Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Il dibattito sul totocalcio ed il suo uso politico (di Matteo Monaco, Dottore di ricerca in Storia contemporanea e studioso di storia dello sport.)


The first football pool (Totocalcio) in Italy, determined so much the financial autonomy of the CONI how much a future constant contribution for the italian state. The question aroused a parliamentary debate that encountered two factions, among the favorable ones and the contrary ones to the law. The victory of the favorable ones, benefitted the CONI, that it had a strument of autonomous and independent financing and the Government, that it was also able usufruire of the important help of the sport in diplomatic circle. Through the study of newspaper (Gazzetta dello sport, Corriere della Sera), of the records of the Council of Ministers, documents of Central archive of State and of Italian olympic committee, the essay analyzes some important moments of this process.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. L’evoluzione del CONI dall’armistizio alla nascita del Totocalcio - 3. Lo sport agli sportivi e la nascita del totocalcio - 4. L’affermazione del Totocalcio e la normativa per la disciplina delle attività da gioco - 5. Lo sport e il suo uso politico - 6. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

La storia sportiva e la storia politica, in Italia come nel mondo, hanno avuto sempre un profondo legame.

Sin dalla sua nascita, avvenuta secondo la maggior parte degli storici dello sport nella metà del XIX secolo, lo sport fu caratterizzato da un profondo connubio con il mondo della politica: Thomas Arnold, rettore dell’università di Rugby, il principale teorico dello sport protestante britannico, comprese che lo sport sarebbe stato un valido strumento per formare «l’uomo nuovo», i dirigenti della nascente borghesia britannica. Ancora più evidenti sono gli esempi della Germania nazista e dell’Italia fascista, che utilizzarono lo sport come strumento di propaganda interna ed esterna al fine di migliorare la credibilità internazionale e gestire le ribellioni interne. Il rapporto tra sport e politica ci aiuta a spiegare e comprendere meglio altri importanti momenti della vita politica europea: dalla Guerra fredda alla decolonizzazione, dalla lotta ai diritti della donna al terrorismo.

Non si estranea a questa regola la nascita del Totocalcio, che ebbe immediatamente profonde ripercussioni sul piano politico. Durante il ventennio fascista il CONI si sostenne grazie al contributo economico da parte dello Stato. Il nuovo governo repubblicano volle evitare di far gravare lo sport sulle casse di un’Italia già in grossa difficoltà economica. Per questo motivo, la proposta di Onesti e Andreotti fu vagliata attentamente dal Consiglio dei ministri acché il maggior ente sportivo italiano, il CONI, potesse essere indipendente dal contributo dello Stato. Il totocalcio vide la sua prima apparizione nelle ricevitorie italiane il cinque maggio 1946 riscuotendo immediatamente un grande successo di pubblico e, quindi, enormi introiti economici. Proprio per via di questi introiti, la schedina, inventata dal giornalista Massimo della Pergola e gestita dalla sua società, la Sisal, fu immediatamente internalizzata e gestita dal CONI stesso con un introito ceduto allo Stato.

Il presente saggio vuole evidenziare i legami politici che si instaurarono nel quinquennio 1943-1948 tra il CONI e le forze politiche antifasciste, evidenziando lo stretto rapporto tra sport e politica. Inoltre, vuole porre l’attenzione sul dibattito interno al Consiglio dei ministri sul Totocalcio, evidenziando i differenti punti di vista e le differenti opinioni politiche che emersero da quella discussione.


2. L’evoluzione del CONI dall’armistizio alla nascita del Totocalcio

L’armistizio firmato dall’Italia l’8 settembre 1943 ebbe enormi ripercussioni su tutto l’apparato burocratico e amministrativo italiano. La questione fondamentale che si pose per il neonato governo e che si sarebbe protratta per il periodo dell’immediato Dopoguerra fu l’epurazione dai luoghi di potere da parte degli amministratori legati in maniera incontrovertibile con il regime fascista [1].

Il decreto legislativo luogotenenziale numero 159 del 27 luglio del 1944, Sanzioni contro il fascismo, affermava che sarebbero stati allontanati dal servizio pubblico tanto i cittadini che parteciparono attivamente alla vita politica del fascismo, quanto coloro che aderirono alla Repubblica Sociale Italiana. Ci si rese conto quasi subito, però, che la logica dell’epurazione, portata alle estreme conseguenze, avrebbe messo in discussione l’intero apparato dello Stato. Inoltre, coloro che avrebbero dovuto sostituire i vecchi amministratori fascisti non conoscevano, in molti casi, l’ingranaggio amministrativo. Per questo motivo si cercò di amministrare con i funzionari preesistenti. Alla fine, su oltre 200.000 dipendenti esaminati, ne furono processati meno di 20.000 e circa un migliaio furono definitivamente condannati [2].

Il mondo dello sport non fece eccezione a questa situazione: sarebbero stati posti a giudizio di epurazione

gli appartenenti: alle Amministrazioni civili e militari dello Stato; agli Enti locali e agli altri Enti ed Istituti pubblici; alle aziende speciali dipendenti da Amministrazioni ed Enti pubblici, alle aziende private concessionarie di servizi pubblici ed a quelle riconosciute di interesse nazionale. [Inoltre] i beni del cessato partito nazionale fascista, e delle organizzazioni soppresse dal R. decreto-legge 2 agosto 1943, n. 704, sono devoluti allo Stato. Su proposta dell’Alto Commissariato, i beni stessi saranno destinati, con decreto del Presidente del Consiglio di concerto con i Ministri competenti, a servizi pubblici o a scopi di interesse generale, anche mediante cessione: ad altri Enti pubblici o ad Associazioni assistenziali, sportive e simili [3].

Il CONI rientrava all’interno di questo schema e il compito di scioglierlo e conservarne i beni fu affidato all’avvocato in quota Partito socialista italiano, Giulio Onesti. Questi comprese rapidamente le potenzialità del principale ente sportivo italiano e decise di bypassare la liquidazione per rivalorizzarlo, sostenendo che «la funzione del CONI quale ente regolatore dell’attività sportiva [era] insopprimibile [in quanto] non era stata una creazione del fascismo» [4].

