare (art. 111, comma 2, Cost.).

Anche il principio del gratuito patrocinio (art. 8) si inserisce nel medesimo quadro, volto come è alla assicurazione effettiva dell’accesso ai giudizi. In termini generali si sa che, se si trascurasse la questione, il processo – anziché aperto a tutti i cittadini – finirebbe per essere un «privilegio per ricchi» [4]. Per quanto il tema, se riferito al procedimento sportivo, sembri presentarsi spoglio delle sue usuali risonanze emotive, se non ideologiche, è positivo che il Codice di Giustizia se ne sia occupato, giustapponendo al principio una pragmatica regola organizzativa, incentrata sulla possibile istituzione – da parte delle Federazioni – di un Ufficio del gratuito patrocinio [5].

Non solo. Il principio della rimessione in termine è presupposto alla regola inserita nell’ultimo periodo dell’art. 9, comma 3, laddove si dispone che il giudice può sempre ammettere la parte, incorsa in una decadenza incolpevole, a compiere attività che gli sarebbero precluse. Se la regola assurgerà, come tutto lascia credere, a principio generale, la rimessione in termini dovrà essere assicurata in relazione a qualunque decadenza, incluse quelle concernenti i mezzi di impugnazione, in sintonia con quanto attualmente dispone l’art. 153 c.p.c. (ed a differenza di quanto si riteneva in contemplazione del cessato art. 184-bis c.p.c.) [6].

Non meno rilevanti appaiono anche i principi sui quali è implicitamente edificato il sistema delle impugnazioni (artt. 16, comma 5, 17, comma 6, 23, comma 1, 25, comma 2, 37, 54), che dal doppio grado di giurisdizione si dipanano sino ad un possibile «terzo grado» di giudizio, che esibisce la forma anfibia ora di giudizio nudamente rescindente, ora di vero e proprio giudizio di terza istanza [7].

Nella possibilità di chiedere al Tribunale una misura urgente «innominata» (ad instar dell’art. 700 c.p.c.) si rinviene altresì il riconoscimento della essenziale garanzia della tutela cautelare, indissolubilmente connessa al diritto di agire in giudizio [8].

Anche il diritto alla prova trova consacrazione, per di più in quella forma allargata che consegna al giudice il potere di assumere motu proprio qualsiasi mezzo di prova (art. 36).

Di notevolissimo rilievo sistematico [9] appare pure l’art. 39, comma 6, del Codice che in linea di principio assegna al giudice sportivo [10] il potere di conoscere (come si usa dire, incidenter tantum) ogni questione pregiudiziale o incidentale – pur riservata per legge alla autorità giudiziaria – la cui risoluzione sia rilevante per decidere dell’og­getto della domanda, comprese – cosa rimarchevole – le questioni di falso e quelle relative alla capacità di stare in giudizio.


2. Il «giusto processo». Il coordinamento fra le fonti ed i modelli processuali: alla ricerca di un equilibrio fra garanzia ed effettività

Va da sé, poi, che è la complessiva tecnica che ha presieduto alla elaborazione del­l’art. 2 a dissuadere dal considerare isolatamente i principi che vi sono contemplati ed invece a suggerire – se non proprio ad imporre – di istituire connessioni con altre fonti, pur diverse da quelle concernenti il processo civile, compresi la Costituzione e l’or­dinamento europeo. E forse anche oltre, quando si pensi ai principi del «giusto processo», i quali, mentre sono riconosciuti dall’art. 2, comma 2, facilmente si riannodano alla tradizione gloriosa e risalente del fair trail inglese e nord-americano [11].

In particolare tutti sanno che il «giusto processo» – concretizzato ed articolato in una serie di garanzie relative ai singoli istituti processuali ed improntato anzitutto alla tutela del contraddittorio e della parità delle armi [12] – costituisce oggi [13] l’archetipo costituzionale del processo (art. 111 Cost.), nel quale hanno preso forma garanzie [14] già riconosciute nell’art. 6 CEDU [15] ed ulteriormente ribadite nel prosieguo nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea (c.d. Carta di Nizza del 7 dicembre 2000).

Ma le ramificazioni sono probabilmente ancora più profonde e rinviano ad una cultura delle garanzie processuali che si è dipanata nei secoli, dalla Magna Charta Libertatum alla Costituzione degli Stati Uniti.

A giusto titolo si è alluso [16] ad un fascio di principi che costituiscono «le droit naturel de la procédure». Vi appartengono quei principi antichissimi che «fanno un giudizio un giudizio» [17]: e così il diritto di difendersi [18] e le garanzie del contraddittorio [19] (audiatur et altera pars) e della imparzialità del giudice [20] (nemo judex in re sua), che implica facilmente la distinzione fra il ruolo di chi decide e quello di colui che è parte (ne procedat judex ex officio[21], ecc.

Del resto proprio quest’ultimo principio (con la conseguente distribuzione dei ruoli fra il giudice ed il procuratore [22]) continua a rappresentare una sicura linea di demarcazione fra il sistema di giustizia sportiva italiano rispetto ad altri modelli.

Fra le numerose particolarità [23] dell’ordinamento dello sport professionistico statunitense, ad esempio, vi è quella connessa alla tradizionale sovrapposizione in capo al Commissioner [24] delle funzioni decisorie con quelle inquirenti della accusa. E non vi è dubbio che questa confusione di ruoli, quantunque storicamente giustificata dalla aspirazione a tutelare i migliori interessi dello sport [25], non smetta di suscitare perplessità e dissensi [26].

Proseguendo oltre, va detto che un posto a sé merita invece (quello che potremmo definire) il principio di effettività posto dall’art. 2, comma 1, secondo il quale i procedimenti di giustizia regolati dal Codice assicurano «la piena tutela dei diritti e degli interessi dei tesserati, degli affiliati» e degli altri soggetti riconosciuti dall’ordinamen­to sportivo.

In controluce si scorge, si direbbe, l’ombra del magistero di Giuseppe Chiovenda. È proprio a partire dal Maestro piemontese – che aveva già scritto che «il processo deve dare, per quanto è possibile praticamente, a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire» – che l’idea dell’effettività della tutela giurisdizionale si è imposta in profondità nella cultura giuridica italiana, prima, ed europea, poi, ed ha finito per innalzarsi a principio direttivo del processo nella stessa giurisprudenza. Ne sono note le implicazioni. È sufficiente rammentare che, se da un lato l’art. 47 della Carta di Nizza riconosce il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, dal­l’altro lato la regola consequenziale della ragionevole durata del processo è da tempo espressa dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Ne dà conto opportunamente pure l’art. 2, comma 3, del Codice di Giustizia che, mentre collega la ragionevole durata del processo alla cooperazione [27] fra le parti ed il giudice, ne finalizza la tutela alla assicurazione – non di un astratto interesse alla speditezza dei giudizi, ma – «del regolare svolgimento delle competizioni sportive e del­l’ordinato andamento dell’attività federale».

La specificazione appare felice, giacché coordina la dimensione ordinativa del «tempo ragionevole» ad una esigenza concreta e determinata [28]. Si può supporre che questa specifica torsione subita dal principio impedisca di replicare la ben nota vicenda della «argomentazione per principi» della Suprema Corte. È noto [29] che, soprattutto per mezzo del principio di durata ragionevole ex art. 111 Cost. (assunto non di rado in un modo astratto), la Cassazione ha (nell’ultimo lustro o poco più) praticato in modo sempre più massiccio una argomentazione con funzione decostruttiva o ablativa di regole processuali (anche essenziali per la garanzia del diritto di difesa), sconvolgendo occasionalmente l’ordine preesistente [30].

È un bene che la garanzia della «ragionevole durata», riguadagnando la sua destinazione concreta («esistenziale» vorremmo dire), torni ad assolvere la sua funzione in­tegrativa del «giusto processo» declinato anche, se non solo, nella sua proiezione individuale e garantistica.


