Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Sulla rilevanza esterna delle sanzioni sportive (di Tommaso Mauceri, Professore associato di Diritto privato nell’Università di Catania.)


The paper investigates whether and in which cases the acts of sporting justice are relevant in the state system (art. 1, co. 2, l. 280/2003) despite the fact that this matter is reserved to the sports system (art. 2). The author disagrees with those who investigate the type or the importance of the damaged interest, and focuses first the ratio of the reserve to the sports system and then on groups of cases for which are not found the requirements underlying this reserve. The author finally focuses the remedies by which the victim’s sport punishment must be satisfied, and take distances both from the orientation that put for granted the compensation for damages and from the idea of ​​excluding specific remedies.

SOMMARIO:

1. Sanzioni disciplinari sportive e cognizione del giudice statale. Cenni introduttivi - 2. Gli orientamenti giurisprudenziali. Osservazioni critiche - 3. La ratio della riserva di materie all’ordinamento sportivo - 4. La rilevanza esterna degli atti di giustizia sportiva. La lesione di situazioni giuridiche soggettive meramente «connesse». Le sanzioni inflitte con animus nocendi o colpa grave - 5. Tecniche di rilevanza nell’ordinamento statale delle situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo: il risarcimento del danno e la tutela in forma specifica - NOTE


1. Sanzioni disciplinari sportive e cognizione del giudice statale. Cenni introduttivi

Si sta facendo strada l’idea secondo la quale, nell’ipotesi in cui una sanzione sportiva leda ingiustamente interessi giuridicamente rilevanti, una volta esperiti i rimedi endofederali, è sempre ammessa un’azione davanti al giudice statale volta a ottenere una condanna al risarcimento del danno. Si evidenziano, però, contrasti giurisprudenziali sia con riferimento al danno per il quale andrebbe riconosciuto il diritto al risarcimento sia con riferimento all’esperibilità di tutele ulteriori (ad es., in forma specifica). Le maggiori incertezze e ambiguità riguardano i criteri di selezione dei casi di rilevanza nell’ordinamento statale delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte nel processo sportivo e, cioè, il modo in cui viene sbrigativamente risolta la questione del­l’an della c.d. «rilevanza esterna»; ambiguità che inevitabilmente si ripercuotono sulle soluzioni offerte al quesito circa le tecniche di rilevanza (il quomodo) (§ 2).

La questione della «rilevanza esterna» delle sanzioni sportive è stata tradizionalmente affrontata nella prospettiva generale delle tematiche di fondo del c.d. «diritto sportivo» come l’autonomia del suo ordinamento, la natura giuridica del «vincolo sportivo» ovvero i limiti di validità ed efficacia delle clausole e delle regole statutarie che lo prevedono [1]. Emanato il d.l. 19 agosto 2003, n. 220 («disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva») convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280 [2], si tratta di interpretarne le relative disposizioni. Nel riconoscere e favorire il principio del­l’auto­nomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale (principio in funzione del quale vengono espressamente ordinati i rapporti fra i due ordinamenti), la legge del 2003 fa al contempo «salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo» (art. 1, comma 2). Questa disposizione comunica che, a volte, «connesse» con l’ordinamento sportivo sono implicate situazioni giuridiche soggettive rispetto alle quali l’ordinamento generale non può restare indifferente, ma non esplicita i criteri di selezione delle classi di casi per cui si impone la tutela statale né attraverso quali tecniche essa dovrà operare.

Un dato da cui partire è che all’ordinamento sportivo vengono riservate le questioni concernenti: «a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive» (art. 2, «autonomia dell’ordinamento sportivo»). Dalla ricostruzione della logica e della ragion d’essere di questa riserva (§ 3), muoverà l’indagine volta a stabilire se e in quali casi, anche nelle materie riservate, debba operare la clausola di salvaguardia di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo (§ 4).

Soltanto dopo che ci si è interrogati sul senso (sull’an) della rilevanza esterna degli atti della giustizia sportiva, si può passare a considerare il profilo del quomodo e, cioè, le tecniche rimediali invocabili davanti al giudice statale (§ 5).


2. Gli orientamenti giurisprudenziali. Osservazioni critiche

In giurisprudenza, è ormai consolidato l’orientamento secondo il quale, davanti al giudice statale, non sarebbe esperibile una tutela in forma specifica quale, per esempio, la correzione o l’annullamento della sanzione sportiva incongrua mentre, invece, è ammessa una condanna al risarcimento del danno [3]. Per quanto riguarda il campo d’azio­ne di questa tutela risarcitoria, si tende a distinguere tra giustizia disciplinare tecnica e giustizia disciplinare non tecnica. Si ritengono, infatti, sottratte alla sindacabilità del giudice statale le sanzioni inflitte nell’applicazione di regole «tecniche» (volte cioè a garantire il corretto svolgimento della gara nel campo di gioco), mentre, invece, sarebbero oggetto del giudizio di illiceità le sanzioni di tutte le altre infrazioni disciplinari quali, ad esempio, scommesse, doping, offese alle federazioni o ad altri tesserati, comportamenti sleali in genere [4]. Talvolta, si è fatto ricorso a un’ulteriore distinzione tra sanzioni inflitte dalle federazioni nell’esercizio di un’attività di natura privatistica e sanzioni inflitte dagli organi del Coni nell’esercizio di un’attività di natura pubblicistica ritenendosi che soltanto nel secondo caso si configurerebbero situazioni giuridiche (recte, interessi legittimi) tutelabili davanti al giudice statale (al Tar del Lazio) [5]. In alcune pronunzie, si trova anche affermato il principio secondo il quale vi sarebbe comunque spazio per l’intervento del giudice statale ogniqualvolta la sanzione sportiva abbia leso un diritto indisponibile come, ad esempio, l’onorabilità del soggetto sottoposto a procedimento disciplinare [6].

Quanto al fondamento della regola risarcitoria accennata, non risulta affrontato esplicitamente il quesito circa la norma o il principio cui sarebbe riconducibile e, in particolare, se si tratti di un’applicazione in via diretta o analogica dell’art. 1218 ovvero dell’art. 2043. Sembra, però, che, in contraddizione ai recenti orientamenti imperniati sulla figura del c.d. «contatto sociale», sia data per scontata la configurabilità di un’ipotesi di responsabilità aquiliana.

A proposito del danno risarcibile, all’orientamento seguito dal Tar Lazio [7], secondo il quale opererebbero gli ordinari criteri di selezione dei danni (e, in particolare, l’art. 1223 c.c.), si contrappongono due peculiari prese di posizione: a) secondo il Consiglio di Stato il «perimetro della tutela risarcitoria» andrebbe circoscritto «all’eventuale lesione interna ad un corretto sviluppo della “attività sportiva”» mentre non sarebbe mai risarcibile «la perdita di utilità commerciali» [8]; secondo la Cassazione, invece, sarebbe consentito solo un equo ristoro delle ricadute patrimoniali della lesione «di posizioni giuridiche [che continuerebbero a essere] rilevanti solo per il mondo dello sport» [9].

Soggetti legittimati attivi sono considerati sia i singoli atleti tesserati che le associazioni e le società affiliate alle federazioni. Soggetti legittimati passivi sono ritenuti senz’altro il Coni e le federazioni, a seconda che l’organo di giustizia sportiva abbia operato per conto dell’uno o delle altre, mentre manca una presa di posizione sulla responsabilità personale dei giudici, dato che finora non sono mai stati chiamati in causa singolarmente.

Gli argomenti dei giudici che più avvertiamo l’esigenza di porre in discussione sono costituiti dalle ragioni addotte a fondamento del principio dell’assoluta irrilevanza per l’ordinamento generale della giustizia sportiva c.d. «tecnica» [10]. La giurisprudenza afferma che un intervento del giudice statale nelle questioni tecniche sarebbe precluso sia per la ragione che questi non dispone delle necessarie competenze sia in considerazione del rischio che venga riscritto l’esito della competizione agonistica a una distanza di tempo inaccettabile (considerata l’esigenza di istantaneità e rapidità del fenomeno sportivo). Il principio della c.d. «indifferenza statale», poi, viene giustificato con la considerazione secondo la quale le regole tecniche, in quanto volte a garantire il corretto svolgimento della competizione, non sarebbero configurabili come norme di relazione e, perciò, non coinvolgerebbero situazioni soggettive rilevanti nell’ordina­mento statale.

