Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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ESports: cosa sono? (di Jacopo Ierussi, Avvocato giuslavorista del Foro di Roma e cultore della materia di Diritto dello Sport presso la LUISS Guido Carli. Responsabile Affari Legali di GEC, settore ufficiale eSports ASI. Carlo Rombolà, Avvocato del Foro di Roma, cultore della materia di Diritto dello Sport presso la LUISS Guido Carli.)


The present work deals with the matter of eSports, a theme which presents many points in common, both from agonistic and legal point of view, with the traditional sports.

Therefore, the authors have treated the topic starting by the analisis of analogies and the differences between these two categories of sport. Following, the article shows the most important features of the Italian experience in comparation with the one of the rest of the world. The focus, also, has been placed on the punishable behaviours, as well as the doping and gambling issue. A views on the perspectives of development of eSports concludes the present work, with regards, in particular, on what we should do in order to overcome the difference with traditional sports.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La nuova frontiera dell’agonismo virtuale: l’esperienza esportiva - 3. Segue: eSports Vs sport - 4. Il ruolo centrale degli Enti di Promozione Sportiva nel panorama italiano - 5. Il quadro istituzionale internazionale - 6. I comportamenti sanzionabili - 7. Doping e gambling - 8. Conclusioni


1. Premessa

Una domanda semplice spesso riserva una risposta complessa e questo è il concetto cardine alla base del presente elaborato che si presta a fargli da titolo.

Gli sport elettronici sono un fenomeno internazionale che è salito alla ribalta in Italia, così come in diversi altri Stati membri della Comunità Europea, a partire dalla seconda metà del 2017, anno in cui, nel corso di un summit organizzato dal Comitato Internazionale Olimpico (d’ora in avanti, per brevità “CIO”) alla presenza del Presidente Thomas Bach, è stata presa in considerazione l’ipotesi di far accedere questa disciplina (o compagine di discipline) alle Olimpiadi.

È bene precisare che, a differenza di tanto e quanto è stato scritto al riguardo, il comunicato rilasciato a seguito del suddetto summit è stato alquanto telegrafico [1] ed il suo contenuto può essere riassunto come segue:

– il fenomeno degli sport elettronici è diffuso a livello internazionale e caratterizzato da una crescita esponenziale;

– gli sport elettronici prevedono una preparazione atletica che ne consente l’equi­parazione a quelli tradizionali;

– il riconoscimento degli sport elettronici dal CIO è subordinato al rispetto da parte degli stessi dei valori olimpici [2];

– il riconoscimento, inoltre, è subordinato all’esistenza di un ente deputato a garantire che gli sport elettronici siano compliant alle regole ed alle regolamentazioni del movimento olimpico.

Se, difatti, da una parte, è indubbia l’anticipata sinteticità dei concetti, dall’altra, gli stessi si dimostrano pregnanti e fonte d’indirizzo per tutti gli operatori (e regolatori) di un fenomeno agonistico in forte espansione, ma, in verità, non così recente come molti potrebbero pensare.

A tal ultimo riguardo, a trarre in inganno i meno esperti del panorama videoludico, è stato indubbiamente il prorompere del dibattito sulla natura degli eSports a cavallo degli ultimi anni, sennonché la scaturigine della fattispecie qui oggetto di analisi risale sino ai tempi dei c.d. «arcade cabinet», ossia i dispositivi presenti nelle sale giochi proliferate nella seconda metà degli anni ottanta.

Ed invero, già all’epoca, in particolar modo in Giappone, venivano organizzati tornei del celebre picchiaduro [3] «street fighter», creato dalla nota casa di produzione Capcom, dal quale, in virtù del successo planetario, si è originata una saga che, tuttora, tiene impegnata la nuova categoria dei c.d. «cyber atleti» [4].

La sussistenza di una tradizione ultradecennale legata agli sport elettronici non è un fattore di scarso rilievo, anche sotto il profilo giuridico-istituzionale, considerato che ciò, come è noto e si avrà modo di esaminare successivamente in dettaglio, comporta il soddisfacimento di uno dei requisiti previsti dall’ordinamento sportivo italiano al fine di poter intraprendere il percorso volto al riconoscimento, da parte del CONI, quale Disciplina Sportiva Associata.

Il processo storico poc’anzi delineato si è evoluto nel fenomeno ormai noto come «eSports», caratterizzato da una «fan base» solida, nonché da nuove piattaforme di diffusione dei contenuti relativi alle competizioni (es. Twitch [5]) e categorie professionali (es. i c.d. «caster» [6]), e che ha come risultante diretta l’aver contribuito a far emergere un settore di mercato florido ed in rapido sviluppo, con flussi economici rilevanti in termini di sponsorizzazioni e, giocoforza, con stanziamento di grandi investimenti per la realizzazione di infrastrutture «esportive» [7].