3. La mutevolezza dei principi esistenti. L’emersione di nuovi principi

L’idea di non rinserrare in un elenco «chiuso» i principi del processo sportivo appare pertanto espressione di vivo senso storico, non meno che della chiara nozione della natura e funzione dei «principi». Fra le peculiarità che valgono a contrassegnarli e a distinguerli dalle regole [31] spicca difatti la loro mutevolezza nel tempo e nello spazio, che appare il rispecchiamento inevitabile delle espressioni generiche con le quali essi sono enunciati, che acquistano significati diversi al variare del milieu sociale e culturale nel quale sono adoperate.

Si prenda il principio del contraddittorio, riconosciuto dall’art. 2, comma 2, del Codice di Giustizia. Va abbandonandosi l’idea che il contraddittorio costituisca un mezzo di lotta fra le parti e si va diffondendo invece la tesi che esso rappresenti soprattutto uno strumento operativo per il giudice in funzione del giudizio.

Per effigiare il mutamento in atto si allude in dottrina ad una nozione (declinante) di contraddittorio «in senso debole» e ad una (vigoreggiante) «in senso forte» [32]. Da questo punto di vista, la scelta del Codice di Giustizia di tenere distinta la «parità delle armi» dal rispetto del «contraddittorio», mentre si pone in linea con il modello del codice del processo amministrativo, segnala insieme (in modo tanto fedele quanto perspicuo) la evoluzione in corso. Conferma una volta di più che i grandi principi del pro­cesso non possono essere confusi con dogmi sterili e mutano invece al mutare dell’or­dinamento, per rendere il processo più efficace, giusto e in fondo più umano.

La cesura con il passato è netta e può essere additata a simbolo del perpetuo cambia­mento cui vanno incontro i principi del processo. Oggi il contraddittorio «in senso forte» coinvolge direttamente il giudice, il quale, prima di decidere, deve (sotto pena di nullità della sua attività) consentire alle parti di interloquire sulle questioni che decida di rilevare d’ufficio per porle a fondamento della decisione (artt. 101, comma 2, 183, comma 4, 384, comma 3, c.p.c.). Con il codice di procedura civile francese questa for­ma estesa di contraddittorio ha coinvolto così le questioni di fatto come quelle di diritto, ed è trapassata con la sua portata garantistica nel nostro Paese e non solo [33].

Non sarà più possibile in conclusione disconoscere d’ora innanzi questa storica elevazione del principio del contraddittorio – senz’altro presupposta nella elencazione dell’art. 2 del Codice di Giustizia – a «struttura triadica fondata sul rapporto dialettico tra le parti davanti ad un giudice imparziale» [34]: un giudice che «deve, in ogni circostanza, far osservare ed osservare lui stesso» [35] quel principio [36].

Sta di fatto, in ogni caso, che la evoluzione costante dei principi generali del processo non può escludere che altri se ne presentino, magari in sostituzione di principi declinanti. Il fenomeno potrà interessare ogni settore: sia i principi che riguardino il dominio delle parti sul processo e il suo oggetto, come pure quelli relativi alle forme di procedura, per non dire di quegli altri concernenti i diritti e doveri delle parti ed i doveri del giudice.

L’esperienza storica ha offerto una chiara dimostrazione di questo fenomeno. Principi che si credevano immutabili – si pensi alla Verhandlungsmaxime e alla Untersuchungsmaxime [37] – sono adesso in larga misura inutilizzabili proficuamente [38]. In fase di incubazione sembrano essere principi nuovi, da quello di proporzionalità a quello di affidamento, dalla buona fede processuale all’abuso del processo, ecc.

Non è il momento di escogitare elenchi «chiusi» di principi generali. La tessitura «aperta» del Codice è insomma in sintonia con la mutevolezza dei tempi che viviamo che, se possibile, accresce vieppiù quella propensione dei principi ad evolvere nello spazio e nella storia.


4. Sulla collocazione dei principi del processo sportivo. Il confronto con le più recenti codificazioni processuali

In ogni caso una scelta esplicita è stata compiuta dai conditores, quando hanno preso la decisione di inserire nel Codice una parte iniziale dedicata alla illustrazione dei principi del processo sportivo, che denomineremmo fondamentali.

Certo profonda è stata la suggestione esercitata su di loro dal d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. codice del processo amministrativo: artt. 1-3). Il che è del tutto comprensibile, se si riflette sulla scelta innovativa compiuta nel 2010 – nello specifico settore – dal legislatore. Nel codice del processo amministrativo sono stati anteposti – alle vere e proprie regole processuali – taluni principi di antica e più recente elaborazione (dal principio di effettività – in dipendenza dei principi della Costituzione e del diritto europeo – a quelli del giusto processo ex art. 111, comma 1, Cost., della parità delle armi e del contraddittorio, senza dimenticare le garanzie della motivazione dei provvedimenti, il principio di sinteticità degli atti di parte e di ragionevole durata del processo).

Lo stesso codice di procedura civile, se pure contempla un primo libro dedicato alle «disposizioni generali», non isola in un solo luogo i principi fondamentali (di cui cura ovviamente la esposizione, dal «principio della domanda» ex art. 99, al «principio del contraddittorio» dell’art. 101 sino a giungere ai principi che sovrintendono all’eserci­zio dei «poteri del giudice», agli artt. 112 ss. c.p.c.).

Si è creato anzi uno scarto fra il codice di procedura civile del 1940 e le successive previsioni inserite nella Costituzione repubblicana del 1948, come pure con i principi emergenti nel quadro delle norme europee e della CEDU e concretizzati dalla Corte di giustizia di Lussemburgo e dalla Corte europea di Strasburgo. Gli stessi effetti della introduzione in Costituzione nel 1999 del «giusto processo» tendono a manifestarsi nell’ordito codicistico gradualmente, tramite per lo più l’incessante attività di adeguamento compiuta dalla Suprema Corte di cassazione [39].

Pertanto, nella misura in cui i principi sanzionati nel capo I del Codice di Giustizia si riallacciano ad una esperienza costituzionale ed europea di rilevantissimo impatto, l’opera che ha presieduto alla loro codificazione appare più che mai proficua.

Si può ancora allargare il quadro. Nell’inserimento di un apposito capo I del Codice di Giustizia sportiva dedicato ai principi del processo sportivo si può leggere altresì la volontà di perpetuare una tendenza che non è, a ben vedere, limitata al codice del processo amministrativo, ma è generale.

Numerosi sono difatti gli esempi di nuove codificazione in materia processuale le cui prime norme esordiscono con la enumerazione dei principi generali del processo. Si pensi – per non dire delle CPR (Civil Procedure Rules) inglesi [40] – al nuovo codice di rito portoghese [41] o al recentissimo codice di procedura civile brasiliano [42] o al codice di procedura civile svizzero [43], il primo codice unico processuale per tutti i cantoni elvetici: se prima i principi generali del processo, elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, rappresentavano il tessuto connettivo delle diverse legislazioni, oggi intorno a quei principi è organizzata la disciplina uniforme del processo civile svizzero.

L’esempio, se non più importante certo più noto, è comunque costituito dai primi ventiquattro articoli del (capitolo primo del titolo primo del) codice di rito francese del 1975 [44], i quali aspirano a porre «i principi direttivi» [45] del processo civile. L’influenza di questo capitolo del codice francese è stata enorme. Sia perché ha spinto vari legislatori ad introdurre nei nuovi codici di rito una parte introduttiva dedicata ai principi, sia perché quel capitolo del codice francese ha comunque stimolato una riflessione profonda intorno ai principi generali del processo in tutta Europa [46] e non solo [47].

Infine, anche nell’ambito del cosiddetto soft-law si rintraccia una marcata attenzione per i principi generali del processo. L’esempio più importante è costituito dai «Principles of Transnational Civil Procedure» elaborati [48] congiuntamente dall’Unidroit e dal­l’ALI (American Law Institute), per la definizione delle liti in materia commerciale.

In sintesi, si può osservare che il capo introduttivo del Codice di Giustizia sportiva, mentre si accorda ad una linea evolutiva assai diffusa ben al di là dell’orizzonte nazionale, riserva opportunamente il giusto valore a quei principi generali che, anche nel contesto processuale, vanno acquistando una centralità sempre più accentuata. Di alcuni di questi principi resta ancora da dire.