A partire dalla fine di luglio 1944, data in cui Onesti scrisse la succitata relazione destinata al governo, iniziò il lungo e laborioso lavoro dell’avvocato piemontese per salvare il Comitato olimpico. Conscio della necessità di essere affiancato da dirigenti sportivi di indiscusso valore e competenza, Onesti si avvalse di alcuni uomini che ebbero contatti con il passato regime fascista. Fu il connubio con Bruno Zauli quello maggiormente redditizio: Zauli, figura fondamentale nel mondo sportivo internazionale, garantiva a Onesti le conoscenze e le competenze adatte a dare credibilità al proprio progetto politico.

Dopo aver stabilito i contatti con il mondo dirigenziale sportivo, per Onesti era necessario garantirsi alcune necessarie coperture politiche. Durante il primo periodo del suo commissariato, Onesti era legato politicamente al Partito socialista italiano. Fu proprio Pietro Nenni, segretario del Psi, a volere Onesti a capo del principale ente sportivo italiano e fu lo stesso statista romagnolo a chiedere al Presidente del consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi, acché si ponesse fine alla querelle sul commissario del CONI. I due vice-commissari nominati dal precedente governo Bonomi, Crostarosa e Frigerio, accusarono Onesti di occuparsi più del lato economico che del lato sportivo dell’ente nonché di aver agito in continuità con il regime fascista. Scrive Crostarosa:

l’enorme massa degli sportivi italiani vede ancora oggi ai posti di comando quasi tutti gli uomini che cooperarono con il passato regime in una condizione di servilismo alla volontà dei dirigenti fascisti e [vedono] esclusi quegli uomini che si allontanarono per non piegarsi all’autorità del passato regime e che oggi sono rimasti fuori perché ostacolati come persone non ossequienti al volere del Commissario straordinario [5].

Alla fine del 1946 la questione Onesti si risolse: come visto, Nenni in una lettera chiese a De Gasperi la normalizzazione della situazione del CONI:

Onesti al termine dei lavori del 27 luglio del Consiglio nazionale, composto dai Presidenti delle Federazioni nazionali, eletti dal basso e quindi legittima espressione delle masse sportive [chiede] che la Presidenza del Consiglio dei Ministri emani un decreto legge per normalizzare la situazione. La presidenza pretesta che allo stato dei fatti non possono applicarsi se non le leggi vigenti, per cui l’elezione alla presidenza del CONI favorevoli a Onesti devono intendersi prive di efficacia. L’argomento pecca evidentemente di eccessivo formalismo e ti sarò grato se vorrai esaminare il caso un po’ più da presso per contemplare l’opportunità di regolarizzarlo con apposito decreto [6].

Pochi mesi dopo l’endorsement di Nenni, Onesti decise di uscire dal Partito socialista italiano legandosi al neonato partito di Saragat e avvicinandosi al mondo cattolico, nella persona di Luigi Gedda. Dopo un primo periodo di contrasti con il commissario del CONI, sul ruolo del Csi e sulla legge istitutiva del CONI, il presidente del Centro sportivo italiano e Onesti strinsero un rapporto di profonda collaborazione.

I due enti tornarono a collaborare attivamente per promulgare la modifica della legge istitutiva del CONI che avvantaggiò tanto l’ente di Onesti quanto il Csi, che fu riconosciuto alla stessa stregua delle Federazioni e in una posizione di notevole vantaggio rispetto agli altri enti sportivi che si andarono costituendo nel corso di quegli anni [7].

Il d.l. n. 362 dell’11 maggio 1947 sancì la sostituzione di tre articoli della legge istitutiva del 1942: l’art. 6, che modificava l’organigramma del consiglio nazionale; l’art. 7, che nella prima versione vedeva assegnato al duce e al partito fascista la scelta del presidente e del segretario generale del CONI, che veniva sostituito dal seguente:

il presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.) è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su designazione del Consiglio nazionale. Il Consiglio nazionale elegge nel suo seno due vicepresidenti e nomina il segretario generale. La gestione dell’ente è affidata ad una Giunta esecutiva, composta del presidente del Comitato Olimpico, che la presiede, dei due vice-presidenti, del segretario generale e di sei membri eletti dal Consiglio nazionale [8].

L’art. 8, che nella versione fascista prevedeva la designazione dei presidenti delle federazioni da parte del partito di Mussolini su suggerimento del presidente del CONI, fu modificato in senso democratico-elettivo: «i presidenti delle Federazioni sportive sono eletti dalle società, associazioni ed enti sportivi dipendenti» [9].

La modifica in senso democratico del CONI avvenne, quindi, solo attraverso un maggior uso dello strumento dell’elezione, tanto nel Consiglio nazionale del CONI quanto all’interno delle Federazioni. La questione della decentralizzazione, di cui tanto si discusse e non solo in termini sportivi nell’immediato dopoguerra, la partecipazione attiva degli sportivi nella politica del CONI e la creazione di strumenti per dar vita allo sport popolare, rimasero nei cassetti di chi sperava che la democratizzazione non passasse solo per il mero momento elettorale, ma anche per una partecipazione, attiva e di massa, di enti e di singoli, vicini al mondo dello sport. In pratica il CONI rimase un organo autoritario, elitario e gerarchico. Onesti e Zauli dispiegarono le loro forze per gestire lo sport professionistico e per incrementarne gli introiti, occupandosi di rado della questione dello sport popolare, demandata agli enti di promozione sportiva.


3. Lo sport agli sportivi e la nascita del totocalcio

Approvata la legge istitutiva del CONI, compito di Onesti era iniziare a tessere una rete per far tornare l’Italia all’interno del concerto del CIO e delle manifestazioni internazionali e cercare i fondi per dare una reale autonomia allo sport, per far sì, cioè, che il motto «lo sport agli sportivi» e l’idea dell’apoliticità dello sport non rimanessero solo slogan vuoti [10].

In una riunione degli Organi Collegiali, in cui celebra la promulgazione della nuova legge sul CONI, Onesti affermò che:

è con viva soddisfazione che, a nome della giunta esecutiva del CONI, posso oggi inviarlo ai signori presidenti di federazione, quale obiettivo di una lotta combattuta in nome di tutti gli sportivi italiani e con il loro ausilio morale e materiale. In parole semplici e piane si può oggi dire finalmente che è stata attuata la formula lo sport agli sportivi [11].

