Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Incidenti in montagna e responsabilità penale: spunti di riflessione (di Kolis Summerer, Professore associato di Diritto penale nella Libera Università di Bolzano)


Il contributo ha ad oggetto la responsabilità penale in caso di incidenti in montagna, con particolare riferimento alla rilevanza della condotta della vittima e alla conseguente limitazione della responsabilità di terzi. L'analisi evidenzia sinteticamente i profili problematici relativi all'inquadramento dogmatico della autoresponsabilità e gli orientamenti giurisprudenziali in materia.

Parole chiave: diritto penale, responsabilità penale, autoresponsabilità, condotta della vittima, rischio consentito, colpa, incidenti in montagna.

Mountain accidents and criminal liability: some reflections

The article deals with criminal liability in mountain accidents, with particular reference to the relevance of the victim’s conduct and the consequent limitation of the liability of third parties. The analysis briefly highlights the challenging profiles relating to the systematization of self-responsibility and the case law on the subject.

SOMMARIO:

1. Incidenti in montagna ed esigenze di tutela penale - 2. La natura dei rischi in montagna - 3. Condotta della vittima e autoresponsabilità - 4. La consapevolezza del rischio - 5. L’inquadramento dogmatico della autoresponsabilità - 6. Gli orientamenti giurisprudenziali - 7. Recenti aperture e prospettive - NOTE


1. Incidenti in montagna ed esigenze di tutela penale

Il tema dei pericoli naturali in montagna, sotto il profilo della gestione del rischio e della connessa attribuzione di responsabilità, costituisce una sfida per il diritto penale contemporaneo. Gli incidenti e gli eventi disastrosi in montagna sono sempre più frequenti sia per la crescente diffusione delle attività sportive e ricreative, sia per il cambiamento climatico che, modificando lo stesso ambiente alpino, determina nuovi rischi ed eventi imprevedibili (si pensi al recente disastro della Marmolada). Le molteplici e complesse questioni poste dalla interazione tra individuo e ambiente naturale sono state approfondite nell’ambito di un progetto di ricerca internazionale, che – in prospettiva interdisciplinare e comparata – si è occupato di due grandi aree tematiche: da un lato, la responsabilità penale in caso di disastri naturali (tra cui frane e valanghe) e incidenti occorsi durante lo svolgimento di attività sportive e ricreative; dall’altro, l’autoresponsabilità dei soggetti che praticano attività sportive o ricreative in montagna e la sua rilevanza ai fini della delimitazione della responsabilità di soggetti terzi [1]. È di tutta evidenza che si tratta di due profili strettamente collegati: la condotta della vittima, infatti, costituisce un criterio per determinare l’ambito della responsabilità penale, nella misura in cui consente di delimitare le sfere di competenza (e le rispettive responsabilità) nei contesti c.d. plurisoggettivi, cioè caratterizzati dalla interazione di più soggetti [2]. Si può affermare che il tema della autoresponsabilità costituisce proprio il “cuore” del problema, e dunque del progetto. Si tratta di comprendere la distribuzione delle responsabilità tra diversi soggetti e di segnare i confini delle rispettive sfere di competenza e di gestione del rischio, identificando al tempo stesso il corretto luogo sistematico di questi elementi all’interno della teoria del reato [3]. Si pongono, invero, questioni rilevanti sotto molteplici aspetti: dalla natura commissiva od omissiva della condotta al contenuto della posizione di garanzia, dall’accertamento del nesso di causalità alla colpevolezza. Lo svolgimento di attività sportive (invernali o estive) in montagna rappresenta una vera e propria miniera d’oro per i [continua ..]