La prima linea argomentativa è in via di principio condivisibile, ma non convince nella misura in cui distingue tra giustizia tecnica e no, trascurando che i rilevati ostacoli a un intervento del giudice statale sono ravvisabili, in realtà, anche in relazione a sanzioni sportive che riguardano (non già regole squisitamente tecniche bensì) comportamenti sleali tenuti fuori dal campo di gioco. Basti pensare al filone di sanzioni sportive inflitte in occasione della vicenda c.d. «calciopoli» del 2006 per riscontrare come un’appropriata valutazione delle condotte incriminate non avrebbe potuto prescindere da specifiche competenze circa le fattispecie di «illecito sportivo» (art. 6, comma 1 CGS) e di «violazione dell’obbligo lealtà sportiva» (art. 1, comma 1 CGS) [11]; come è altrettanto evidente che una presa di posizione del giudice statale diversa da quella assunta dalla giustizia sportiva avrebbe potuto riscrivere (o riscriverebbe, ove ancora possibile) l’esito delle competizioni a distanza di molti anni.

L’idea che le regole tecniche non sarebbero «norme di relazione» e, quindi, non coinvolgerebbero situazioni soggettive giuridicamente rilevanti, poi, si rivela incongrua e frutto di una mera astrazione concettuale se si rivolge l’attenzione ad alcuni esempi concreti. Si immagini che l’arbitro di un incontro di pugilato valuti erroneamente le condizioni fisiche di uno dei due contendenti e perciò disapplichi la regola («tecnica») secondo la quale deve porre fine all’incontro «ogni qualvolta ritenga che uno dei due pugili si trovi in stato di evidente inferiorità fisica o tecnica e quindi non in grado di continuare» [12]. Dall’errore tecnico dell’arbitro consegue un pregiudizio a un interesse fondamentale della persona come il bene salute [13]. Del resto, il pregiudizio a un interesse fondamentale della persona può ravvisarsi anche direttamente nell’as­sunzione di un erroneo provvedimento disciplinare in applicazione di una regola tecnica: pensiamo, ad esempio, a una ignominiosa espulsione per simulazione o per un altro comportamento gravemente scorretto in realtà insussistente. In casi del genere, ad esser lesa è l’identità personale e professionale del campione sportivo vittima dell’in­giusta sanzione. Ancora: l’annullamento di un gol regolare, l’attribuzione della c.d. «sconfitta a tavolino» o la penalizzazione di punti in classifica possono determinare la retrocessione di categoria (la perdita del c.d. «titolo sportivo») e così la lesione del­l’avviamento aziendale e della stessa immagine della vittima della sanzione [14].

Perplessità suscita anche la giurisprudenza che distingue tra atti emanati dagli organi delle federazioni in qualità di soggetti di diritto privato e atti emanati da organi del Coni che si configurerebbero, per ciò solo, come atti di natura pubblicistica. Soltanto nel secondo caso sussisterebbero situazioni giuridiche soggettive rilevanti nel­l’or­dinamento statale e, più precisamente, interessi legittimi tutelabili davanti al giudice amministrativo [15]; mentre, invece, la rinunzia alla tutela di interessi eventualmente incisi da atti federali di natura privatistica sarebbe intangibile in quanto libera espressione dell’autonomia associativa non contrastante con princìpi pubblicistici. In tal modo, si incrina il principio dell’autonomia della giustizia sportiva giacché si apre uno spazio tendenzialmente illimitato per un sindacato del giudice amministrativo. Infatti, per quasi tutte le sanzioni disciplinari (con la sola eccezione di quelle irrisorie), è previsto un ultimo grado di giustizia sportiva davanti a un collegio che agisce in veste di organo del Coni e le cui decisioni sarebbero, quindi, sempre impugnabili dinanzi al Tar [16]. Questo orientamento si mostra debole anche per il fatto che si fonda su un principio, la natura pubblicistica di qualsivoglia attività del Coni, che è tutt’altro che scontata [17] e comunque non connaturata alla gestione del fenomeno sportivo; come risulta peraltro dal dato che in quasi tutti gli altri ordinamenti continentali l’ente collettivo corrispondente al nostro Coni (e non si trascuri che si tratta di articolazione del Comitato olimpico internazionale), ha natura privatistica.

Occorre, infine, vagliare l’orientamento che discrimina le pretese esercitabili dinanzi al giudice statale a seconda che si tratti di far valere diritti per loro natura indisponibili. A tale stregua, si sostiene che una sanzione sportiva non sia sindacabile dal giudice ordinario se la sua portata si risolve all’interno della dinamica dell’evento spor­tivo o del rapporto endoassociativo, mentre invece avrebbe rilevanza esterna nella misura in cui incida «sullo status» della persona sanzionata, sulla sua immagine, sul­l’onorabilità del suo profilo professionale [18]. Il rischio che anche questo orientamento introduce di un intervento statale pervasivo si coglie agevolmente se si riflette sull’im­portanza sempre maggiore che, nel mondo mediatico, hanno assunto l’identità e l’im­ma­gine dei protagonisti sportivi [19]; tanto più se si ritiene di condividere la prospettiva generale secondo la quale il diritto all’identità e il diritto all’immagine sarebbero configurabili anche in capo a enti collettivi e, quindi, anche in capo a gruppi sportivi e a società [20].

Nella prospettiva secondo la quale, invece, la riserva all’ordinamento sportivo (prevista dall’art. 2 della legge del 2003) sarebbe assoluta è stata sollevata questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 24, 103 e 113 [21]. Con una sentenza interpretativa di rigetto [22], la Corte costituzionale ha affermato che non si tratta di una riserva assoluta e cioè che, laddove siano configurabili situazioni giuridiche soggettive rilevanti nell’ordinamento della repubblica, secondo l’art. 2 della legge, v’è sempre la possibilità di un intervento del giudice amministrativo (in sede di giurisdizione esclusiva). La Corte, però, non ha chiarito in forza di quali criteri si determinino i casi di rilevanza esterna (l’an della rilevanza) e, sul piano delle tecniche di rilevanza (del quomodo), si è limitata a recepire la tesi (tutt’altro che dimostrata) del­l’esperibilità del solo rimedio risarcitorio ([23]).

Nel raccogliere le indicazioni svolte a proposito degli orientamenti giurisprudenziali, possiamo a questo punto sottolineare l’assenza di una compiuta ricostruzione delle scelte effettuate dal legislatore con la legge del 2003 e la riproposizione di risalenti costruzioni concettuali che divengono, in tal modo, argomenti retorici di decisioni sottratte a un controllo razionale. La giurisprudenza, pur dando atto (e molto spesso trascrivendo gli enunciati principali) della legge del 2003, non si è mossa nell’ottica di coglierne la razionalità e, così, attribuirvi un significato preciso, ma vi ha sovrapposto criteri risolutivi (elaborati prima della sua emanazione) che rischiano di riscriverne il contenuto. Questo è avvenuto quando si è operata una scissione tra «regole tecniche» e «questioni disciplinari» che invece, nella legge, sono trattate insieme e sottoposte alla medesima riserva in favore dell’ordinamento sportivo o quando si è fatto leva sul criterio della rilevanza pubblicistica dell’attività sanzionatoria che, nella legge non risulta recepito. È pur vero quanto la giurisprudenza seguita a rimarcare e, cioè, che il legislatore è intervenuto d’urgenza in una congiuntura eccezionale e che non ha offerto criteri puntuali e precisi di selezione delle questioni per le quali debba recedere il principio di indifferenza dell’ordinamento statale [24]. Ma la presenza di locuzioni indeterminate non toglie che la scelta del legislatore racchiuda una propria razionalità che spetta, per l’appunto, all’interprete ricostruire secondo il disposto dell’art. 12 delle preleggi (specialmente secondo il criterio della «intenzione del legislatore») [25].


3. La ratio della riserva di materie all’ordinamento sportivo

L’errore di fondo in cui cade la giurisprudenza consiste nella convinzione che le situazioni soggettive necessariamente rilevanti nell’ordinamento generale sarebbero individuabili sul piano, per così dire, «ontologico» della consistenza o qualità della situazione giuridica lesa (ad es., della sua qualificabilità in via di principio in termini di diritto soggettivo indisponibile ovvero di interesse legittimo) [26]. Si presume che le regole tecnico-sportive siano per lo più inidonee a far sorgere (o comunque a coinvolgere) situazioni rilevanti nell’ordinamento generale e non ci si rende conto che ciò riguarda ormai un ambito limitato del fenomeno sportivo e, cioè, quello del dilettantismo privo di risonanza mediatica. Negli sport più seguiti e economicamente rilevanti, è sempre riscontrabile il diritto all’iniziativa imprenditoriale e alla preservazione del­l’azienda. Basti ricordare che, a partire dal 1996, le società sportive perseguono lecitamente lo scopo di lucro [27]. Anziché interrogarsi circa le regole della giustizia sportiva che (in quanto norme di relazione ovvero di rilevanza pubblicistica) sarebbero idonee a far sorgere diritti azionabili davanti al giudice statale, ci si deve chiedere, al­l’opposto, se e per quali ragioni all’ordinamento sportivo si riconosce in alcune materie la forza di rendere irrilevanti situazioni giuridiche in via di principio certamente meritevoli di protezione normativa.

