Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Il fenomeno delle “multi-club ownerships” (MCO). Le pluriproprietà delle società di calcio (di Filomeno Rocco Fimmanò, Dottorando di ricerca nell’Università del Salento)


L’autore affronta il tema della pluriproprietà di clubs di calcio professionistico nell’ambito della federazione italiana e dell’Uefa. Il saggio parte da una ricostruzione storico-giuridica della fattispecie per poi scrutinare tutte le problematiche connesse ai conflitti di interesse, alla violazione delle regole della concorrenza, all’abuso del c.d. player trading infragruppo, alle operazioni a parti correlate, ai vantaggi “anomali” quando la pluriproprietà riguarda clubs militanti in Paesi diversi come dimostra il raggiro delle regole Financial Fair Play. L’analisi critica della evoluzione regolamentare in materia nei diversi ordinamenti passa attraverso la casistica fattuale e giurisprudenziale ed offre all’autore l’occasione di scrutinare gli strumenti utilizzati per porre riparo alle problematiche congiunturali a partire dal trust e di ipotizzare soluzioni strutturali.

The case of “multi-club ownerships” (MCO). Multi ownerships of football clubs

The author talks about multi ownerships of professional football clubs in the field of Italian federation and of the Uefa. This paper begins with an historical-juridical rebuilding of the thematic and then it wants to observe all issues related to conflicts of interest, to violation of competition rules, to abuse of intragroup player trading, to related parts transactions, to anomalous advantages when multi ownership is about clubs in different countries as the circumvention of Financial Fair Play rules demonstrates that. Critical analysis of regulatory development in the various legal systems of this thematic goes through factual and jurisprudential casuistry and it allows the author to observe the means used to repair situational issues starting from trust and it also allows the author to speculate structural solutions.

SOMMARIO:

1. La evoluzione giuridico-economica della fattispecie - 2. I principi e le norme di riferimento in materia - 3. La evoluzione normativa federale sulle pluriproprietà - 4. La casistica giurisprudenziale antecedente alle modifiche del 2013. La vicenda S.S. Cassino s.r.l. – Salernitana Calcio S.p.A. - 5. Il quadro regolamentare di riferimento nella vicenda U.S. Salernitana 1919 S.r.l. - 6. La segregazione patrimoniale a mezzo trust come soluzione alla pluriproprietà delle società di calcio - 7. La evoluzione della disciplina determinata dal caso U.S. Salernitana 1919. Le decisioni sul caso Bari-Napoli - 8. Le soluzioni adottate dalle istituzioni internazionali e dagli altri ordinamenti - 9. Considerazioni conclusive - NOTE


1. La evoluzione giuridico-economica della fattispecie

Il fenomeno delle c.d. multiproprietà di più società di calcio professionistico sta diventando un tema di scottante attualità in molti ordinamenti, anche quando si tratta di partecipazioni possedute in Paesi diversi ed in competizioni diverse a livello internazionale, in quanto può determinare tra l’altro anche la creazione di “posizioni dominanti”, tali da turbare il libero mercato, in violazione del diritto interno e comunitario.

Definiremo di seguito la fattispecie più propriamente “pluriproprietà”, in quanto il termine usato nella prassi, derivato dall’esperienza di altri paesi, è “multi-club ownerships”, o più semplicemente MCO, che in realtà corrisponde in Italia ad altro istituto ossia alla c.d. proprietà turnuaria, utilizzato soprattutto nel settore immobiliare per le case di vacanza [1].

Il fenomeno è infatti disciplinato dal d.lgs. 9 novembre 1998, n. 427 e dall’art. 69 del codice del consumo. Quindi, se nel diritto privato per multiproprietà si intende – un diritto reale, perfetto, perpetuo e turnario a seconda dell’interpretazione delle varie teorie che non possiamo sviscerare in questa sede – una pratica commerciale attraverso cui i proprietari godono pienamente di un immobile a turno, nel mondo del calcio si intende tutt’altro. Si tratta della pluralità di partecipazioni in diverse compagini societarie, ossia di pluralità di diritti reali di proprietà in capo ad un medesimo soggetto o gruppo, caratterizzato dalla peculiare interrelazione derivante dalla gestione degli assets.

Si tratta di analogo equivoco linguistico, per ragioni di c.d. barbarismi, capitato per le c.d. “clausole rescissorie” dei contratti con i calciatori, che nulla hanno a che vedere con la nostrana rescissione per lesione o per stato di pericolo nel nostro ordinamento [2], ed il termine importato dall’ordinamento spagnolo [3] si riferisce in realtà ad un recesso indennizzato ed alla relativa multa penitenziale [4].

La problematica della pluriproprietà, come anticipato, non investe solo il calcio italiano, anzi sta diventando fenomeno ampio rispetto anche alla coeva proprietà in più Paesi, tant’è che anche le Istituzioni sovranazionali hanno in qualche modo regolamentato la materia limitatamente alle proprie incombenze e competenze.

Le c.d. MCO come fenomeno “occasionale” nascono molto lontano nel tempo.

Intorno alla metà degli anni Sessanta, un gruppo di imprese operanti in Sardegna – tra cui la più importante era la raffineria petrolifera S.A.RA.S. di Angelo Moratti, proprietario e presidente dell’Inter F.C. – decise di investire nel Cagliari Calcio, che nel 1970 arrivò a vincere lo scudetto [5]. In tempi più recenti la famiglia Pozzo, storica proprietaria dell’Udinese Calcio, acquisì l’intera partecipazione del Granada Club de Fútbol in Spagna e poi del Watford F.C. in Inghilterra [6]. Dopo aver venduto il club spagnolo nel 2016 alla holding cinese Desports Group (che possedeva anche il Chongqing Lifan, e che un anno dopo avrebbe acquisito il Parma [7]), ha ripiegato sul Watford. Grazie ai guadagni del campionato inglese, gli Hornets hanno superato il fatturato dell’Udinese.