2. La natura dei rischi in montagna

L’approfondimento delle questioni accennate muove dall’assunto che – specialmente per il settore delle attività ludico-ricreative e sportive – esiste un “diritto al rischio”, cioè un diritto ad esporsi a determinati rischi. In questa prospettiva, il diritto penale deve intervenire solo laddove effettivamente si verifichino danni e lesioni significative, che coinvolgano terze persone e che potevano essere evitati con le normali regole di prudenza. Nessuno dubita del fatto che un soggetto possa, in un contesto “libero”, cioè non gestito da altri, intraprendere un’attività pericolosa per la propria persona e dunque autoesporsi ad un pericolo. Una persona è libera di andare a passeggiare sulla spiaggia quando c’è un temporale (a dispetto del rischio di essere colpiti da un fulmine) o di intraprendere una escursione in un luogo isolato e impervio (a dispetto del rischio di incidenti). Fintantoché non siano coinvolte altre persone e non vi siano interazioni con altri soggetti, siamo liberi di autoesporci a pericoli. In fondo, il nostro ordinamento non ci vieta neppure di compiere atti di autolesionismo (salvo i limiti dettati dall’art. 5 c.c.). Le attività che si svolgono in montagna, tuttavia, implicano spesso la interazione e collaborazione tra più soggetti (compagni di escursione, guide alpine o maestri di sci, gestori e titolari di impianti o strutture). Anche l’escursionista o sciatore solitario è inserito, di regola, in un contesto predisposto, gestito e controllato da altri (si pensi alle piste da sci e agli impianti di risalita, ai sentieri e alle strade ferrate, ecc.). Questa circostanza determina necessariamente un cambio di prospettiva: il “diritto a rischiare” è una manifestazione legittima della nostra libertà e autodeterminazione, ma va bilanciato con altri interessi quando entrino in gioco altri soggetti titolari, a loro volta, di diritti e doveri. La questione diventa spinosa nel momento in cui si tratta di definire le sfere di responsabilità dei diversi soggetti coinvolti in una determinata attività: da un lato, occorre stabilire come controllare il rischio e ridurlo entro livelli accettabili; dall’altro, occorre stabilire quale rischio i singoli soggetti debbano assumersi [15]. Posto che il “rischio zero” non esiste, l’ordinamento [continua ..]


3. Condotta della vittima e autoresponsabilità

Il concetto di autoresponsabilità costituisce il filo rosso che attraversa la ricerca e orienta l’analisi dei profili problematici evidenziati. L’autoresponsabilità può diventare vera chiave di lettura della teoria del reato. In particolare, merita di essere indagato il rapporto tra la condotta della vittima (che si autoespone ad un pericolo) e gli effetti sulla posizione di terzi in termini di obblighi e responsabilità [20]. In realtà, nel nostro ordinamento penale non esiste alcun “principio” di autoresponsabilità, né esistono norme che sanciscano espressamente che, in caso di autoesposizione a pericolo, la responsabilità ricada sulla vittima. L’idea della “autoresponsabilità della vittima” nasce dall’esperienza giurisprudenziale e si sviluppa grazie agli approfondimenti e agli studi della dottrina, alla luce di un quadro normativo che valorizza la libertà e autodeterminazione della persona. In prospettiva costituzionale, l’affermazione dei diritti fondamentali di libertà e autodeterminazione dell’individuo implica necessariamente il riconoscimento di una sfera di autoresponsabilità. Al contempo, tuttavia, il nostro ordinamento indica chiaramente l’esigenza di tutelare i soggetti più deboli e vulnerabili. Ancora una volta è necessario trovare un compromesso tra la legittima richiesta di autonomia e autodeterminazione degli individui e la necessaria salvaguardia delle persone più fragili [21]. Nel contesto specifico della nostra indagine, soggetti vulnerabili sono, per esempio, coloro che hanno meno esperienza, meno preparazione, meno capacità, meno informazioni. In prospettiva più strettamente penalistica, l’autoresponsabilità solleva una serie di questioni più tecniche: dalla responsabilità penale per fatto proprio (art. 27 Cost.) alla causalità e imputazione oggettiva dell’evento, dalla distribuzione delle responsabilità in base alle diverse sfere di competenza dei soggetti al principio di affidamento (nel corretto comportamento di terzi). Per il penalista si tratta di interrogativi fondamentali, che in ultima analisi sono accomunati dalla tensione verso una imputazione equa e veramente personale della responsabilità penale [22]. Decisivo appare allora il punto di osservazione adottato. A questo [continua ..]