Per tirare le fila del discorso, volto ad introdurre la tematica de quo, e calarci in considerazioni più prettamente giuridiche, gli sport elettronici sembrano possedere tutti gli elementi fondamentali in grado di rendere astrattamente (ed economicamente) prospera una disciplina sportiva di ultima generazione (ovvero: ampia diffusione a livello internazionale; consistente attenzione mediatica e interesse nelle fasce di età più giovani; crescente numero di papabili sponsor e licenziatari), tant’è che persino le società calcistiche italiane stanno creando al loro interno dei team dedicati con i migliori cyber atleti [8], ma resta da comprendere se questo debba essere ricondotto nel fenomeno mediatico di massa o, piuttosto, in un’evoluzione del concetto di «sport».


2. La nuova frontiera dell’agonismo virtuale: l’esperienza esportiva

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), Sez. IV, con la sent. 26 ottobre 2017, in causa C-90/16, ha qualificato come «sport» quelle attività che «sono caratterizzate da una componente fisica non irrilevante, senza estendersi a tutte le attività che, per un aspetto o per un altro, possano essere associate a detta nozione».

La fattispecie oggetto della controversia era di origine britannica, e, non a caso, involveva gli aspetti fiscali discendenti dal riconoscimento o meno del gioco del bridge quale sport [9], ed ha visto la CGUE stabilire che quest’ultimo non potesse essere considerato come tale ai fini della direttiva IVA e, conseguentemente, ottenere l’esenzione fiscale sulle quote di partecipazione ai concorsi, come domandato dall’English Bridge Union, soggetto promotore del giudizio.

Un confronto più attento sui punti di tangenza e differenza tra sport ed eSports verrà presentato nel prossimo paragrafo, sennonché, sfruttando queste premesse, si rende opportuno impegnare il lettore sin d’ora sul seguente quesito, che ci accompagnerà fino alle conclusioni finali: può essere veramente lo sforzo fisico e il sudore a qualificare una disciplina come sportiva?

Il dubbio è lecito, ma per superarlo è indispensabile avere prima un quadro completo di cosa significhi essere un cyber atleta e quali siano gli atomi che compongono il più complesso organismo denominato eSports, a partire dalle competizioni agonistiche, esaminando in cosa si concretino ed offrano odiernamente ad atleti, pubblico e operatori economici del settore in esame.

Indipendentemente dalla sua natura, bisogna riflettere su qual è quell’aspetto del­l’esperienza «esportiva» che la rende meritevole di tutela giuridica e la macro area al­l’interno della quale ci stiamo muovendo.

Il contesto di riferimento è a pieno titolo quello del «gioco», termine tra i più antichi, che si è reso protagonista delle speculazioni del noto filosofo Ludwig Wittgenstein, invocato anche dall’Advocate General della CGUE nel precedente giurisprudenziale sopra menzionato. Wittgenstein, nel suo Philosophical investigation [10], conia il concetto filosofico di «Sprachspiel» (i.e. gioco linguistico), domandandosi qual è la relazione tra linguaggio e realtà per come interpretata dall’essere umano in base ai propri schemi mentali. Tra le sue elucubrazioni, la più affine agli scopi che qui ci prefiggiamo è la seguente: «Don’t say: “They must have something in common, or they would not be called ‘games’” but look and see whether there is anything common to all. For if you look at them, you won’t see something that is common to all, but similarities, affinities, and a whole series of them at that».

In parole povere, il punto di partenza non sono le differenze, ma le somiglianze che accomunano tutti quei fenomeni d’interazione sociale che vengano fatti rientrare nel concetto di «gioco» e, ci permettiamo di aggiungere, laddove prevalgono le seconde, deve essere apprestato il medesimo trattamento giuridico, posto che l’uguaglianza non coincide con l’identità, ma presuppone la diversità: solo se due cose diverse hanno caratteristiche rilevanti simili possono dirsi uguali, altrimenti sono identiche. Tale assioma è tanto più vero nel mondo delle discipline sportive, dove sono i valori ad accomunare quest’ultime alla bandiera olimpica di Pierre de Fredi, barone de Coubertin, anziché le modalità e le regole con le quali si svolgono (es., se si usi una palla, se serva una squadra oppure sia previsto un singolo atleta, ecc.).

Se non esiste, allora, una definizione condivisa ed universale di sport (o di eSports [11]), non rimane che prendere le mosse da una valutazione teleologica degli eSports stessi e delle loro varie sfaccettature, in quanto il fil rouge potrebbe rinvenirsi nei benefici di cui si giovano i soggetti coinvolti negli sport elettronici e nella loro similarità a quelli che possono attingersi dagli sport tradizionali.

Ordunque, approfondiamo le prerogative dell’agonismo digitale, concentrandoci in prima istanza sugli aspetti di mercato legati all’intrattenimento, ancora prima che su quelli puramente atletici.

In primis, infatti, il significato etimologico di sport viene fatto risalire al termine francese «desport», tradotto in italiano «diporto» (come, tra l’altro, ribattezzato durante il periodo fascista), trovando la propria origine non tanto nell’attività svolta dagli atleti quanto nel divertimento che ne traggono gli spettatori, appassionandosi in vario modo allo svolgimento e all’esito delle gare.