5. La motivazione e pubblicità delle decisioni

Nella previsione secondo la quale «la decisione è motivata e pubblica» (art. 2, comma 4) si sorprendono facilmente due principi fondamentali. Da un lato, quello di pubblicità della pronunzia [49] del giudice che si riannoda al più generale Grundsatz der Öffentlichkeit [50]. Dall’altro, quello relativo all’obbligo di motivazione.

Quanto a quest’ultimo principio è noto che la enunciazione dell’obbligo di motivare la decisione si risolverebbe nei fatti in un flatus vocis se non esistesse un rimedio tramite il quale sindacare la esistenza stessa e la congruità della motivazione [51]. Tutti sanno quanto sono gravi le questioni [52] sollevate dalla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. che limita [53] il controllo della Corte di cassazione sulla decisione impugnata alla sola ipotesi dell’omesso esame da parte del giudice inferiore «circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

Mutatis mutandis, ben più appropriato appare il dettato dell’art. 54 del Codice di Giustizia sportiva, laddove [54] estende il sindacato del Collegio di Garanzia dello Sport alla «omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti». Non sfuggirà che quest’ultima disposizio­ne si presta assai meglio di quell’altra (art. 360, comma 1, n. 5, cit.) ad assicurare nei fatti il rispetto da parte del giudice dell’obbligo di motivazione posto a suo carico.


6. La sinteticità e chiarezza dei provvedimenti del giudice

Anche il principio per cui «il giudice e le parti redigono i provvedimenti e gli atti in maniera chiara e sintetica» (art. 2, comma 5, prima parte) sollecita un confronto con le corrispondenti soluzioni praticate negli altri processi giurisdizionali, compreso quello amministrativo.

Si ricorderà in proposito che una formulazione identica a quella che oggi compare nel Codice di Giustizia sportiva è da tempo contenuta nell’art. 3, comma 2, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. codice del processo amministrativo).

Vi è anzi una tendenza più ampia verso l’alleggerimento degli oneri motivazionali gravanti sul giudice che si coglie pure nel processo civile, sia di primo grado (artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.) che di appello (art. 348-ter, comma 1, c.p.c.).

Inutile dire che si tratta di una evoluzione verso la semplificazione che, se al momento appare difficile da frenare, merita comunque di essere attentamente controllata. S’intende difatti che, tanto più si procede sulla via della concisione argomentativa della decisione del giudice, quanto maggiore è il rischio che il rispetto dell’obbligo di motivazione, pur sanzionato a livello di principio fondamentale, sia trascurato nelle concrete vicende processuali.

È insomma una questione di senso della misura e di pratica avvedutezza, affidata volta per volta alla saggezza del giudice, cui toccherà more solito di contemperare gli interessi in conflitto, dosando l’anelito legislativo alla accelerazione della fase decisoria con il diritto della parte a conoscere esattamente le ragioni di fatto e di diritto della decisione assunta.


7. La sinteticità e chiarezza degli atti di parte

Di estrema delicatezza è poi il richiamo nel Codice di Giustizia sportiva alla chiarezza e sinteticità degli atti di parte (art. 2, comma 5, prima parte, cit.). L’auspicio è che si consolidi l’idea che tale previsione sia ispirata a semplici «movenze programmatiche». In caso contrario si farebbe urgente il pericolo di incidere sul libero esercizio del diritto di difesa delle parti [55].

Risalta anche da questo punto di vista l’equilibrio che ha presieduto alla scelta dei conditores i quali, ancorché abbiano accolto nel tessuto del nuovo codice un principio imposto dallo Zeitgeist (uno «spirito del tempo» che anche in materia processuale [56] reclama soluzioni d’emergenza [57] ad un complessivo «stato di eccezione» [58] nel quale versa la giustizia, qualunque forma di giustizia), si sono al contempo ben guardati dal­l’esagerarne la portata, magari attraverso puntuali previsioni attuative.

Il che è doppiamente rimarchevole al cospetto di una recentissima propensione del legislatore a cristallizzare l’invito alla sinteticità degli atti di parte in una regola puntuale innervata dalla logica binaria dell’aut-aut [59] (o si rispetta la prescrizione sul numero di pagine o scatta la «sanzione» processuale!).

Ne è un esempio altrettanto notevole che preoccupante la sostituzione del comma 6 dell’art. 120 c.p.a. effettuata dall’art. 40, comma 1, lett. a), d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114).

Come risaputo, nelle controversie (demandate alla cura del giudice amministrativo e) relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture (art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a.) è stabilito, fra l’altro [60], che – proprio in attuazione del principio di sinteticità contemplato dal già veduto art. 3, comma 2, c.p.a. – siano fissati (con decreto del Presidente del Consiglio di Stato) i limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi.

La prescrizione posta dal legislatore non lascia spazio a dubbi: «Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti». Con la conseguenza che le questioni prospettate dalle parti nelle pagine successive non sono neppure scrutinate nel merito dal giudice adito ma respinte ipso facto per inammissibilità (in quanto l’atto è … troppo lungo!).

La scelta del Codice di Giustizia sportiva di non seguire la strada così additata dal codice di procedura amministrativa è pertanto da salutare molto favorevolmente e sembra riflettere inoltre la consapevolezza che è difficile, per non dire impossibile fissare in materia criteri certi.

La complessità della controversia, il numero delle parti coinvolte, la natura delle questioni dibattute, sono elementi non meno importanti del contesto processuale nel quale si è chiamati ad operare. Per intenderci, è fatale che in un processo ispirato al principio di preclusione gli atti introduttivi siano ordinariamente più ampi di quelli che introducano un giudizio nel quale sia sempre consentita la modificabilità in corso di causa del thema decidendum e del thema probandum [61]. Del pari, è facile immaginare che in un processo nel quale viga il c.d. principio di eventualità (che del principio di preclusione rappresenta notoriamente una versione esasperata) gli atti introduttivi siano ancora di più sovraccarichi, così di allegazioni in fatto come di deduzioni istruttorie [62].

Ma anche a prescindere dalle conseguenze legate all’accoglimento di quei principi – che fortunatamente [63] non sono stati elevati a principi fondamentali del processo sportivo –, è di intuitiva evidenza che la estensione degli atti di parte dipende dallo Stylus Curiae che fa da sfondo alla attività dei contendenti e dei loro difensori. Quando ad esempio la Corte di cassazione richiede il rispetto del principio di autosufficienza da parte del ricorrente, pone con ciò stesso le premesse per l’ampliamento del numero di pagine del ricorso, nel quale dovranno essere individuati e trascritti gli atti processuali su cui esso si fonda.

Di tutto questo gli autori del Codice sportivo sembrano essere stati consapevoli allorché si sono astenuti dal fissare una regola attuativa del principio di sinteticità degli atti di parte che, anziché agevolare, avrebbe verosimilmente ostacolato il pratico esercizio della giustizia sportiva.

Sia chiaro. Non si vuol certo negare che, in astratto, un legislatore possa trasformare direttive generali (compresa quella relativa alla sinteticità) da ottativi in imperativi. Che ciò non sia avvenuto nel caso concreto appare il segno della attenzione a non introdurre soluzioni che, per quanto rispondenti ad un principio (di sinteticità degli atti di parte, ad esempio), siano senz’altro dissonanti in rapporto ad un altro valore, di non minore ed anzi maggior rilievo, qual è senza dubbio il diritto di difesa delle parti. Si impone al riguardo una considerazione delle reciproche relazioni fra i vari principi, in una ottica di loro bilanciamento [64], secondo una gerarchia che, se risponderà alle propensioni individuali, non potrà disconoscere la priorità delle garanzie individuali su quelle poste a presidio di esigenze oggettive ed ordinamentali.


8. Il trattamento dei vizi formali ed il pregiudizio ai principi

A mente dell’art. 2, comma 5, del Codice di Giustizia sportiva i vizi formali che non comportino la violazione dei «principi di cui al presente articolo» non costituiscono causa di invalidità dell’atto.

È apprezzabile che gli autori del Codice si siano preoccupati di profilare un principio generale su uno dei temi da sempre più dibattuti nella disciplina dei processi: a quali condizioni può essere pronunciata la invalidità di un atto processuale?