Orbene, la legge del 2003, proprio laddove precisa quali sono le materie riservate al­l’ordinamento sportivo e laddove, d’altro canto, richiama le materie comunque sottoposte alla cognizione del giudice statale, consente di cogliere le ragioni per le quali le tutele apprestate dall’ordinamento generale non sono attivabili e offre, quindi, utili indicazioni circa il significato da attribuire alla c.d. «clausola di salvaguardia» ovverosia all’indeterminata locuzione «salva la rilevanza nell’ordinamento della repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo».

Occorre anzitutto sottolineare come siano trattate insieme, e riservate entrambe al­l’ordinamento sportivo, sia le questioni concernenti «l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie» sia «i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni» [28]. Con riferimento alla materia per prima richiamata, la legge indica esplicitamente anche lo scopo della riserva all’ordinamento sportivo: «al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive». Per quanto riguarda la giustizia disciplinare, non si ritrova analoga precisazione che, del resto, suonerebbe riduttiva riscontrandosi, in tal caso, l’ulteriore finalità di garantire il buon andamento del rapporto associativo [29].

Affinché le attività sportive si svolgano correttamente e sia garantito il buon andamento del rapporto associativo è necessario: a) che le decisioni che incidono sul­l’an­damento dei campionati siano assunte in modo rapido e definitivo; b) che vi provvedano arbitri e giudici specificamente competenti in materia vuoi di regole tecniche della gara sportiva vuoi di canoni di comportamento degli associati in quanto tali. Evidentemente, un ingresso generalizzato del sindacato del giudice statale sulle sanzioni sportive porrebbe a repentaglio entrambe le esigenze [30]. Si registrerebbe un’intollera­bile protrazione del tempo entro il quale si deve cristallizzare la definitività del risultato sportivo senza alcuna garanzia che la valutazione del giudice statale, tipicamente inesperto di giustizia sportiva, sia alla fine più congrua di quella effettuata dal giudice sportivo. Con riferimento al rimedio risarcitorio, poi, non si dovrebbe trascurare il rischio di compromissione di un ulteriore interesse, imprescindibile nello sport, e cioè l’esigenza che i gareggianti del medesimo campionato (o categoria) siano posti sullo stesso piano e ricevano un trattamento paritario. Una volta che si ritenesse l’operato di arbitri e giudici sportivi sottoposto alla logica economica della responsabilità per danni (al di là della natura onorifica del loro ingaggio), non sarebbe da escludere che il grado di diligenza impiegato si commisuri al danno atteso, con la conseguenza che verrebbe riservata un’attenzione maggiore ai gareggianti che lucrano maggiori profitti dall’attività sportiva [31]; in contraddizione con principi come il c.d. competitive balance ovvero il fair play finanziario.

Resta fermo che nei rilevanti rapporti economici tra società, professionisti sportivi e altri operatori (come, ad esempio, sponsor) che si innestano sul fenomeno sportivo viga il principio pacta sunt servanda e, in nome di questo, siano disciplinati i rischi correlati a eventuali sanzioni sportive (salvi, ovviamente, appositi peculiari accordi pattizi). Per questi rapporti, infatti, la legge fa salva la giurisdizione del giudice ordinario che, incidentalmente, potrà anche valutare la congruità di una sanzione sportiva o la reale imputabilità di essa al professionista o al gruppo sportivo che l’ha subìta al fine di riconoscere il diritto al risarcimento del danno [32].


4. La rilevanza esterna degli atti di giustizia sportiva. La lesione di situazioni giuridiche soggettive meramente «connesse». Le sanzioni inflitte con animus nocendi o colpa grave

Pare, allora, che, in via generale, rispetto alle sanzioni sportive incongrue un intervento riparatore del giudice statale debba essere precluso [33]. Accolta questa soluzione, acquisisce senso compiuto anche l’affermazione del principio di autonomia dell’ordi­na­mento sportivo che, lungi dal costituire una mera formula retorica, dà un preciso orientamento all’interprete (art. 1, comma 2, del d.l. n. 220/2003) [34]. Subito dopo l’afferma­zione del principio di autonomia, si è già visto, v’è la clausola di salvaguardia delle situazioni giuridiche rilevanti nell’ordinamento statale connesse con l’ordinamento sportivo. Si deve ritenere che, con riferimento alle sanzioni sportive, questa clausola sia in realtà inapplicabile o anche all’interno di quest’ambito si possono profilare ipotesi per le quali il principio di indifferenza dell’ordinamento statale va messo di canto?

Un primo spazio di intervento del giudice statale si apre con riferimento all’ipotesi che la sfera giuridica dello sportivo sia lesa non già dall’inflizione della sanzione (in quanto viziata da una svista o una misura sproporzionata), bensì per l’omessa cura di suoi interessi indirettamente coinvolti nella vicenda. Pensiamo a un procedimento per doping nel corso del quale, con violazione della privacy, siano rivelati all’esterno vicende intime dell’incolpato che niente hanno a che vedere con il procedimento disciplinare. Si prenda anche in considerazione il caso che, nell’ambito di un procedimento per violazione del fair play finanziario, i giudici sportivi procedenti rendano noti alcuni segreti aziendali della società sportiva indagata. In casi del genere, pare appropriata l’idea della rilevanza esterna proprio per la ragione che l’interessato dal procedimento sportivo non viene pregiudicato dal provvedimento in sé di giustizia sportiva vedendo così tradursi in atto un rischio tipico della sua professione, bensì subisce un’aggres­sione alla propria sfera giuridica che risulta abnorme rispetto al vincolo al quale si è sottoposto. Tenendo fermo il principio di indifferenza dell’ordinamento statale si sacrificherebbe un interesse senza che ciò risulti giustificato dall’esigenza di preservare la genuinità e l’agonismo della competizione o il buon andamento dell’associazio­ni­smo sportivo. E, infatti, rispetto alla condanna che il giudice statale è chiamato a pronunciare non si profila né il rischio di una riscrittura tardiva dell’esito della competizione sportiva né l’ostacolo rappresentato dal deficit di conoscenze specifiche: il fenomeno sportivo viene in considerazione come un qualunque contesto in occasione del quale si è determinata una lesione la cui valutazione rimanda alle norme e ai princìpi dell’ordinamento generale. Ne deriva anche che il criterio di imputazione della respon­sabilità potrà risultare persino aggravato rispetto a quello ordinario della colpa, come ad esempio quando si tratti di applicare i criteri di accertamento della responsabilità previsti in tema di illecito trattamento dei dati personali [35].

Il termine «connesse», quindi, acquista una precisa accezione, nel senso che designa una sorta di requisito negativo. Si tratta, cioè, di accertare non già se un interesse meritevole di tutela nella vita di relazione presenti una connessione con l’ordinamento sportivo bensì che la posizione giuridica lesa non tragga origine dal fenomeno sportivo ovvero non risulti sacrificata all’esigenza del corretto svolgimento dello stesso, ma sia meramente connessa con questo. Così, ad esempio, è sicuro che il c.d. «titolo sportivo», ovverosia l’appartenenza di un atleta o di un gruppo sportivo al massimo campionato (ovvero la qualifica di campione in carica di quel campionato), costituisce «uno dei principali elementi dell’avviamento di un’impresa sportiva» [36]. Ma è anche vero che tale situazione giuridica, per quanto acquisti autonoma rilevanza nel mondo economico, non è semplicemente «connessa» col fenomeno sportivo bensì trova in esso fondamento [37]. E ciò vale anche per il diritto all’immagine che lo sportivo abbia esposto a pericolo nella partecipazione al campionato laddove la lesione traduca in atto un rischio, quello di errori e défaillance nella giustizia sportiva (sia tecnica che disciplinare), che deve ritenersi tipico nello svolgimento dell’attività agonistica o nel fenomeno associativo.

La soluzione che si sta qui delineando risulta coerente con i consolidati orientamenti circa la configurabilità di un fatto illecito in caso di lesioni (o di altre offese) alla persona, arrecate durante lo svolgimento dell’attività agonistica. A tale riguardo si concorda nel ritenere che un illecito fonte di responsabilità sia configurabile soltanto quando la condotta esuli in modo abnorme dal c.d. «rischio sportivo» e sia tenuta con assoluto disprezzo del principio c.d. di «lealtà sportiva» [38].

Il c.d. «rischio sportivo» e il connesso principio di «lealtà sportiva» costituiscono tratti essenziali dell’attività agonistica [39] e la prospettiva su questi aspetti incardinata consente di cogliere l’altro importante limite dell’autonomia della giustizia sportiva. Se è vero che i giocatori sono esposti, nella loro integrità di sportivi e di uomini, alle offese che, pur conseguenze di errori o eccessi, rientrino comunque nelle ordinarie dinamiche della competizione e delle connesse attività disciplinari, a considerazioni diverse si presta il caso in cui l’offesa esorbiti da tali dinamiche.

