Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Sinistri in fuori pista e responsabilità penale* (di Stefania Rossi, Assegnista di ricerca di Diritto penale (Università di Trento). Avvocato. Carlo Busato, Presidente della Sezione Penale del Tribunale di Bolzano.)


The article examines avalanche accidents involving snow sports enthusiasts in open terrain and investigates the criminal proceedings against ski tourists and free riders for violations of the Italian Penal Code. The paper represents a synthesis of the italian judiciary overview.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il delitto di «valanga colposa» quale fattispecie di pericolo (astratto) - 3. Riflessioni in tema di «antropizzazione» ed «autoresponsabilità» - 4. Il distacco di una valanga nella prassi giudiziaria: criticità sotto il profilo oggettivo - 5. […] e soggettivo: l’imputazione colposa - NOTE


1. Premessa

Il costante aumento del numero di scaricamenti nevosi che vengono causati da sciatori in fuori pista impone una rinnovata riflessione sui fenomeni valanghivi collegati all’aumento dell’antropizzazione delle aree montane e il problema si pone essenzialmente sul versante penale, poiché in presenza di simili accadimenti, sussumibili nel­l’alveo del delitto di «valanga colposa», la procedibilità d’ufficio, che ne accompagna la verificazione, comporta la celebrazione di processi in relazione ai quali si pone un serio problema di accertamento giudiziale. L’imputazione si fonda sul combinato disposto di due norme: l’art. 426 c.p. (che tipicizza la verificazione dolosa di un evento disastroso di «Inondazione, frana o valanga», sanzionandola con una pena da cinque a dodici anni) e la fattispecie colposa di cui all’art. 449 c.p. (che, invece, prescrive la reclusione da uno a cinque anni); nonostante il dettaglio, per tipologia di disastri, che caratterizza i reati di pericolo descritti nel Capo I, Titolo VI, Libro II del codice penale italiano, l’attuale contesto normativo non offre una puntuale definizione di «valanga». Risulta, pertanto, centrale il ruolo della prassi, che identifica alcuni precisi indicatori sintomatici cui ricollegare il giudizio di pericolosità richiesto dalla fattispecie penale. Per «valanga» non si intende, infatti, qualsiasi scaricamento, ma solo quello che sia di notevoli dimensioni e manifesti una straordinaria potenza distruttiva (per quantità di neve e per velocità di caduta), tale da porre in pericolo un «numero indeterminato» di persone; non è, quindi, necessario che il distacco della massa nevosa comporti effettivamente morti, feriti o la distruzione di cose, ma è sufficiente che si determini una «minaccia» di questo genere. Occorre, quindi, che vi sia la potenziale lesione al bene giuridico della pubblica incolumità e con riferimento a tale aspetto è molto importante localizzare lo scaricamento: quando il distacco di neve investe (anche in parte) una pista percorsa da sciatori, nessun dubbio circa l’esistenza di un pericolo per il bene giuridico tutelato dalla norma; ma la casistica è varia e si possono verificare valanghe che lambiscono tracciati chiusi al pubblico o zone, esterne alla pista, che si pongono ai confini [continua ..]


