Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Percezione del rischio valanghe ed errori cognitivi (di Lucia Savadori, Professore Associato di Psicologia Generale presso l’Università degli Studi di Trento.)


Human decision-making is decisive in the process leading to the avalanche accident. The mental procedures with which we foresee an event, we perceive a danger, we estimate a probability, we decide the action to be done before and during a ski mountaineering trip, are analyzed under the light of the behavioral sciences. Within this approach, the heuristic reasoning and cognitive biases that can trap an individual, even an expert one, into an irrational behavior during a ski tour are described and the consequences analyzed.

SOMMARIO:

Premessa - 1. L’approccio comportamentale alle decisioni - 2. Euristiche di ragionamento ed errori sistematici di giudizio - 3. L’ottimismo ingiustificato e la sovrastima della propria correttezza - 4. La percezione del rischio - 5. Implicazioni per gli incidenti da valanga: spiegare gli incidenti da valanga alla luce delle scienze comportamentali - 6. Riflessioni conclusive - NOTE


Premessa

L’incidente da valanga è il risultato di due elementi: la valanga e l’uomo. Per quel che concerne la valanga, le nuove tecniche nivologiche e le moderne tecnologie digitali hanno migliorato nel tempo la capacità previsionale dell’evento e l’accuratezza dei bollettini neve-valanga. Contemporaneamente, l’attrezzatura con cui oggi gli alpinisti affrontano la montagna è sempre più tecnica e utile a ridurre al massimo i rischi e gli incidenti. Le operazioni di soccorso e le procedure di emergenza, sempre più efficienti, inoltre, limitano di molto le fatalità in caso di valanghe. Ciò nonostante, l’elemento umano rimane determinante nel processo che porta all’incidente da valanga. È l’alpinista che prevede, decide e, in ultima analisi, passa all’azione. Diversamente dalla tecnologia che è sempre più progredita nel tempo, l’uomo, o meglio la mente umana, non è molto cambiata. Oggi si ha una maggiore conoscenza del rischio, una maggiore strumentazione per affrontarlo, ma la nostra mente è rimasta pressoché immutata rispetto a ciò che era molti anni fa. Le procedure mentali con le quali prevediamo un evento, percepiamo un pericolo, stimiamo una probabilità, decidiamo l’azione da compiere, sono quelle che avevano i nostri antenati migliaia di anni fa. Ciò che non è rimasto immutato, invece, è la conoscenza scientifica di come la nostra mente attui una decisione su quale azione compiere. Questa scienza, oggi nota con il termine «scienza comportamentale», ha una tradizione abbastanza recente. Di seguito, un resoconto dei principali passi storici e concettuali di questa scienza per poi esaminare come può aiutare a prevedere il comportamento umano nelle decisioni relative alle gite alpinistiche a fronte del rischio da valanga ed elencare, infine, i possibili errori che l’alpinista può compiere nel processo decisionale.


1. L’approccio comportamentale alle decisioni

A partire dalla seconda metà del 1900 sono entrati, in modo sempre più energico, nel panorama scientifico, dei nuovi paradigmi che hanno cercato di spiegare come la mente fa previsioni e prende decisioni. L’idea di fondo è che il comportamento umano possa essere studiato scientificamente. Questi paradigmi hanno, nel tempo, acquisito nomi diversi, ma tutti fanno riferimento a tre discipline fondamentali: la psicologia, l’economia e le neuroscienze. L’approccio comportamentale viene fatto generalmente risalire al Premio Nobel Herbert Simon (1978). Simon scopre prima le scienze sociali, poi quelle economiche. Entra studente all’Università di Chicago, nel 1933, convinto che le scienze sociali avessero bisogno dello stesso tipo di rigore e delle stesse basi matematiche che avevano reso le scienze «esatte» così brillanti agli occhi di tutti. Si preparò, quindi, a diventare uno scienziato sociale matematico, formandosi in economia e scienze politiche, matematica avanzata, logica simbolica e statistica matematica. Proseguì poi la carriera accademica in economia, interessandosi dapprima alle decisioni nelle organizzazioni pubbliche, poi alla formazione aziendale privata. Il suo lavoro lo portò sempre di più a sentire la necessità di una teoria più adeguata sul come l’uomo attui la risoluzione dei problemi (problem-solving) che comprendesse la presa di decisione. Intorno al 1954, insieme ad Allen Newell, che aveva incontrato alla Rand Corporation nel 1952, concepì l’idea che il modo giusto per studiare la risoluzione dei problemi fosse simularlo con i programmi per computer. A poco a poco, la simulazione al computer della cognizione umana divenne il suo interesse di ricerca centrale, un interesse che ha coltivato fino alla fine. Secondo Herbert Simon le persone quando prendono decisioni tendono a «soddisfare» piuttosto che ottimizzare. Soddisfare vuol dire scegliere quel percorso di azione che meglio soddisfa i tuoi bisogni più importanti, anche se la scelta non è quella ideale o quella ottima. Per esempio, quando scegliamo un appartamento, cerchiamo l’ap­parta­mento che soddisfi alcuni criteri (prezzo, luogo, spazio, sicurezza, ecc.). Nessuno si mette a fare una ricerca esaustiva di tutte le possibilità, ovvero di tutti gli appartamenti e sceglie quello che ha l’utilità [continua ..]