In realtà, il primo episodio di MCO vero e proprio fu quello dell’English National Investments Company, meglio nota come ENIC, la società del britannico Joe Lewis che tra il 1995 e il 1997 acquistò nell’ordine l’AEK Atene, lo Slavia Praga S.K. ed il L.R. Vicenza, costituendo un’autentica multinazionale del pallone. Innanzi alle regole delle federazioni nazionali che vietavano di possedere squadre diverse nello stesso paese, la soluzione fu quella di acquistare nuove società all’estero. L’ENIC ha poi venduto tutti e tre i clubs, e oggi ne possiede uno solo, nuovo, il Tottenham Hotspur F.C.

Un altro caso famoso, intorno alla metà degli anni Duemila, riguardò il colosso energetico russo Gazprom, che controllava lo Zenit San Pietroburgo e divenne anche il principale sponsor dei tedeschi dello Schalke 04. Poi ha allargato la sua sfera di influenza sull’intero sistema Uefa fino al conflitto russo-ucraino [8].

La vera rivoluzione l’ha fatta negli anni Duemila la Red Bull, che dopo aver acquistato due scuderie di Formula 1, ha replicato il modello nel calcio, acquistando nel 2006 il New York Metrostars (oggi noto come New York Red Bull) e aggiungendolo al Fußballclub Salisburgo, preso l’anno precedente. Nel giro di tre anni, l’azienda austriaca ha assunto il controllo anche di un club in Brasile, oggi chiamato Red Bull Brasil, e di uno in Germania, il RB Lipsia. L’esempio della Red Bull ha rappresentato un vero cambio di prospettiva del fenomeno, dato che Austria e soprattutto Germania avevano regole molto stringenti che limitavano fortemente la presenza di proprietari unici nelle squadre di calcio, per favorire le associazioni di fan e tifosi: avendo dimostrato di poterle aggirare, l’azienda di Dietrich Mateschitz ha spianato la strada a nuovi investitori di questo tipo [9].

Su questa scia il caso più eclatante è diventato quello della CFG (City football group) della Abu Dhabi United Group società di investimenti che fa capo allo Sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan, una holding che ha partecipazioni di controllo in almeno dieci clubs nel mondo in altrettanti Paesi in quattro continenti. Oltre a detenere in Inghilterra il Manchester City F.C. e in Australia il Melbourne Heart F.C, è anche azionista della società giapponese Yokohama Marinos e comproprietario del New York F.C. e da qualche giorno del Palermo F.C., neopromosso in serie B.

Analoga posizione sta acquisendo il fondo statunitense RedBird che ha recentemente acquisito la maggioranza azionaria dell’A.C. Milan dal suo omologo e connazionale fondo Elliott Management Corporation, rimasto socio di minoranza a garanzia per il prestito che quest’ultimo ha fatto a RedBird per lo stesso acquisto. Il fondo Elliott possiede una quota di minoranza nel Liverpool ed una di maggioranza nel Tolosa F.C. che ha ottenuto la promozione in Ligue 1. Lo stesso fondo ha una rilevante posizione partecipativa nel Lille Olympique Sporting Club, campione di Francia nel 2021, grazie alla quale controlla di fatto il club e che gli ha permesso, un anno fa, di forzare la cessione delle quote di maggioranza di Gérard López – che possedeva anche Boavista e Royal Excel Mouscron, e che poi avrebbe comprato il Football Club des Girondins de Bordeaux – al fondo Merlyn Advisors.

Esistono casi ormai ovunque, anche in Spagna, dove l’Atletico Madrid ha appena acquisito il 35 per cento del Racing Club de Lens, compagine francese militante in Ligue 2 [10] dopo aver acquisito l’Atlético de San Luis in Messico. Così l’Ajax è socio di maggioranza dell’Ajax Cape Town in Sud Africa e il Monaco è proprietario del Cercle Brugge. Il gruppo Duchâtelet ha acquisito il controllo di quattro società in Europa: il Charlton in Inghilterra, il Carl Zeiss Jena in Germania, l’Alcorcón in Spagna e l’Újpest in Ungheria. Stessa cosa il gruppo malese di Vincent Tan che possiede il Cardiff City in Premier League, il Fudbalski klub Sarajevo in Bosnia, il Kortrijk in Belgio e azioni dei Los Angeles Fc negli Usa. Tra i pluriproprietari c’è poi la King Power, che possiede il Leicester City, il club belga Oud-Heverlee Leuven. L’imprenditore canadese Joey Saputo, dopo aver fondato nel 1992 l’Impact de Montréal, ha comprato il Bologna F.C. 1909.

Non sempre si tratta di storie di successo. Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, il fondo “777 Partners” ha acquistato quattro società di calcio tra Europa e Sudamerica, con il risultato che lo Standard Liegi ha chiuso quattordicesimo in classifica (peggior risultato di sempre), il Genoa C.F.C. è retrocesso in Serie B dopo quindici stagioni di A, e attualmente il Vasco da Gama si trova a metà classifica nella seconda divisione brasiliana. Oppure c’è il caso del fondo NewCity Capital di Chien Lee, che possiede il Barnsley, il Nancy, il Thun, l’Oostende, l’Esbjerg, il Den Bosch e il Kaiserslautern: sette squadre messe assieme in cinque anni, con le quali ha collezionato ben quattro retrocessioni.