Per fare in modo che ciò avvenisse realmente era necessario che il CONI si dotasse di un sistema di finanziamento sicuro poiché, con l’art. 17 del decreto legislativo luogotenenziale n. 76 del marzo 1945, tutti i contributi dello Stato in favore del CONI furono soppressi [12]. Scrive Onesti:

per far fronte [alle impellenti necessità finanziarie] dagli esperti mi fu consigliato il cespite del totalizzatore sul calcio che, tentato in passato ripetutamente dal CONI, non era mai stato approvato dalle autorità governative. Sperai di aver miglior fortuna dei predecessori prospettando al governo che la concessione avrebbe forse potuto diminuire, sia pure in piccola parte, le immancabili richieste che lo sport avrebbe dovuto avanzare allo Stato per i compiti della preparazione olimpica, che sono un vero dovere nazionale, visto che la richiesta di ritornare a favore dello sport una parte – se non del tutto – dell’ammontare delle tasse erariali sulle manifestazioni sportive, non era stata accolta dal Ministero delle Finanze [13].

Le sommesse, sullo sport e non, hanno un’origine antica, risalente al mondo ellenico e a quello classico romano. Sicuramente già nel corso dell’Ottocento, durante i combattimenti tra «pugili» nelle piazze delle città e durante le partite con la palla nelle varie zone d’Italia, allibratori illegali organizzavano scommesse clandestine [14]. Le scommesse sullo sport del calcio nacquero in Inghilterra sul finire del XIX secolo per divenire popolari negli anni Venti del Novecento, soprattutto in Gran Bretagna e Svezia. Qui le scommesse clandestine iniziarono nella seconda metà degli anni Venti e, nonostante una dura repressione tentata dal governo svedese, continuarono ad aumentare in termini numerici ed economici. Per cercare di combattere la criminalità organizzata dietro le scommesse, il governo reale svedese decise prima di renderle illegali ma, una volta compresa l’impossibilità di fermare il flusso delle scommesse, decise di intervenire affidando la concessione dei concorsi pronostici a una società vicina alla Corona [15]. La gestione delle scommesse portò a un doppio successo del regno svedese: da un lato, fu definitivamente abbattuto il traffico di scommesse clandestine, mentre, dall’altro, lo Stato iniziò ad avere dei proventi cospicui sulle scommesse, aprendo la strada ad altre nazioni sull’esercizio statale delle scommesse sportive.

In Italia, durante il fascismo, la discussione sull’istituzione di un gioco scommesse sul calcio prese piede già dal 1936, ma la proposta non ricevette un’accoglienza favorevole «anzitutto perché il CONI godeva di mezzi finanziari forniti dallo Stato in misura sufficiente, anche se non notevole, e quindi non sentiva il bisogno di procurarsi quest’altra fonte d’entrata» [16].

Si tornò a parlare di un concorso pronostici subito dopo l’abolizione dei finanziamenti diretti e indiretti al CONI da parte dello Stato. Con una istanza al Ministero dell’interno datata 19 novembre 1945, Onesti chiese di essere autorizzato all’esercizio di totalizzatori, scommesse e concorsi sportivi sulle manifestazioni sportive disciplinate dall’ente stesso [17], con il triplice obiettivo di finanziare in maniera autonoma lo sport, «stimolare l’interesse del pubblico verso le competizioni sportive, nonché l’opportunità di dare vita ad imprese legali e controllate di gioco al posto delle insopprimibili iniziative clandestine ovunque pullulanti» [18].

Il sottosegretario Spataro, facendo le veci del Ministero dell’interno, accolse la richiesta ed emanò una circolare indirizzata a tutti i prefetti e al questore di Roma che consentì

il rilascio di autorizzazioni, da parte della Questura, ad esercitare totalizzatori e scommesse a libro nonché ad organizzare concorsi da accodarsi agli altri enti promotori ed alle società promotrici che dessero affidamento di perseguire sane finalità sportive; consentì in particolare che il questore di Roma rilasciasse al CONI l’autorizzazione a gestire il totalizzatore e a organizzare il concorso a pronostici per il campionato di calcio [19].

Quella del CONI non fu l’unica proposta inoltrata al ministero per gestire il concorso pronostici: la domanda di Onesti si trovò «subito in compagnia di numerose altre […] quasi tutte presentate a fini speculativi estranei allo sport» [20]. Quando si seppe della decisione del ministero di affidare al CONI la gestione del concorso pronostici, Onesti ricevette diverse richieste per la gestione dell’impresa. Il CONI decise allora di creare una Commissione con lo scopo di esaminare le varie domande ricevute poiché «non aveva i mezzi per creare [e gestire] immediatamente tutta l’organizzazione che doveva iniziarsi subito» [21]. La scelta ricadde sulla società gestita dal giornalista sportivo Massimo della Pergola. Della Pergola, di famiglia ebraica, iniziò a collaborare giovanissimo per la Gazzetta dello Sport, ma nel 1938 fu internato a Pont de la Merge, in Svizzera, a causa delle leggi razziali del fascismo [22]. Durante l’internamento incontrò alcuni colleghi europei che gli fecero conoscere il mondo delle scommesse sportive. Tornato in Italia con la caduta del fascismo, fondò la S.p.A. Sisal Sport Italia, per realizzare anche in Italia un concorso pronostici. Con delibera del 19 gennaio 1946, il CONI decise di affidare l’incarico di organizzare e gestire per proprio conto i concorsi pronostici abbinati alle partite di calcio per i relativi campionati delle stagioni 1946-1947 e 1947-1948 poiché la Sisal «venne considerata la sola [società] da prendere in considerazione per l’affidamento che dava dal lato tecnico e organizzativo» [23]. Il contratto di gestione, stipulato due giorni dopo dalla Sisal e dal CONI, prevedeva, tra le altre cose

quale corrispettivo a titolo di compenso e di rimborso delle spese una percentuale del 27% sugli incassi lordi, escluso ogni altro compenso per qualsiasi titolo o causa, con una scala peraltro di decurtazioni fino al 18% in relazione alla media degli incassi lordi relativi ad ogni concorso [24].