In che modo, in altri termini, si dà risposta all’eterno problema pratico [65] dell’orga­nizzazione dei giudizi, cioè al contemperamento della esigenza di rispettare le forme (a garanzia del singolo che è parte nel processo) con l’anelito – che oltrepassa i contendenti per toccare l’interesse generale – alla celerità dei procedimenti?

Qual è in definitiva la relazione che intercede fra la forma e la sostanza?

Risuona l’antico interrogativo: «la forme emporte le fond» [66]? O, al contrario, «le fond emporte la forme»? Dove sta infine la linea di confine fra forma e formalismo [67]?

Gli autori del Codice si sono attenuti – non senza adattamenti legati al «carattere di informalità» (art. 2, comma 6) dei procedimenti di giustizia sportiva – ad un principio che ultimamente trova espressa enunciazione anche nel processo civile. Insegna, difatti, la Suprema Corte che la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (c.d. errores in procedendo) – non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio (risolvendosi pertanto nella violazione dei prin­cipi del «giusto processo» richiamati dall’art. 360-bis, n. 2, c.p.c.) [68].

A favore di questa soluzione si possono certamente evocare numerosi (e pur tuttavia opinabili) argomenti, variamente connessi con lo scopo cui l’atto processuale è preordinato [69]. È però altrettanto sicuro che – subordinando il rilievo e la dichiarazione della invalidità per vizi di forma degli atti al pregiudizio concreto del diritto processuale della parte – si rischia di affievolire la valenza garantista degli schemi processuali predisposti dall’ordinamento e si finisce per trasformare surrettiziamente la garanzia della nullità in censura di ingiustizia.

La cautela è in ogni caso d’obbligo, non appena si rammenti che il diritto processuale è «le droit qui donne accès au droit» [70]! Sicché, se si depotenziano oltre misura le regole for­mali (che è quanto dire le garanzie procedurali), vi è il pericolo di incidere sulle libertà [71], sui diritti ed interessi sostanziali cui il processo (anche quello sportivo) deve fornire tutela.

Ora, la causalità del vizio formale è posta (dall’art. 2, comma 5, del Codice di Giustizia) in rapporto con la violazione dei «principi di cui al presente articolo». Di qui il dubbio: che ne è degli altri principi contemplati in luoghi diversi dall’art. 2 cit. nello stesso Codice? Di essi non si fa parola.

Dimenticanza o deliberata omissione?

Probabilmente la norma minus dixit quam voluit. Né c’è da stupirsene, se si ricorda che il carattere (che denominammo retro sub par. 1) «aperto» del catalogo dei principi fissati nell’art. 2 discende, per tacer d’altro, dal generico rinvio (contenuto nell’art. 2, comma 5) ai principi generali del processo civile. Quale più quale meno, i restanti principi enucleati in distinte parti del Codice di Giustizia sportiva – vuoi enunciati esplicitamente vuoi ricavabili implicitamente – possono, in effetti, essere comunque applicati alla stregua di «principi generali» del processo civile.

In definitiva, il richiamo alla violazione dei principi contemplati dall’art. 2 (quale presupposto per dichiarare il vizio formale) si presta a ricomprendere tendenzialmente il grosso dei principi informatori dei procedimenti giudiziari sportivi. Un posto di primissimo piano spetterà, come ovvio, ai principi del «giusto processo». In tal caso, sembra inevitabile che la parte – la quale denunzi il vizio formale lesivo ad un tempo di quel principio fondamentale – prospetti la concreta lesione subita, si direbbe il pregiudizio ar­recato alle sue prerogative (salvaguardate in tesi dai principi del giusto processo). Non si potrà mai richiedere alla parte, peraltro, la dimostrazione che, in assenza del vizio, il pre­giudizio non si sarebbe sicuramente verificato, essendo sufficiente la mera possibilità che, in esito ad un procedimento regolare, la lesione processuale sarebbe stata evitata.


9. I principi non inseriti nel Codice

Altri principi non sono stati inseriti esplicitamente nell’art. 2. Segno evidente della loro perdita di peso [72]. Il caso più eclatante è rappresentato dal principio di oralità, per lunghi anni individuato come la meta da raggiungere e l’ideale da realizzare nell’am­bito del processo civile. Sin dai tempi della sua elaborazione ad opera della dottrina tedesca (come Grundsatz der Mündlichkeit) – per giungere all’apostolato chiovendiano per il processo orale –, quel principio è stato in effetti, non solo ipostatizzato, ma trasformato nel vessillo di una riforma del processo «infinita».

Sennonché il costume giudiziario italiano continua a dimostrare che la oralità [73] è inequivocabilmente contraddetta dai fatti, se non proprio dal diritto [74]. Con sano realismo i compilatori nel Codice di Giustizia sportiva non ne hanno tenuto conto. Lo stesso hanno fatto per le varie articolazioni della oralità, vale a dire per gli altri principi della immediatezza [75] e della concentrazione, anch’essi comprensibilmente omessi nella elencazione inserita nell’art. 2.

Per altri principi, la loro mancata inclusione nell’art. 2 è viceversa da correlare alla circostanza che non hanno ancora guadagnato il necessario consenso nella prassi e fra gli studiosi.

Pensiamo, per esemplificare, al principio di proporzionalità, che si vorrebbe [76] estendere al processo civile [77]. O a quella particolare manifestazione di esso che deno­mineremmo con Carnelutti [78] come principio di «elasticità», nel senso di «adeguazione del procedimento alle esigenze della lite».

Che dire poi del principio di affidamento, che si pone come criterio ordinatore della civile convivenza, e dal quale taluno [79] vorrebbe ricavare un altro principio generale per risolvere i problemi posti dai mutamenti di giurisprudenza intorno alla portata delle norme processuali [80]?

Anch’esso sarà incluso fra i principi generali del processo sportivo (a mente del­l’art. 2, comma 6) se si consoliderà nella prassi civile con il concorso del ceto forense e dei magistrati.

La mancata menzione di altri principi, pur contemplati qua e là da diverse legislazioni processuali o addirittura inveratisi nelle prassi giurisprudenziali, appare una volta di più il segno tangibile del realismo e dell’apprezzabile self-restraint che sembrano avere contraddistinto il lavoro dei conditores. Ed invero i principi di buona fede processuale, di abuso del processo, di autoresponsabilità, di completezza [81] ecc. – per quanto importanti – meritano ancora di essere fissati nei loro estremi essenziali nel contesto del processo civile, sotto la vigile cura della giurisprudenza e della dottrina, impegnate nell’arduo compito di non esagerare il perseguimento di esigenze oggettive a scapito dei diritti individuali di azione e di difesa in giudizio.


10. I principi generali del processo sportivo nella prospettiva generale

Innegabilmente il Codice di Giustizia sportiva, registrando la centralità dei principi generali del processo nella esperienza contemporanea, ne cura la elaborazione in sintonia con una tradizione secolare ed insieme in consonanza con il superiore quadro costituzionale e con gli influssi più recenti dell’ordinamento europeo. L’adattamento di quei principi alle esigenze del processo sportivo è la premessa poi per una loro migliore attuazione.

Quella centralità dei principi non ha bisogno di dimostrazioni. È sotto gli occhi di tutti nella prassi giurisprudenziale non meno che nella speculazione degli studiosi. Ne fanno fede i numerosi convegni dedicati al tema dei principi generali del diritto [82], anche recentissimi [83]. Il fatto è che da decenni oramai si è compresa in Italia la forza propulsiva dei principi processuali contenuti nella Costituzione e si è rischiarata la natura del diritto processuale stesso come «diritto costituzionale applicato» [84]. L’ordinamento europeo ha egualmente manifestato irresistibilmente la sua capacità innovativa anche nel settore del processo [85]. Quel che è avvenuto in Italia è capitato, e forse in taluni casi anche prima, in altri Paesi, dalla Francia [86] alla Spagna [87] alla Germania [88], ecc. Pure nell’ambito del commercio internazionale la normazione per principi – anche processuali – è vista col massimo favore, agevolando l’armonizzazione fra le diverse legislazioni. I regolamenti europei relativi al processo si ispirano alla medesima logica.