Le ragioni degli investimenti sono variegate: per Redbull, ad esempio, è innanzitutto quella di potenziare il brand delle bevande prodotte nel mondo, per gli arabi investire i petrodollari, per altri è diversificare i ricavi, ammortizzare i rischi, sfruttare al massimo il boom economico del football moderno. Possedere una squadra di calcio significa entrare in relazione con l’economia del relativo paese, intessendo rapporti commerciali che vanno ben oltre lo sport. Non è un caso che nelle grandi capitali della finanza occidentale i clubs siano tutti o quasi in mano straniera e legati a MCO: l’Inter di Suning (che fino al 2021 possedeva lo Jiangsu), il già citato A.C. Milan di RedBird, il New York Red Bull, il New York City FC, il New York Cosmos di Rocco Commisso (proprietario anche della Fiorentina), il Paris Saint-Germain della famiglia reale del Qatar (che, attraverso l’Aspire Academy, gestisce varie compagini minori in Austria, Spagna e Belgio), il Red Star FC del fondo “777 Partners” (che controlla anche il Genoa C.F.C., lo Standard Liegi e il Vasco da Gama), per non parlare delle numerose squadre londinesi.

L’unica cosa che accomuna queste realtà è il fatto di essere clubs di calcio che condividono il medesimo proprietario di altri, e che stanno vivendo una rapidissima crescita, tanto che non è ormai difficile fornire un elenco di tutte quelle esistenti senza doverlo aggiornare dopo poco tempo, anche per via di intrecci e situazioni di fatto. Nel 2017, quando per la prima volta la UEFA ha iniziato ad avvertire il bisogno di censire le pluriproprietà, erano stati individuati 26 clubs europei appartenenti a MCO. Quattro anni dopo, ce ne erano almeno 56, e globalmente la rivista World Soccer ne aveva contati 117, divisi in 45 gruppi e riguardanti 37 Paesi.

È evidente che i numeri sono impressionanti specie in Europa in cui c’è il mercato più ricco e sviluppato ed in particolare nel Regno Unito strutturato su più campionati (Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord e Galles con quattro federazioni e competizioni distinte). È epifanico, tuttavia, che al secondo posto ci siano due nazioni “minori” come Belgio e Danimarca, dove è facile acquistare clubs a prezzi ridotti, senza problemi d’indebitamento. Due realtà che vivono una grande fase di sviluppo di giovani talenti, che possono poi essere rivenduti all’estero in progetti basati sul player trading, specie se accompagnati dalla coeva proprietà di squadre militanti in uno dei cinque principali campionati UEFA. Si tratta anche di una strategia volta a ridimensionare il ruolo dei procuratori arrivando prima sui giovani talenti, spostandoli da un paese all’altro, controllandone la progressione in carriera fino a che non siano maturi per diventare assets patrimoniali in grado di generare plusvalenze.

Il prossimo target country sarà il Brasile dove già hanno investito Red Bull ed il fondo 777 Partners. Il miliardario americano John Textor – che già possiede metà del Crystal Palace e la maggioranza del RWD Molenbeek – ha acquisito il Botafogo de Futebol e Regatas e il Clube de Regatas do Flamengo. In verità il primo gruppo a realizzare questo tipo di operazione fu la Parmalat di Tanzi all’inizio degli anni ‘90, che dopo aver sponsorizzato – in funzione dell’espansione dell’impresa multinazionale in Sudamerica – il C.A. Boca Juniors, il C.A. Penarol e il S.E. Palmeiras, acquisì il controllo azionario di quest’ultimo club brasiliano, avviando un decennio di successi con relazioni sinergiche con il Parma Calcio.

Il dato di fatto è che nel 2022 le società appartenenti a MCO hanno vinto tre dei principali cinque campionati UEFA, e solo le resistenze di paesi come Germania e Spagna consentono di mantenere in equilibrio il confronto. È questo il vero problema: progressivamente il potere del calcio sta andando a convergere nelle mani di un numero sempre più ristretto di soggetti, creando una sorta di Superlega di fatto.

Il grande successo della pratica del “multi-club ownerships” (MCO), purtroppo sta nel modo in cui vengono eluse le regole o derogate dalle Istituzioni nazionali ed internazionali.

Nel settembre 2018 il Salisburgo ed il RB Lipsia sono state sorteggiate nello stesso girone di Europa League e si sono affrontate due volte, senza che la UEFA facesse nulla per evitarlo.

Le MCO sono riuscite a rendersi ineluttabili rivelandosi il modo più efficace per attirare investitori in grado di dare stabilità economica ai clubs. Davanti a questo indubbio vantaggio, che minimizza teoricamente il rischio di bancarotta e favorisce maggiore circolazione di denaro, il governo del calcio ha scelto di chiudere un occhio a costo di aggirare le proprie stesse regole sull’equa competizione sportiva. Che poi è la stessa ragione per cui clubs come PSG e Manchester City hanno violato più volte il Fair Play Finanziario senza poi subire alcuna vera sanzione.

Eppure l’art. 18 comma 2 dello Statuto FIFA inequivocabilmente recita: “Ciascuna affiliata è tenuta ad assicurarsi che i clubs ad essa affiliati siano in grado di assumere tutte le decisioni in materia di affiliazione in modo autonomo e indipendente da qualsiasi organo esterno. Questo obbligo vige a prescindere dalla struttura societaria del­l’affiliata. In ogni caso, l’affiliata dovrà garantire che nessuna persona fisica o giuridica (comprese società controllanti e controllate) eserciti il controllo su più di un club ove l’integrità di una partita o di una competizione possa essere compromessa”.