Con riferimento ai provvedimenti disciplinari, va allora presa in considerazione l’ipotesi che l’ingiustizia della sanzione sia connotata dall’intenzione di nuocere al destinatario (o di favorire suoi concorrenti). Al di là dell’evenienza, nei fatti probabile, che si configuri una fattispecie di reato è, più in radice, proprio la logica costitutiva del principio di indifferenza che ne impone una messa in disparte: se l’indifferenza del­l’ordinamento generale si giustifica in funzione della rilevanza sociale della genuinità e correttezza del fenomeno sportivo, essa risulta priva di senso laddove la regolamentazione dell’attività sportiva risulti asservita alla finalità di nuocere a qualcuno dei suoi partecipanti.

La soluzione indicata, oltre che con gli stessi valori sottesi al principio di autonomia del diritto sportivo, risulta coerente con molteplici indici rinvenibili nell’ordina­mento, già nella Costituzione. Occorre infatti considerare che le formazioni sociali sono tutelate e garantite in quanto in esse si esplichino la personalità e la dignità dei singoli: la garanzia dei corpi intermedi non può essere scissa dalla garanzia dei diritti fondamentali delle persone che vi esprimono la loro personalità [40]. Se una rinunzia di tutela può imporsi, in nome di consolidate e virtuose prassi sociali, per le condotte (sia pure lesive ma comunque) in linea con l’esigenza di espressione della personalità nella dinamica (e nell’alea) sportiva, non v’è alcuno spazio di deroga rispetto a illeciti dolosi.

Con riferimento al codice civile, occorre richiamare il principio racchiuso nell’art. 833 la cui valorizzazione, infatti, costituisce uno degli argomenti principali nella letteratura sugli illeciti connotati da dolo specifico [41].

Sempre a sostegno della tesi della responsabilità, militano le disposizioni che regolano la responsabilità degli arbitri (art. 813-ter c.p.c.) [42], sul piano quanto meno del­l’ap­plicazione analogica [43].

A questo punto, pare utile rivolgere lo sguardo ai casi nei quali la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. Innanzitutto, va precisato che, nonostante un numero tutt’altro che esiguo di controversie, sono invece assai rare le condanne al risarcimento del danno. In un caso, la sentenza di condanna tutela una campionessa di beachvolley, quinta nel ranking mondiale, che all’esito di una fallimentare competizione nella rappresentativa nazionale aveva espresso (sui social e in un vivace confronto) affermazioni denigratorie a danno dell’allenatore che le aveva affiancato la federazione. Davanti al Tar la campionessa lamenta l’ingiusta sospensione della stessa dall’attività sportiva, comminata dalla federazione prima ancora del procedimento disciplinare, e anche il fatto che (nel corso di questo procedimento) non sia stata garantita un’istruzione probatoria adeguata, con la mancata audizione, in particolare, di un testimone [44].

Un altro caso riguardava un campione di ginnastica al quale, in occasione del rinnovo di alcune cariche federali, era stato precluso di esercitare il diritto di voto in qualità di «grande elettore» e che, in seguito, era stato squalificato dalla federazione per un anno per essersi rivolto al Tar in violazione del vincolo sportivo. Una volta che, anche dai massimi organi della giustizia sportiva, viene riconosciuto che il diritto di voto come grande elettore spettasse all’atleta e che la squalifica per un anno fosse ingiusta, sia l’atleta che il suo gruppo sportivo (che, nel frattempo, ha dovuto fare a mano delle sue prestazioni) si rivolgono al Tar per ottenere il risarcimento di ingenti danni connessi alla retrocessione e alla perdita di varie forme di sfruttamento commerciale del­l’attività [45].

Ciò che più interessa sottolineare è come entrambe le vicende siano connotate da una dialettica particolarmente accentuata tra la dignità e la libertà dello sportivo sanzionato (a esprimere le proprie opinioni, nel primo caso, e a esercitare i propri diritti di associato, nel secondo) e l’interesse della federazione a difendere (non tanto il generale interesse al buon andamento associativo quanto) la propria immagine ovvero l’au­torità delle proprie scelte. Non pare allora azzardato il sospetto che, in tali casi, gli organi di giustizia sportiva, pur di tutelare gli interessi della federazione in quanto apparato, abbiano voluto (o comunque accettato il rischio di) ledere la sfera dello sportivo.


5. Tecniche di rilevanza nell’ordinamento statale delle situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo: il risarcimento del danno e la tutela in forma specifica

Si è già rilevato come la giurisprudenza, a tutela delle situazioni giuridiche lese da sanzioni sportive incongrue, tenda a dare per scontata la configurabilità di un’obbliga­zione risarcitoria e a negare, invece, un rimedio in forma specifica. Entrambi i punti di vista esigono alcune notazioni critiche.

La nascita di un’obbligazione risarcitoria, in realtà, non può essere direttamente ricondotta né all’art. 1218 c.c., né all’art. 2043. Va, infatti, considerato che il fenomeno dell’associazionismo sportivo non è inquadrabile nell’ambito dei rapporti squisitamente patrimoniali e che, in particolare, l’amministrazione della giustizia sportiva non si configura come un’utilità o un servizio suscettibile di valutazione economica [46]. Ne consegue che non può essere invocata in via diretta la disciplina del rapporto obbligatorio (artt. 1174 c.c.). Per quanto riguarda l’art. 2043, invece, basti osservare che ci troviamo al di fuori di quel tipo di «invasione della sfera giuridica altrui» in considerazione del quale si struttura la fattispecie risarcitoria [47]. Oltre che con il risalente insegnamento che individua l’ambito dell’art. 2043 nel rischio subìto occasionalmente (e non già nel rischio cui ci si espone dall’interno di una relazione specifica e programmata), l’idea di una sua diretta applicabilità si pone in contrasto con i recenti orientamenti giurisprudenziali che, in tema di responsabilità precontrattuale, hanno accolto la figura del c.d. «contatto sociale» [48].

L’esigenza, quindi, che si debba ricorrere all’analogia non consente di sottovalutare il principio di autonomia e la riserva di materie all’ordinamento sportivo. Proprio per la ragione che si dovrebbe, innanzitutto, accertare il requisito della lacuna, il fatto che una disposizione di legge riservi espressamente all’ordinamento sportivo – che non prevede tutele risarcitorie – la trattazione della materia disciplinare contribuisce a com­plicare l’ingresso del procedimento analogico.

Questi rilievi, tuttavia, non risultano decisivi per i casi rispetto ai quali si è qui riconosciuto uno spazio per l’intervento del giudice statale e, cioè, per il caso di lesione di interessi che non risultino dedotti nel rapporto associativo (ovvero non risultino esposti al c.d. rischio sportivo) e per il caso in cui la sanzione sia stata irrogata con l’in­tenzione di nuocere. Per la prima classe di casi, pare ravvisabile un principio generale in forza del quale chi si trovi a disporre di un bene di un altro, in occasione di una relazione qualificata, ha l’obbligo di non abusarne e di preservarne l’integrità con diligenza (pensiamo, ad esempio, all’art. 1804 s. c.c.). Con riferimento alle sanzioni sportive inflitte con l’intenzione di nuocere, si è già fatto riferimento alle linee argomentative esplorate in sede di teoria generale dei fatti illeciti con riferimento ai fatti dannosi connotati da dolo c.d. specifico.

Resta da prendere in considerazione l’idea della esclusività del rimedio risarcitorio e della supposta impercorribilità di rimedi in forma specifica quali, ad esempio, un annullamento o una riduzione della sanzione sportiva da parte del giudice statale [49]. A questo proposito, va rilevato come si siano apparentemente consolidate alla stregua di principi di diritto vivente posizioni che, in realtà, sono state assunte in connessione al dato di fatto di una situazione ormai irreversibilmente cristallizzatasi [50]. Né, del resto, la questione è stata autonomamente affrontata dalla Corte costituzionale, che si è limitata a ribadire «le difficoltà e l’inopportunità» di un rimedio in forma specifica e ad affermare che, comunque, un’eventuale tutela meramente risarcitoria non sarebbe da considerarsi in contrasto con l’art. 24 della Costituzione [51].