4. L’affermazione del Totocalcio e la normativa per la disciplina delle attività da gioco

La prima schedina fu giocata il 5 maggio del 1946 e, dopo un periodo iniziale di incassi modesti, gli introiti delle giocate iniziarono a lievitare a partire dalle prime settimane di gennaio dell’anno successivo: nelle prime tre settimane furono incassati circa 670 milioni, di cui 125 andarono nelle casse della Sisal [25]. L’enorme gettito delle entrate del mese di gennaio e i primi problemi sulla distribuzione dei premi fecero del “concorso pronostici” uno dei temi più seguiti del primo semestre del 1947. Il motivo del contendere fu la diciottesima giornata di andata del Campionato italiano di calcio, svoltasi il 26 gennaio. Le partite Bologna-Inter, Brescia-Modena, Venezia-Atalanta e Vicenza-Roma furono sospese per maltempo rendendo impossibile per gli scommettitori totalizzare il «12», che al tempo rappresentava il risultato massimo del totocalcio. La Sisal, sostenuta dal CONI, decise di spostare il montepremi del concorso n. 19 a quello successivo, suscitando l’ira degli scommettitori che avrebbero preferito soluzioni alternative, come attribuire il montepremi agli «8» (il numero di partite terminate il 26 gennaio), permettere agli scommettitori di utilizzare la stessa schedina la settimana successiva o attendere il recupero delle partite per assegnare il montepremi [26]. A questo seguì l’attacco del quotidiano comunista L’Unità al monopolio della Sisal: secondo il quotidiano fondato da Gramsci, «questo ente di speculazione [la Sisal] era riuscito grazie ad alti appoggi DC presso il ministero degli Interni, ad ottenere la licenza per il totocalcio senza che altri concorrenti venissero presi in considerazione» [27]. Inoltre, secondo L’Unità, occorreva rivedere l’intera gestione del Totocalcio:

il pubblico si appassiona al Concorso Pronostici? Bene. Gli introiti vadano, però, alla collettività. Cioè allo Stato e alla ricostruzione. Non si riesce ancora ad ottenere la nazionalizzazione delle industrie elettriche? Ebbene, cominciamo dalla Sisal. Il Concorso pronostici passi sotto il controllo diretto dello Stato [28].

Gli enormi guadagni della Sisal e la distribuzione dei soldi per il bene comune non furono solo un argomento usato dal Pci per criticare l’operato della Democrazia Cristiana. A partire dal mese di febbraio, seguirono varie proposte affinché i proventi delle scommesse fossero utilizzati per opere sociali. Il prefetto di Napoli propose di applicare una sovrattassa sulla Sisal per risolvere il problema degli oltre cento mila disoccupati nella sola provincia di Napoli [29]. Il 21 aprile il sindaco di Messina propose la sovrattassa dell’un per cento alla Sisal con l’obiettivo di costruire Ospedali nel territorio messinese. La proposta fu immediatamente fatta propria dalla prefettura di Benevento, che decise autonomamente di applicare la sovrattassa [30]. Con una lettera indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Onesti si oppose all’azione prefettizia, sostenendo che l’attribuzione di tali fondi per questioni non direttamente inerenti allo sport avrebbero creato un pericoloso precedente e che occorreva che tali fondi rimanessero nelle mani degli sportivi [31]. Il nocciolo della questione, se far gestire o meno il concorso pronostici al CONI e alla Sisal o attribuire la gestione direttamente allo Stato, fu al centro della discussione in seno al Consiglio dei Ministri che avrebbe dovuto discutere la legge sulla Disciplina delle attività di giuoco.

L’iter procedurale per la nuova legge iniziò il 19 settembre 1947, durante la seduta del Consiglio dei ministri che vide il Ministro delle Finanze, Giuseppe Pella, illustrare lo schema di decreto legislativo [32]. Pella, facendo presente che il decreto era stato predisposto previe intese intervenute fra il suo Dicastero e la Presidenza del Consiglio, sottolineò la particolare urgenza del provvedimento, in considerazione dello svolgimento del concorso pronostici Sisal, il quale fu autorizzato provvisoriamente per tre settimane [33]. Alle perplessità di Guido Gonella e Gustavo Del Vecchio, al tempo ministro delle Finanze, rispose Andreotti, che aveva già iniziato il suo rapporto privilegiato con il presidente del CONI.

Il rapporto tra Giulio Onesti e Giulio Andreotti si cementificò negli anni di avvicinamento dell’avvocato piemontese al mondo democristiano subito dopo la fuoriuscita dal partito socialdemocratico. Onesti comprese immediatamente che per realizzare la sua idea di CONI era necessario instaurare rapporti con le forze di Governo e Andreotti, al tempo Sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri con delega allo sport, era l’uomo politico più indicato per iniziare una proficua collaborazione. I due uomini non si conoscevano prima dell’elezione a Sottosegretario ma, grazie anche ai consolidati rapporti con Luigi Gedda, Onesti riuscì a entrare in rapporti con Andreotti, con cui inizierà una delle relazioni politiche maggiormente prolifiche del secondo dopoguerra. Entrambi, come vedremo in maniera più dettagliata nel testo, compresero che una alleanza avrebbe portato enormi vantaggi e decisero così di agire all’unisono per risollevare le sorti del CONI. Il 23 agosto 1947 Andreotti ricevette il Consiglio nazionale del CONI e Onesti presentò l’Ordine del giorno votato dal Consiglio nazionale il 10 agosto precedente. Nell’Odg. si sottolineavano con preoccupazione gli aspetti legati alla gestione del Totocalcio e dei proventi monetari, dopo la minaccia dell’allora ministro delle Finanze, Giuseppe Pella, i non rinnovare la licenza al CONI, creando, chiaramente, un problema per il sostentamento dello sport italiano [34]. Il comunicato rilasciato ad Andreotti sosteneva che:

Le manifestazioni sportive da cui esse traggono origine sono patrimonio esclusivo dello sport italiano, collettivamente tutelato dal CONI; rivendica ad attuare il diritto di attuare su detto patrimonio tutte le iniziative che si riferiscono ai risultati delle manifestazioni; si impegna a diffondere il buon diritto degli sportivi affinché i proventi del CONI non siano assolutamente distolti dalle necessità d’istituto del CONI per la propaganda e per la pratica sportiva [35].

