Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


L'atleta militare infortunato non è vittima del dovere? (di Antonio Torrisi, Professore a contratto di Private law and sports organization nell'Università degli Studi di Catania. Avvocato del Foro di Catania)


La questione affrontata dalla Corte di Cassazione con sentenza 30 maggio 2022, n. 17435, concerne la sussistenza per l’atleta militare del diritto al beneficio di cui alla legge 23 dicembre 2005, n. 266, nell’ipotesi in cui abbia riportato un’infermità e, in particolare, nel caso in cui tale infermità sia stata causata da un contatto fisico con un altro giocatore nel corso del corretto svolgimento di una disciplina sportiva a violenza necessaria o indispensabile. La soluzione negativa a cui pervengono i giudici di legittimità viene qui commentata, interrogandosi se non debba invece riconoscersi agli sportivi militari l’equiparazione alle “vittime del dovere” e il consequenziale godimento dei benefici previsti dalla richiamata normativa, anche in ragione del prestigio e delle vittorie sportive che costoro contribuiscono ad assicurare alle Forze Armate.

Is the injured military athlete not a victim of duty?

The issue addressed by the Court of Cassation in its judgment of 30 May 2022, n. 17435, concerns the subsistence for the military athlete of the right to the benefit referred to in l. 23 December 2005, n. 266, in the event that he reported an illness and, in particular, in the event that such disability was caused by physical contact with another player in the course of the proper conduct of a sports discipline to necessary or indispensable violence. The negative solution reached by the judges of legitimacy is commented on here, questioning whether military sportsmen should instead be considered equal to the “victims of duty” and the consequent enjoyment of the benefits provided by the aforementioned legislation, also because of the prestige and the sporting victories that they contribute to ensure the Armed Forces.

SENTENZA sul ricorso 3225-2017 proposto da: L.F., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. A.B.; – ricorrente – CONTRO MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via Dei Portoghesi, n. 12; – controricorrente – avverso la sentenza n. 1380/2016 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 26/10/2016 r.g.n. 216/2014; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/02/2022 dal Consigliere dott. Gabriella Marchese; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Mario Fresa, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato A.B.; udito l’avvocato M.G. FATTI DI CAUSA 1. L.F. agiva per essere riconosciuto vittima del dovere con conseguente inserimento nell’elenco di cui al D.P.R. n. 243 del 1996, art. 3, comma 3. 2. Il ricorrente, arruolato nella Guardia di finanza nel 1994 e atleta nella disciplina del judo, veniva avviato al 2˚ nucleo Atleti Fiamme Gialle, partecipando alle competizioni sportive. In data 18 agosto 2004, nel corso delle Olimpiadi di Atene, durante un combattimento, restato ferito al ginocchio a causa di una violenta leva dell’arto, con infermità, riconosciuta dipendente da causa di servizio e ascritta, dapprima, all’ottava categoria, poi, alla settima, quindi, alla sesta vitalizia. 3. Il Tribunale di Milano rigettava la domanda. Escludeva che la fattispecie concreta fosse riconducibile alla l. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563, lett. f). La previsione, infatti, andava letta in correlazione con le altre ipotesi che la precedevano nell’elencazione, caratterizzate da un comune denominatore: lo svolgimento dell’attività in contesti inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della pubblica incolumità, alla difesa del territorio e, più in generale, all’intervento in situazioni di calamità e pericolo per la collettività. Il Tribunale escludeva anche che l’evento fosse sussumibile nel­l’ambito della fattispecie di cui al successivo comma 564 che, sempre, richiedeva l’impiego in operazioni di sicurezza latamente intese. 4. La Corte di appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha respinto il gravame sia pure sulla base di una motivazione diversa. Ha ritenuto come l’infortunio durante una competizione sportiva non fosse riconducibile alla previsione astratta, in difetto di una “azione recata nei confronti (della vittima) da parte dell’avversario”. Nello svolgimento di una gara sportiva opera, infatti, la scriminante atipica del c.d. “rischio consentito” da parte di entrambi i partecipanti, tanto più in presenza di una gara nell’ambito di uno [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso oggetto del giudizio - 2. Brevi cenni sulla liceità degli sport da combattimento - 3. Il quadro normativo per la tutela sanitaria e assicurativa dello sportivo - 4. L’atleta militare e i benefici di cui alla legge 23 dicembre 2005, n. 266 - NOTE


