Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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La guida alpina profili di responsabilità penale e civile * (di Riccardo Crucioli, Giudice del Tribunale di Genova. Maurizio Flick, Avvocato del Foro di Genova e collabora con la cattedra di Diritto Privato dell’Università degli Studi di Genova (Giurisprudenza).)


The article examines the notion of italian mountain guides «guida alpina» for civil and criminal law purposes. The analysis is carried out in the light of the case-law and of relevant state legislation. The paper provides an overview of italian jurisprudence within this peculiar area of work.

SOMMARIO:

SEZIONE I – PROFILI CIVILI - 2. Il quadro normativo - 3. La Professionalità della guida e la deroga in favore del CAI - 4. La responsabilità delle guide alpine - 4.1. L’art. 1218 c.c. e l’evoluzione della giurisprudenza - 4.2. La responsabilità in caso di problemi tecnici di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.) e la responsabilità in caso di esercizio di attività pericolosa (art. 2050 c.c.) - 4.3. Dovere di correttezza del cliente e suo eventuale concorso di colpa nel cagionare il danno - 4.4. I limiti della responsabilità della guida alpina - 4.5. Cumulo di responsabilità con scuole di alpinismo e attività in seno al CAI - SEZIONE II – PROFILI PENALI - 2. I reati dolosi: 591 c.p. e 593 c.p. - 3. I reati colposi. La posizione di garanzia. L’affidamento - 4. I reati colposi: 449 c.p.; 589 c.p.; 590 c.p. - NOTE


SEZIONE I – PROFILI CIVILI

Premessa Fino a trenta, quarant’anni fa, il rapporto guida alpina-cliente aveva dei connotati del tutto peculiari, determinati dal fatto che entrambi i soggetti del rapporto erano ben coscienti che il raggiungimento del risultato prefisso comportava dei gravi rischi per la propria integrità fisica o anche per la stessa vita, anzi il fascino o gran parte del fascino dell’attività alpinistica consisteva proprio nell’affrontare la tensione generata dal pericolo e nel superarla con l’impiego delle proprie doti fisiche e morali [1]. Essendo guida e cliente legati allo stesso destino, nasceva fra di essi una forte solidarietà umana che faceva sì che il vincolo che li univa fosse sentito più come un vincolo etico che come un vincolo giuridico. Pochissime negli anni sono state le controversie tra guida e cliente giunte in aule giudiziarie e quindi pochissimi sono i precedenti giurisprudenziali in materia e ciò è strano considerato l’alto numero di sinistri che si registrano nella pratica dell’alpi­nismo. La spiegazione più plausibile è da ricercarsi nel principio di autoresponsabilità che comporta una forte assunzione del rischio da parte del cliente [2]. Le sentenze più risalenti erano generalmente assolutorie per le guide convenute ed imputate, escludevano ogni tentativo di inversione dell’onere della prova a sfavore della guida [3]. Sembrava sussistere nel rapporto guida-cliente una sorta di patto implicito di esonero della responsabilità per colpa, pur nella consapevolezza che la vita e l’integrità fisica non sono diritti disponibili (art. 5 c.c.) e che quindi non possono essere oggetto di regolamentazione contrattuale. Questo era particolarmente vero nel tempo in cui il mestiere di guida alpina aveva una connotazione turistico-elitaria, caratterizzata da un’accesa passione per la montagna, accompagnata spesso da una poderosa preparazione e capacità tecnica, da un forte spirito di rispetto e di solidarietà sia nella guida alpina che nel cliente. Oggi questa realtà sembra mutata: l’aumento del benessere, il conseguente aumento delle capacità finanziarie e del tempo libero per strati sempre più larghi della popolazione, la facilità e la rapidità dei trasporti anche via fune, la scoperta dell’effetto salutare e terapeutico dello [continua ..]