A una riflessione adeguata circa la percorribilità di rimedi in forma specifica (ovvero caducatori o inibitori), ostano, da un lato, l’assenza di compiute indagini circa i criteri di selezione dei casi di rilevanza nell’ordinamento statale di situazioni giuridiche soggettive implicate in materie riservate all’ordinamento sportivo e, dall’altro, il fatto che si tende a dare per scontata la via del rimedio risarcitorio senza che ci si preoccupi di rinvenirne il fondamento. Se, infatti, si prende atto della circostanza che il rimedio risarcitorio non è direttamente riconducibile a puntuali disposizioni, risulta meno convincente l’orientamento che nega una tutela in forma specifica sulla base del rilievo che non sono direttamente invocabili né le tutele predisposte contro l’attività amministrativa illegittima né le tutele caducatorie contrattuali. Una volta che ci si rende conto che il fenomeno della giustizia sportiva esige comunque la messa all’opera del procedimento analogico, si avverte l’esigenza di rappresentare i casi e vedere quali tutele rinvenibili nell’ordinamento si prestino a offrirne la soluzione più razionale. Orbene, tornando a considerare le classi di casi di rilevanza nell’ordinamento statale di interessi lesi nell’ambito della giustizia sportiva, secondo le indicazioni che si sono tratte in precedenza, già con riferimento alla lesione di un interesse meramente connesso (ad es., il diritto alla riservatezza) può profilarsi come appropriata, laddove ancora possibile, una tutela inibitoria; il cui ingresso, del resto, potrebbe anche essere direttamente riconducibile a puntuali disposizioni di legge come quelle in tema di tutela della privacy [52]. E così, anche per quanto riguarda la seconda classe di casi che si è qui configurata – e si pensi, ad esempio, a una lunga squalifica inflitta con l’intenzione di nuocere all’atleta sanzionato – un annullamento della sanzione o comunque una condanna della federazione (prima che a risarcire il danno) a rimuovere il provvedimento illecito presentano un tasso di razionalità maggiore del solo rimedio risarcitorio. In tal senso depongono sia la giurisdizione esclusiva del tribunale amministrativo sia il rischio che il rimedio risarcitorio risulti inadeguato per l’atleta sanzionato e eccessivamente oneroso per la stessa federazione [53].


NOTE

[1] V. esemplarmente F.P. Luiso, La giustizia sportiva, Milano, 1975, p. 266 ss. e passim.

[2] Per esigenze di semplificazione del discorso, in seguito designeremo il d.l. n. 220/2003 come convertito dalla legge n. 280/2003 con la più comoda locuzione «la legge del 2003».

[3] Di recente, Tar Lazio 9 marzo 2016, n. 3055, in Foro it., 2016, III, c. 289 ss., con nota di R. Pardolesi e Cons. Stato 22 giugno 2017, n. 3065, in Corr. giur., 2018, p. 200 ss., con nota di Facci, La responsabilità civile delle Federazioni sportive e la vexata quaestio dei rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo (che si occupano entrambe di una sanzione comminata a un’atleta affiliata alla federazione pallavolo); Tar Lazio 10 novembre 2016, n. 11146, in questa Rivista, 2016, p. 417 ss., con nota di Turchini, Sanzioni disciplinari, risarcimento del danno e lealtà sportiva: alla ricerca di un difficile equilibrio, Tar Lazio 23 gennaio 2017, n. 1163, illustrata in Riv. dir. econ. sport, 2017, 1, p. 19 ss. da P. Sandulli, Discutendo intorno ai limiti della giustizia sportiva ed al vincolo di giustizia, e Cons. Stato 22 agosto 2018, n. 5019, in giustizia-amministrativa.it (che si occupano tutt’e tre di una sanzione comminata a un atleta affiliato alla federazione di ginnastica e dei conseguenti danni allo stesso e al suo gruppo sportivo). Per un quadro aggiornato v. P. Sandulli, Principi e problematiche di giustizia sportiva, Roma, 2018, p. 151 ss.; G. Liotta, L. Santoro, Lezioni di diritto sportivo, 4a ed., Milano, 2018, p. 341 ss.; M. Sanino, Un ulteriore contributo in merito ai profili di giurisdizione in materia di giustizia sportiva, nota Cons. Stato 10 maggio 2018, n. 3036, in Riv. dir. sport, 2018, p. 220 ss.; Id., Giustizia sportiva, Padova, 2016 (specialmente p. 139 ss.); V. Frattarolo, Riflessioni sul tema della responsabilità delle federazioni sportive per i provvedimenti illegittimi degli organi di giustizia federali, in Riv. dir. econ. sport, 2017, 1, p. 33 ss.; M. Sanino, In precedenza v., almeno, L. Ferrara, voce Giustizia sportiva, in Enc. dir., Annali, III, Milano, 2010, p. 506 ss.; Femia, Due in uno. La prestazione sportiva tra pluralità e unitarietà delle qualificazioni, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Napoli, 2009, 235 ss.; A. Verde, Sul difficile rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, ivi, 675 ss.; G. Manfredi, Pluralismo degli ordinamenti e tutela giurisdizionale (I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva), Torino, 2007 (specialmente pp. 222 ss. e 283 ss.); R. Morzenti Pellegrini, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Milano, 2007, p. 195 ss.

[4] Il risalente orientamento secondo il quale non sarebbero conoscibili dal giudice statale soltanto le questioni di giustizia sportiva c.d. «tecnica» è stato tenuto fermo anche dopo la legge del 2003: Cass., Sez. Un., 23 marzo 2004, n. 5775, in Giust. civ., 2005, I, p. 1625 ss., con nota di G. Vidiri, Le controversie sportive e il riparto di giurisdizione; Tar Lazio 19 marzo 2008, n. 2472, in Foro it., 2008, III, c. 599 ss.; Tar Lazio 3 novembre 2008, n. 9547 e Cons. Stato 25 novembre 2008, n. 5782, in Foro it., 2009, III, c. 195 ss., con nota di A. Palmieri; Cons. Stato 24 gennaio 2012, n. 302, in Foro it., 2012, III, c. 213 ss.; Cons. Stato 31 maggio 2013, n. 3002, in Resp. civ., 2013, p. 1579, con nota di A. Stalteri, Il Consiglio di Stato e la pregiudiziale sportiva attraverso l’art. 30 cod. proc. amm.

[5] V., ad esempio, Cons. Stato 9 luglio 2004, n. 5025, in Foro amm. C.d.S., 2005, p. 1218 ss., con nota di L. Ferrara, L’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale si imparruccano di fronte alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport; Tar Lazio 21 aprile 2005, n. 2244 illustrata da E. Lubrano, Il TAR Lazio segna la fine del vincolo di giustizia. La FIGC si adegua, in Riv. dir. econ. sport, 2005, I, p. 21 ss. (e ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali). Per un quadro aggiornato della giurisprudenza v. G. Facci, La responsabilità civile delle Federazioni sportive, cit., p. 207 s. Per la giurisprudenza antecedente alla legge del 2003 v., ad esempio, Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. (ord.) 9 ottobre 1993, n. 536, in Cons. Stato, 1993, p. 1339 s.; Cass., Sez. Un., 10 novembre 1994, n. 9351, in Giust. civ., 1995, I, 391 ss. e le ampie indicazioni di R. Colagrande, Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, in Nuove leggi civ. comm., 2004, p. 714 ss.

[6] Anche in tal caso si tratta di un orientamento precedente all’introduzione della legge del 2003, che tuttavia ha trovato, di recente, nuove e frequenti riproposizioni (soprattutto in occasione di ricorsi avanzati da soggetti sanzionati nella vicenda c.d. «calciopoli»): Tar Lazio 19 aprile 2005, n. 2801, in Pluris-Giur. amm.; Tar Lazio (ord.) 22 agosto 2006, n. 4666, in Foro it., 2006, III, c. 538 ss.; Tar Lazio 22 agosto 2006, n. 7331, in Pluris-Giur. amm.; Tar Lazio 8 giugno 2007, n. 5280 e Tar Lazio 21 giugno 2007, n. 5645, in Foro it., 2007, III, c. 143 ss.; Tar Lazio 5 novembre 2007, n. 10894, in Pluris-Giur. amm.; Tar Lazio 19 marzo 2008, n. 2472, cit.; Tar Lazio 3 novembre 2008, n. 9547, cit.; Tar Lazio 20 dicembre 2010, n. 37668, in Foro it., 2011, III, c. 533 ss. In dottrina v. (con riferimenti anche alla giurisprudenza antecedente alla legge del 2003) R. Morzenti Pellegrini, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, cit., p. 210 (specialmente nota 39); M. Sanino, Giustizia sportiva, cit., p. 164 ss.

[7] Tar Lazio 9 marzo 2016, n. 3055, cit.; Tar Lazio 10 novembre 2016, n. 11146, cit.; Tar Lazio 23 gennaio 2017, n. 1163, cit.

[8] Cons. Stato 22 agosto 2018, n. 5019, in giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato 22 giugno 2017, n. 3065, in Corr. giur., 2018, p. 207 ss., con nota di G. Facci, La responsabilità civile delle Federazioni sportive e la vexata quaestio dei rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo.