Il richiamo ai principi, se è inevitabile, può essere anche utile. Quando siano osservati, i principi possono concorrere ad assicurare che tutti i procedimenti giudiziari si svolgano in modo uniforme. In caso di lacune, il principio, con la ratio che l’informa, può offrire rimedio all’incertezza, permettendo alla parte, non soltanto di prevedere lo svolgimento del processo, ma di influenzarne lo svolgimento. Se per la sua generica formulazione il principio si presta a dilatare la discrezionalità del giudice, in pari tempo può ergersi a strumento per frenarne gli eccessi arbitrari, affidato come è ad un linguaggio altrettanto generico che comprensibile.

Questi motivi spiegano perché non si potesse fare a meno di una disciplina dei «principi» del processo sportivo. Il Codice ce li ha forniti oculatamente.


NOTE

[1] Il riferimento è ai procedimenti elencati nel precedente art. 1 e che rientrano nel dominio applicativo del Codice.

[2] Il comma 2 dell’art. 6 pone il principio della legittimazione ad agire, che dovrà essere verificato sulla base della affermazione di colui che propone la domanda, secondo i dettami della corrente concezione astratta della azione in giudizio.

[3] Il principio della terzietà del giudice è esplicitamente sancito nel Codice: v., ad es., artt. 17, comma 4, 26, comma 5, 55. Il principio si estende – peraltro in forma assai tenue – anche al Procuratore federale (art. 46), che ha facoltà di astenersi.

[4] Per tradurre la affermazione di Leo Rosenberg.

[5] E ferma restando la possibilità di utilizzare l’apposito Ufficio istituito presso il CONI.

[6] Cfr., se vuoi, A. Panzarola, La riforma del processo civile italiano e la disciplina dei termini perentori, in Revista da Faculdade de Direito do Sul de Minas, 2010, p. 7 ss.; Id., Sulla rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2009, p. 1636 ss.

[7] Su questi temi generali (connessi alla configurazione del terzo grado di giudizio) sia consentito rinviare, per ulteriori approfondimenti, ad A. Panzarola, La Cassazione civile giudice del merito, Torino, 2005, voll. 1 e 2.

[8] Sulla garanzia costituzionale della tutela cautelare v., se vuoi, per ulteriori riferimenti, in relazione all’art. 700 c.p.c., il nostro I provvedimenti di urgenza dell’art. 700, in AA.VV., I procedimenti cautelari, a cura di Carratta, Bologna, 2013, p. 745 ss.; nonché, sulla funzione dei provvedimenti innominati di urgenza nella storia della giustizia italiana, il nostro contributo Un rimedio processuale per una rivoluzione legale: i provvedimenti di urgenza nella storia della giustizia italiana, in AA.VV., Studi in memoria di Giuseppe Degennaro, Bari, 2014, p. 209 ss. Per la tutela cautelare nell’ambito del processo amministrativo ci sia consentito rinviare ad A. Panzarola, Il giudizio cautelare, in AA.VV., Il codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, a cura di Sassani e Villata, Torino, 2012, p. 813 ss.

[9] Il tema è antico e si ricollega al principio «che l’azione contiene virtualmente le eccezioni che si possono opporre alla medesima». È interessante notare che il progetto Pisanelli al codice di procedura civile cessato non enunciava peraltro questa regola, «perché essa – si legge nella Relazione – appartiene interamente al dominio della scienza»: v. Relazione ministeriale sul primo libro del progetto di codice di procedura civile presentato in iniziativa al Senato dal Ministro Guardasigilli (Pisanelli) nella tornata del 26 novembre 1863, n. 89, ora in Codice di procedura civile del Regno d’Italia 1865, in N. Picardi, A. Giuliani (a cura di), Testi e documenti per la storia del processo, Milano 2004, p. 39 (dove anche la indicazione delle eccezioni).

[10] Sulla regola valevole per il giudice privato v. art. 819 c.p.c. (a proposito del trattamento delle questioni incidentali in arbitrato).

[11] Per quanto il richiamo al fair trail si accompagni sovente al riferimento al due process of law, non va trascurato che il campo di applicazione di questa seconda locuzione (non confinata nella esperienza statunitense al settore processuale) è più ampio di quello sotteso alla prima espressione. V., in argomento, con riguardo all’impiego delle garanzie del due process nella giurisprudenza degli ultimi anni della Corte Suprema USA, L. Tribe, J. Matz, Uncertain Justice. The Roberts Court and The Constitution, New York, 2014, pp. 72, 166-168, 183, 189, 194, 250. Cfr. pure, in una prospettiva storica, P. Alvazzi del Frate, Le droit naturel de la procédure et le «procès èquitable»: une perspective historique, in «Cahiers poitevins d’histoire du droit», III, Paris, 2011, p. 59 ss. Con riferimento all’ordinamento sportivo v. ora P. Sandulli, M. Sferrazza, Il giusto processo sportivo. Il sistema di giustizia sportiva della Federcalcio, Milano, 2015.

[12] In questo senso dispone l’art. 2, comma 2.

[13] A seguito della entrata in vigore della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2.

[14] Non è possibile dar conto della sterminata letteratura in argomento. Va comunque menzionato il lavoro fondamentale sul processo «equo» (procès équitable), fra gli altri, di Serge Guinchard e Frédérique Ferrand: cfr., AA.VV., Droit processuel. Droit commun et droit comparé du procès équitable, 5a, Paris, 2009, spec. p. 89 ss.

[15] V. ancor prima, l’art. 10 della «Déclaration universelle des droits de l’homme» adottata dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Ricordiamo pure l’art. 14 (1) del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, adottato a New York il 16 dicembre 1966.

[16] Così J. Carbonnier, Droit civiI. Introduction, 27a ed., Paris, 2002, pp. 374, 382.

[17] Secondo la bella immagine di G. Capograssi, Il quid ius e il quid iuris in una recente sentenza, in Riv. dir. proc., 1948, p. 57 ss.

[18] Soprattutto in Francia è frequente la elevazione del diritto alla difesa al rango di diritto naturale: v., ad es., l’importante opinione di H. Motulsky, Le droit naturel dans la pratique jurisprudentielle: le respect des droits de la défense en procédure civile (1961), in Id., Écrits. Études et notes de procédure civil, (1973), 2a ed., Paris, 2010, (con prefazione di G. Bolard), p. 60 ss., spec. p. 67, e nota 32 (ove l’a. menziona un precedente della Corte Suprema del 7 maggio 1828, che qualifica il diritto di difesa come diritto naturale); nonché Bruno Oppetit, Philosophie du droit, Paris, 1999, p. 17 (ove si discorre «d’un droit naturel exprimant des règles éternelles et immutables»).

[19] V. il successivo par. 3.

[20] Cfr., se vuoi, sul punto, il nostro La ricusazione del giudice civile. Il problema della impugnabilità della decisione, Bari, 2008.

[21] V., peraltro, art. 18, comma 1, lett. a) prima parte del Codice di Giustizia, che rappresenta una dero­ga ad un principio di segno opposto (attuato, ad es., negli artt. 27, 44).

[22] V. la nota che precede.

[23] Ne abbiamo sottolineate alcune, relative al giudizio arbitrale, nel nostro scritto Il «salary arbitration» nella Major League Baseball (MLB), tra «final offer method» e «judicial notice of sorts», in Riv. arbitrato, 2011, p. 13 ss.

[24] Si è ancora in attesa di uno studio organico in argomento in lingua italiana. Per riferimenti v. comunque il saggio indicato alla nota che precede. Delineano efficacemente il ruolo del Commissioner del baseball, insieme alle persone che lo hanno ricoperto, i volumi di J. Holtzman, The Commissioners. Baseball’s Midlife Crisis, New York, 1998; A. Zimbalist, In the Best Interests of Baseball? The Revolutionary Reign of Bud Selig, Hoboken (NJ), 2006 (incentrato soprattutto su Bud Selig, che è stato Commissioner sino a poco tempo fa); L. Moffi, The Conscience of the Game. Baseball’s Commissioners from Landis to Selig, Lincoln and London, 2006. V. nota seg.