2. Euristiche di ragionamento ed errori sistematici di giudizio

Daniel Kahneman ed Amos Tversky, non sono solo considerati i padri dell’ap­proccio comportamentale allo studio delle decisioni, ma sono universalmente noti per i loro lavori sulle euristiche di ragionamento [4]. Questi studi avevano lo scopo di rispondere a semplici domande come: come fanno le persone a decidere ciò che decidono? Come scelgono tra diverse opzioni? Come si formano i giudizi sulle probabilità associate a diverse opzioni d’azione? A queste domande risposero con il loro lungo studio sulle euristiche e bias. Le euristiche rispondono alla domanda: come fanno le persone a decidere, descrivendo il processo di ragionamento che gli individui attuano quando devono decidere. I bias, invece, sono gli errori sistematici che possono emergere da tali procedure di ragionamento. Tversky e Kahneman hanno proposto che le persone usano delle euristiche, o regole semplici, per arrivare ai propri giudizi. Il vantaggio di queste euristiche è che riducono il tempo e la fatica richiesti per dare dei giudizi o prendere delle decisioni ragionevolmente buone. Per esempio, è più facile stimare quanto sia probabile un determinato esito usando un’euristica piuttosto che elencando ogni istanza passata di quel­l’esito e dividendo per il numero totale di volte in cui quell’esito sarebbe potuto accadere. In molti casi, una semplice approssimazione è sufficiente. Solitamente le euristiche raggiungono delle stime abbastanza buone. Lo svantaggio di usare le euristiche, tuttavia, è che ci sono delle situazioni in cui possono condurre a bias sistematici (deviazioni da una risposta normativamente corretta). Una delle euristiche che tratto qui di seguito è l’euristica della disponibilità per la sua relazione stretta con la stima di probabilità. L’euristica della disponibilità è una regola semplice in cui il decisore valuta la frequenza di una classe o la probabilità di un evento sulla base della facilità con cui esempi di quell’evento vengono in mente. È un’euristica efficiente, perché fa risparmiare tempo e fatica, è un’euristica efficace, perché solitamente gli eventi più frequenti sono più facili da ricordare. Ma, come per tutte le euristiche, tuttavia, ci sono casi in cui porta ad errori sistematici. E gli errori sono collegati con difetti associati alla nostra [continua ..]