[9] Di recente, in motivazione, Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2018, n. 32358, in Foro it., 2019, I, c. 134 ss.

[10] V. supra, nota 4. In giurisprudenza, è d’uso distinguere gli atti della giustizia sportiva in quattro tipologie: a) la giustizia di tipo economico; b) la giustizia organizzativa riguardante il tesseramento degli atleti, l’affiliazione dei gruppi sportivi e l’ammissione ai campionati; c) la giustizia disciplinare non tecnica; d) la giustizia tecnica. Fatta salva, in tutti i casi, la c.d. pregiudiziale sportiva, si ricostruiscono, poi, nel seguente modo i rapporti con l’ordinamento statale: rispetto alla giustizia sportiva di tipo economico, somministrata attraverso un’attività arbitrale, v’è comunque spazio per la cognizione da parte del giudice ordinario; per la giustizia organizzativa e quella disciplinare non tecnica si apre uno spazio per la cognizione da parte del giudice amministrativo laddove si tratti di apprestare una tutela risarcitoria in relazione alla lesione di diritti soggettivi indisponibili o di interessi legittimi; per la giustizia tecnica non sussiste spazio alcuno per una cognizione da parte del giudice statale. Per un’ampia disamina critica e ricche indicazioni giurisprudenziali v. L. Ferrara, voce Giustizia sportiva, cit., p. 506 ss.

[11] V., ad esempio, Tar Lazio 20 dicembre 2010, n. 37668, cit.

[12] Per l’illustrazione della regola e di alcuni casi realmente accaduti, G. Agrifoglio, Pugilato e sport da combattimento. Divieto di disporre del proprio corpo o libertà di scegliere il proprio modo di vivere?, in Europa e dir. priv., 2018, p. 753 ss. (specialmente pp. 755 ss. e p. 793 s.); l’A. si sofferma sulle caratteristiche della boxe e mette in evidenza come nell’attività agonistica (e nell’applicazione delle regole tecniche che la disciplinano), soprattutto negli sport a violenza necessaria, diritti, anche indisponibili e costituzionalmente garantiti quali la salute, debbano ritenersi (non già intangibili bensì) rinunziati in nome della libertà di scegliere come esprimere la personalità (art. 2 Cost.).

[13] Analoghe considerazioni varrebbero anche per il caso in cui un arbitro di calcio non interrompa il gioco nonostante un colpo alla testa che esigerebbe un pronto intervento medico ovvero consenta a un giocatore di giocare senza l’obbligatorio parastinco o con una ferita aperta, ovvero non sospenda una partita nonostante il campo si sia riempito di ghiaccio e procuri per ciò una lesione a un gareggiante.

[14] Per un caso di sconfitta a tavolino determinante la retrocessione v., nel senso del difetto assoluto di giurisdizione, Tar Lazio 9 giugno 2011, n. 5177 e Cons. Stato 27 aprile 2011, n. 2485 edite (insieme ad altre) in questa Rivista, 2012, p. 119 ss., con nota di V. Romano, Ordinamento sportivo e risarcimento del danno: di giurisdizioni azzoppate, monstra logici e altre amenità dottrinali. Nel senso della giurisdizione statale, ma con riguardo a una penalizzazione di punti inflitta per violazione (non già di una regola tecnica bensì) del vincolo sportivo, Tar Lazio 21 aprile 2005, n. 2244, cit. (annullata la penalizzazione dal Tar, la società sportiva ha mantenuto la categoria dalla quale, altrimenti, sarebbe retrocessa).

[15] V. supra, nota 5.

[16] Si tratta oggi del Collegio di garanzia dello sport presso il Coni, che è subentrato all’Alta Corte di giustizia sportiva e al Tribunale nazionale dello sport che, a sua volta, avevano ereditato competenze dalla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport. Precisiamo che, nel testo, non si tratta della questione della sussistenza, in via di principio, della giurisdizione del giudice amministrativo, bensì del problema di merito se vi sia spazio o meno per un intervento correttivo del giudice statale. Nel senso che la giurisdizione sia sempre in via di principio configurabile e che la cognizione da parte del giudice statale costituisca una questione di merito si esprime costantemente la Cassazione (diversamente dal Tar e dal Consiglio di Stato) – e v., ad esempio, Cass., Sez. Un., 23 marzo 2004, n. 5775, cit. e da ultimo Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2018, n. 32358, cit.

[17] Per un argomentato rifiuto della tesi pubblicistica v. già F.P. Luiso, La giustizia sportiva, cit., pp. 79-196. In questa direzione si è mosso, poi, il legislatore (d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242) e lo stesso Consiglio del Coni (v., in partic., l’art. 23 dello Statuto). Con riferimento alla legislazione vigente v., in vario senso, C. Alvisi, Autonomia privata e autodisciplina sportiva. Il C.O.N.I. e la regolamentazione dello sport, Milano, 2000 (specialmente p. 307 ss.); M. Basile, L’autonomia delle federazioni sportive, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 315 ss.; F. Blando, Sanzioni sportive, sindacato giurisdizionale, responsabilità risarcitoria, in Danno resp., 2011, p. 928 ss.; F. Goisis, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, p. 70 ss.; L. Ferrara, L’ordinamento sportivo: meno e più della libertà privata, in Dir. pubbl., 2006, p. 21 ss., che arriva a porre in dubbio la legittimità costituzionale della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rilevando, tra l’altro, che «lo stesso statuto del C.O.N.I., così come approvato con d.m. 23 giugno 2004, recita testualmente all’art. 23, co. 1 bis, che “la valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche connesse”». In precedenza cfr. G. Napolitano, La nuova disciplina dell’orga­nizzazione sportiva italiana: prime considerazioni sul decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242, di riordino del C.O.N.I., in questa Rivista, 1999, p. 621 ss.

[18] V. supra, nota 6.

[19] Non è allora strano che la regola affermata in via di principio venga poi spesso disapplicata nei fatti con evidenti forzature come l’assunto secondo il quale la retrocessione di un arbitro dalla serie A alle categorie dilettanti giovanili non inciderebbe sull’onorabilità e sull’immagine professionale dello stesso: Tar Lazio, 5 novembre 2007, n. 10894, cit. A proposito della posizione assunta poi dal Consiglio di Stato v. G. Facci, La responsabilità civile delle federazioni sportive, cit., p. 208, nota 27.

[20] E si pensi, ancora una volta, al «caso calciopoli» per constatare come, accogliendo l’orientamento in discorso, si dovrebbe aprire uno spazio di intervento amplissimo in capo al giudice statale, dato che è evidente che tutti i provvedimenti adottati nella giustizia sportiva, ove incongrui, avrebbero certamente leso il diritto all’identità e all’immagine delle persone e dei club sportivi sanzionati. O si riproponga il caso dell’arbitro che, per una svista, espelle da un’importante competizione un giocatore imputandogli una grave e disdicevole scorrettezza: nessuno reputa che una svista di questo tipo sia rimediabile nell’or­di­namento generale eppure è evidente il vulnus all’immagine del giocatore.

[21] Tar Lazio 11 febbraio 2010, n. 241, in Foro it., 2010, III, c. 528 ss., con nota di A. Palmieri, che ha dato luogo alla sentenza della Corte costituzionale di cui infra, nella nota che segue.

Di recente, la questione di legittimità costituzionale è stata riproposta da Tar Lazio 11 ottobre 2017, n. 10171 e v., al riguardo, P. Sandulli, In tema di risarcimento del danno derivante da un’ingiusta sanzione sportiva: tra vecchie questioni e nuovi profili di costituzionalità, in Riv. dir. econ. sport, 2017, 3, 107 ss. Per alcune rapide indicazioni sulla conseguente sentenza della Corte Costituzionale che (successivamente al primo invio alla rivista del presente scritto) è stata depositata v., infra, nota 23.

[22] Corte cost. 11 febbraio 2011, n. 49, in Danno resp., 2011, p. 919 ss. con nota di F. Blando, Sanzioni sportive, sindacato giurisdizionale, responsabilità risarcitoria; in Giust. civ., 2011, I, p. 664 ss., con note di G. Manfredi, Gruppi sportivi e tutela endoassociativa e di A.A. Di Todaro, La tutela effettiva degli interessi tra giurisdizione sportiva e statale: la strana “fuga” della Corte dal piano sostanziale a quello per equivalente; in Corr. giur., 2011, p. 1543 ss., con nota di F.G. Scoca, I mezzi di tutela giurisdizionale sono soggetti alla discrezionalità del legislatore; in Resp. civ., 2011, p. 417 ss., con nota di G. Facci, Il risarcimento del danno come punto di equilibrio tra il controverso principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo e l’art. 24 Cost.; in Foro it., 2011, I, c. 2602 con nota di A. Palmieri, Tutela giurisdizionale dimidiata; in Giur. it., 2012, p. 187 ss., con nota di I. Piazza, Ordinamento sportivo e tutela degli associati: limiti e prospettive del nuovo equilibrio individuato dalla Corte costituzionale. Adde V. Pescatore, Corte costituzionale e risarcimento del danno da sanzione sportiva, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, p. 1009 ss.; E. Lubrano, La Corte Costituzionale n. 49/2011: nascita della giurisdizione meramente risarcitoria o fine della giurisdizione amministrativa in materia disciplinare sportiva?, in Riv. dir. econ. sport, 2011, 1, 63 ss.