Sotto questo aspetto gli sport elettronici stanno padroneggiando egregiamente la c.d. «experience economy» [12], ovvero quell’economia basata, per l’appunto, sull’espe­rienza che si riesce a far provare al consumatore finale: gli spettatori. Gli eSports hanno raggiunto un alto livello di partecipazione attiva, in cui i tifosi e gli spettatori in generale, soprattutto tramite i canali social, svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di performance o eventi che producono l’esperienza propriamente intesa. Que­st’ultima, però, è fruibile anche durante i maggiori eventi dal vivo – come, ad esempio, il League of Legends World Championship 2017 allestito al Beijing National Stadium – durante i quali, inoltre, si è arrivati a travalicare il confine tra esperienza empirica e digitale grazie alla «augmented reality» (AR – trad. «realtà aumentata»), una nuova tecnologia che consente l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante dispositivi elettronici, smartphone compresi. Per rendere più chiaro il concetto, i partecipanti al suddetto evento hanno potuto ammirare in streaming o grazie a dispositivi dotati di AR uno dei più famosi mostri di League of Legends, l’Elder Dragon, planare sopra i cieli di Pechino per atterrare sul palco al centro dello stadio, dove si stavano esibendo i musicisti ed i ballerini.

In secundis, vi è il concetto di icona sportiva; infatti, a partire dagli anni post duemila, gli eSports sono prosperati nella cultura popolare asiatica dove i videogiocatori professionisti sono diventati delle assolute celebrità al pari di tanti atleti delle discipline sportive più blasonate, complici i social network che hanno avuto un effetto cassa di risonanza mediatica, ma presto l’effetto si è promanato a livello internazionale; questo insieme di fattori ha permesso l’effettivo consolidamento della categoria professionale dei c.d. cyber atleti.

In tertiis, se nel corso degli anni il numero degli spettatori è progressivamente cresciuto, l’attenzione e l’interesse delle multinazionali non poteva essere da meno e ben presto importanti società si sono avvicinate a questo mercato in qualità di sponsor (ex multis: Intel, American Express, Duracell, Coca-Cola, Samsung, McDonald, Monster, Logitech, Red Bull), innalzando la quota dei montepremi a livelli milionari.

In ultimo, in continuità logica con quanto sopra illustrato, un mercato in così grande espansione dà luogo al fiorire di nuove professionalità, quali manager, coach [13], analyst, caster e, ovviamente, (cyber)atleti professionisti, di talché, come spiegato da Spadafora, «Se non tutti i rapporti che soggetti possono stringere tra loro sono presi in considerazione dal diritto, ma soltanto quelli in cui sono coinvolti interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, rientra certamente tra i rapporti giuridici quello che lega lo sportivo professionista alla società con cui ha stipulato un rapporto di lavoro, tant’è che alla sua disciplina è stata dedicata una specifica legge, la più volte richiamata legge n. 91/1981” (…) Oltre agli atleti, protagonisti indiscussi, altre figure popolano il mondo dello sport rendendone possibile l’esistenza e il funzionamento. Si tratta di quelle figure che, a vari livelli e a vario titolo, concorrono a compiere le operazioni connesse allo svolgimento dell’evento sportivo, quali i dirigenti sportivi, i giudici, gli arbitri, gli ufficiali di gara, ecc.» [14]. Ed invero, l’Autrice evidenzia che anche i coach o i preparatori atletici rientrano nell’ambito di applicazione della legge n. 91/1981.

Inquadrato l’argomento de quo seppur nel segno del business e dell’entertainment, le considerazioni sinora svolte, a nostro avviso, esprimono la possibilità di attrarre certamente gli eSports e la relativa attività psico-motoria nella dimensione del diritto soggettivo, pur senza escludere la necessità di far luce sul suo inquadramento quale disciplina sportiva o fenomeno di aggregazione sociale, che, nel secondo caso, ironicamente, troverebbe quantomeno una tutela di rango costituzionale nell’art. 18 Cost., a differenza del diritto alla pratica sportiva che mai ha trovato posto all’interno della Carta Fondamentale [15].

La rilevanza degli sport elettronici può rinvenirsi nel fatto che, al pari delle discipline della mente in genere, questi hanno un alto livello di accessibilità, qualunque sia il grado di disabilità dell’atleta, assicurando un ruolo sociale a questa disciplina di nuova generazione e ponendola in linea con il precetto di cui all’art. 165 del TFUE, in base al quale «L’Unione Europea contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua fun­zione sociale ed educativa, e con la sua azione mira tra l’altro a proteggere l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani di essi».