4. La consapevolezza del rischio

Innanzitutto, va ribadito che l’autoresponsabilità richiede non soltanto la capacità di intendere e volere, ma anche la capacità di percepire e valutare correttamente il rischio e le conseguenze delle proprie azioni. A questo scopo sono indispensabili non soltanto un sufficiente grado di maturità e il pieno possesso delle facoltà mentali, ma anche condizioni tali da poter percepire e valutare lucidamente il rischio. Deficit di conoscenza, lacune informative, emozioni (come la paura, il panico), alterazioni dovute all’uso di alcol e stupefacenti sono condizioni, talvolta passeggere, che possono compromettere la capacità di assumere scelte pienamente consapevoli e quindi (auto)responsabili. Il tema della consapevolezza del rischio è centrale, nella misura in cui l’impu­tazione della responsabilità alla vittima presuppone la validità della decisione di esporsi ad un rischio e la piena conoscenza delle possibili conseguenze lesive [27]. Il soggetto deve essere in possesso di tutte le informazioni necessarie per svolgere l’attività in sicurezza e assumere decisioni in situazioni pericolose. A questo proposito, va ricordato che la dottrina che si è occupata di autoresponsabilità ha sottolineato l’importanza di distinguere tra consapevolezza del mero rischio connesso ad una determinata attività e accettazione della possibile concretizzazione di tale rischio in un evento lesivo [28]. Gli individui tendono, infatti, ad assumere rischi senza prendere in seria considerazione la verificazione di concrete conseguenze negative. Tuttavia, è bene ribadirlo, l’autoresponsabilità può operare, limitando la responsabilità di terzi, soltanto quando la vittima abbia accettato non soltanto di esporsi ad un pericolo astratto, ma anche la possibile verificazione di un concreto evento lesivo. Le indagini empiriche dimostrano che molteplici fattori influenzano la percezione del rischio e il grado di consapevolezza riguardo ai pericoli presenti in uno specifico contesto: il meteo e le condizioni dell’ambiente in concreto, l’attrezzatura a disposizione, la formazione e il suo grado di aggiornamento, l’età, le capacità e abilità personali, l’allenamento fisico, l’esperienza, la conoscenza dei percorsi, ecc. Il criterio della autoresponsabilità ha, dunque, un [continua ..]


5. L’inquadramento dogmatico della autoresponsabilità

L’analisi deve ora procedere con un rapido sguardo alla dottrina in materia, allo scopo di chiarire l’inquadramento dogmatico e la collocazione sistematica dell’auto­responsabilità all’interno della struttura del reato. Come già evidenziato, l’autoresponsabilità opera su più livelli: essa consente, da un lato, di definire l’ambito del rischio consentito e, dall’altro, di individuare le sfere di competenza dei diversi soggetti limitando il dovere di diligenza nelle relazioni intersoggettive (salva la presenza di speciali posizioni di garanzia). In Italia e nei paesi di lingua tedesca si riscontrano orientamenti assai diversi. In Austria e in Germania la dottrina e la giurisprudenza tendono ad assegnare una più ampia rilevanza all’autoresponsabilità, escludendo la responsabilità di terzi, sempreché non siano presenti particolari posizioni di protezione o controllo (posizioni di garanzia) e tra i soggetti coinvolti non vi sia disparità di informazioni e conoscenze riguardo ai rischi [32]. In particolare, nella dottrina di lingua tedesca si ritiene che l’autoesposizione a pericolo della vittima incida sulla tipicità del fatto, escludendo la colpa oggettiva (ovvero la violazione della diligenza: objektive Sorgfaltswidrigkeit) o, al più tardi, il c.d. nesso di rischio (Risikozusammenhang) tra condotta ed evento [33]. L’imputazione dell’evento nell’illecito colposo presuppone, oltre al nesso causale tra condotta ed evento, l’esistenza di uno specifico legame tra la condotta contrassegnata dalla violazione del dovere di diligenza e il risultato lesivo (c.d. causalità della colpa). È, dunque, necessario che l’evento trovi il suo specifico presupposto nella violazione della regola di diligenza, nel senso che esso deve essersi verificato proprio a causa dell’inosservanza della diligenza. L’evento deve essere la realizzazione del rischio tipico che, in quanto prevedibile, la norma violata mirava a prevenire [34]. Va certamente sottolineato che siffatte soluzioni si inseriscono all’interno di sistemi che da tempo hanno accolto la teoria della imputazione oggettiva (objektive Zurechnungslehre), cui si deve l’elaborazione di criteri normativi di imputazione indipendenti da causalità e colpevolezza, nell’intento di garantire la [continua ..]