[23] Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit. Analogamente, v. ora Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160: «il giudice amministrativo può comunque conoscere delle questioni disciplinari che riguardano diritti soggettivi o interessi legittimi, poiché l'esplicita riserva a favore della giustizia sportiva, se esclude il giudizio di annullamento, non intacca tuttavia la facoltà di chi ritenga di essere stato leso nelle sue posizioni soggettive, ivi comprese quelle di interesse legittimo, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno. A tali fini non opera infatti la riserva a favore della giustizia sportiva, davanti alla quale del resto la pretesa risarcitoria non potrebbe essere fatta valere». La Corte però non chiarisce, nemmeno stavolta, in forza di quali criteri la pretesa di «chi ritenga di essere stato leso nelle sue posizioni soggettive» sia da reputarsi fondata.

[24] Anche in Corte cost. 11 febbraio 2011, n. 49, cit. si ritrova il seguente, usuale rilievo: «va, innanzitutto, ricordato che il d.l. n. 220/2003 è stato emanato in una situazione che fu espressamente definita dal relatore, durante i lavori parlamentari che hanno portato alla approvazione della legge di conversione, un “vero e proprio disastro incombente sul mondo del calcio”». La situazione d’emergenza era stata determinata dal c.d. «secondo caso Catania» circa il quale v. diffusamente R. Morzenti Pellegrini, L’evoluzio­ne dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, cit., p. 226 ss.

[25] Più in generale, giova ricordare come anche i compilatori del codice civile, in settori cruciali, abbiano rinunciato a tratteggiare fattispecie puntuali e precise senza che ciò autorizzi l’interprete a rinunciare ad attribuire una precisa identità ai criteri normativi e a dare ingresso, quindi, ad arbitrarie soluzioni a seconda delle circostanze del caso. Con riferimento alla «buona fede» di cui all’art. 1375, alla «correttezza» di cui all’art. 1175 e alla «equità» di cui all’art. 1374 v. A. Belfiore, La presupposizione, in Tratt. dir. priv. diretto da M. Bessone, vol. XIII, tomo IV*, Torino, 2003, cit. (specialmente pp. 9-14 e 22-34).

[26] All’errore segnalato nel testo non si sottrae nemmeno la dottrina: in vario senso, ma sempre con attenzione alla qualità ovvero alla consistenza dell’interesse leso, V. Pescatore, Corte costituzionale e risarcimento del danno da sanzione sportiva, cit., 1013; R. Morzenti Pellegrini, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, cit., 249 ss.; P. Sandulli, Principi e problematiche di giustizia sportiva, cit., 151 ss.; R. Colagrande, Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, cit., p. 716 ss.; D’Onofrio, Corte Costituzionale e ordinamento sportivo: reale autonomia, in Dir. sport, 2016, p. 282; M. Sanino, Giustizia sportiva, cit., p. 104 ss. e passim.

[27] Sulla c.d. «sentenza Bosman» e la conseguente riforma della legge sui rapporti tra società e professionisti sportivi (legge 23 marzo 1981, n. 91 novellata dalla legge 18 novembre 1996, n. 586), v. T. Mauceri, Interesse ad adempiere e professioni sportive, in Riv. dir. civ., 2016, I, p. 857 ss. Per un quadro aggiornato e un bilancio a vent’anni dalla sentenza v. i contributi raccolti in questa Rivista, 2017, 2.

[28] Di recente, ha ricondotto le due materie sotto lo stesso tetto, così distaccandosi dalla giurisprudenza amministrativa che invece tende a scinderle, Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2018, n. 32358, cit.

[29] V., già, Luiso, La giustizia sportiva, cit., p. 4 ss. e passim

[30] V., ad esempio, R. Pardolesi, La legge 17 ottobre 2003, n. 280 e la questione delle situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo, in Rass. dir. econ. sport, 2011, p. 514.

[31] È in considerazione del rischio segnalato nel testo che si può comprendere la preoccupazione del Consiglio di Stato di contenere i danni risarcibili entro l’area dell’attività sportiva (Cons. Stato 22 agosto 2018, n. 5019, cit. e Cons. di Stato 22 giugno 2017, n. 3065, cit.) con una soluzione che, tuttavia, desta forti perplessità sotto il profilo della coerenza con l’argomentazione.

[32] Presenta interesse il caso deciso da Cass., Sez. Un., 1° ottobre 2003, n. 14666 (ord.), in Foro amm.-Cons. Stato, 2004, p. 93 ss., con nota di L. Ferrara, Federazione italiana pallavolo e palleggi di giurisdizione: l’autonomia dell’ordinamento sportivo fa da spettatore?. V. anche T. Mauceri, Sponsorizzazione e attività sportiva, Torino, 2014, p. 83 ss. Resta fermo che, se il contratto di sponsorizzazione diviene in parte impossibile, lo sponsor avrà diritto a una riduzione del corrispettivo o a recedere dal contratto (a prescindere dall’effettiva colpa dello sponsorizzato che dovrà rinunciare al guadagno) – e v., ad esempio, Tar Lazio 9 marzo 2016, n. 3055, cit.

[33] In questa prospettiva v. Cass., Sez. Un., 23 marzo 2004, n. 5775, in Gius, 2004, p. 3133; Cons. Giust. Amm., Reg. Sicilia, 8 novembre 2007, n. 1048, in Giur. it., 2008, 4, p. 1020 e in Corr. mer., 2008, p. 242 ss., con nota di G. Fraccastoro, La totale autonomia della giustizia sportiva nelle materie ad essa riservate dal d.l. 220/03 e di A. Veltri, Giustizia sportiva: principio di autonomia e giurisdizione statale in tema di sanzioni disciplinari. Di recente, Cass., Sez. Un., 9 novembre 2018, n. 28652, in Pluris-Cass.civ. e Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2018, n. 32358 cit.

[34] Insieme al principio di autonomia dell’ordinamento sportivo è in gioco l’identità stessa del fenomeno sportivo cui si accompagna l’interrogativo circa la configurabilità di un’autonoma branca scientifica “Diritto sportivo” con una propria dimensione valoriale. V., al riguardo, R. Pardolesi, La legge 17 ottobre 2003, n. 280, cit., p. 513 ss. e, in chiave storiografica, A. Cappuccio, La rivista di diritto sportivo nella temperie culturale dell’Italia repubblicana, in questa Rivista, 2017, 1, 203 ss.

[35] In tal senso, in relazione alla responsabilità degli arbitri, v. F. Auletta, Arbitri e responsabilità civile, in Riv. arb., 2005, p. 756 s.

[36] E ricordiamo il caso e la sentenza discussi da E. Lubrano, Il TAR Lazio segna la fine del vincolo di giustizia, cit. Più in generale, v. F. Criscuolo, Impresa sportiva e interessi rilevanti. Profili sostanziali e strumenti di tutela, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 465 s.; così anche M. Stella Richter jr, Considerazioni sulle società sportive quotate, ivi, p. 484.

[37] Osserva F. Blando, Sanzioni sportive, sindacato giurisdizionale, responsabilità risarcitoria, cit., p. 935 che «di fronte a norme che impongono agli sportivi l’obbligo di fedeltà, di obbedienza, di lealtà (e di quelle che regolano il correlativo sistema disciplinare a presidio della loro osservanza) è opportuno non perdere di vista che esse si inseriscono in una vicenda che coinvolge gli stessi soggetti, in quanto partecipi di un ordinamento autonomo. (…) il problema che queste situazioni giuridiche pongono non è quello di aprire all’ambito della patrimonialità o al criterio dell’alterazione dello «status» di affiliato o tesserato, ove farne risaltare la rilevanza, ma è di segno contrario. Si tratta di esaminare come a fronte della non applicabilità di tutte le forme di tutela proprie delle situazioni giuridiche statali, vada intesa la rilevanza dei rapporti in esame».