Vi è da tenere in debito conto, inoltre, il rischio che lo svilimento a semplice hobby e fenomeno di massa di un simile aggregatore sociale possa indebolire le tutele ed i controlli da apprestare in un contesto che attira primariamente i minori di età. Si prenda, ad esempio, la problematica attinente la circolazione dei dati raccolti nell’ambito degli eventi di eSports e la verifica circa l’assenza di violazione dei precetti in materia di privacy, questione che da sola per complessità meriterebbe una trattazione a sé stante, ragion per cui non sarà oggetto di ulteriore approfondimento in questa sede. In tal senso, però, si evidenzia come GEC – Giochi Elettronici Competitivi, a partire da gennaio 2018, abbia emanato un regolamento vincolante per tutte le proprie Associazioni Sportive Dilettantistiche contenente il divieto di partecipazione a competizioni con premi in denaro per gli atleti appartenenti alla categoria under 16, avendo l’art. 8, Regolamento (UE) 2016/679, fissato a 16 anni l’età minima per la prestazione in autonomia del consenso al trattamento dei propri dati personali, che devono essere acquisiti al momento dell’iscrizione di un atleta alla competizione.

A voler essere più realisti del re, una sovrastruttura regolamentare come quella offerta dal CIO e dai Comitati Olimpici Nazionali potrebbe garantire un maggior grado di tutela rispetto a quella frutto dall’autoregolamentazione dei privati, tra cui le case produttrici degli stessi titoli videoludici oggetto delle competizioni, per le quali, volendo richiamare nuovamente il tema della privacy, i potenziali big data acquisibili grazie agli sport elettronici potrebbero deformare questa disciplina in una colossale indagine di mercato.

Vale la pena, dunque, entrare nel vivo di questa sfida concettuale ed analizzarla sotto il profilo squisitamente atletico, per appurare quale interesse debba prevalere tra identità dello sport tradizionale e promozione di nuovi modelli agonistici (positivi).


3. Segue: eSports Vs sport

Una volta chiarita la portata del fenomeno eSports, si rende indispensabile, ora, nell’ambito agonistico e del gesto atletico propriamente inteso, un’analisi sugli ulteriori punti di contatto di tale nuovo fenomeno ludico-sportivo con gli sport tradizionali e, contestualmente, sugli elementi tra essi differenzianti.

Di primo acchito, non è un’operazione agevole, ce ne rendiamo conto, scorgere punti in comune fra i discendenti di Filippide – che nel 490 a.c. percorse a piedi l’in­tero percorso da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria degli Ateniesi sui Persiani, episodio leggendario che diede il nome alla competizione – con i modernissimi cyber atleti, ragazzi spesso neanche maggiorenni che si sfidano a colpi di control pad contro avversari proiettati su un grande schermo.

Fatta questa naturale premessa, non bisogna scivolare nella tentazione di banalizzare lo sforzo dei summenzionati videogiocatori, riducendolo ad un mero movimento digitale nell’ambito di un gioco elettronico che non richiede particolari abilità.

Sarebbe, in tutta franchezza, un errore grossolano, anche perché la maggior parte dei campionati di sport virtuali è organizzata in maniera assolutamente speculare alle competizioni sportive professionistiche tradizionali, con tornei che durano per un’in­tera stagione e terminano con un grande confronto finale fra cyber atleti di ogni parte del mondo, come un’Olimpiade o un Mondiale di calcio.

Eventi, questi, seguiti su larga scala non solo in diretta streaming, che potremmo anche considerare come il naturale habitat per delle competizioni che nascono e si sviluppano dietro a uno schermo, ma anche all’interno degli impianti che ospitano la competizione, sempre pieni in ogni ordine di posto e non solo per la sfida finale.

Non si dimentichi, inoltre, che la realizzazione di ogni gara ripropone la struttura che ritroviamo in qualsiasi evento sportivo tradizionale, che si svolge in presenza di direttori di gara accreditati, che decidono in base a un regolamento, e viene organizzato in base a diversi turni di qualificazione. Il tutto, raccontato dalla voce di commentatori preparati (i già menzionati «caster»), poiché le loro cronache sono dirette a un pubblico di appassionati, competente su ogni aspetto del gioco.

In virtù di ciò, come anzidetto, anche il mondo degli eSports ha progressivamente attirato un numero crescente di investitori che, a fronte di un cospicuo esborso economico, intendono associare il proprio nome alle grandi manifestazioni sportive videoludiche, a riprova del fatto che ogni evento attira un numero di spettatori vario, eterogeneo e sparso per il pianeta.

Tornando al quesito iniziale, chiedendoci, cioè, perché gli eSports dovrebbero essere considerati alla stregua di sport così come tradizionalmente individuati, ovverosia l’insieme di esercizi fisici, allenamento, disciplina, talenti e preparazione mentale, praticati sotto forma di competizione individuale e collettiva, la risposta risiede proprio nel fatto che tutti questi elementi – nessuno escluso – devono far parte della preparazione di un videogiocatore professionista.

Del resto – e il discorso vale esclusivamente per i cyber atleti professionisti – concentrarsi su ciò che accade al di là di un monitor per diverse ore consecutive, implica necessariamente uno sforzo importante per i protagonisti della competizione, che dovranno prepararsi sia fisicamente che mentalmente, impostando rigorosi programmi di allenamento prima di ogni gara.