2. Il quadro normativo

La legge 2 gennaio 1989, n. 6 recante il titolo Ordinamento della professione di guida alpina detta i principi fondamentali per la legislazione regionale in materia di ordinamento della professione di guida alpina. La legge è composta da 26 articoli. Ai sensi dell’art. 2, guida alpina è colui che svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo, le seguenti attività: a) accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio oppure in escursioni in montagna; b) accompagnamento di persone in ascensioni sci-alpinistiche oppure in escursioni sciistiche; c) insegnamento delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche con esclusione delle tecniche sciistiche su piste di discesa e di fondo. L’art. 3 opera una distinzione tra «aspirante guida» e «guida alpina-maestro di alpinismo» individuando i diversi livelli di competenza. L’aspirante guida può svolgere le attività indicate dall’art. 2, con esclusione delle ascensioni di maggiore impegno, come definite dalle leggi regionali con riguardo alle caratteristiche delle zone montuose. Tale esclusione non opera se l’aspirante guida fa parte di comitive condotte da una guida alpina-maestro di alpinismo; l’aspirante guida può esercitare l’insegnamento sistematico delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche solo nell’ambito di una scuola di alpinismo; deve conseguire il grado di guida alpina-maestro di alpinismo entro il decimo anno successivo a quello in cui ha conseguito l’abilitazione tecnica all’esercizio della professione come aspirante guida. In mancanza decade di diritto dall’iscrizione all’albo professionale. Per poter essere abilitati all’esercizio dell’attività è necessaria la frequentazione degli appositi corsi teorico-pratici ed il superamento dei relativi esami. L’esercizio professionale, invece, non comporta necessariamente la continuità e l’esclusività della professione, che può quindi essere svolta anche saltuariamente o stagionalmente. L’esercizio stabile della professione di guida alpina, nei due gradi sopra descritti, è subordinato (art. 4) all’iscrizione in appositi albi professionali, articolati per Regione e tenuti, sotto la vigilanza della Regione stessa, dal rispettivo collegio regionale delle guide. L’iscrizione all’albo professionale [continua ..]


3. La Professionalità della guida e la deroga in favore del CAI

L’art. 2 della legge n. 6/1989, come si è detto, precisa che la professionalità non comporta necessariamente la continuità e l’esclusività nell’esercizio dell’attività ma la capacità professionale. Il requisito della professionalità dev’essere inteso nel senso di possesso di abilità specifiche, tecniche, didattiche e culturali garantite mediante l’iscrizione all’albo professionale [13]. A garanzia di ciò, l’abilitazione è conseguita attraverso un percorso formativo specifico e implica, una volta ottenuta, il rispetto di un codice deontologico, l’obbligo di aggiornamento e specializzazione tecnica, l’uso di tariffe professionali determinate dagli organi collegiali, nonché la soggezione alla normativa disciplinare. Che quella di guida alpina sia da considerarsi a tutti gli effetti una «professione liberale», lo dimostrano in maniera inequivocabile gli elementi caratteristici della «professionalità» presenti nella disciplina dell’89 [14]: la necessità dell’abilitazione, del­l’iscri­zione all’Albo, il rispetto di un codice deontologico e la soggezione ai poteri disciplinari demandati agli organismi elettivi di autogoverno. A partire dal 1989, dunque, la professione di guida alpina rientra a tutti gli effetti tra le attività di cui all’art. 2229 c.c., ovvero tra le libere professioni esercitate nella forma del lavoro autonomo, regolate da una disciplina pubblicistica. Generalmente, l’interesse pubblico che spinge il legislatore a costituire un determinato ordinamento professionale – nel nostro caso le ragioni imperative di tutela del­l’incolumità pubblica per la pericolosità dell’attività e l’alto contenuto tecnico della stessa giustificano un’attenta regolamentazione all’accesso e all’esercizio della professione della guida alpina – dovrebbe allo stesso tempo comportare l’inevitabile divieto di svolgere le medesime attività in maniera non professionale. Tanto è vero che l’esercizio di una professione protetta – come lo è quella di guida alpina – senza aver conseguito l’abilitazione costituisce abuso ed è punito ai sensi del Codice Penale (artt. 348 c.p. e 18 legge n. 6/1989 [15]), mentre [continua ..]