[25] Segnatamente del baseball, la cui organizzazione è servita poi da modello per tutti gli altri sport professionistici statunitensi. Il Commissioner si vide assegnare – sin dalla sua istituzione (con la nomina dell’ex giudice federale Kenesaw Mountain Landis) nel 1920 – il compito specifico di perseguire «the best interests of the game». La riforma così introdotta mirava a porre rimedio al famigerato scandalo delle World Series del 1919 (meglio noto come «The Black Sox scandal», un evidente riferimento al fatto che molti dei giocatori «vendutisi» agli scommettitori appartenevano alla squadra dei Chicago White Sox, la quale, pur se largamente favorita, perse le finali contro i Cincinnati Reds). Un vivido affresco di queste vicende si rinviene nella biografia del primo Commissioner di D. Pietrusza, Judge and Jury. The Life and Times of Judge Kenesaw Mountain Landis, South Bend (Indiana), 1998, spec. p. 173 ss. V. pure, se vuoi, A. Panzarola, L’arbitrato sportivo statunitense nelle leghe professionistiche («Big Four leagues»). Sul problema dell’imparzialità del «Commissioner» della NFL («National Football League») nel procedimento arbitrale in materia di sanzioni disciplinari, in Riv. arbitrato, 2015, p. 16 ss.

[26] Si pensi al caso legato alla squalifica – irrogata dal Commissioner della NFL (National Football League) Roger Goodell – al running back dei Minnesota Vikings Adrian Peterson. Si sono levate voci molto critiche nei confronti della commistione di ruoli in capo al Commissioner. Alla fine Roger Goodell ha delegato la decisione dell’appeal di Peterson contro la squalifica ad Harold Henderson, un ex dirigente della NFL. V., sul punto, se vuoi, A. Panzarola, L’arbitrato sportivo statunitense nelle leghe professionistiche, cit., p. 20 ss. Si consideri pure la vicenda della squalifica di Tom Brady, annullata dal giudice federale Berman.

[27] E. Grasso, La collaborazione nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1966, p. 580 ss.

[28] Si recupera in questo modo una dimensione qualitativa del tempo. Sul passaggio da una concezione classica quantitativa ad una concezione qualitativa (art. 6 CEDU, art. 111 Cost., dove la «ragionevolezza del termine» costituisce uno dei cardini del «giusto processo») v., per tutti, N. Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 3a ed., 2013, p. 259 ss.; N. Picardi, R. Martino, voce Termini (Dir. proc. civ.), in Enc. giur., XXXI, Roma, 1994; R. Martino, voce Termine nel processo civile, in Enc. giur. Sole-24 ore, 2008, p. 583. A monte si staglia l’imponente tema della norma processuale nel tempo: su cui v., per tutti, B. Capponi, L’applicazione nel tempo del diritto processuale civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, p. 431 ss.; Id., La legge processuale civile e il tempo del processo, in Giusto proc. civ., 2008, p. 637 ss.; B. Capponi, R. Tiscini, Introduzione al diritto processuale civile, cit., Torino, 2014, p. 136 ss. Un segno tangibile della evoluzione in atto non si può non scorgere anche nei fermenti di novità a proposito dei mutamenti della giurisprudenza in connessione con la interpretazione della norma processuale: v., per tutti, G. Ruffini, Mutamento di giurisprudenza nell’interpretazione di norme processuali e «giusto processo», in Riv. dir. proc., 2011, p. 1390 (e, per ulteriori riferimenti, B. Capponi, R.Tiscini, Introduzione al diritto processuale civile, cit., p. 144 ss.). La dilatazione applicativa della «rimessione in termini» vi si riannoda egualmente (v., se vuoi, A. Panzarola, Sulla rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., cit., p. 1636 ss.).

[29] Cfr., per tutti, M. Bove, Il principio della ragionevole durata del processo nella giurisprudenza della Corte di cassazione, Napoli, 2010; nonché G. Verde, Il difficile rapporto tra giudice e legge, Napoli, 2012.

[30] La rigidità della norma processuale (la sua forza frenante, si direbbe, di qualunque arbitrio, in primis di quello del giudice) è scomparsa sovente per lasciare spazio ad oggetti malleabili che vengono piegati e combinati a piacere.

[31] Distinzione sulla quale esiste una ricchissima letteratura: oltremodo significativi paiono, in ogni caso, i contributi di R. Dworkin, Taking Rights Seriously (1977), rist. 2012, London, spec. p. 38 ss. (trad. it., I diritti presi sul serio, nuova ed., Bologna, 2010), nonché di R. Alexy, Teoria dei diritti fondamentali, Bologna, 2010, spec. p. 101 ss.; e, fra gli scritti in lingua italiana, quelli di G. Alpa, I principi generali, 2a ed., Milano, 2006; G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, spec. p. 210 ss. Sicuramente utile è il quadro generale di F. Modugno, Principi e norme, la funzione imitatrice dei principi e i principi supremi o fondamentali, in AA.VV., Esperienze giuridiche del ’900, Milano, 2000, a cura di Modugno, p. 85 ss.

[32] Non solo nel processo civile (per il quale v., per tutti, N. Picardi, Manuale del processo civile, 3a ed., Milano, 2013, p. 231 ss.), ma anche in quello penale: P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, 3a ed., Bologna, 2012, p. 99 ss. L’evoluzione nella dottrina italiana è stata però lenta: v., se vuoi, A. Panzarola, Carnelutti e i principi tra metodo dogmatico e teoria generale del diritto, in AA.VV., Per Francesco Carnelutti. A cinquant’anni dalla scomparsa (Collana CEDAM «La testa di Gorgone», diretta da Calabrò e Martinez, a cura di Tracuzzi), Padova, 2015.

[33] Basti dire della evoluzione sul punto dell’ordinamento tedesco: v. § 139 Abs. 2.

[34] P. Ferrua, Il «giusto processo», cit., 100.

[35] N. Picardi, Manuale, cit., 233. Si veda la formula assai efficace del codice di rito portoghese, il cui art. 3, comma 3, accoglie una concezione forte del contraddittorio estesa anche al giudice («O juiz deve observar e fazer cumprir, ao longo de todo o processo, o princípio do contraditório, não lhe sendo lícito, salvo caso de manifesta desnecessidade, decidir questões de direito ou de facto, mesmo que de conhecimento oficioso, sem que as partes tenham tido a possibilidade de sobre elas se pronunciarem»).

[36] D’altronde, potrà essere facilmente prospettata – alla luce dell’ampio dettato dell’art. 2, comma 2 – la distinzione, felicemente espressa dai giuristi anglosassoni, fra «Right to be heard» e «Rigth to notice», con quest’ultimo diritto che, da un punto di vista logico, precede l’altro (così W. Habscheid, Les grands principes de la procédure civile: nouveaux aspects, in AA.VV., Scritti in onore di Elio Fazzalari, Milano, 1993, vol. 2, p. 3 ss., spec. 8-9). La congruità o meno dei termini contemplati per l’esercizio di talune attività processuali, o compiute in contemplazione del processo (v., ad es., artt. 16, comma 5, 17, comma 6, 19, 21, 23, comma 2 e 5, 29, 30, comma 2, 32, 34, comma 2, 37, comma 2, ecc.), può agevolmente essere valutata nel quadro descritto.

[37] La attenzione per Grundregeln e Grundsätzen – e per loro capacità ordinante di ogni processo –, preannunciata dall’opera di Grolman del 1800, si è realizzata con l’Handbuch di Gönner nel 1801. Questi, contrapponendo la Verhandlungsmaxime (che tradurremmo oggi con «principio dispositivo in senso processuale») e la Untersuchungsmaxime (principio inquisitorio), ha gettato nello specifico le basi per distinguere fra i poteri della parte e quelli del giudice nella conduzione del processo. Ha proposto, in generale, alle generazioni future un nuovo modello – la Maximenmethode – innervato sui principi generali del processo. L’alba della moderna scienza del diritto processuale si rinviene proprio in questi studiosi tedeschi del tardo XVIII sec., imbevuti di razionalismo di schietta impronta giusnaturalistica. Indispensabile è, in argomento, lo studio di F. Bomsdorf, Prozeßmaximen und Rechtswirklichkeit. Verhandlungs– und Untersuchungsmaxime im deutschen Zivilprozeß. – Vom gemeinen Recht bis zur ZPO –, Berlin, 1971, spec. p. 111 ss. (su Gönner), 122 (su Grolman). Non meno importante (su questo periodo della scienza processuale, risalente sino all’opera di Daniel Nettelbladt) è il celebre lavoro di K.W. Nörr, Naturrecht und Zivilprozeß. Studien zur Geschichte des deutschen Zivilprozeßsrechts während der Naturrechtsperiode bis zum beginnenden 19. Jahrhundert, Tübingen, 1976. V. pure, se vuoi, A. Panzarola, L’evoluzione dei principi nel processo civile, in Riv. it. scien. giur., 2015.