[38] G. Agrifoglio, Pugilato e sport da combattimento, cit., p. 753 ss. Nella dottrina meno recente, ricordiamo G. Liotta, La responsabilità civile dell’organizzatore sportivo: ordinamento statale e regole tecniche internazionali, in Europa dir. priv., 1999, p. 1137 ss. F.D. Busnelli, G. Ponzanelli, Rischio sportivo e responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 1984, p. 283 ss. In giurisprudenza, App. Milano 23 maggio 2007, in Danno resp., 2008, p. 321 ss., con nota di P. Santoro, A gamba tesa su De Coubertin: dall’illecito sportivo alla responsabilità civile.

[39] G. Liotta, L. Santoro, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 264 ss.

[40] V. F. Blando, Sanzioni sportive, sindacato giurisdizionale, responsabilità risarcitoria, cit., p. 925 ss. (e specialmente p. 933, testo e nota 49 con un felice rinvio al Galgano); L. Ferrara, L’ordinamento sportivo: meno e più della libertà privata, cit., p. 15 s.

[41] Di recente v. G. Visintini, L’abuso del diritto come illecito aquiliano, in Id. (a cura di), L’abuso del diritto, Napoli, 2016, p. 41 ss. e, già, P. Cendon, Il dolo nella responsabilità extracontrattuale, Torino, 1976 (specialmente p. 373 ss.); Id., voce Dolo (intenzione nella responsabilità extra contrattuale), in Dig. disc. priv.-sez. civ., Torino, 1991, pp. 38 ss.

[42] In generale, v. F. Carpi, L’indipendenza e l’imparzialità dell’arbitro. La sua responsabilità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 239 ss.; M. Bove, Responsabilità degli arbitri, in Judicium, 2013, p. 7 ss.; A. Briguglio, La responsabilità dell’arbitro al bivio fra responsabilità professionale e responsabilità del giudice, in Giust. civ., 2006, p. 57 ss.; F. Auletta, Arbitri e responsabilità civile, cit., p. 745 ss.

[43] Rimarca le peculiarità dell’arbitrato sportivo e si orienta per la non riconducibilità di questo all’ar­bitrato regolato nel c.p.c., F. Goisis, Le funzioni di giustizia delle federazioni sportive e della Camera arbitrale C.O.N.I. nelle controversie che la legge n. 280 del 2003 affida al giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., 2005, p. 1011 ss.

[44] Gli riconosce piena tutela risarcitoria estesa a tutti i danni patrimoniali conseguenti Tar Lazio 10 novembre 2016, n. 11146, in questa Rivista, 2016, p. 417 ss., con nota di V. Turchini, Sanzioni disciplinari, risarcimento del danno e lealtà sportiva: alla ricerca di un difficile equilibrio.

[45] Gli riconoscono piena tutela risarcitoria estesa a tutti i danni patrimoniali conseguenti Tar Lazio 23 gennaio 2017, n. 1163, cit. e Tar Lazio 10 novembre 2016, n. 11146, cit. Anche in tal caso, poi, il Consiglio di Stato ha ridotto l’area del danno risarcibile alla lesione dell’interesse all’attività sportiva (Cons. Stato 22 agosto 2018, n. 5019, cit.).

[46] V. L. Ferrara, voce Giustizia sportiva, cit., p. 519.

[47] Per la prospettiva secondo la quale la responsabilità prevista dall’art. 2043 trae origine dalla invasione dell’altrui sfera giuridica e sanziona, perciò, l’inosservanza di un dovere non già preordinato al soddisfacimento di un determinato interesse altrui, bensì finalizzato a preservare l’integrità (e, quindi, il mero rispetto) delle posizioni giuridiche di qualsiasi terzo (di modo che si correla strutturalmente a pretese di tipo conservativo) ricordiamo E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, p. 108 s.

[48] V, di recente, C. Scognamiglio, Verso il definitivo accreditamento della tesi della natura «contrattuale» della responsabilità precontrattuale, in Nuova giur. civ. comm., 2016, II, p. 1515 ss.; F. Piraino, La natura contrattuale della responsabilità precontrattuale (ipotesi sull’immunità), in Contr., 2017, p. 35 ss. Con riferimento al controverso inquadramento della responsabilità della p.a. per atti illegittimi v. ora A.G. Grasso, Annullamento dell’atto amministrativo e lesione dell’affidamento incolpevole, in Riv. dir. civ., 2019, I, p. 252 ss.

[49] Criticamente v., in vario senso, V. Pescatore, Corte costituzionale e risarcimento del danno da sanzione sportiva, cit., p. 1019 ss.; A. Palmieri, Tutela giurisdizionale dimidiata, cit.; G. Manfredi, Gruppi sportivi e tutela endoassociativa, cit., p. 694 ss.; A.A. Di Todaro, La tutela effettiva degli interessi tra giurisdizione sportiva e statale, cit., p. 697 ss.; E. Lubrano, La Corte Costituzionale n. 49/2011, cit., p. 65; A. De Silvestri, La Corte Costituzionale “azzoppa” il diritto d’azione dei tesserati e delle affiliate, in giustiziasportiva.it. Nel senso della esperibilità del solo rimedio risarcitorio v., invece, A. Verde, Sul difficile rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, cit., p. 678.

[50] Si ricordi che la Corte Costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi su una posizione assunta dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, 25 novembre 2008, n. 5782, cit.) e che è proprio con esplicito riferimento «al diritto vivente» di cui il Consiglio di Stato si fa portavoce che la Corte vaglia la conformità a Costituzione della legge del 2003. Orbene, non va trascurato (e v., ad es. A.A. Di Todaro, La tutela effettiva degli interessi tra giurisdizione sportiva e statale, cit., p. 701, specialmente nota 13) che, in detta presa di posizione, l’opzione per la tutela risarcitoria anziché per quella in forma specifica era non già l’esito di un’argomentata ricostruzione interpretativa bensì una scelta obbligata dalle circostanze di fatto: «bisogna premettere che il presente giudizio ha ormai ad oggetto soltanto il risarcimento del danno subìto dall’A.C. Arezzo in conseguenza della penalizzazione inflitta che ha determinato, al termine della stagione 2006/2007, la retrocessione della società in serie C1. L’A.C. Arezzo, infatti, ha già disputato il campionato 2007/2008 in serie C1 (anziché in serie B, come sarebbe avvenuto senza la penalizzazione). Gli atti impugnati hanno, quindi, prodotto conseguenze irreversibili, nel senso che (…) neanche una eventuale decisione favorevole di questo giudice potrebbe restituire all’Arezzo il «bene della vita» (qui coincidente con la permanenza in serie B) che la squadra avrebbe ottenuto senza la sanzione dei sei punti» (Cons. Stato 25 novembre 2008, n. 5782, cit.). Va comunque segnalato che il principio affermato dalla Corte Costituzionale nel 2011 è ora ripreso e ribadito da Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit.

[51] Ecco di seguito il passaggio a cui si allude nel testo: «È sicuramente [quella risarcitoria] una forma di tutela, per equivalente, diversa rispetto a quella in via generale attribuita al giudice amministrativo (…), ma non può certo affermarsi che la mancanza di un giudizio di annullamento (che, oltretutto, difficilmente potrebbe produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso interverrebbe dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi casi meno gravi, una forma di intromissione non armonica rispetto all’affermato intendimento di tutelare l’ordinamento sportivo) venga a violare quanto previsto dall’art. 24 Cost.» (Corte cost. 11 febbraio 2011, n. 49, cit.). In termini più recisi, v., però, ora Corte Cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit.

[52] V. già l’art. 29, commi 4 e 5 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 e, ora, ad es. gli artt. 17 e 18 del Reg. UE 27 aprile 2016, n. 679. Più in generale, per l’invocabilità del rimedio inibitorio in via analogica v. già M. Libertini, La tutela civile inibitoria, in Jus, 1988, p. 42 ss. e Id., Nuove riflessioni in tema di tutela civile inibitoria e di risarcimento del danno, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 385 ss.

[53] E v. ad esempio, Tar Lazio 20 dicembre 2010, n. 37668, in Foro it., 2011, III, c. 533 ss. e in questa Rivista, 2012, p. 117 ss., con nota di V. Romano, Ordinamento sportivo e risarcimento del danno, cit., ove si rileva la contraddittorietà tra l’idea che il rimedio esclusivamente risarcitorio precluderebbe un’in­tromissione del giudice statale e l’esigenza, invece, che siano comunque accertati i fatti e valutata nel merito l’infrazione della regola sportiva. Il caso (discusso anche da G. Liotta, L. Santoro, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 345) presenta interesse per la ragione che era stata comminata una sanzione pecuniaria di 10.000 e l’inibizione di un anno e sei mesi a un allenatore (ex giocatore) di tennis che aveva espresso opinioni ritenute lesive dell’immagine del presidente della federazione. Tuttavia, la tutela in forma specifica riconosciuta dal Tar è stato poi annullata per difetto di giurisdizione da Cons. Stato 24 gennaio 2012, n. 302, in Foro it., 2012, III, c. 213 ss.