In Italia il caso della U.S. Salernitana 1919 è stato emblematico. Lo statuto federale e le Norme organizzative interne federali (Noif), impedivano alla stessa proprietà di possedere due squadre diverse nelle serie A, ma nessuno si è opposto per tempo, nella convinzione che non si sarebbero trovate a disputare il medesimo campionato.

Quando poi questo è successo, con evidente ed insuperabile conflitto, si è prodotta una normativa “raffazzonata” a toppe ma la Salernitana ha comunque disputato mezzo campionato in una situazione di violazione sostanziale delle Noif, affrontando proprio la Lazio nel girone d’andata.


2. I principi e le norme di riferimento in materia

Le criticità determinate dalla pluriproprietà sono abbastanza ovvie, specie quando si tratta di partecipazioni coeve nello stesso Paese, e ancora più nette quando si tratta della medesima competizione. A parte i conflitti di interesse nello svolgimento dell’at­tività sportiva e la violazione delle regole della concorrenza, esistono vantaggi “anomali” anche in casi diversi, ovvero quando la pluriproprietà riguarda clubs militanti in Paesi diversi come dimostra l’aggiramento delle regole Financial Fair Play imposto dalla UEFA (recentemente riformato) [11], ed in qualche modo per sfuggire alle disposizioni interne in caso di pluriproprietà all’interno del medesimo ordinamento sportivo.

In particolare, al fine di eludere le regole sui contenimenti dei costi, una società trasferisce uno o più giocatori ad altro club del medesimo gruppo, valorizzandoli in bilancio secondo valutazioni convenzionali, non corrispondenti a quelle reali, così da poter configurare plusvalenze e minusvalenze (fittizie) [12] modulate in base alle regole di quel Paese ed alla esigenza della singola società interessata. In questo modo la società madre, qualora si trovasse in uno stato di perdita, o comunque con costi maggiori rispetto ai profitti, potrà comunque ridurre l’eventuale perdita se non, addirittura, risultare in utile, col fine di poter aggirare le sanzioni previste in caso di costi elevati (a fronte di mancati ricavi), e potersi quindi iscrivere al successivo campionato. La casistica è varia ed articolata e spesso contempla persino l’uso di calciatori dal settore giovanile o provenienti da campionati minori in giro per il mondo che vengono valorizzati in modo improprio e talvolta ridati in prestito alle stesse società venditrici.

La problematica investe a pieno molte delle criticità note nel diritto delle società nella fenomenologia dei gruppi o delle operazioni a parti correlate, cui sono dedicate norme dirette a neutralizzare gli effetti del controllo, del collegamento e dell’ete­rodirezione. Si pensi, ancora, alla disciplina dei casi di conflitto di interesse di cui agli artt. 2390 e 2391 c.c.

Il cumulo di cariche sociali è tendenzialmente visto come un comportamento illecito e lesivo della concorrenza, proprio in ragione della sua potenziale idoneità a violare il disposto di cui all’art. 2390 c.c., nella parte in cui vieta all’amministratore di esercitare un’attività concorrente per conto terzi, nonché il disposto dell’art. 2391 c.c., nel caso in cui l’interesse dell’amministratore sia in contrapposizione con quello della società.

In virtù del d.lgs. n. 58/1998 oltre ai limiti imposti dall’art. 16-bis delle NOIF, bisogna annoverare anche la situazione identificata come influenza dominante in forza a particolari vincoli contrattuali che legano tra loro le società.

L’art. 93 del TUF, infatti, fornisce la definizione di controllo [13] integrando quella già presente nell’art. 2359 c.c. [14], dando la possibilità di detenere il controllo anche senza possedere determinate quantità di partecipazioni azionarie, ma esercitando il controllo in virtù di particolari rapporti contrattuali che rendono una società dipendente economicamente rispetto all’altra.

Le società di calcio quotate, allo scopo di eludere il rischio di incorrere in queste sanzioni, sono solite inserire negli statuti clausole che prevedono conflitti di interessi ai sensi dell’art. 2373 c.c., nel caso in cui un azionista sia in possesso di azioni rilevanti con diritto di voto di due o più società calcistiche affiliate.

Tali società sono tenute al rispetto delle norme relative all’informazione sulle partecipazioni rilevanti alla stregua, anche, del d.lgs. n. 58/1998 (c.d. decreto Draghi), il cui art. 120 detta alcuni obblighi, ed in particolare al comma 3 impone alle società con azioni quotate che partecipano in misura superiore al dieci per cento del capitale di una società con azioni non quotate, anche se estere, l’obbligo di darne comunicazione sia alla società partecipata che alla Consob. La Commissione ha emanato, con regolamento, le norme di attuazione in materia di emittenti in cui sono regolamentati gli obblighi di informazione sia al pubblico, sia alla stessa Consob [15].

Per quanto concerne le partecipazioni, l’art. 1 del Regolamento Consob n. 11522 del 1° luglio 1998, prevede ulteriori comunicazioni alla società partecipata ed alla Consob quando si superano le percentuali del 5 per cento, del 7,5 per cento, del 10 per cento e successivi multipli di 5, nonché quando la partecipazione scende al di sotto del 2 per cento o sotto le percentuali indicate. L’art.8 del Regolamento Consob prevede, invece, per le partecipazioni di società quotate in società non quotate, comunicazioni da effettuare al superamento della soglia del dieci per cento delle partecipazioni, alla data di chiusura del primo settore di esercizio e alla data di chiusura dell’esercizio sociale.