4. La responsabilità delle guide alpine

A fronte del contratto stipulato, la guida è «debitore» di un certo comportamento nei confronti del cliente che è il «creditore» della prestazione. Occorre in primo luogo stabilire quale sia il contenuto dell’obbligo assunto dalle parti perché evidentemente ciascuno risponderà dell’adempimento delle obbligazioni assunte. Ora, con il contratto che la guida stipula con il proprio cliente, si assumono essenzialmente due tipi di obbligazioni, due blocchi di obbligazioni. Una non pone problemi: è l’obbligazione, per così dire, positiva cioè l’accompa­gnare il cliente per una certa via fino a una certa vetta. In questo caso, si tratta di un’ob­bligazione di mezzi in cui la guida si impegna a dedicare il tempo e le energie necessarie per un certo risultato, pur non garantendolo. Quindi, nessun cliente della guida potrà lamentare di non avere ad esempio imparato le tecniche di ascensione. La guida deve solo cercare di insegnargliele, e se questo è incapace e non riesce a imparare non sarà certamente attribuibile una colpa al professionista. Diverso è il caso della guida che decide di non accompagnare il cliente a concludere una certa ascensione. La guida è arbitro, in un certo senso, dell’accompagnare o non accompagnare, del concludere o meno un’ascensione, e adempie pienamente al proprio dovere semplicemente dedicando il tempo e scegliendo la soluzione migliore con il dovuto impegno e le necessarie cautele. Non è certo obbligato ad accompagnare il cliente in vetta. O meglio, forse una delle maggiori manifestazioni di adempimento ai propri obblighi da parte della guida è quella di non portare il cliente in vetta, ad esempio, quando vi sono situazioni tali che non diano garanzie sufficienti di sicurezza. In questo caso, pensiamo in presenza di una tormenta, sarebbe corretto, se non doveroso, e a tutela dell’incolumità del cliente annullare l’ascensione tornando a valle. Ma la questione più di rilievo, arrivando a toccare il secondo blocco di problemi, è evidentemente un’altra: quella del rischio e dell’incidente. Nell’ambito del contratto il problema più delicato e più importante è quello di far carico alla guida di garantire l’in­columità del cliente comprendendo fino a che punto debba rispondere [continua ..]


4.1. L’art. 1218 c.c. e l’evoluzione della giurisprudenza

In passato, l’onere di provare l’adempimento della guida ricadeva sull’accompa­gnato e la colpa costituiva il criterio per giudicare la qualità della prestazione e, dunque, l’esistenza stessa dell’inadempimento [26]. Ciò significava che se non veniva fornita prova della colpa della guida, non poteva sorgere il diritto al risarcimento a favore del cliente. Quindi, se durante un’escursione uno degli accompagnati subiva una lesione o, comunque, un danno, il cliente stesso, al fine di conseguire il relativo risarcimento, doveva dimostrare: a) di aver subito un danno; b) che la guida si era resa inadempiente al contratto tenendo un comportamento negligente od imprudente o di scarsa perizia o, comunque, colposo [27]. Sulla natura dell’obbligazione gravante sulla guida, sembra oggi superato l’orienta­mento citato [28] che, nell’ambito delle prestazioni di opera intellettuale, qualificata la stes­sa come obbligazione di mezzi, aveva determinato un forte «appesantimento» del­l’onere probatorio a carico del cliente che intendeva agire a titolo di responsabilità contrattuale ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c., «costringendolo», ai fini dell’otte­nimento del risarcimento, a dover provare la negligenza della guida, oltre, naturalmente, al nesso di causalità fra l’operato dello stesso e il danno. La guida (prestatore d’ope­ra) poteva viceversa «liberarsi» dimostrando la non imputabilità dell’evento dannoso alla propria violazione dell’obbligo di diligenza («non sussiste pertanto» hanno rilevato i supremi giudici «differenza alcuna, sotto il profilo probatorio, tra azione di responsabilità contrattuale o extracontrattuale») [29]. Emblematica sul punto una pronuncia della Suprema Corte resa a sezioni unite [30] che, senza fare cenno alcuno alla distinzione fra obbligazioni di mezzi o di risultato ha stabilito che, in tema di inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca in giudizio per la risoluzione, per il risarcimento, ovvero per l’adempimento, deve solo provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, che sarà invece gravata della prova del fatto estintivo [continua ..]


4.2. La responsabilità in caso di problemi tecnici di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.) e la responsabilità in caso di esercizio di attività pericolosa (art. 2050 c.c.)