Il sottosegretario ascoltò le lamentele del CONI e decise di sostenere pienamente le richieste di Onesti: secondo il politico romano, attraverso il concorso pronostici si sarebbero finanziate le attività sportive del CONI, che altrimenti sarebbero state nel bilancio dello Stato. Sostenne, parlando a nome di De Gasperi, che per lo Stato italiano non sarebbe stato possibile erogare somme per lo sport e sostenne la via del concorso pronostici come l’unica soluzione per favorire lo sviluppo dello sport, apportando, inoltre, anche un discreto gettito allo Stato [36]. Oltre alla contrarietà di Del Vecchio e Gonella, Andreotti dovette fronteggiare quella del ministro del Tesoro Einaudi, contrario per principio alla gestione di un concorso pronostici non gestito direttamente dallo Stato. Secondo Einaudi,

salvo la parte dedicata ai premi ed una piccola parte di spese di gestione, tutto il resto dovrebbe andare allo Stato, al quale spetterebbe poi di sovvenzionare ove occorra le attività sportive con un apposito stanziamento di bilancio. Non è ammissibile che il CONI abbia un bilancio aleatorio e condizionato dall’ammontare delle giuocate. Si deve sapere preventivamente di quanto dispone [37].

Il contrasto tra le due opposte fazioni fu di duplice natura: da una parte, Einaudi, Gonella, Merlin e Del Vecchio sostenevano che non si potesse attribuire la gestione e gli introiti delle scommesse a enti privati o a enti pubblici che non dipendessero direttamente dallo Stato; dall’altro lato, Andreotti, sostenuto anche da De Gasperi, Pella, che cambiò idea dopo le argomentazioni del sottosegretario, e in parte Scelba, credevano che si potesse fare un’eccezione per il CONI, soprattutto in virtù del fatto che

mentre si sono fatte obiezioni per il concorso del CONI, senza indugio è stata concessa l’autorizzazione ad altri tipi di concorsi pronostici, i quali non danno garanzie di serietà e incorruttibilità che offre il CONI-Sisal e che comunque sono legati a complessi privati e non a un ente pubblico come il CONI [38].

Lo schema di decreto legislativo proposto dopo il primo incontro del Consiglio dei Ministri prevedeva che il Ministero delle finanze potesse affidare l’organizzazione e la gestione di giochi d’abilità e di concorsi pronostici a

privati o enti, consentendo in tal modo allo Stato di utilizzare nell’interesse generale le possibilità di reddito offerte dalle nuove forme di giuoco attualmente in uso; e determina nel 16% dell’introito lordo la tassa dovuta per l’esercizio delle attività [di gioco] [39].

Dopo i primi due incontri del Consiglio dei Ministri non vi era alcuna eccezione per il CONI e per la gestione diretta del Concorso pronostici, ma solo la proroga per il binomio Sisal-CONI di gestione del Totocalcio fino al 30 giugno 1948 [40].

Per tutelarsi, la giunta del CONI approfittò dell’incontro organizzato al Viminale da parte del Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Andreotti, prospettandogli

l’assillante problema dei concorsi pronostici che, per il tecnicismo e per la loro intima connessione con le competizioni sportive, non [potevano] essere affidate in gestione ad altro che al CONI e alle federazioni nazionali sportive competenti [41].

Andreotti diede le sue rassicurazioni «agli sportivi italiani di continuare la sua opera ininterrotta al fine di giungere al provvedimento legislativo che tuteli e garantisca ogni aspetto della vita sportiva italiana» [42].

Per favorire l’operato di Andreotti all’interno al Comitato, che avrebbe dovuto stilare uno schema di decreto (comitato formato oltre che dal politico romano anche da Pella, Einaudi e Segni), il Segretario generale del CONI, Bruno Zauli, inviò «un progetto redatto in articoli [che fosse proposto direttamente alle camere] in base alla legge numero 71 della costituzione […] in modo che [fossero] riservate in toto al CONI le entrate di tale gioco» [43].

Le motivazioni addotte da Zauli affinché gli introiti del Totocalcio rimanessero nelle casse del CONI erano tre: in primo luogo, che non fosse consigliabile la gestione diretta da parte dello Stato di pronostici sportivi in quanto, «mancando della necessaria attrezzatura tecnico-sportiva [si] porterebbe alla decadenza e al fallimento del concorso tramutando un sicuro provento in un inevitabile onere» [44]; in secondo luogo, sosteneva l’inutilità del ritorno al finanziamento dello Stato nei confronti dello sport, soprattutto a causa della problematica situazione finanziaria che il Paese stava attraversando in quel periodo specifico; in terzo luogo, perché i concorsi pronostici «da un lato sgravano lo Stato dal problema del finanziamento dello sport italiano, dall’altro arrecano allo Stato notevoli benefici finanziari al netto di qualsiasi spesa» [45]. Questo progetto, unitamente all’intervento di Andreotti e a un colloquio che l’avvocato Onesti ebbe con il ministro Einaudi,

ottennero il risultato che nell’originario disegno di legge venissero inseriti gli artt. 6 e 7 con i quali, modificata l’originaria impostazione, restavano riservati allo Stato tutti i giochi di abilità ed i concorsi pronostici ma si riservavano contemporaneamente e rispettivamente, al CONI ed all’UNIRE [Unione nazionale incremento razze equine] i concorsi pronostici sulle manifestazioni sportive e sulle corse dei cavalli [46].

Fu così emanato il d.l. n. 496 del 14 aprile 1948 che prevedeva, tra le altre cose, la possibilità per il CONI di gestire il concorso pronostici «direttamente o per mezzo di società o ditta ad esso collegata» [47]. Inoltre, per tutto il campionato di calcio 1947-1948 la tassa di lotteria da devolvere allo Stato era pari al 12% di tutti gli introiti lordi mentre, dalla stagione successiva, sarebbe stata del 16% [48].