Sotto diverso profilo, è interessante notare che sport ed eSports sono accumunati dall’attenzione delle rispettive governance nei confronti delle medesime problematiche [16].

Infatti, proprio come nello sport tradizionale, anche nelle sfide fra cyber atleti si discute su come arginare le piaghe del doping – e, quindi, l’uso di sostanze che favoriscono la concentrazione e sono perciò idonee ad alterare il risultato di una prestazione sportiva – e assicurare la legalità nelle scommesse, dal momento che, ormai, anche le sfide di eSports vengono quotate dai più importanti bookmaker internazionali.

Rimane momentaneamente fuori da questo elenco il problema della violenza e del razzismo (pur essendo profili disciplinarmente rilevanti; cfr., par. 5), questioni sulle quali le istituzioni degli eSports sono comunque consapevoli di non poter abbassare la guardia.

D’altro canto, nell’ambito delle attività sportive videoludiche, esistono una serie di pericoli che, per vari motivi, non trovano il proprio contraltare negli sport tradizionali. In cima a tale ben poco meritoria classifica v’è sicuramente il problema delle dipendenze: posto che la quasi totalità dei videogiocatori è molto giovane, spesso minorenne, non è possibile ignorare che proprio a quell’età si rischia di sviluppare un rapporto patologico e di assuefazione alla tecnologia.

Per questo motivo, tutti coloro che si avvicinano a tali discipline con il proposito di farne un mestiere hanno il dovere di dotarsi degli strumenti psicologici che li mettano a riparo da una malsana – oltre che improficua – dipendenza.


4. Il ruolo centrale degli Enti di Promozione Sportiva nel panorama italiano

Alla luce dell’insieme delle considerazioni sin qui svolte, è opportuno concentrare la nostra attenzione sul contesto nostrano, per approfondire l’ecosistema italiano degli sport elettronici.

In Italia, in assenza di un riconoscimento ufficiale da parte del CONI, sono stati gli Enti di Promozione Sportiva (EPS) ad ospitare per primi questa disciplina, istituendo al proprio interno dei «Settori» dedicati agli eSports.

Questo ha consentito, sotto il profilo amministrativo, un trattamento equiparato a quello degli sportivi per i cyber atleti, che hanno potuto tesserarsi all’interno di EPS quali ASI – Associazioni Sportive e Sociali Italiane (il primo in Italia) e, quindi, con realtà riconosciute dal CONI.

Questo ha contribuito alla crescita dei vivai italiani in un ecosistema non favorevole nei confronti del professionismo «esportivo», come comprovato dal mancato inserimento della disciplina de qua nella Delibera n. 1566 del 20 dicembre 2016 e ss.mm.ii., che ha individuato le discipline ammissibili per l’iscrizione al registro nazionale delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche (ASD e SSD), tra le quali figurano, a titolo esemplificativo, la dama, le freccette, il flying disc, la morra, il lancio del formaggio, ma non gli eSports.

All’epoca, la finalità del CONI era indubbiamente positiva, volendo arrivare alla corretta individuazione dei soggetti che, riconosciuti ai fini sportivi, potessero usufruire legittimamente dei trattamenti fiscali e previdenziali agevolati, così da eliminare gli innumerevoli fenomeni di elusione riscontrati negli anni.

Sfortunatamente, questa determina del nostro Comitato Olimpico è stata presa in un momento delicato per il fenomeno «esportivo» in Italia, ove quest’ultimo era ancora in una fase di studio che si protrae tutt’oggi, ragion per cui agli operatori del settore è stato interdetto l’accesso a tutta una serie di benefici fiscali, tra i quali, giusto per citarne alcuni per amore di sintesi, sono ricompresi: (i) le agevolazioni su indennità compensi e premi per lo sport dilettantistico stabiliti dall’art. 67, comma 1, lett. m), TUIR; (ii) la deducibilità delle sponsorizzazioni per gli sponsor, ai sensi dell’art. 90, comma 8, legge n. 289/2002; (iii) l’accesso al regime forfettario di cui alla legge n. 398/1991 per le ASD, che, tra le altre cose, prevede l’aliquota IRES del 3% al totale dei proventi commerciali.

A fronte di ciò, si può comprendere l’importanza che gli EPS hanno rappresentato (e rappresentano) per gli eSports, avendo contribuito al raggiungimento dei primi traguardi per questa disciplina come il diritto di esenzione dal pagamento del canone RAI per i monitor utilizzati come attrezzature sportive, oppure la mancata applicazione della normativa di riferimento e dei regolamenti del Ministero dello Sviluppo Economico in materia di montepremi assegnati per le competizioni [17].