3. L’ottimismo ingiustificato e la sovrastima della propria correttezza

Le persone non vivono la propria vita pensando che qualcosa di brutto possa accadergli da un momento all’altro. Invece, vivono la propria vita pensando che le cose brutte, accadono, ma accadono ad altri. Neil Weinstein ha documentato questa tendenza in uno studio del 1980, in cui chiedeva agli studenti della Rutgers University «rispetto ad un altro studente – della tua stessa età e sesso – che probabilità ci sono che i seguenti eventi possano accadere a te?» [5]. Agli studenti veniva, poi, presentata una lista di eventi negativi e di eventi positivi e dovevano dire in percentuale quanto era probabile che l’evento gli accadesse in futuro. Weinstein trovò che, in media, gli studenti stimavano del 15% più probabile rispetto agli altri, che gli accadesse un evento positivo, e del 20% meno probabile rispetto agli altri, che gli accadesse un evento negativo. Un altro aspetto connesso con l’ottimismo è la riluttanza a modificare le proprie stime di probabilità di accadimento di un evento a seguito di nuova informazione. Questa resistenza alla revisione delle stime è nota come conservatismo (conservatism) [6]. Ma, tra i vari errori sistematici che le persone compiono a servizio del sé, quello che ha avuto più attenzione è la «sovrastima della fiducia» (overconfidence). Il bias di sovrastima della fiducia consiste nello stimare la correttezza della propria conoscenza maggiore di quanto essa sia nella realtà. Come tutti i bias, esso va con più probabilità in una direzione, ovvero, quello della sovrastima e non della sottostima. Stuart Oskapp nel 1965 pubblicò per primo uno studio che mise in luce questo fenomeno. Egli chiese ad un gruppo di psicologi clinici e ad altre persone di leggere un caso clinico relativo ad un ragazzo di nome Joseph Kidd e di rispondere a delle domande su aspetti sia fattuali presentati nel caso che su valutazioni cliniche del caso stesso. Il materiale relativo al caso fu diviso in quattro parti, ciascuna relativa a quattro diverse fasi della vita di Joseph Kidd (infanzia, fanciullezza, adolescenza, età adulta). Ciascuna informazione venne data in momenti successivi. Al termine di ciascuna delle quattro presentazioni ogni volta del materiale aggiuntivo, Oskapp chiese ai partecipanti all’esperimento di rispondere quattro volte alle stesse domande. Ogni volta, i [continua ..]


4. La percezione del rischio

La percezione di un rischio, ovvero, quanto una persona considera pericolosa una certa azione o una certa sostanza, non segue le statistiche ed è soggetta a fluttuazioni sulla base delle caratteristiche del rischio in questione [7]. Per esempio, se un rischio è assunto in modo volontario, è giudicato automaticamente meno pericoloso che se lo stesso rischio viene assunto in modo involontario. Se un rischio ha delle conseguenze differite nel tempo è giudicato meno pericoloso che se invece ha delle conseguenze immediate. Se un rischio non è personalmente controllabile, è giudicato più pericoloso rispetto ad un rischio che è personalmente controllabile. In tabella 1 sono elencate alcune delle principali caratteristiche del rischio. Tabella 1 – Principali caratteristiche del rischio usate in uno studio di Savadori et al. (1998)8 Volontarietà del rischio: le persone fronteggiano questo rischio volontariamente? (1 = per niente volontario, 7 = estremamente volontario) Immediatezza dell’effetto: dopo essere entrati in contatto con la sostanza, tecnologia, comportamento, in che misura il rischio di morte è immediato o avviene dopo un certo tempo? (1 = immediato, 7 = dopo un certo tempo) Conoscenza del rischio: in che misura il rischio è conosciuto dalle persone che vi sono esposte? (1 = per niente conosciuto, 7 = molto conosciuto) Conoscenza della scienza: in che misura il rischio è conosciuto dalla scienza? (1 = per niente conosciuto, 7 = molto conosciuto). Controllo personale: nel caso tu fossi esposto a questo rischio, in che misura potresti con la tua abilità personale evitare la morte? (1 = per niente controllabile, 7 = estremamente controllabile) Novità: questo rischio è nuovo o vecchio e familiare? (1 = nuovo, 7 = vecchio e familiare) Cronico/catastrofico: è un rischio che uccide le persone una ad una (cronico) o uccide molte persone tutte insieme? (1 = cronico, 7 =catastrofico) Comune/terrificante: è un rischio a cui le persone pensano in modo calmo e rilassato o che induce reazioni di paura? (1 = calmo, 7 = pauroso) Gravità delle conseguenze: se il rischio si manifesta sotto forma di incidente o malattia, quali sono le probabilità che le conseguenze siano fatali? (1 = per niente fatali, 7 = estremamente fatali) Controllo della gravità: in che misura è possibile con opportune azioni [continua ..]