Si giunge al nodo principale da sciogliere, due norme del codice civile, spesso richiamate dalla giurisprudenza di settore che se applicate a casi di responsabilità della guida alpina, affrontano con modalità distinte temi rilevanti. Esse sono molto interessanti perché, stranamente, dicono esattamente il contrario o quantomeno pervengono a risultati opposti. Il riferimento è agli artt. 2236 [36] e 2050 [37] c.c., norme che trattano tematiche distinte ma che spesso, come si accennava, sono state richiamate in giurisprudenza l’una in alternativa all’altra in caso di sinistri tra guide e clienti. La prima norma è l’art. 2236 c.c. si riferisce all’esercizio delle professioni e afferma che nelle attività professionali, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà il prestatore d’opera, cioè colui che esercita l’attività, non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave [38]. In questo caso il legislatore prevede una sicura ripartizione della responsabilità, più che una sua attenuazione, fra il professionista che compie una certa attività e il cliente, il soggetto che si sottopone a questa attività. Non è necessario pensare solo alle guide; pensiamo per esempio agli interventi chirurgici: il chirurgo su certi interventi di speciale difficoltà non può garantire oltre certi limiti. Può garantire il suo impegno ma certamente non può assicurare il risultato, alcuni sono per definizione interventi a rischio. Che il legislatore abbia inteso come vi siano soprattutto in ambito medico situazioni particolarmente complesse da affrontare è confermato dalla recente disciplina dettata dalla legge n. 24/2017 che va a ribaltare una prassi che aveva reso l’attività medica particolarmente invisa alla collettività e gli stessi medici molto più esposti rispetto al passato a cause di responsabilità professionale dovendosi altresì sobbarcare un notevole sforzo probatorio portando alle miopi condotte di «medicina difensiva» che la normativa sopra citata dovrebbe aver definitivamente fatto tramontare [39]. E lo stesso succede per le ascensioni. Vi sono ascensioni a maggiore o minore rischio: percorrendo certe vie aumentano esponenzialmente le probabilità di incidente, e questo è [continua ..]


4.3. Dovere di correttezza del cliente e suo eventuale concorso di colpa nel cagionare il danno

Un altro aspetto del problema che non bisogna trascurare, è quello della responsabilità del cliente verso la guida. Ma anche in questo caso il problema è secondario, perché quand’anche il cliente investisse la guida, magari durante un’escursione scialpinistica, e gli cagionasse un danno, vi sarebbe sicuramente una responsabilità del­l’in­vestitore, ma fuori dal contratto: sussisterebbe una responsabilità extra-contrat­tuale, come se il cliente avesse investito un qualunque altro scialpinista ai sensi dell’art. 2043 c.c. Tuttavia, quest’aspetto rileva da un altro punto di vista. Occorre esaminare l’equi­librio dei due rapporti nella costanza della relazione fra guida da un lato e cliente dal­l’altro. Si è detto che il rapporto tra guida e cliente è un rapporto contrattuale e che l’art. 1175 c.c. fissa un principio secondo il quale il debitore della prestazione – la guida – ed il creditore – il cliente – devono comportarsi secondo le regole della correttezza. Questa correttezza è imposta non solo al debitore (guida), ma anche al cliente. Anch’egli deve comportarsi secondo correttezza. Quindi, se è vero che la guida deve essere competente, corretta, diligente e preparata, è anche vero che il cliente deve essere persona seria, in qualche modo preparata, avere l’attrezzatura adeguata ed essere corretta nei confronti della guida. Esistono per lo meno tre settori, tre momenti, nei quali il cliente ha una responsabilità importante. Per esempio, in caso di problemi di salute. È il soggetto interessato che deve sapere se sta bene, se sta male, se è malato di cuore, non la guida. E ancora, i problemi relativi alla capacità. Se il cliente è una persona di buon senso, probabilmente sa giudicare le proprie capacità più di quanto non possa giudicarlo in un primo contatto la guida. È il cliente che deve sapere dove può andare, cosa ha già fatto e cosa non ha fatto in passato. Il terzo problema, molto importante, è quello dell’attrezzatura. Il cliente sa, o dovrebbe sapere, in previsione di un’ascensione scialpinistica se ha gli sci in buono stato, se gli attacchi sono stati regolati, se in generale sono in buone condizioni le sue attrezzature. La guida deve certamente controllare, ma la [continua ..]