A conti fatti gli EPS – chi più chi meno – sono divenuti i preparatori atletici di questo settore emergente, dando una possibilità al nostro Paese di essere in gara nel momento in cui vi sarà l’investitura olimpica degli eSports prevista presuntivamente per i giochi di Parigi 2024 e ciò, d’altronde, è perfettamente in linea con il loro ruolo, poiché gli EPS «sono per natura a vocazione maggioritaria e multidisciplinare e grazie alla loro struttura snella dovrebbero essere capaci di intercettare la fluidità e l’etero­geneità della domanda sportiva. Ed in un mondo sempre più interconnesso, globale e liquido una capacità ricettiva è fondamentale» [18].


5. Il quadro istituzionale internazionale

Definito lo scenario interno degli sport elettronici si può passare a quello sovranazionale (o presunto tale), che, negli ultimi anni, ha visto l’entrata in scena di tre principali realtà votate a regolamentare e riunire tutte le federazioni degli eSports a livello mondiale.

Tra queste vi è la World Esports Association (WESA), un ente collegato ad ESL, il più grande organizzatore di campionati al mondo, che ha riunito i più importanti team della scena internazionale (Fnatic, Faze Clan, Ninjas in pyjamas, ecc.).

La WESA, la cui ambizione è quella di divenire una FIFA, NFL, o NBA degli eSports, propone la diffusione di valori condivisi di equità, trasparenza e integrità per giocatori, squadre e leghe affiliate. Un esempio di ciò si può rinvenire negli artt. 17, 18 e 19 del suo «Code of Conduct Teams and Players», in base ai quali, rispettivamente: (i) è vietata ogni forma di discriminazione nell’ambito delle competizioni; (ii) deve essere tutelata l’integrità fisica e mentale degli atleti; (iii) deve essere garantita la trasparenza delle competizioni nel rispetto dei valori etico-sportivi.

Tal ultimo punto consiste nella mission dell’ESports Integrity Coalition (ESIC) [19], un’associazione no profit che si occupa di contrastare qualsiasi forma di frode nel mondo degli eSports, dall’uso di sostanze dopanti e l’utilizzo di software truccati per vincere sino alla questione del match fixing, tema quest’ultimo strettamente correlato all’ambito delle scommesse sportive, che da tempo ha raggiunto anche gli sport elettronici, con tutto ciò che ne conseguenze in termini giuridico sportivi [20].

In ultimo, troviamo la International Esport Federation (IeSF), che nel 2013 è diventata firmataria ufficiale della World Anti Doping Agency (WADA) ed ha anche lavorato insieme all’Olympic Council of Asia (OCA).

La IeSF sta riunendo intorno a sé diverse realtà istituzionali in rappresentanza dei singoli stati di appartenenza, nonché collaborando attivamente con enti governativi, organizzazioni sportive internazionali e publisher di videogiochi al fine di entrare in Sportaccord (ora «GAISF») ed unificare il variegato panorama degli eSports sotto un’unica giurisdizione.

Ad avviso di chi scrive, il brodo primordiale degli eSports è pronto per un’evolu­zione sul piano regolamentare e le numerose istanze che muovono in tal senso a livello internazionale ne sono la riprova, di talché, si ribadisce, il rischio non è tanto lo svilimento che potrebbe discendere per questa disciplina dal suo mancato inserimento tra le competizioni olimpiche quanto che la suddetta evoluzione risulti incontrollata e venefica per i soggetti coinvolti.

Non è fatto mistero, infatti, che un sistema adeguatamente regolamentato e trasversale rispetto al CIO ed ai Comitati Olimpici sia la miglior assicurazione dei valori etici che devono perseverare e maturare nel settore degli eSports.


6. I comportamenti sanzionabili

Il diritto di cittadinanza che gli eSports reclamano, giustamente, nei confronti della comunità sportiva internazionale, è suffragato, come già evidenziato, dalla predisposizione di un sistema di regole e sanzioni.

È utile, anche in questo caso, prospettare una sorta di paragone con gli sport tradizionali, poiché, così facendo, si scopre che, esattamente come nelle sfide in cui la fisicità svolge un ruolo preponderante, anche negli eSports, ove la stessa materialità viene proiettata su un grande schermo, esiste un novero di precetti di gioco la cui violazione conduce all’applicazione di una sanzione predeterminata.

Stilare adesso un elenco tassativo rischierebbe, come tutte le operazioni ampie e forzatamente ridotte alla semplificazione, di difettare in completezza [21], ragion per cui è più opportuno concentrarsi su questioni riconducibili alle diverse tipologie di sport elettronici.

Una delle principali riguarda senza dubbio il luogo di svolgimento della prestazione sportiva, atteso che, a differenza della cosiddetta «Era pre-Internet» [22], i gamers possono ora sfidarsi anche da remoto, ovverosia da due computer posti a distanza fra loro e collegati attraverso una rete informatica.

In siffatto contesto, sorge una prima, dirimente, questione circa l’effettiva corrispondenza fra il «nickname» associato a un giocatore e la persona che, materialmente, impugna il gamepad e dunque, in altre parole, chi compete davvero [23].