5. Implicazioni per gli incidenti da valanga: spiegare gli incidenti da valanga alla luce delle scienze comportamentali

Nei paragrafi precedenti sono stati descritti alcuni dei principali meccanismi di decisione che vengono adottati dagli individui e che determinano le loro scelte. Durante una gita alpinistica le scelte fatte dagli escursionisti sono cruciali. Il bollettino valanghe è fondamentale, ma da solo non è sufficiente a fornire una totale sicurezza in montagna. Una rassegna che ha analizzato gli incidenti da valanga ha trovato che, nonostante tutte le vittime fossero a conoscenza del rischio da valanga, l’83% (34 su 41) degli incidenti erano dovuti ad errori di decisione, piuttosto che a causa del terreno e del manto nevoso [9]. Ian McCammon, un esperto di decisioni in condizioni di rischio da valanga, ha esaminato numerosi incidenti ed ha trovato che la maggior parte di questi accadono su vie che sono familiari agli escursionisti stessi. McCammon sostiene che durante le gite in percorsi familiari il nostro livello di attenzione è diminuito, proprio perché sono familiari e ripetute. Questo è coerente con un meccanismo mentale che è conosciuto in psicologia sociale come «euristica della familiarità». Secondo questo principio, tutto ciò che ci è familiare (che abbiamo già visto, già sperimentato) ci appare migliore, più valido, più corretto, e quindi meno pericoloso. Ma, per spiegare questo dato, potrebbe essere anche utile rifarsi all’overconfidence (cfr. § 3). Ripetere la stessa esperienza aumenta sicuramente la fiducia che abbiamo riguardo alle nostre abilità, che a volte è ben posta, perché diventiamo davvero più bravi, ma altre volte è solo un’illusione, perché la nostra accuratezza non migliora. La ripetizione della stessa gita, inoltre, illude la nostra mente che quella gita sia «migliore». Questa valutazione positiva si traduce in minore percezione del rischio grazie all’euristica dell’affetto (cfr. § 4). L’euristica dell’affetto, infatti, prevede che il nostro giudizio circa un evento, sostanza, tecnologia o comportamento dipenda dal grado in cui questo evento ci piace. Se il percorso scelto per la gita ci piace i rischi vengono giudicati bassi ed i benefici alti. Un’indagine condotta su 304 scialpinisti italiani ed al confine con l’Austria, ha confermato il ruolo dell’overconfidence nella scelta del tour in condizioni di [continua ..]


6. Riflessioni conclusive

Sono numerose le ragioni per cui decidiamo di fare delle scelte che, a posteriori, riteniamo scelte insensate. Le ragioni sono radicate nel sistema stesso con il quale funziona la nostra mente. Euristiche di ragionamento, prospettive di guadagno o perdita, fallacia dei costi sommersi, contabilità mentale, avversione alla perdita, percezione del rischio, e molte altre regole semplici predicono come la nostra mente percepirà le opzioni di scelta, e che cosa sceglierà. Con il senno di poi, le scelte vengono rivalutate in una prospettiva diversa, che ci permette di osservare gli eventi entro un framing più ampio, che notoriamente gli economisti chiamano «razionale». Con il senno di poi ci accorgiamo dei nostri errori decisionali, ma che sul momento non potevano essere osservati. L’ultimo punto su cui vorrei soffermarmi, infatti, riguarda la possibilità di evitare gli errori descritti nei paragrafi precedenti. Purtroppo, la ricerca ha messo in luce il fatto che sia molto difficile evitare gli errori. Essi sono, per così dire, intrinseci al nostro sistema mentale. Quello che possiamo fare è riconoscere le condizioni in cui l’errore può manifestarsi e porsi delle domande per contrastarlo. Per esempio porsi delle domande controfattuali come: «andrei a fare la gita, se non avessi speso tutti quei soldi nell’attrezzatura nuova?», serve a comprendere se la motivazione che ci spinge ad andare in gita è legata al solo ottenimento del piacere della gita o se siamo, per esempio, mossi dai costi sommersi. Tuttavia, come dice Daniel Kahneman, solo una mente molto disciplinata ed allenata è in grado di porsi queste domande.


NOTE
Fascicolo 1 - 2018