2. Il delitto di «valanga colposa» quale fattispecie di pericolo (astratto)

Il delitto di valanga colposa rientra fra i reati di pericolo posti a tutela del bene giuridico dell’incolumità pubblica, che, come è noto, riguarda la vita e l’integrità delle persone, intese non nella loro individualità, bensì in una dimensione collettiva [1]. Il potenziale pericolo per un numero rilevante e non determinabile di individui non viene espressamente enunciato nella disposizione normativa, ma è insito nella tipizzazione operata dal legislatore: la gravità, le dimensioni, la potenza e la diffusibilità dell’ac­cadimento caratterizzano, secondo la comune esperienza, il fatto penalmente sanzionato e sono tali da renderlo presuntivamente pericoloso per l’incolumità pubblica. Ciò consente di inquadrare l’ipotesi criminosa tra i c.d. reati di pericolo astratto (o presunto), contrapposti ai reati di pericolo concreto (od effettivo), in cui la pericolosità rappresenta, invece, un elemento costitutivo della fattispecie che il giudice, in base alle circostanze specifiche del singolo caso, sarà chiamato ad accertare di volta in volta [2]. Alla luce del più tradizionale inquadramento dogmatico, sembra che nei reati di pericolo astratto la pericolosità della condotta possa essere presunta iuris et de iure, mentre per i reati di pericolo concreto sarebbe sempre necessario accertare un «evento di pericolo»; invero, l’equiparazione tra pericolo astratto e pericolo presunto è stata sottoposta a critica dalla dottrina che distingue il «giudizio astratto» dal concetto di «presunzione»: il primo si forma per via induttiva, partendo da alcune qualità effettive di una serie di casi e raffrontando queste qualità con quelle possedute da un certo oggetto; il secondo, invece, deriva da giudizi deduttivi, formulati una volta per tutti, che non tengono conto delle particolarità del caso concreto. Il pericolo presunto non sarebbe, dunque, neppure un pericolo, dato che sotto questa etichetta si possono ricomprendere tanto fatti pericolosi, quanto fatti privi di pericolosità e la presunzione assoluta di pericolo rivela un evidente contrasto con i principi costituzionali di legalità e necessaria lesività [3]. Sulla scorta di tale ricostruzione non sarebbe, quindi, mai possibile ammettere una presunzione assoluta di pericolo, in quanto [continua ..]


3. Riflessioni in tema di «antropizzazione» ed «autoresponsabilità»

Sul tema dell’antropizzazione si sono sviluppate, nel corso del tempo, diverse teorie: la più formale assegna rilevanza alle caratteristiche oggettive del luogo di caduta della valanga, che deve essere naturalmente idoneo a convogliare la contestuale presenza di più persone. Si tratta della impostazione maggiormente seguita dalla giurisprudenza di merito, che ha ritenuto le valanghe provocate fuori pista, lontano da aree sciabili e in zone isolate, penalmente irrilevanti [8]. Così argomentando la messa in pericolo del bene giuridico dell’incolumità pubblica è concepibile solo rispetto a valanghe che si verificano lungo la pista (percorsa o meno, in quel momento, da un numero indeterminato di persone), ovvero nel caso di fuori pista compiuti in prossimità degli impianti di risalita o lungo tracciati di collegamento all’interno dell’area sciabile [9]. Nell’identificare la zona antropizzata secondo questo canone interpretativo si assegna una portata dirimente alla presenza di infrastrutture, rifugi, sentieri, percorsi per ciaspole o strade limitrofe. Invero, va segnalato che una diversa elaborazione tende a riconoscere anche la c.d. area di fatto antropizzata sulla scorta della prevedibile frequentazione o effettiva percorribilità del luogo da parte di più individui. In quest’ottica rileva anche il potenziale affollamento del territorio, che supera lo statico dato dell’urbanizzazione e consente di identificare, laddove si verifichi uno scaricamento valanghivo, la sussistenza di una analoga minaccia per la pubblica incolumità. Saranno, quindi, zone antropizzate anche le zone alpine al di fuori dell’area scia­bile, qualora in esse possano trovarsi de facto più persone; viceversa non rientreranno nella categoria descritta quei luoghi in cui si trattiene un unico individuo, oppure il medesimo gruppo di sciatori e non soggetti terzi [10]. Tutto ciò incide chiaramente sul riconoscimento del «penalmente rilevante», che (a seconda dell’interpretazione accolta) estende o restringe i propri confini. L’antropizzazione di un territorio è, dunque, un concetto sul quale ci si sta seriamente interrogando, anche alla luce del fatto che la percentuale più significativa di scaricamenti nevosi si verifica, oggi, nell’esercizio di attività sportive in fuori pista, luogo di [continua ..]