Conclusosi il campionato di calcio, il 7 giugno la Giunta esecutiva del CONI si riunì per discutere del futuro della gestione del Totocalcio e dei rapporti da avere con la Sisal. Emersero, nella discussione, tre diverse opinioni: una che voleva il rinnovo del contratto con la Sisal, a patto che questa fosse disposta a ridurre la sua percentuale dal 19 al 13%; un’altra che voleva la gestione diretta del Totocalcio da parte del CONI; una terza che avrebbe preferito affidare la gestione a un’altra società (si fece il nome della società S.A.G.A. sotto le dipendenze della Banca nazionale del lavoro) [49]. Vista l’impossibilità di raggiungere un accordo con la Sisal, disposta a ridurre la sua percentuale dal 19 al 18% e visto il diritto di prelazione a favore della Sisal in caso di rinnovo della deroga sul concorso pronostici, il CONI decise di assumere direttamente la gestione diretta del totocalcio mediante la creazione di un Servizio autonomo gestione concorsi pronostici [50].

La nuova gestione del Totocalcio iniziò immediatamente con la protesta del­l’As­sociazione nazionale ricevitori, che, in una lettera personale rivolta a Giulio Andreotti in data 23 novembre 1948, criticarono la gestione del Totocalcio, sostenendo che il passaggio dalla Sisal al CONI avrebbe provocato una diminuzione netta degli introiti destinati allo sport, dovuta alle alte speculazioni di Onesti e della Giunta esecutiva [51]. L’associazione, inoltre, accusò il CONI di fare della corruzione uno strumento politico, avendo messo a tacere, «attraverso un vassoio di orchidee preziose», il direttore de Il Corriere dello Sport Bruno Roghi e il direttore del settimanale Ring, autori di articoli molto duri sul CONI durante le olimpiadi londinesi del 1948 e che, dopo la presunta corruzione, abbandonarono la linea dura contro Onesti e il CONI [52].

Molti giornalisti – continuava la lettera di denuncia dell’Associazione nazionale ricevitori – [sono] sotto il soldo del CONI, dato che fanno parte in qualche forma dell’organi­gramma, lavorano per i più importanti quotidiani sportivi. La Gazzetta dello sport è in mano a Bonaccossa, membro dell’esecutivo, finanzia il Giro d’Italia più per speculazione che per sportivismo dato che la maggior parte dei contributi arrivano dalle industrie di cicli [53].

La risposta di Andreotti fu dura tanto quanto la lettera dei ricevitori. Con un documento organico di oltre quaranta pagine smentiva punto per punto ogni accusa rivolta a Onesti, sottolineando come il suo operato fosse in linea con i dettami costituzionali e che il lavoro svolto per lo sviluppo in senso democratico dello sport in Italia fosse stato limpido e privo di qualsiasi atteggiamento tendenzioso.


5. Lo sport e il suo uso politico

L’atteggiamento difensivo portato avanti da Andreotti nei confronti del CONI non fece altro che consolidare l’idea che fosse lui «il punto di riferimento politico del CONI» [54] in quanto, citando le parole di Onesti, difese «con ogni energia le posizioni del CONI» [55].

Il motivo dell’interesse di Andreotti nei confronti del CONI e del mondo dello sport, tra le altre cose, risale al sistema politico-elettorale dell’Italia del secondo dopoguerra.

Con il decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, recepito come normativa elettorale per la Camera dei Deputati con la legge n. 6 del 20 gennaio 1948, gli elettori italiani avevano il diritto di esprimere due voti, il voto di lista e il voto di preferenza. Con il voto di lista ogni elettore determinava il numero di deputati da assegnare a ciascun partito, mentre con il voto di preferenza indicava l’elezione di alcuni candidati rispetto ad altri [56]. Stando alle analisi statistiche elaborate da Pasquale Scaramozzino, il voto di preferenza presentava alcune caratteristiche identiche nel corso delle legislature che ci interessano (dal 1946 al 1958): le più alte percentuali di voti di preferenza, per tutti i partiti a carattere nazionale, si verificarono nel sud e nelle isole [57]. La questione cambiava, però, analizzando le statistiche dei vari partiti. Le elezioni del 1948 videro un basso voto di preferenza per la Democrazia Cristiana e un alto voto di preferenza per il Fronte Democratico Popolare. Il Fronte Democratico Popolare era composto da due partiti, il Pci e il Psi che, pur avendo gli stessi obiettivi, mantennero due strutture differenti. L’apparato elettoralistico del Pci, sin dal 1948 molto forte, spinse affinché i candidati comunisti ottenessero seggi a discapito dei socialisti, cosa che in effetti avvenne. Se alle elezioni per la Costituente del 1946 il Psi ottenne il 21 per cento e il Pci il 19, alle elezioni del 1948 il Pci riuscì ad eleggere 131 deputati contro i 52 del Psi, fenomeno non spiegabile solamente con la scissione di Palazzo Barberini [58]. La percentuale di voti di preferenza ottenuta dalla Dc nelle elezioni del 1948 fu del 31% (contro il 38% del Fdp), la più bassa della storia democristiana. La percentuale così bassa di voti preferenziali verso la Democrazia Cristiana nelle prime elezioni del dopoguerra fu dovuta al fatto che gran parte del voto per la Dc fu un voto contro il Fronte Democratico Popolare. Il timore di una vittoria socialcomunista convinse gli elettori anticomunisti a votare il simbolo dello Scudo Crociato in quanto solo il partito democristiano garantiva la possibilità di arrestare l’avanzata del Fronte.