Peraltro, la fattispecie finisce col coinvolgere la disciplina dei gruppi e le regole di bilancio che risentono di mancati adeguamenti. Si è correttamente evidenziato che sarebbe necessario, anche ai nostri fini, un completo restatement delle raccomandazioni contabili della FIGC, ormai inesorabilmente datate e che mostrano i segni del tempo, in primo luogo per adeguarle alla nuova disciplina sui bilanci, semmai creando due distinti set di raccomandazioni contabili al fine di applicarle distintamente alle società calcistiche tenute a redigere i loro bilanci nel rispetto dei principi contabili nazionali e a quelle tenute invece a redigerli nel rispetto degli IAS/IFRS [16].

La necessità di impedire situazioni di conflitto di interesse e di contemplare un sistema di incompatibilità tra cariche e incarichi sono oggetto di regolamentazione non soltanto nel diritto delle società ma anche nel diritto pubblico e amministrativo.

I principi sportivi trovano corrispondenza sostanziale nel Codice degli Appalti e nell’art. 2359 c.c., sull’area di consolidamento del gruppo societario, rubricato “società controllate e società collegate”. L’art. 2359 c.c. è l’unica norma di carattere generale che trova applicazione ogni qualvolta venga in considerazione la nozione di controllo o collegamento tra società, indipendentemente dalla natura dell’attività esercitata e dalle questioni riguardanti la redazione del bilancio. Essa costituisce, inoltre, la componente essenziale ed il parametro di riferimento imprescindibile delle definizioni di controllo dettate dalle discipline settoriali. Tuttavia, come si vedrà anche nella disciplina sovranazionale restano aperti i temi del controllo di fatto, della influenza dominante, del collegamento e della influenza notevole [17].

Il Codice degli appalti (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), all’art. 42, recependo gli articoli 24 della direttiva 2014/24/UE, 42 della direttiva 2014/25/UE e 35 della direttiva 2014/23/UE in materia di conflitti di interesse, ha espressamente fornito una definizione di conflitto di interesse nel contesto di una regolamentazione finalizzata “ad evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici” (cfr. commi 1 e 2).

Il fenomeno trova riferimenti anche nei principi comunitari in tema di libera concorrenza dettati dagli articoli 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea in materia d’intese restrittive, abusi di posizioni dominanti e concentrazioni, che vengono vietate quando siano tali da impedire, restringere o falsare la libera concorrenza all’interno del mercato comune. In particolare, la posizione dominante può essere definita «una situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato rilevante e ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti, ed in ultima analisi, dei consumatori. […] Siffatta posizione, a differenza di una situazione di monopolio o quasi monopolio, non esclude l’esistenza di una certa concorrenza e, comunque, di comportarsi sovente senza doverne tenere conto e senza che, per questo, simile condotta le arrechi pregiudizio» [18].

Ancora il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, “Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica”, modificato e integrato dal d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100 (c.d. Riforma Madia), ha previsto al comma 8 dell’art. 11, rubricato “Organi amministrativi e di controllo delle società a controllo pubblico”, che “Gli amministratori delle società a controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti”, e al successivo comma 14 che “Restano ferme le disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 [19].


3. La evoluzione normativa federale sulle pluriproprietà

Per molti anni la fattispecie è stata regolamentata nel nostro Paese con un chiaro disfavore verso le pluriproprietà, che trovava un sostanziale avallo nel citato art. 18, comma 2, dello Statuto FIFA.

In Italia l’art. 7, comma 7, dello Statuto federale FIGC, contempla una norma quadro che recita: «non sono ammesse partecipazioni, gestioni o situazioni di controllo, in via diretta o indiretta, in più società del settore professionistico da parte del medesimo soggetto». Prima della riforma del 2004, l’art. 6, al comma 6, prevedeva invece il divieto assoluto di partecipazione al medesimo campionato di divisione nazionale di società o associazioni controllate, in via diretta o indiretta, dal medesimo soggetto [20].

Al comma 8, inoltre, si legge che «nessuna società del settore professionistico può avere amministratori o dirigenti in comune con altra società dello stesso settore. Nessuna società del settore professionistico può avere collegamenti o accordi di collaborazione, non autorizzati dalla Lega competente e non comunicati alla FIGC, con altra società partecipante allo stesso campionato».

Il comma 9, inoltre, prende in esame la medesima situazione riferita ai dilettanti sancendo che «nessuna società partecipante a campionati della L.N.D. può avere soci, amministratori o dirigenti in comune. Nessuna società del settore dilettantistico può avere collegamenti o accordi di collaborazione, non autorizzati dalla L.N.D. e non comunicati alla FIGC, con altra società partecipante allo stesso campionato».

Infine, il comma 10 disciplina le conseguenze della violazione della normativa, prescrivendo che «i regolamenti federali disciplinano i casi di conflitto di interessi e stabiliscono le relative conseguenze o sanzioni nel rispetto dell’art. 29, comma 5».

Il Consiglio Federale FIGC, con delibera del 15 luglio 2005 – di cui al Comunicato ufficiale n. 37/A – provvedeva ad apportare le conseguenti modifiche alle NOIF.

Il quadro fornito dallo Statuto Federale veniva esteso dall’art. 16 delle NOIF al­l’ambito dilettantistico secondo cui «non sono ammesse partecipazioni o gestioni che determinino in capo al medesimo soggetto controlli diretti o indiretti in società appartenenti alla sfera professionistica o al campionato organizzato dal Comitato Interregionale».