4.4. I limiti della responsabilità della guida alpina

Esistono situazioni o circostanze particolari che incidono sulla responsabilità della guida alpina, limitando o giungendo fino ad escluderla. Si tratta: a) del caso fortuito o della forza maggiore; b) dell’aver agito in stato di necessità; c) della presenza di una clausola di esonero della responsabilità. L’art. 45 c.p. stabilisce che «non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore» e i concetti introdotti da tale norma sono pacificamente utilizzati anche in campo civilistico. Il caso fortuito consiste in un avvenimento imprevisto ed imprevedibile, il cui verificarsi non può essere ricondotto al comportamento dell’agente nemmeno a titolo di colpa e che, inserendosi nel processo causale al di fuori di ogni possibile controllo umano, rende inevitabile il verificarsi dell’evento. Il caso fortuito opera quindi come causa di esclusione della colpevolezza [49]. La forza maggiore, invece, consiste in un particolare impedimento che rende vano ogni sforzo dell’uomo e che deriva da cause estranee a lui non imputabili. La forza maggiore non esclude la colpa, ma si pone come causa determinante e non evitabile dell’evento dannoso. In presenza di caso fortuito o di forza maggiore, la guida alpina andrà esente da responsabilità o perché nessuna colpa può essere ad egli addebitata (caso fortuito) o perché l’evento dannoso è stato determinato esclusivamente dalla forza maggiore e, quindi, manca il nesso di causalità con la condotta del soggetto. Può accadere che una guida alpina si trovi costretta, in una situazione di pericolo, a dover scegliere tra più possibili soluzioni, con la coscienza di non poter evitare di provocare conseguenze a danno proprio o di altri. Si tratta ad esempio, del caso dell’al­pinista che fa precipitare il compagno sospeso con lui ad una corda, nell’ipotesi in cui questo sia l’unico modo per evitare che entrambi siano trascinati nel vuoto. Questa ipotesi viene definita stato di necessità ed è regolata sia in campo penale che in campo civile. Secondo l’art. 54 c.p. «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né [continua ..]


4.5. Cumulo di responsabilità con scuole di alpinismo e attività in seno al CAI

In caso di infortunio dell’allievo durante una scalata sotto il controllo della guida alpina, si dovrà preliminarmente verificare se tale attività sia esercitata in forma autonoma ovvero nell’ambito di una scuola presso la quale l’allievo si iscriva ai fini della frequenza di un corso di alpinismo. Quanto alla prima ipotesi, nel caso in cui venga esercitata la professione in forma autonoma, verrà applicata la già citata disciplina dettata in materia di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.; quanto alla seconda ipotesi, la scuola risponderà ex art. 1218 c.c. e, in via solidale, ex art. 2043 c.c. la guida alpina che, nella fattispecie assume il ruolo di ausiliario del debitore ex art. 1228 c.c. Anche in tale ultimo ambito, l’allievo danneggiato potrebbe altresì – invocando l’in­staurarsi del “contatto sociale” – azionare la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., con notevole alleggerimento dell’onere probatorio a proprio carico [50]. Tanto premesso, sia la guida alpina che la scuola di appartenenza potranno essere chiamati a rispondere delle conseguenze dell’infortunio subito dall’allievo, non solo a titolo di responsabilità contrattuale, ma anche ai sensi dell’art. 2043 c.c., dal momento che l’inadempimento dell’obbligazione assunta può evidentemente configurare un illecito; l’allievo iscritto presso una scuola avrà poi la possibilità di evocare in giudizio quest’ultima anche ai sensi dell’art. 2049 c.c. [51]. Nella diversa ipotesi in cui sia l’allievo a cagionare un danno ad un altro allievo ovvero ad una terza persona, ove il danneggiante sia minorenne, potrà applicarsi la disciplina di cui all’art. 2048, comma 2, c.c. [52]. Considerazioni differenti debbono invece formularsi quanto al CAI (Club Alpino Italiano) ed ai suoi istruttori [53]. Come sopra anticipato, fra i compiti del CAI rientrano anche quelli di organizzare e gestire corsi di addestramento per le attività alpinistiche, sci-alpinistiche, escursionistiche, speleologiche e naturalistiche, nonché di formare gli istruttori di queste discipline sia a favore dei propri soci che di altri [54]. Come espressamente stabilito dalla legge n. 6/1989 (art. 20) gli istruttori del CAI, a differenza delle guide alpine, «svolgono la [continua ..]