6. Gli orientamenti giurisprudenziali

Nella giurisprudenza italiana, come anticipato, si segnalano orientamenti più restrittivi, specialmente nei settori cruciali degli infortuni sul luogo di lavoro e della circolazione stradale [38]. Da un lato, le posizioni di garanzia vengono ricostruite in modo molto ampio e si tende ad accollare ai garanti diffusi obblighi di intervento. Dall’altro, il contenuto delle regole cautelari, previste in determinati contesti per prevenire la verificazione di eventi lesivi, viene esteso tanto da ricomprendere l’obbligo di neutralizzare comportamenti negligenti di terzi. La regola cautelare finisce, così, per abbracciare anche l’obbligo di prevenire comportamenti molto imprudenti e temerari della vittima [39]. Al fine di stabilire l’esistenza di un nesso tra la condotta colposa dell’agente e l’evento lesivo la giurisprudenza non ricorre soltanto al criterio della concretizzazione del rischio (in combinazione con quello dello scopo di protezione della norma), ma invoca, altresì, il principio di affidamento per definire lo spettro dei rischi di “competenza” dell’agente. In questo quadro, la condotta della vittima viene in considerazione quale potenziale fattore di interruzione del nesso causale o, in alternativa, quale possibile limite all’operatività del principio di affidamento. Secondo l’orientamento tradizionale, in caso di concorso di condotte colpose (riferibili all’agente e alla vittima) non può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause (ex art. 41 c.p.), salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità [40]. Proprio nel settore degli infortuni sul lavoro si possono cogliere le rilevanti implicazioni pratiche di questa impostazione. Si afferma, infatti, la concretizzazione del rischio anche rispetto ad eventi riconducibili al comportamento colposo della vittima, sul presupposto che le cautele doverose del datore di lavoro comprendano anche le misure necessarie a prevenire comportamenti rischiosi e imprudenti dei lavoratori [41]. L’orientamento è stato cristallizzato nella pronuncia delle Sezioni Unite [continua ..]


7. Recenti aperture e prospettive

Negli ultimi anni si segnalano significative aperture nei confronti della rilevanza della autoresponsabilità e si percepisce una evoluzione negli orientamenti giurisprudenziali. Specialmente nell’ambito delle attività pericolose in montagna si registrano prese di posizione caratterizzate da una maggiore attenzione per il comportamento della vittima e, di conseguenze, per i profili di autoresponsabilità, soprattutto in sede di merito [46]. Il fatto che la montagna costituisca un ambiente naturale, meno organizzato e gestito rispetto al luogo di lavoro, e che i soggetti pratichino spontaneamente attività di tipo ricreativo-sportivo, può in parte spiegare il differente approccio della giurisprudenza (si pensi, per analogia, alla valutazione giuridica della pratica di sport violenti). La medesima tendenza è riscontrabile recentemente anche in sede di legittimità. Ricordiamo il noto caso della motoslitta, in cui la Cassazione ha riconosciuto l’effetto “interruttivo” del nesso causale in presenza di una condotta altamente imprudente e deliberatamente rischiosa della vittima, ritenuta condizione sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento [47]. Merita di essere segnalata, altresì, la vicenda riguardante la responsabilità del gestore di una pista da sci per la morte di uno sciatore, che, uscendo fuori pista, aveva urtato violentemente contro un masso esterno al tracciato, riportando gravi lesioni che ne avevano determinato il decesso. La Cassazione ha escluso l’esistenza di un obbligo di garanzia diretto a proteggere gli sciatori da pericoli “tipici” esterni all’area sciabile [48]. Anche in altri settori della responsabilità colposa (circolazione stradale, infortuni sul lavoro, disastri) si sta progressivamente diffondendo il riconoscimento (implicito) della rilevanza della autoresponsabilità attraverso l’approfondimento dei criteri della prevedibilità e evitabilità dell’evento e la valorizzazione del nesso tra colpa ed evento. Il già citato requisito del nesso di rischio, per cui il soggetto è ritenuto responsabile dell’evento solo quando l’evento rappresenta la concretizzazione di uno specifico e tipico rischio che ha creato con la sua condotta, conduce a restringere l’ambito della responsabilità penale. Così, sul piano della [continua ..]


NOTE