A partire dalle elezioni del 1953, la Democrazia Cristiana divenne il partito con la più alta percentuale di voto di preferenza in Italia. Secondo il giurista democristiano Luigi D’Amato (eletto per la Dc durante la IV legislatura)

Il partito della DC si distingue per il notevole uso, rispetto ai partiti della sinistra del voto preferenziale […]. L’ampiezza del fenomeno si spiega con tre ordini di considerazioni: la Dc è, in questo dopoguerra, il più forte partito italiano. Pertanto la probabilità di successo per i candidati appartenenti alle liste dello scudo crociato sono maggiori che per i candidati di qualsiasi altro partito. Da qui una più intensa e accanita lotta per le preferenze; la Dc è il partito italiano che maggiormente si è giovato sul piano elettorale, della collaborazione di associazioni, comitati, enti e organizzazioni che, convogliando verso le liste dello scudo crociato e controllando direttamente o indirettamente notevoli settori dell’elettorato, hanno quasi sempre rivendicato e svolto un ruolo di primo piano nella battaglia per le preferenze; la Dc ha sempre rilevato la presenza nel suo seno di una vivace e permanente lotta tra le varie correnti. Le correnti, che in notevole misura sono il risultato del sistema proporzionale, hanno individuato nel voto di preferenza lo strumento vitale per la propria affermazione sul piano parlamentare. La loro tattica elettorale ha fatto leva sempre sulle posizioni conquistate negli organi direttivi, nazionali e periferici, del partito. Attraverso queste posizioni di forza si sono assicurate una rappresentanza nelle liste compiendo quindi ogni sforzo per assicurare ai propri candidati il successo elettorale. A tal fine le correnti hanno spinto al massimo l’impegno di acquisire per i propri candidati il maggior numero possibile di preferenze e per raggiungere lo scopo hanno ricercato e stretto alleanze nel campo delle associazioni fiancheggiatrici del partito [59]. [corsivi dell’autore]

La scelta di Andreotti di sostenere lo sport e le strutture come il CONI, le Federazioni sportive e gli enti di promozione, che gli avrebbero garantito un ampio consenso elettorale, derivava dalla necessità di ottenere maggiori voti di preferenza.

Dopo il 1948, e ancora di più con la conferma elettorale del 1953, i vertici della Democrazia cristiana si resero conto che la gestione del governo sarebbe stata garantita grazie alla diffusa paura del comunismo presente in larghi strati della popolazione italiana. La vittoria del Partito comunista, infatti, non avrebbe comportato solo un nuovo indirizzo politico del Paese, ma uno stravolgimento in senso rivoluzionario delle sovrastrutture politiche, economiche e sociali. Al riparo dalla bocciatura elettorale, i democristiani iniziarono a preoccuparsi unicamente di vincere la competizione interna, visto che quella esterna era garantita dalla diffusa paura del comunismo [60]. Ciò si verificò dopo la fine del centrismo degasperiano, con l’affermarsi delle correnti in seno alla Dc che, durante le tornate elettorali, tendevano a

bloccare i propri voti preferenziali a favore dei [propri] uomini evitando al massimo l’infiltrazione di candidati appartenenti ad altre fazioni. La corrente organizzata si pone[va] come uno strumento elettorale di notevole portata: la sua forza principale risiede[va] nella sua capacità di “bloccare” le preferenze e, quindi, nella sua capacità di organizzare la battaglia per i voti preferenziali, in modo da distribuirli, concentrandoli, su pochi nomi favorendo al massimo, al tempo stesso, la dispersione delle preferenze non sue sul maggior numero possibile di candidati delle frazioni concorrenti […] Sotto il profilo del blocco delle preferenze, la corrente mira a stringere alleanza con quei gruppi e con quelle associazioni (sindacali, professionali, di categoria, ecc.) che [disponevano] di un autonomo potere in fatto di organizzazione massiccia e settaria di voti preferenziali [61].


6. Conclusioni

Come visto, gli interessi politici e quelli sportivi di Andreotti e Onesti si intrecciarono profondamente nel quinquennio 1943-1945. Gli obiettivi erano chiari per entrambi: Onesti, attraverso l’appoggio del Sottosegretario, rafforzava la sua posizione interna al CONI, garantendo il finanziamento per il CONI tramite la gestione del Totocalcio. Andreotti, invece, si legò indissolubilmente al mondo sportivo istituzionale, assicurandosi il sostegno elettorale di quel settore sociale.

Il dibattito creatosi all’interno del Consiglio dei ministri ben evidenzia le differenti anime sul tema dei concorsi scommesse. La posizione di Einaudi, per cui tutti gli introiti del Totocalcio, fatto salvo la parte dedicata ai premi e alle spese di gestione, avrebbero dovuto essere destinati allo Stato che li avrebbe reinvestiti per le attività sportive con un apposito stanziamento, era derivato da esigenze di bilancio. La necessità, cioè, che il CONI disponesse di entrate fisse e costanti che non fossero altalenanti, aleatorie e condizionate dal numero di giocate. Come visto, questa posizione risultò minoritaria soprattutto per l’abile lavoro politico di Andreotti che sottolineò l’inutilità del ritorno al finanziamento dello Stato nei confronti dello sport, sia per la situazione finanziaria del Paese, sia perché, attraverso il Totocalcio, lo sport avrebbe smesso di pesare sulle casse dello Stato italiano, arrecandogli in più notevoli benefici finanziari al netto di qualsiasi spesa. Questa versione, grazie anche alla mediazione con Einaudi, risultò quella definitiva, riservando allo Stato tutti i giochi a premi, con l’eccezione delle scommesse sui cavalli e sul calcio che furono assegnate, rispettivamente, al CONI e all’Unire.

L’aspetto più rilevante di tale vicenda fu sul piano politico. A causa del sistema elettorale preferenziale italiano, avere uno stretto legame con i corpi intermedi dello Stato e avere relazioni privilegiate con associazioni, enti e sindacati, risultava fondamentale per aumentare la propria influenza all’interno del partito politico e nella società stessa. Questo aspetto, colto da tutti i più brillanti politici del secondo dopoguerra, non sfuggì all’acume politico di Andreotti, che sfruttò appieno la richiesta di Onesti e del CONI di trovare una copertura politica per permettere al principale ente sportivo di mantenere la propria autonomia. Grazie a questa rete fitta di relazioni (oltre al CONI, i rapporti furono importanti anche con le federazioni sportive, con gli enti di promozione sportiva, con le associazioni delle ricevitorie) l’allora Sottosegretario poté incrementare la sua influenza sulla politica e sulla società italiana favorendo, contestualmente, la realizzazione del sogno di Onesti dello «sport agli sportivi».


NOTE

[1] B. Bottiglieri, La Resistenza (1943-1945), in AA.VV., La società italiana dalla Resistenza alla Guerra Fredda, Milano, 1989, p. 12. Sull’argomento la letteratura è vastissima. Tra questi vanno ricordati A. Gambino, Storia del dopoguerra dalla liberazione al potere Dc, P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, R. Vivarelli, La fine di una stagione 1943-1945, S. Colarizi, Continuità e rinnovamento nell’Italia post-fascista, G. Gallo, Censura e continuità nelle interpretazioni dell’economia italiana dal fascismo al secondo dopoguerra e C. Pavone, Alle origini della Repubblica: scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato.