4. Il distacco di una valanga nella prassi giudiziaria: criticità sotto il profilo oggettivo

Laddove si riconosca (pacificamente) la minaccia al bene «incolumità pubblica», ci sono ulteriori problemi da affrontare nell’accertamento della responsabilità penale. Andrà, infatti, verificato il rapporto di derivazione causale tra l’azione o l’omis­sione dell’agente e l’evento valanghivo e qui emergono oggettive difficoltà nel cristallizzare la scena del sinistro, operare rilievi fotografici, effettuare misurazioni esatte, a causa del contesto ambientale mutevole. Sotto il profilo più strettamente tecnico, escludendo il caso di scaricamenti naturali o di quelli indotti da personale specializzato nell’ambito di operazioni di bonifica del territorio, il distacco di una valanga può dipendere da un «sovraccarico» (debole o forte) in relazione al consolidamento dello strato nevoso e alla ripidità del pendio. L’e­vento può, essere, quindi, provocato dallo sciatore che, con il proprio peso, incide sulla stabilità del manto nevoso e in questi casi la valanga, denominata «a lastroni», generalmente si stacca attorno allo sciatore, il quale viene trasportato per qualche metro per poi essere travolto dalla massa nevosa verso valle [13]. Invero, sempre nel caso di valanghe «a lastroni», è possibile che la pressione esterna provochi una «bolla d’aria» che si espande lateralmente e tale fenomeno, che può essere innescato anche a notevole distanza, non consente di accertare, oltre ogni ragionevole dubbio, la riferibilità eziologica del distacco alla condotta dello sciatore sovrastante, specie se nell’area si trovano più persone [14]. Analogamente, se il distacco di neve si verifica parecchi metri a monte rispetto allo sciatore non si può affermare con certezza che esso sia stato causato proprio dal passaggio di quel soggetto; tenendo conto della conformazione dei luoghi e delle condizioni meteo presenti, si può anche ipotizzare un distacco naturale [15]. In altri casi, in presenza di più valanghe caratterizzate da tipologie morfologiche diverse (un primo distacco di un lastrone di ghiaccio, cui segue uno scaricamento farinoso), si è anche ipotizzata l’interruzione del nesso causale, affermando, conseguentemente, che allo sciatore che ha cagionato il primo distacco fosse riferibile solo la prima parte della [continua ..]


5. […] e soggettivo: l’imputazione colposa

A livello soggettivo, l’imputazione per il reato di valanga colposa può comportare un addebito per «colpa generica» (violazione delle comuni regole precauzionali di prudenza, diligenza e perizia) e/o «colpa specifica» (violazioni di precise prescrizioni cautelari), ma secondo il comune modello di responsabilità colposa l’evento valanghivo dovrà essere, in ogni caso, ex ante prevedibile ed evitabile da parte dell’agente. Ai fini dell’accertamento giudiziale sorge, dunque, il problema di determinare il parametro di riferimento per esprimere un simile giudizio di prevedibilità ed evitabilità. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che il metro utilizzabile sia quello del c.d. «agente modello»: un soggetto che, profondo conoscitore del contesto ambientale, sa valutare i rischi cui si espone, è ben consapevole delle condizioni metereologiche mutevoli, è in grado di adottare le opportune cautele prima e durante l’escursione in fuori pista [17]. Agli occhi di tale agente modello la prevedibilità dello scaricamento risulta quasi certa o quantomeno altamente probabile in presenza di indizi oggettivi quali il pericolo «marcato» indicato sul bollettino nivometeorologico, la rilevante quantità di neve fresca, la presenza di venti da moderati a forti, la precedente caduta di valanghe nello stesso luogo. In tali evenienze si imporrebbe sempre un dovere di astensione; tuttavia, la casistica giurisprudenziale rimanda spesso ad ipotesi di colpa cosciente o con previsione in cui, a fronte della rappresentazione del possibile scaricamento (per le ragioni esposte), il soggetto affronta ugualmente l’ascesa o la discesa. Si tratta di una evidente «anomalia» sulla quale è opportuno interrogarsi per meglio ricostruire i meccanismi mentali posti alla base di colui che intraprende la pratica sportiva in fuori pista. Sci alpinisti e free riders sono le due categorie più «a rischio» e si differenziano notevolmente per il background, ma sono altresì accomunati dal processo cognitivo posto alla base della decisione di intraprendere la pratica sportiva; ciascuno di loro, infatti, prima di adottare un comportamento, si relaziona con le forze ambientali, comprende le possibili interazioni esistenti, valuta e prevede gli effetti, elabora delle alternative. In sostanza, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2018