1. Il caso oggetto del giudizio

La Cassazione, con la sentenza in commento, fa il punto sui benefici spettanti, ai sensi dell’art. 1, comma 563, lett. f), della legge 23 dicembre 2005, n. 266, alle vittime del dovere che abbiano subito un’invalidità permanente a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale, non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità. La questione affrontata concerne la sussistenza per l’atleta militare del diritto al beneficio di cui alla già ricordata legge, nell’ipotesi in cui lo stesso abbia riportato un’infermità e, in particolare, nel caso in cui tale infermità sia stata causata da un contatto fisico con un altro giocatore nel corso del corretto svolgimento di una disciplina sportiva a violenza necessaria o indispensabile. Il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda, escludendo la riconducibilità all’art. 1, comma 563, lett. f), legge 23 dicembre 2005, n. 266, e ritenendo che la previsione andasse letta in correlazione con le altre ipotesi che la precedevano nell’elen­cazione, caratterizzate dal comune denominatore dello svolgimento dell’attività in contesti inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della pubblica incolumità, alla difesa del territorio e, più in generale, all’intervento in situazioni di calamità e pericolo per la collettività. Il proposto gravame era stato poi nuovamente respinto in appello sia pure sulla base di una motivazione diversa, eccependo che l’appellante non aveva dedotto circostanze che, in concreto, nella gara di Atene, consentissero di escludere l’opera­tività della causa di giustificazione e, conseguentemente, non ravvisando neppure i presupposti normativi del successivo comma 564, in difetto di fatti straordinari che avessero esposto l’atleta a rischi maggiori di quelli ordinari e consentiti. La Corte di legittimità, riportando precedenti conformi [1], ha precisato che l’art. 1, comma 563, legge 23 dicembre 2005, n. 266, stabilisce che per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, art. 3 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di [continua ..]


2. Brevi cenni sulla liceità degli sport da combattimento

L’interesse della questione risulta evidente nella misura in cui, al di là della soluzione giudiziale adottata e sulla quale ci si soffermerà nel prosieguo, consente di riflettere sul tema più generale (con un collegamento che potrebbe apparire a prima vista non conducente) della liceità degli sport da combattimento e della non risarcibilità dei danni fisici causati all’atleta a seguito del regolare svolgimento della competizione sportiva da contatto fisico necessario. Tale profilo, infatti, si rivela decisivo per poi cogliere appropriatamente il senso della decisione adottata nel giudizio di legittimità ove esso è venuto in rilievo. Preliminare appare la considerazione che nello sport si misurano contrapposte esigenze: da un lato, esso rappresenta un fondamentale e potente strumento di realizzazione della personalità umana, secondo il noto dettato dell’art. 2 Cost.; dall’altro, esso costituisce (o può costituire) una potenziale minaccia alla salute, all’integrità fisica e persino alla vita (tutelate dall’art. 32 Cost.), soprattutto in materia di sport estremi, ai quali l’elemento pericolo è inerente per natura (dal caso di specie, judo, alla boxe o alle corse automobilistiche, fino al rafting, bungee jumping, skysurfing, kitesurf, ecc.) [2]. Non è raro, infatti, che, nell’ambito dell’esercizio di arti marziali, o in generale di sport da combattimento, si possano verificare lesioni all’incolumità fisica degli atleti che ne possono comportare, nei casi più gravi, addirittura la morte [3]. La meritevolezza degli interessi sottesi alla pratica delle attività sportive pericolose è stata ben messa in luce in una risalente decisione riguardante il decesso di un pugile italiano al termine di un incontro, affermandosi che «l’attuale ordinamento positivo riconosce la prevalenza dell’interesse sociale all’esercizio di tale sport sugli interessi individuali suscettibili di essere esposti a pericolo o lesi dalle competizioni pugilistiche» [4]. La vicenda costituì occasione per affrontare il problema della giuridica liceità degli sport da combattimento; nel caso in questione la ratio giustificativa di eventuali fatti dannosi verificatisi nell’esercizio di tali attività sportive fu ravvisata in una causa di giustificazione non [continua ..]