SEZIONE II – PROFILI PENALI

La guida alpina. Ambiti riservati e figure analoghe Come si è avuto modo di leggere nella prima sezione del presente lavoro, la professione di guida alpina ha trovato un primo inquadramento ad opera della legge 2 gennaio 1989, n. 6, che stabilisce i principi fondamentali per la legislazione regionale. A tale sezione si rimanda per gli opportuni riferimenti normativi. Ai fini che interessano con riferimento alla parte penale, è opportuno solo ricordare che, ai sensi dell’art. 2 [60], la guida alpina è colui che svolge in modo professionale, ancorché non esclusivamente né continuativamente, attività di accompagnamento in zone accomunate da un’elevata esposizione a rischi (ascensione su roccia, su ghiaccio o attività scialpinistica) o di insegnamento delle tecniche di movimento in montagna (alpinistiche e scialpinistiche). Per poter svolgere tale professione è necessario ottenere l’iscrizione all’albo previsto dall’art. 4, legge n. 6/1989, iscrizione che è subordinata alle condizioni di cui al­l’art. 5 [61] ed all’ottenimento dell’abilitazione tecnica di cui all’art. 7. La legge n. 6/1989, prefigurandosi le problematiche connesse all’aumento del turismo in montagna, prevede: – la possibilità, per le guide alpine, di ottenere alcune specializzazioni (arrampicata sportiva in roccia o ghiaccio; speleologia; altri settori eventualmente definiti dal direttivo del collegio nazionale delle guide) [62]; – la facoltà per il CAI di organizzare scuole e corsi di addestramento a carattere non professionale per le attività alpinistiche, sci alpinistiche, escursionistiche, speleologiche, naturalistiche e per la formazione dei relativi istruttori [63]; – la possibilità per le Regioni di formare ed abilitare gli «accompagnatori di media montagna» (o AMM), soggetti che possono condurre clienti in zone o regioni determinate, con esclusione delle zone rocciose, dei ghiacciai, dei terreni innevati e di quelli che richiedono comunque, per la progressione, l’uso di corda, piccozza e ramponi, illustrando alle persone accompagnate le caratteristiche dell’ambiente montano percorso [64]; – la distinzione tra la guida alpina (accompagnatore, a titolo professionale, di persone in ascensioni o escursioni su vulcani quando vi sia un percorso in zone [continua ..]


2. I reati dolosi: 591 c.p. e 593 c.p.

Appurate dunque le differenze sussistenti tra gli accompagnatori professionali e quelli non professionali, può essere ora esaminata la posizione dei primi (ed in particolare della guida alpina) in relazione ai reati dolosi più facilmente ipotizzabili: l’abban­dono di persone minori o incapaci [82] e l’omissione di soccorso [83]. Con il reato di cui all’art. 591 c.p. viene punito chi ha la cura o la custodia di un soggetto (incapace per qualunque causa) e lo abbandona a sé stesso, anche omettendo di far intervenire persone capaci di evitare il pericolo incombente. Con il reato di cui all’art. 593 c.p. viene invece punito chi, «trovando» un soggetto incapace, omette di dare avviso all’Autorità o di prestare soccorso. I due reati si differenziano in ragione della condotta (il primo è normalmente commissivo ma può realizzarsi anche mediante omissione mentre il secondo è puramente omissivo), della presenza di una posizione di garanzia (necessaria per il primo [84], non per il secondo [85]) e della persona che si trova «in difficoltà» (con diversità dell’età del minore: meno di 14 anni per il primo, meno di 10 per il secondo). Inoltre l’art. 593 c.p. indica anche l’omissione riguardante «un corpo che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo», caso non previsto nel 591 c.p., ove la situazione di pericolo è causata proprio dall’abbandono. I rapporti tra i due reati sono ben analizzati da Cass. pen. 14 gennaio 2016, n. 12644 che ha indicato: «il reato di abbandono di persone minori o incapaci è in rapporto di specialità rispetto a quello di omissione di soccorso, in quanto, a differenza di quest’ultimo che punisce chiunque si trovi occasionalmente a contatto diretto con una persona in stato di pericolo, sanziona la violazione di uno specifico dovere giuridico di cura o di custodia, che incombe su determinate persone o categorie di persone, da cui derivi una situazione di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo» [86]. Per quanto attiene al significato del termine «trovare» (utilizzato dall’art. 593 c.p.) la Suprema Corte ha precisato che si tratta di sinonimo di «ritrovare, imbattersi, venire in presenza di, [continua ..]