[38] Lo ha dimostrato – in tema di disciplina delle prove – B. Cavallone, Crisi delle «Maximen» e disciplina dell’istruzione probatoria (1976), ora in Id., Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1997, p. 289 ss. (nonché la «Prefazione»: ivi, VII), seguito da L. Dittrich, I limiti oggettivi della prova testimoniale, Milano, 2000, p. 45 ss.

[39] Quanto al principio di imparzialità del giudice (prima e dopo la legge costituzionale n. 2 del 1999) sia consentito rinviare al nostro La ricusazione del giudice civile. Il problema della impugnabilità della decisione, cit.

[40] Dove peraltro se ne parla sotto il titolo seguente: «The overriding objective».

[41] In vigore dal settembre 2013: v. spec. artt. 1-9.

[42] Artt. 1-12. Norme fondamentali del processo civile.

[43] L.P. Comoglio, Principi e garanzie fondamentali del nuovo processo civile elvetico, in Riv. dir. proc., 2011, p. 652 ss.

[44] Ancora fondamentali sono gli scritti di H. Motulsky sull’argomento, raccolti in Id., in Écrits. Études et notes de procédure civil, cit. V., in particolare, Prolégomènes pour un futur Code de procédure civile: la consécration des principes directeurs du procès civil par le décret du 9 septembre 1971 (1972), ivi, p. 275 ss.; nonché La réforme du Code de procédure civile par le décret du 13 octobre 1965 et les principes directeurs du procès (1966), ivi, p. 130 ss.

[45] Si tende a credere che la espressione sia stata coniata da René More: v., sul punto, L. Cadiet, The International sources of French civil procedure, in AA.VV., The Reception and Transmission of Civil Procedural Law in the Global Society, a cura di Masahisa Deguchi e Marcel Storme, Antwerpen-Apeldoorn, 2008, 266. Stando a George Rouhette (ivi, 267, e nota 23) i principi direttivi del processo francese vengono dai Grundprinzipien tedeschi con la mediazione del celebre comparatista Millar (R.W. Millar, The Formative Principles of Civil Procedure, in AA.VV., A History of Continental Civil Procedure, a cura di A. Engelmann, et al., Boston, 1927, rist. Buffalo, New York, 1999, p. 3 ss.).

[46] V., in specie, lo studio monografico di M. Schilling, Die «principes directeurs» des franzosischen Zivilprozesses, Berlin, 2002.

[47] Basti dire delle codificazioni processuali in America latina.

[48] Adottati e promulgati fra l’aprile 2004 (dall’Unidroit a Roma) e il maggio 2004 (dall’ALI a Washington). Cfr. la edizione dei principi pubblicata da Cambridge University Press: ALI/Unidroit, Principles of Transnational Civil Procedure, Cambridge, 2006. Abbiamo consultato la rist. 2007 in brossura. Si veda pure il Código Procesal Civil modelo para Iberoamérica del 1988, elaborato su iniziativa del­l’Instituto Iberoamericano de Derecho Procesal. Sul progetto di nuovo codice elaborato da Andrea Proto Pisani (che dedica una prima parte ai principi generali) v. infra nota 77.

[49] Regole particolari disciplinano la pubblicità delle udienze: v. soprattutto art. 35.

[50] La quale, in ogni caso, deve essere redatta (ex art. 2, comma 5, prima parte) in modo chiaro e sintetico.

[51] In linea con la formulazione che figurava nel cessato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

[52] Cfr., se vuoi, per riferimenti ulteriori, A. Panzarola, sub art. 360, in AA.VV., Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, a cura di Martino e Panzarola, Torino, 2013, spec. p. 693 ss.; Id., L’ennesima riforma della Cassazione civile italiana, in Revista Brasileira de direito processual – RBDPRO, Belo Horizonte, ano 21, n. 84, out./dez. 2013.

[53] Nei modi indicati da Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053, in Corr. giur., 2014, p. 1241 ss., con annotazione di C. Glendi.

[54] Come nell’abrogato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

[55] Tanto più quando (come nella ipotesi regolata dall’art. 14, relativamente al Giudice sportivo nazionale ed ai Giudici sportivi territoriali) la pronunzia (nel caso di specie, in prima istanza) avvenga senza udienza. Se si nega la possibilità della interlocuzione orale, lo spazio per una adeguata difesa scritta è indispensabile.

[56] Il richiamo alla situazione di crisi nella quale versa la giustizia è (insieme ad altre ragioni) alla base della idea di introdurre nell’ordinamento processuale il principio di proporzionalità: in tal senso, in vari scritti, R. Caponi: v., in particolare, Id., Il principio di proporzionalità nella giustizia civile: prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, p. 389 ss.

[57] Il fenomeno non è solo italiano. Si presenta, pur con indubbie peculiarità, anche altrove. V., ad es., sulla situazione statunitense, R. Marcus, Procedure in a time of austerity, in International Journal of Procedural Law, 2013, p. 133 ss. (che muove dalla premessa – ivi espressa alla p. 137 – che il welfare statale non includa la controversia civile).

[58] Per impiegare liberamente uno dei concetti essenziali della riflessione politica schmittiana: v. G. Agamben, Stato di eccezione, Torino, 2003; nonché i profondi studi di G. Galli, Genealogia della politica, Bologna, 2010 (nuova ed.) e Lo sguardo di Giano, Bologna, 2008.

[59] Si direbbe con R. Dworkin (Taking Rights Seriously, cit., 40) che, come regole, sono «applicable in an all-or-nothing fashion».

[60] La norma in parte qua recita come segue: «Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticità di cui all’articolo 3, comma 2, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l’Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. Il medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi, tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell’atto. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello».

[61] Non a caso, uno degli effetti più evidenti legati alla riforma del processo di cognizione del 1990 è stato di spingere gli avvocati a redigere atti introduttivi sempre più lunghi. Molti ricorderanno la tecnica di redazione della citazione diffusa nella prassi prima di quella data, contrassegnata da una manifesta (e deliberata) concisione, giustificata dalla possibilità riservata alle parti di rettificare il tiro in pendenza del processo.

[62] Si può pensare al rito del lavoro, nel quale – come noto – le preclusioni istruttorie maturano nello stesso momento delle preclusioni relative ai fatti di causa. Nel rito ordinario di cognizione sono invece ragionevolmente posticipate quelle a queste preclusioni.

[63] E questo vale soprattutto per la Eventualmaxime.

[64] I principi infatti si «pesano». Cfr., per tutti, R. Dworkin, Taking Rights Seriously, cit., p. 43. A suo dire i principi hanno una dimensione che le regole non posseggono: «the dimension of weight or importance».

[65] Cfr., ad es., la citata Relazione ministeriale sul primo libro del progetto di codice di procedura di Giuseppe Pisanelli, sub n. 40, in Testi e documenti, cit., p. 22.

[66] Su questo adagio, di vasta applicazione (anche al di là del campo giuridico), v., ad es., C. de Méry, Histoire générale des proverbes, adages des peuples anciens et modernes, III, Paris, 1829, pp. 106-107. Si ricordi la traduzione elegante dell’assioma giudiziario in Talleyrand («les manières sont tout»): G. Sasso, Il guardiano della storiografia: profilo di Federico Chabod e altri saggi, Napoli, 1985, p. 312.

[67] Al processualcivilista viene subito in mente il saggio del 1901 di G. Chiovenda, Le forme nella difesa giudiziale del diritto, già in Riv. it. scien. giur., poi in Id., Saggi di diritto processuale civile, I, 1993, p. 353 ss.

[68] La Cassazione addossa poi al ricorrente l’onere di dimostrare il pregiudizio concreto a pena di inammissibilità del ricorso.