3. Il quadro normativo per la tutela sanitaria e assicurativa dello sportivo

La tutela sanitaria riguarda gli sportivi di ogni livello, professionisti, dilettanti e amatori [13] ed è stata regolamentata per la prima volta dalla legge 26 ottobre 1971, n. 1099 (“Tutela sanitaria delle attività sportive”), il cui art. 1 ha disposto che “la tutela sanitaria delle attività sportive spetta alle regioni che la esercitano secondo un programma le cui finalità e contenuti corrisponderanno ai criteri di massima fissati dal Ministero della sanità con il concorso delle regioni stesse” [14]; il successivo art. 2 ha, inoltre, previsto che i controlli sulla salute degli atleti si basino su una valutazione del­l’idoneità generica e dell’attitudine degli stessi [15]. Per il legislatore, quindi, è indispensabile che l’attività si svolga sotto stretto controllo medico; proprio per questo l’art. 7, legge 23 marzo 1981, n. 91, ha prescritto l’adozione di una scheda sanitaria individuale per ciascun atleta professionista, soggetta ad aggiornamento periodico a cadenza almeno semestrale [16]. In particolare, si richiede la ripetizione di tutti gli accertamenti clinici e diagnostici, in conformità all’apposito decreto del Ministero della Salute [17]. Appare evidente che, nonostante l’art. 7 sia rubricato “Tutela sanitaria”, le relative prescrizioni si limitino alla fase di prevenzione e di allocazione del rischio, mentre nulla affermano in ordine alla effettiva tutela sanitaria post-traumatica. Soccorre, a tal fine, il successivo art. 8 che prescrive l’obbligo per tutte le società sportive di stipulare una polizza assicurativa individuale a favore degli sportivi professionisti contro il rischio morte e contro gli infortuni [18]. La tutela assicurativa è stata prevista dall’art. 6, d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che ha imposto l’assicurazione per gli sportivi presso l’INAIL a copertura dell’infortunio occorso nello svolgimento (ovvero in occasione) dell’attività sportiva dal quale sia derivata la morte o l’inabilità (temporanea o permanente, parziale o assoluta) [19], con pagamento del premio assicurativo interamente a carico delle società sportive [20]. Nell’ambito dello sport dilettantistico, almeno fino all’intervento di riforma del 2021 di cui a breve si dirà, la [continua ..]


4. L’atleta militare e i benefici di cui alla legge 23 dicembre 2005, n. 266

Analizzata, da un lato, la liceità per l’ordinamento sportivo dello svolgimento di attività pericolose nell’ambito delle regole federali e, dall’altro, la tutela sanitaria e assicurativa garantita all’atleta dilettante, è possibile prendere in esame il percorso argomentativo della sentenza in commento e vagliare la fondatezza della relativa decisione. Intendiamo, pertanto, adesso chiederci se la disciplina in discussione (legge 23 dicembre 2005, n. 266) [32], prevista per certi casi precisi (art. 1, comma 563, lett. f, e successivo comma 564), possa estendersi anche in ambito sportivo, in ragione della peculiarità degli interessi in gioco e della mancata conoscenza, da parte del legislatore del 2005, della normativa che regola il rapporto tra atleta e Forze Armate (d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90). Occorre dunque stabilire quale sia il senso della previsione di legge che menziona talune specifiche ipotesi (alle quali quindi si applica) e tace su altre. Ora, come sostenuto da autorevole dottrina [33], “il silenzio del legislatore, così come ogni atteggiamento silente, non può avere di per sé un significato univoco e può, in astratto, avere una duplice, diversa valenza. Esso può infatti comunicare tacitamente una regola e può, perciò, costituire una tecnica di disciplina; può, all’opposto, configurarsi come assenza di previsione e, quindi, come vera e propria lacuna del diritto scritto”. La risoluzione dell’alternativa può risultare agevole ogni qual volta la questione, sulla quale il diritto scritto appare tacere, risulti ignota al tempo del legislatore, mentre può presentare particolari difficoltà se la questione non era ignota al legislatore, dovendo così svolgersi un’indagine circa il contesto dell’atteggiamento silente e “un giudizio di valore circa il tasso di razionalità e di coerenza sistematica delle diverse soluzioni in astratto possibili” [34]. Nel caso di specie, rispetto alla specifica classe di casi nel testo normativo in esame, il silenzio del diritto scritto va considerato non già come una tecnica di disciplina quanto come un caso di vera e propria lacuna, già per il fatto che il d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, che regolamenta il rapporto fra le Forze Armate e gli atleti militari, era ignoto al legislatore di cui alla legge 23 [continua ..]


NOTE