Ciò che, dal punto di vista penalistico, può definirsi una sostituzione di persona, come tale punibile ex art. 494 del codice penale italiano, è, con tutta evidenza, un problema che trova nelle competizioni di eSports che si svolgono a distanza il proprio habitat più fertile e, quindi, pericoloso per la correttezza dello svolgimento delle gare.

Per altro verso, è interessante notare come, soprattutto nelle sfide in remoto rispetto ai tornei che si svolgono dal vivo nei grandi padiglioni ad essi dedicati o nelle sale lan delle singole ASD o SSD, esistono una serie di comportamenti sanzionabili che trovano, invece, i loro corrispondenti negli sport tradizionali.

Si pensi alla questione del cosiddetto trash talking, traducibile in italiano con insulto o provocazione durante le fasi di gioco, che capita spesso di ascoltare durante le situazioni particolarmente competitive, come gli eventi sportivi tradizionali.

In alcuni sport più che in altri (si pensi al tennis e al golf, ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo), la violazione delle regole di etichetta e buona educazione comporta l’applicazione di sanzioni sportive anche gravi, come la squalifica dalla competizione.

Fra i gamers, e in generale in tutti i casi in cui due o più giocatori si sfidano a distanza, sono frequenti i dialoghi via microfono o all’interno di un sistema di chat room, dove i contendenti possono scambiare opinioni, conversare, ma anche provocarsi o, peggio, rivolgersi insulti.

Come negli sport tradizionali, gli epiteti razzisti e violenti non sono tollerati anche nel mondo degli eSports, ambito nel quale i comportamenti passibili di sanzione sono, talora, più semplici da accertare, specie se registrati via audio o rintracciabili nello storico delle chat di gioco.


7. Doping e gambling

Occorre, a questo punto, chiedersi se anche nell’ambito degli eSports possa configurarsi il problema del doping, ovverosia, in altre parole, se, anche in una competizione in cui l’elemento puramente atletico sia così ridimensionato, i c.d. gamers possano cadere nella tentazione di assumere sostanze che migliorino la loro prestazione sportiva, se tali sostanze esistano davvero e se facciano effettivamente al caso dei videogiocatori.

A ben vedere, il tema è più complesso di quanto non appaia ad una prima analisi [24]: difatti, ciò di cui si intende dibattere è anzitutto l’astratta idoneità di una pratica medica a influire sulle prestazioni di soggetti il cui principale sforzo fisico risiede in un movimento il più delle volte concentrato negli arti superiori.

In realtà, le premesse concettuali che afferiscono alla materia, tanto nella sua dimensione sportiva tradizionale, quanto in quella videoludica, sono le medesime, e affondano le loro radici nell’assunto per il quale lo sport, qualsiasi sia la sua espressione concreta, vada inteso come una competizione regolata e leale, nell’ambito della quale la vittoria finale non dev’essere ottenuta con qualunque mezzo, ma soltanto nel rispetto delle regole e «utilizzando solo i mezzi consentiti in quanto convenuti in anticipo, in un’area circoscritta ed entro un limite di tempo stabilito» [25].

Ad ogni modo, quella che potrebbe sembrare una debole obiezione – che riflette probabilmente il dubbio principale degli osservatori esterni – non tiene conto di un elemento fondamentale, questo sì comune alla totalità degli sport, elettronici e tradizionali: il fattore psicologico, elemento imprescindibile per una corretta gestione della pratica sportiva videoludica. Dietro quello che, ad uno sguardo superficiale, può apparire alla stregua di un banale movimento digitale su un control pad, esiste un lavoro di pratica, strategia e, soprattutto, concentrazione.

Ed è su quest’ultima componente che agiscono, tipicamente, le sostanze proibite, stimolatori cognitivi che vengono assunti allo scopo di aumentare la concentrazione, migliorare i riflessi e ridurre al minimo le distrazioni durante la sessione di gioco.

Si tratta di un problema più diffuso di quanto non si possa pensare: nel 2015 uno dei più noti gamer al mondo, Kory «Semphis» Friesen, ammise di fare uso regolare di Adderall [26], uno stimolatore solitamente prescritto per curare l’iperattività e la narcolessia, il cui uso prolungato può provocare danni alla salute. Friesen arrivò, inoltre, a dichiarare che non solo anche i suoi compagni di squadra assumevano lo stesso medicinale ai fini di migliorare la propria attenzione nelle fasi di gioco, ma anche che tale pratica era molto diffusa nell’ambiente degli eSports, e coinvolgeva la maggior parte dei gamers [27].

Da quel momento la questione iniziò a presentarsi in termini di assoluta attualità e urgenza, tale per cui le istituzioni del mondo degli eSports – compresa la ESL [28] – cominciarono a interrogarsi sulle misure da adottare per arginare lo sviluppo del doping negli sport elettronici: un fenomeno pericolosissimo, se si considera che una buona parte dei cyber atleti di tutto il mondo ha meno di diciotto anni.