Lo stesso articolo definiva poi con maggior precisione il quadro generale fornito dallo Statuto, sancendo nei successivi commi che «ai fini di cui al comma 1, un soggetto ha una posizione di controllo di una società o associazione sportiva quando allo stesso, ai suoi parenti o affini entro il quarto grado sono riconducibili, anche indirettamente, la maggioranza dei voti di organi decisionali ovvero un’influenza dominante in ragione di partecipazioni particolarmente qualificate o di particolari vincoli contrattuali. L’inosservanza del divieto di cui al comma 1 costituisce illecito e comporta su deferimento della Procura Federale, l’applicazione delle sanzioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva. L’avvio del procedimento disciplinare comporta la sospensione dei contributi federali, da revocarsi in casi di pronuncia definitiva, favorevole alle società. Permanendo l’inosservanza del divieto di cui al comma 1 alla scadenza del termine, annualmente fissato, per la presentazione della domanda di iscrizione al campionato, le società oggetto di controllo non sono ammesse al Campionato di competenza e decadono dai contributi federali [21]. Non si dà luogo alle sanzioni di cui al comma 3, qualora il controllo derivi da successione mortis causa a titolo universale o particolare, o da altri fatti non riconducibili alla volontà dei soggetti interessati. Qualora sopravvengano, per i suddetti motivi, situazioni tali da determinare in capo al medesimo soggetto situazioni di controllo diretto o indiretto in società della medesima categoria, i soggetti interessati dovranno darne immediata comunicazione alla FIGC e porvi termine entro i 30 giorni successivi» [22].


4. La casistica giurisprudenziale antecedente alle modifiche del 2013. La vicenda S.S. Cassino s.r.l. – Salernitana Calcio S.p.A.

La prima questione sorta in materia e che ha determinato una controversia risale al 2009 ed ha prodotto la delibera della Commissione Disciplinare Nazionale FIGC – Comunicato ufficiale n. 31/CDN del 26 ottobre 2009 [23].

Si trattava del caso del Presidente onorario della società sportiva Cassino Calcio 1924 che aveva acquisito, in virtù di particolari vincoli contrattuali, il controllo della Salernitana Calcio Spa (società diversa da quella di cui parleremo di seguito e successivamente fallita) in violazione delle citate norme organizzative federali interne.

In particolare veniva contestata dalla Procura federale: al Cassino la responsabilità diretta per le condotte contestate al suo Presidente onorario con poteri di legale rappresentanza; all’amministratore unico e legale rappresentante ed all’azionista di maggioranza, institore e legale rappresentante della Salernitana, per aver, nelle predette qualità, sottoscritto e comunque fatto uso dei contratti di sponsorizzazione, utilizzati dalla stessa società al particolare fine di eludere gli obblighi di ricapitalizzazione facenti carico alla società medesima, in contrasto con i principi di lealtà, correttezza e probità; alla società Salernitana la conseguente responsabilità diretta in virtù delle condotte dei suoi dirigenti».

Nella fattispecie concreta la Commissione Disciplinare Nazionale rigettava il deferimento per insufficienza di elementi probatori sulle situazioni di fatto riguardanti la c.d. influenza dominante, nonostante la sottoscrizione dei predetti contratti di sponsorizzazione e il trasferimento di un certo numero di giocatori tra le due società coinvolte [24].

Secondo la tesi del Procuratore Federale con l’acquisizione del 30 per cento della società Salernitana Calcio si era realizzata «una chiara “influenza dominante”, sulla società sportiva sponsorizzata, incidendo radicalmente sul bilancio di quest’ultima e sulle conseguenti scelte economiche ed aziendali».

Impostazione fondata sul principio secondo cui la norma ex art. 16 bis NOIF configura un illecito di pericolo, mentre il concretizzarsi dell’influenza dominante rappresenterebbe un aggravante della fattispecie. Il Procuratore fondava questa tesi sui principi statuiti dalla giurisprudenza amministrativa in tema di partecipazione alle gare pubbliche di appalto [25] che in generale valuta con sfavore sia le situazioni di controllo sia quelle riconducibili al collegamento e secondo cui «è sufficiente la ricorrenza di indizi oggettivi e concordanti, tali da ingenerare pericolo per i superiori valori della ‘par condicio’ tra ricorrenti, della serietà, segretezza e indipendenza delle offerte, non essendo, per contro, richiesta la prova di specifici atti diretti a violare la ‘par condicio’ in quanto l’ordinamento impone anticipare la tutela avverso simili condotte al momento in cui si verifichi il semplice pericolo per i superiori valori protetti» [26].

A seguito del gravame, la Corte di Giustizia Federale, ritenendo privo di fondamento giuridico quanto addotto dal Procuratore Federale, rigettava l’appello, affermando di concordare «compiutamente con le motivazioni di rigetto del deferimento esplicitate dalla Commissione Disciplinare Nazionale nella decisione gravata e dalle stesse non intende di scostarsi non risultando acquisita una prova certa, diretta inequivocabilmente a dimostrare, come previsto dalla ratio dell’art. 16 bis NOIF che ha riproposto il medesimo contenuto dell’art. 2359 c.c., la manifestazione di una posizione di influenza dominante in capo al Murolo nella Salernitana Calcio».

Non è questa la sede per approfondire il tema del “controllo di fatto” specie nella giurisprudenza civilistica successiva al caso; però va comunque detto che l’ipotesi di collegamento, prevista dal comma 3 dell’art. 2359 c.c., è diversa da quella prevista in ambito giuspubblicistico per la quale l’accertamento da parte della stazione appaltante, che i concorrenti o alcuni di essi abbiano presentato offerte imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi, legittima l’estromissione della stessa società dalla procedura ad evidenza pubblica [27].