3. I reati colposi. La posizione di garanzia. L’affidamento

Per poter comprendere le ragioni dell’ascrivibilità alle guide Alpine dei reati colposi parrebbe superfluo approfondire le tematiche relative alla c.d. «posizione di garanzia» [97]. Come si vedrà, tuttavia, tale analisi non è affatto inutile, essendo anzi indispensabile sia per precisare i poteri esistenti in capo alle guide verso i clienti [98] sia per comprendere se le guide rispondono a titolo di concorso omissivo per il fatto illecito del cliente sia, ancora, per affrontare la delicata (e finora sostanzialmente insondata, perlomeno a livello giudiziale) tematica degli obblighi sorti da precedenti attività poste in essere, in via di mero fatto, dai professionisti della montagna [99]. Secondo il capoverso dell’art. 40 c.p., non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo [100]. Per poter ritenere un soggetto responsabile di un evento in conseguenza di una sua omissione è necessario individuare, a suo carico, un obbligo giuridico di impedire l’evento o, se si vuole, per accertare su quale soggetto gravasse l’onere di agire per impedire il verificarsi dell’evento (e non l’ha fatto) è necessario determinare la posizione di garanzia. Con tale termine si intende l’obbligo giuridico, che grava su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente forniti degli adeguati poteri giuridici, di impedire eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di adeguatamente proteggerli [101]. Secondo alcuni studiosi, gli obblighi del terzo possono derivare unicamente da una fonte formale: l’art. 40, comma 2, c.p. individuerebbe la fonte dell’obbligo unicamente nella legge e nel contratto (sia tipico che atipico); secondo altri, invece, gli obblighi possono derivare anche da criteri sostanzialistici, essendo possibile individuare come fonte anche la precedente condotta illecita o pericolosa, la negotiorum gestio e la consuetudine [102]. Ciò che però accomuna le varie teorie è il necessario rispetto dei principi di tassatività e determinatezza (individuazione certa dei titolari dell’obbligo di garanzia e determinazione oggettiva degli obblighi, con esclusione dei doveri morali) nonché la fondamentale presenza in capo all’onerato dei necessari poteri impeditivi degli eventi [continua ..]


4. I reati colposi: 449 c.p.; 589 c.p.; 590 c.p.

Non è in questa sede possibile né opportuno esporre le problematiche proprie dei delitti colposi [117]. Sia sufficiente richiamare la necessità di individuare un nesso di cau­salità tra una condotta colposa ed un evento di danno. In ordine alle cause dell’evento sono enucleabili problematiche connesse alla causalità omissiva (allorché venga violato un comando) e commissiva (allorché venga violato un divieto), all’obbligo di garanzia ed ai poteri impeditivi, alla causa sopravvenuta ex art. 41, comma 2, c.p. e soprattutto in ordine all’individuazione, in concreto, del nesso eziologico. In ordine, invece, all’elemento soggettivo si deve valutare la violazione delle regole cautelari (che promanano da fonti speciali o da fonte generica) in relazione anche alla figura del c.d. agente modello, la prevedibilità dell’evento (con una valutazione necessariamente ex ante, attenendo quella ex post alla corretta ricostruzione eziologica dell’evento), e la possibilità di un comportamento alternativo lecito con conseguente evitabilità dell’evento dannoso. A tutte tali problematiche hanno fornito risposte alcune sentenze davvero pregevoli e ben argomentate alle quali si rimanda per una lettura preziosa [118]. Pare dunque opportuno indicare solo alcuni elementi necessari al fine di comprendere quali sono i rischi giuridici che le guide alpine corrono allorché svolgano la professione. In primo luogo deve essere osservato che le guide, conducendo i clienti in ambienti montani innevati, possono certamente provocare valanghe ed incorrere dunque nella violazione dell’art. 449 c.p. [119]. Al riguardo, nel richiamare ancora un volta quanto detto nel primo volume della presente rivista [120], ci si limita a ricordare che per «valanga», in lingua italiana, si intende una massa di neve che, staccatasi dall’alto di un pendio e rotolando verso il basso, assume dimensioni sempre maggiori trascinando e sommergendo quanto incontra lungo il percorso. Il termine ben circoscrive un concetto che non è però corretto dal punto di vista giuridico. Se è infatti vero che il codice non definisce cosa si debba intendere con il termine «valanga», si deve notare che l’art. 449 c.p. parla espressamente di «disastro». È allora doveroso prendere atto che l’evento deve [continua ..]


NOTE