[69] Si fa strada l’idea che, in mancanza di pregiudizio concreto ed effettivo, come non sia configurabile una nullità formale, così non sussista un interesse ad opporla. In argomento v., per tutti, da ultimo, la rivisitazione critica di R. Poli, Invalidità ed equipollenza degli atti processuali, Torino, 2012 (recensito in Giusto proc. civ., 2013).

[70] Secondo quanto osservano icasticamente X. Philippe, E. Putman, in Revue trimestrielle de droit civil, 1994, p. 484.

[71] «La storia della libertà» – per dirla con Felix Frankfurter: Mc Nabb v. United States, 318 U.S. 332 (1943) – «è stata in gran parte la storia del rispetto delle garanzie procedurali». La citazione non è casuale: in molti pensano che Felix Frankfurter sia stato il più influente giurista del XX sec. (così H.N. Hirsh, The Enigma of Felix Frankfurter, New York, 1981, rist. New Orleans, 2014, p. 1). La rimarchevole propensione alla tutela delle garanzie processuali è riflessa in moltissimi episodi della vita di Frankfurter (e non soltanto nel celebre caso di Sacco e Vanzetti: cfr. N. Feldman, Scorpions. The Battle and Triumphs of FDR’s Great Supreme Court Justices, New York-Boston, 2010, p. 3 ss.; H.N. Hirsh, op. cit., pp. 42-43; lo stesso Hirsh rimprovera, peraltro, a Frankfurter di avere abbandonato talvolta i suoi ideali per soddisfare aspirazioni contingenti: ivi, 62), ancor prima della nomina (da parte di F.D. Roosevelt) a giudice della Corte Suprema nel 1939. In tale ruolo (ricoperto sino al 1962) Frankfurter ha peraltro finito per abbandonare le sue originarie inclinazioni riformistiche (Frankfurter – scrive N. Feldman, op. cit., XI – «started as America’s leading liberal and ended as its most famous judicial conservative»). Sul rapporto fra Frankfurter e Oliver Wendell Holmes v., in ultimo, il bel volume di T. Healy, The Great Dissent: How Oliver Wendell Holmes Changed His Mind and Changed the History of Free Speech in America, New York, 2013, pp. 11 ss., 44, 122, 127 ss., 162 ss. Ancora più nota è la relazione di Frankfurter con Louis D. Brandeis: essa occupa praticamente tutto il volume di M.I. Urofsky, Louis D. Brandeis. A Life, New York, 2009.

[72] L’idea di Dworkin che la dimensione del peso è tipica dei principi è ripresa, fra gli altri, da R. Alexy, Teoria dei diritti fondamentali, cit., 110 e nota 51, il quale la applica con riguardo alla collisione fra i principi per distinguerla dalla collisione fra regole, che ha invece luogo nella dimensione della validità.

[73] Sul quale si vedano le critiche di N. Picardi, Riflessioni critiche in tema di oralità e scrittura, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1973, p. 1 ss. ed in Studi in memoria di Furno, Milano, 1973, p. 701 ss. e di F. Cipriani, I problemi del processo di cognizione tra passato e presente, in Riv. dir. civ., 2003, p. 44 ss.).

[74] Basta qui evocare la testimonianza scritta ex art. 257-bis c.p.c.

[75] V., peraltro, il fugace richiamo che compare all’art. 14, secondo cui la decisione in prima istanza avviene (senza udienza e) con «immediatezza». Si noterà che il termine è impiegato in modo diverso dal significato che gli veniva assegnato dai fautori della «oralità».

[76] V. R. Caponi, op. loc. cit., che suggerisce di guardare alle CPR inglesi. Cfr., in specie, nella parte in cui sub 1.1 (The overriding objective), si stabilisce alla lett. (e) di riservare alla causa «an appropriate share of the court’s resources, while taking into account the need to allot resources to other cases».

[77] Cfr. pure il progetto Proto Pisani di nuovo codice di rito (Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., 2009, V, c. 1): art. 0.8 (sotto la rubrica «efficienza del processo civile»): «è assicurato un impiego proporzionato delle risorse giudiziali rispetto allo scopo della giusta composizione della controversia entro un termine ragionevole, tenendo conto della necessità di riservare risorse agli altri processi». Viene in mente la formulazione delle CPR inglesi: v. la nota che precede.

[78] F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli, 1958, p. 151. V., se vuoi, A. Panzarola, Carnelutti e i principi tra metodo dogmatico e teoria generale del diritto, cit.

[79] V. A. Proto Pisani, Un nuovo principio generale del processo, in Foro it., 2013, I, c. 117 ss. Ad avviso dell’autorevole giurista, dal combinato disposto dell’art. 111 Cost. (nella parte nella quale rinvia alla predeterminazione delle regole processuali), degli artt. 153 c.p.c. (rimessione in termini nel processo civile) e 37 c.p.a. (in tema di errore scusabile) e del principio dell’affidamento, sarebbe agevole ma anche doveroso desumere il seguente principio generale: «il compimento di un atto processuale secondo le forme e i termini previsti dal “diritto vivente” al momento in cui l’atto è compiuto, comporta la validità dell’atto stesso in caso di successivo mutamento giurisprudenziale in tema di quelle forme e di quei termini».

[80] Cfr., sul tema, G. Ruffini, Mutamento di giurisprudenza nell’interpretazione di norme processuali e «giusto processo», cit.; e, per ulteriori riferimenti, B. Capponi, R. Tiscini, Introduzione al diritto processuale civile, cit., p. 144 ss.

[81] Cfr. A. Carratta, Dovere di verità e di completezza nel processo civile, Relazione al XXIX Convegno della Associazione degli studiosi del processo civile (e poi, in due parti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014).

[82] Celebre è stato il Convegno di Roma del 27-29 maggio 1991, presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, sul tema I principi generali del diritto, i cui atti sono stati pubblicati nel 1992. Non meno noto fu il Convegno di Pisa del 18 e 19 maggio 1940 (di cui sono stati editi gli atti: v. Atti del Convegno Nazionale Universitario sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista).

[83] Alludiamo al Convegno organizzato presso la Università di Roma «La Sapienza» (Facoltà di Giurisprudenza, Dipartimento di Scienze Giuridiche) il 14 e 15 novembre 2015, sul tema «I principi nella esperienza giuridica». Le varie sessioni del convegno sono state presiedute da Mario Caravale, da Pietro Rescigno, da Natalino Irti e da Paolo Grossi. V. in http://www.storiadeldiritto.org/uploads/2/5/3/4/25343223/
convegno_14_-15_novembre.pdf. Gli atti sono stati pubblicati in un volume monotematico della Rivista italiana per le scienze giuridiche (2015).

[84] Cfr., per tutti, N. Trocker, Processo civile e Costituzione: problemi di diritto tedesco e italiano, Milano, 1974.

[85] Cfr., da ultimo, l’importante contributo di R. Giordano, Giurisdizione europea e nazionale sui diritti umani. Profili processuali, Roma, 2012.

[86] Per la riflessione francese sui principi direttivi del processo v. retro alla nota 44. V. pure AA.VV., Droit processuel. Droit commun et droit comparé du procès équitable, 5a, ed., cit.

[87] Cfr. la bibliografia indicata in J. Picó, I. Junoy, El juez y la prueba, Barcelona, 2007, p. 263 ss.; nonché Id., El principio de la buena fe procesal, Barcelona, 2003.

[88] Cfr. P. Arens, Die Grundprinzipien des Zivilprozeßrechts, in Humane Justiz, a cura di Gilles, Frankfurt, 1977, p. 1 ss.; R. Stürner, Verfahrengrundsätze des Zivilprozesses und Verfassung, in Festschrift für Fritz Baur, 1981, p. 647 ss.; O. Jauernig: Verhandlungsmaxime, Inquisitionsmaxime und Streitgegenstand, Tübingen, 1967; H. Schnellenbach, Grundsätze des gerichtlichen Verfahrens, in Juristische Arbeitsblätter, 1995, p. 783 ss.; H. Prütting, Die Grundlagen des Zivilprozesses im Wandel der Gesetzgebung, in NJW-Neue Juristische Wochenschrift, 1980, p. 361.