Nella fattispecie concreta, secondo la Corte, non ci si trovava in presenza di un centro decisionale unico delle due società, in quanto questo non era comprovato mediante elementi di fatto specifici e univoci e tale situazione non rientrava nella previsione dell’art. 34, comma 2, del Codice degli Appalti (comma oggi abrogato dall’art. 3, comma 3, d.l. 25 settembre 2009, n. 135) [28].

La questione che si pose all’epoca è attuale e fa emergere, anche de iure condendo in sede sportiva, la necessità di definire in modo chiaro i presupposti atti a stabilire quando due società di calcio debbano considerarsi collegate [29].


5. Il quadro regolamentare di riferimento nella vicenda U.S. Salernitana 1919 S.r.l.

Il quadro federale per alcuni anni è stato dunque caratterizzato da un chiaro sfavore rispetto alla possibilità da parte di un soggetto di gestire e controllare più compagini societarie, siano esse professionistiche o dilettantistiche, in linea come visto con l’art. 18, comma 2, dello Statuto FIFA.

Tuttavia, la grave crisi conseguente alla generale recessione economica, che colpiva in particolare le società di Lega pro (corrispondenti alla ex serie C1 e serie C2), determinando la mancata iscrizione di oltre 40 società ai relativi campionati, comportava modifiche che, di fatto, aprivano nuovamente alla multiproprietà, limitando il divieto alla sola compartecipazione in due o più società professionistiche, consentendo la multiproprietà tra società professionistiche e dilettantistiche.

Per salvare realtà calcistiche a rischio di scomparsa venivano nuovamente modificate le NOIF, in maniera tale da consentire la possibilità di partecipazione e di controllo, da parte di soggetti già titolari di partecipazioni in società militanti nella Lega di Serie A, a condizione che le società partecipate militassero nei tornei dilettantistici.

Peraltro, la capacità di produrre reddito di un campionato determina l’ammontare dei contributi riservati alle squadre delle serie inferiori. Per le medesime ragioni si è anche fatto ricorso al modello spagnolo delle squadre B in quanto con il format del Campionato di Serie C a 60 squadre, non sempre i ripescaggi hanno garantito il completamento delle compagini del medesimo campionato. Un esperimento che, ad oggi, è un fallimento ed ha raccolto l’adesione della sola Juventus U23. Anche questo è l’indice di inadeguatezza del nostro calcio, ossia copiare i modelli che hanno funzionato in altri paesi, in contesti diversi senza considerare le nostre specificità ordinamentali [30].

In ogni caso, il Consiglio federale FIGC, con delibera del 9 luglio 2013, contenuta nel comunicato ufficiale n. 7/A11, apportava una modifica al comma 4 dell’art. 16 bis NOIF, che sanciva: “Non si dà luogo alle sanzioni di cui al comma 3, qualora il controllo derivi da successione mortis causa a titolo universale o particolare, o da altri fatti non riconducibili alla volontà dei soggetti interessati. Qualora sopravvengano, per i suddetti motivi, situazioni tali da determinare in capo al medesimo soggetto situazioni di controllo diretto o indiretto in società della medesima categoria, i soggetti interessati dovranno darne immediata comunicazione alla FIGC e porvi termine entro i 30 giorni successivi [31].

La novella comportava due effetti: di consentire, in armonia con lo Statuto, l’ac­quisizione di una società dilettantistica da parte del titolare di una società professionistica, purché di massima serie; di equiparare, in modo invero non conforme allo statuto federale [32], la successiva promozione, dal torneo dilettantistico a quello professionistico, della società dilettantistica acquisita, ad un evento non voluto, con relativa applicazione della clausola di salvezza di cui al comma 4 dell’art. 16-bis.

In buona sostanza la novella portava ad escludere che la compartecipazione in più società professionistiche fosse da considerarsi inammissibile, sebbene tale possibilità fosse limitata ai casi di acquisizione di società in crisi, e ripartenti da categorie dilettantistiche, ovvero ad acquisizioni mortis causa o, comunque, riconducibili a fattori indipendenti dalla volontà dell’acquirente.

L’unico divieto insuperabile, indicato nel secondo capoverso del citato comma 4, nella sua nuova formulazione, diveniva quello della ipotesi di sopravvenuta partecipazione al medesimo campionato professionistico da parte di due società facenti capo alla medesima proprietà (nei sensi di cui al comma 2 dell’art. 16-bis). In questo caso, le esigenze conservative di tipo sportivo e socioeconomico recedevano rispetto a quelle di salvaguardia della regolarità del torneo, per una situazione di palese conflitto di interessi.

In tale occasione proprio il presidente e azionista della Lazio, Consigliere Federale in quota Lega di Serie A, rilevava “... come la proposta avanzata con buon senso dal Presidente permetta ad un presidente di una società di serie A di mantenere il controllo di una società dilettantistica e non già professionistica che nell’evoluzione del suo percorso agonistico può giungere fino a militare nel campionato di serie B. È di tutta evidenza che una eventuale promozione della seconda società comporterebbe la perentoria attivazione della normativa federale – art. 16 delle NOIF – il quale già prevede l’obbligo di alienazione della situazione di controllo entro i 30 giorni successivi alla sopravvenuta compresenza nello stesso campionato”.