[2] G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana: 1861-1993, Bologna, 1997, pp. 425-436.

[3] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo.luogotenenziale:1944-07-27;159!vig, consultato in data 21/05/2017.

[4] T. De Juliis, Dal culto dell’indipendenza all’eredità rinunciata, Società Stampa Sportiva, Roma, 2000, p. 28.

[5] Archivio centrale di Stato (d’ora in poi ACS), Presidenza del consiglio dei ministri (d’ora in poi PCM) 1955-1958, b. 197, f. 3.2.5 10024, sf. 5.

[6] ACS, PCM 1955-1958, busta 197, f. 3.2.5 10024, sf. 3-A, Da Pietro Nenni a Alcide De Gasperi 5/12/1946.

[7] A. Teja, M.M. Palandri, La Giornata Olimpica, ovvero come costruire lo spirito olimpico, in ESSH, vol. 7, 2014.

[8] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario;jsessionid=5+VDsXcaw7f7g9+UmR-LPg__.ntc-as4-guri2a?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1947-05-27&atto.codice­Re­dazionale=047U0362&­elenco­30giorni=false, consultato in data 21 maggio 2018.

[9] Ibidem.

[10] Sulla questione internazionale vedi N. Sbetti, Sognando Londra: Il rientro dell’Italia nel Movimento Olimpico del Secondo dopoguerra (1944-1948), in questa Rivista, 2/2016, pp. 193-202.

[11] V. Verratti, La formazione del sistema sportivo italiano: il CONI (1947-1960), in Amministrare, 1/2011, p. 276.

[12] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1945/03/27/045U0076/sg;jsessionid=w+oNG36HG5VIyTJeLvbAIg__.ntc-as2-guri2b, consultato in data 21 maggio 2018.

[13] Il CONI e il toto-calcio nelle dichiarazioni di Giulio Onesti, in La Gazzetta dello sport, 18/10/1946.

[14] S. Pivato, L’era dello sport, Firenze, 1994, p. 23.

[15] G. Brunamontini (a cura di), 50 anni di totocalcio tra letteratura e realtà, Roma, 1996, p. 106.

[16] I. Marani Toro, Dalla Sisal al totocalcio, in Rivista di diritto sportivo, anno XXXVI, n. 1, 1984.

[17] ACS, PCM 1959-1962, b. 3829, f. 3.2.5. 14581, sf. 1.

[18] G. Brunamontini (a cura di), op. cit., p. 106.

[19] Dal CONI alla PCM, 17/9/1947. Promemoria sullo svolgimento del concorso pronostici, ACS, PCM, 1948-1950, busta 3828, f. 3.2.5. 14521 sf. 1-1.

[20] Il CONI e il totocalcio, in La gazzetta dello sport, 18 ottobre 1946.

[21] Ibidem.

[22] F. Monti, Addio a Della Pergola l’inventore della schedina che fece ricco lo sport, in Il Corriere della Sera, 14 marzo 2006.

[23] Il CONI e il totocalcio, in La gazzetta dello sport, 18 ottobre 1946.

[24] G. Brunamontini (a cura di), op. cit., p. 109.

[25] Sciopero bianco contro la Sisal?, in Il Popolo, 30 gennaio 1947.

[26] Milioni di lire in discussione tra S.I.S.A.L. e scommettitori, in L’Unità, 28 gennaio 1947.

[27] Martin, La democristiana Sisal fa nascere tumulti di popolo, in L’Unità, 31 gennaio 1947.

[28] Hanno vinto i magnati della Sisal, in L’Unità, 30 gennaio 1947.

[29] ACS, PCM, 1948-1950, busta 3828, f. 3.2.5. 14521 sf. 1-1.

[30] Ibidem.

[31] Ibidem.

[32] Verbali del consiglio dei ministri, luglio 1943 – maggio 1948, Edizione critica, vol. IX (1,2,3), Roma, Istituto poligrafico zecca dello Stato, 1998, pp. 788-789.

[33] Ibidem.

[34] T. Forcellese, L’Italia e i Giochi olimpici: un secolo di candidature: politica, istituzioni e diplomazia sportiva, Milano, 2013, p. 174.

[35] Comunicato del CONI, in Il Corriere dello sport, 24 agosto 1947.

[36] Ibidem.

[37] Ivi, p. 895.

[38] Ibidem.

[39] Ivi, p. 798.

[40] Ivi, p. 1903.

[41] Archivio del Comitato Olimpico Nazione Italia (d’ora in avanti ACONI), Verbali Giunta Esecutiva, XIII riunione, 20/2/1948.

[42] Ibidem.

[43] Ibidem.

[44] Ibidem.

[45] Ibidem.

[46] I. Marani Toro, op. cit.

[47] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:1948;496, consultato in data 19 gennaio 2016.

[48] Ibidem.

[49] ACONI, Verbali Giunta Esecutiva, XVII riunione, 7 luglio 1948.

[50] Il concorso pronostici sarà gestito dal CONI, in La Stampa, 8 luglio 1948.

[51] ACS, PCM, 1948-1950, busta 207, f. 3.2.5. 10024 sf. 9.

[52] Ibidem.

[53] Ibidem.

[54] ACONI, Verbali giunta esecutiva, XIX riunione, 22-23 ottobre 1948.

[55] ACONI, Verbali giunta esecutiva, XV riunione, 28 aprile 1948.

[56] P. Scaramozzino, Un’analisi statistica del voto di preferenza in Italia, Milano, 1979, p. 3.

[57] Ivi, p. 25 ss.

[58] L. D’Amato, Il voto di preferenza in Italia, 1946-1963, Milano, 1964, p. 34.

[59] Ivi, p. 74.

[60] A. Ancisi, La cattura del voto, Milano, 1976, p. 7.

[61] L. D’Amato, Correnti di partito e partito di correnti, Milano, 1964, p. 107.

Fascicolo 1 - 2018