Si giunse così alla stesura del primo protocollo di collaborazione fra un circuito internazionale di eSports, la ESL, ed un’agenzia nazionale anti-doping, la francese Nationale Anti Doping Agentur (NADA) [29], in virtù del quale furono organizzati dei controlli a campione, come negli sport tradizionali, nonché un sistema di sanzioni che avrebbe comportato l’immediata esclusione dalle gare di chi veniva scoperto a fare uso di sostanze proibite.

L’anno successivo venne fondata l’ESports Integrity Coalition (ESIC), di cui si è già parlato in precedenza anche per quanto concerne la sua lotta contro il match fixing, questione, tutt’altro che secondaria, che investe gli eSports nella loro interezza, dal momento che, come negli sport tradizionali, sono numerosi i bookmakers che offrono la possibilità di scommettere sui più importanti eventi del settore videoludico.

Stiamo parlando, in entrambi i casi, di puro gioco d’azzardo: gli utenti che scelgono di affidare i propri soldi alla sorte, puntando su questo o quel gamer o team di gamers – pur sulla base di calcoli probabilistici e abilità dettate dall’osservazione e dal­l’esperienza – devono essere consapevoli del fatto che le probabilità di vincita, sia che si parli di sport tradizionali che nel caso degli eSport, non sono favorevoli a colui che investe denaro. Anzi, a ben considerare, scommettere sugli sport elettronici è anche più complesso: i fattori che influenzano una determinata quotazione dell’evento, infatti, sono più difficili da individuare, dal momento che gli eSports sono software basati su una quantità elevata di numeri a creazione casuale – i c.d. R.N.G. (Random Number Generation) – che rendono praticamente impossibile osservare e valutare in modo sistematico la casualità dell’evento [30].

Al rischio intrinseco all’attività del gambler (i.e. giocatore d’azzardo), si aggiunge un elemento tutt’altro che secondario, ovverosia la mancanza di un organo di controllo super partes che, oltre a svolgere un’attività di monitoraggio delle gare, offra una precisa regolamentazione del gambling (i.e. gioco d’azzardo), negli eSports.

Sul punto, pertanto, spetta ai singoli Stati dotarsi di un ufficio che ponga sotto la propria lente d’ingrandimento tutto ciò che accade dal momento in cui la competizione virtuale diventa oggetto di scommessa e «investire sulla trasparenza assoluta dei propri meccanismi» [31].

Nel Regno Unito, volendo citare un esempio virtuoso, la Gambling Commission [32] ha già dovuto confrontarsi con questo problema, sia dal punto di vista giuridico, dando vita a campagne di repressione del gioco illegale, sia dal punto di vista sociale, dal momento che, come già accennato, si tratta di un mercato che coinvolge quasi esclusivamente gli adolescenti, tanto fra i videogiocatori quanto fra gli scommettitori [33].


8. Conclusioni

È di solare evidenza che, indipendentemente dal riconoscimento da parte del CIO, gli sport elettronici e quelli tradizionali dovranno essere equiparati quantomeno per quanto riguarda il percorso istituzionale da intraprendere sotto l’attenta guida del CONI, con la creazione di una Disciplina Sportiva Associata [34] che abbia a modello una Federazione multidisciplinare qual è ad esempio la FIDAL.

È importante, però, non confondere il concetto di «equiparazione» con quello di «assimilazione», perché apprestare le medesime tutele non significa automaticamente cancellare la linea di confine che separa il calcio reale da quello virtuale.

Il principio è lo stesso che può riscontrarsi per gli sport della mente o le discipline paraolimpiche cui si deve tutta la dignità e il prestigio riservato a qualsiasi altra competizione sportiva che ponga l’atleta a confronto con i propri limiti, ma pur sempre memori della necessità di stabilire regole ad hoc e adeguate rispetto alla loro natura.

Chi teme odiernamente, invece, che la dignificazione degli eSports quale vessillo delle nuove tecnologie metta in pericolo gli sport tradizionali non soltanto è cieco verso la realtà contemporanea, ma portatore di un pensiero molto più dannoso per l’ago­nismo italiano.

La tecnologia ha già cambiato il modo di vivere il gesto atletico, a partire dalle attrezzature intelligenti sino alle strumentazioni in dotazione ai Video Assistant Referee (VAR) e presto dall’innovazione delle discipline sportive si potrebbe passare alla creazione di nuove.

In questo senso, a titolo esemplificativo, si può presumere che la già discussa realtà aumentata in futuro muterà profondamente la concezione universale di «agonismo» e che, oltre ad influenzare in egual modo sia gli sport tradizionali che quelli elettronici, potrebbe persino cancellare la menzionata linea di separazione che intercorre tra i due.

È per questo ordine di idee che si ritiene che un pensiero eccessivamente conservatore sia deleterio e che, invece, sia più proficuo promuovere in qualsiasi ambito e modo i valori dello sport, anziché limitarsi a circoscrivere il numero delle discipline riconosciute a quelle tradizionali.