Nel successivo mese di settembre con delibera n. 307 la Giunta Nazionale del CONI approvava le modifiche al testo dell’art. 16-bis delle NOIF osservando nella nota allegata “la stessa Federazione, inoltre, con il citato provvedimento ha escluso la possibilità di controlli societari plurimi nella medesima categoria, dunque, anche qualora siano scaturiti da fatti non dipendenti dalla volontà degli interessati. Tale divieto risponde alla imprescindibile finalità di garantire la regolarità del campionato preoccupazione questa che invece non è riscontrabile quando le squadre militano in categorie diverse [33].

Sulla base di questa normativa sono emerse nel tempo diverse ipotesi di pluriproprietà di compagini italiane militanti in categorie diverse. Le principali casistiche hanno riguardato S.S. Lazio-U.S. Salernitana e S.S.C. Bari-S.S.C. Napoli.

La Salernitana veniva promossa nel campionato di massima serie da disputarsi nella stagione 2021-2022 e vista la difficoltà di ottemperare alle norme vigenti nello spazio temporale ristretto tra fine campionato di serie B e iscrizione al campionato di serie A, dopo un lungo “tiro e molla” veniva concesso dalla Federazione l’iscrizione nella massima serie alla Salernitana previo apporto delle partecipazioni in un blind-trust che aveva il compito di cedere il pacchetto azionario entro il termine massimo del 31 dicembre 2021.

Il Consiglio Federale della FIGC con comunicato n.11/A del 9 luglio 2021 rendeva infatti note le determinazioni assunte nella riunione del 7 luglio 2021, ricordando preliminarmente le eccezioni e le indicazioni anzi tempo contenute nel Comunicato Ufficiale n. 249/A del 20 maggio 2021.

Con le stesse indicazioni il Consiglio Federale FIGC invitava il Presidente della Lazio, che esercitava ai sensi del comma 2, art. 16-bis delle NOIF una posizione di controllo della S.S. Lazio S.p.a. e della U.S. Salernitana 1919 S.r.l., a “porre termine” a tali “situazioni di controllo diretto o indiretto in società della medesima categoria”, di cui all’art. 16-bis delle NOIF, entro 30 giorni dalla notifica della citata delibera e comunque entro e non oltre 3 giorni prima del termine fissato dalle norme federali per il deposito della domanda di ammissione al Campionato di Serie A 2021/2022, con espressa avvertenza che, nel caso del perdurare di tale situazione, la U.S. Salernitana 1919 S.r.l. “non sarebbe stata ammessa alla partecipazione al campionato di Serie A stagione sportiva 2021/2022”.

Il Consiglio Federale prendeva atto di aver ricevuto comunicazioni e la relativa documentazione rispettivamente dalle società “Morgenstern S.r.l.” e “Omnia Service One S.r.l.” (proprietarie delle quote societarie costituenti la U.S. Salernitana 1919 S.r.l) e dalla COVISOC. Documentazione dalla quale si riscontrava che tra le società S.S. Lazio S.p.a. e della U.S. Salernitana 1919 S.r.l si era posto termine alle “situazioni di controllo diretto e/o indiretto di società della medesima categoria” di cui al Comunicato Ufficiale n. 249/A, nei limiti, alle condizioni e nel rispetto dell’“Atto modificativo di Atto istitutivo del Trust Salernitana 2021 [34].

Come sopra ricordato quindi, la U.S. Salernitana 1919 S.r.l. aveva documentato che in adempimento alle prescrizioni della Federazione Italiana Giuoco Calcio, la Omnia Service S.r.l. e la Morgenstern S.r.l. avevano trasferito l’amministrazione e gestione delle loro rispettive partecipazioni (pari all’intero capitale sociale della U.S. Salernitana 1919 S.r.l.) al “Trust Salernitana 2021”: un c.d. “Blind Trust”.

Il campionato, tuttavia, iniziava senza che il Trust fosse riuscito a cedere la società, tant’è che il 16 novembre 2021, i trustee rendevano nota la mancata sussistenza dei presupposti richiesti per l’acquisto del 100 per cento del capitale sociale della U.S. Salernitana 1919 S.r.l. ritenuti congrui e cioè: requisiti di indipendenza; requisiti economici, patrimoniali e finanziari; requisiti oggettivi previsti dalla normativa federale.

La dichiarata inidoneità di tali requisiti delle offerte ricevute al 30 settembre, anche documentali, induceva il Trust a prorogare “fino al 5 dicembre 2021” il termine per la presentazione delle offerte irrevocabili di acquisto entro il 15 dicembre 2021, rammentando che il Club dovesse avere entro il 31 dicembre 2021una nuova proprietà, con esclusione dei soggetti proprietari o comunque loro legati e riferibili, per evitare l’esclusione dal Campionato in corso.

L’epilogo della vicenda è noto: dopo ulteriori proroghe e grandi polemiche mediatiche all’ultimo momento perveniva l’offerta valida e completa di tutti i requisiti di (I.D.I. S.p.A.) che si aggiudicava l’intera partecipazione sociale nella Salernitana US 1919 S.r.l. pochi minuti prima della mezzanotte [35].


6. La segregazione patrimoniale a mezzo trust come soluzione alla pluriproprietà delle società di calcio

La U.S. Salernitana 1919 è stata iscritta al campionato di serie A, stagione 2021/2022, come visto, mediante l’utilizzo del “blind trust” con lo scopo di separare il soggetto dal proprio patrimonio, e così evitare il conflitto di interessi, con la specifica che in caso di mancata cessione nei sei mesi, la società avrebbe perso l’affiliazione ed esclusa dal campionato di Serie A. Al tempo stesso sono state vietate le triangolazioni con la Lazio in sede di calciomercato, con il diritto della FIGC di accedere ai flussi informativi della Salernitana sino al 31 dicembre 2021, termine ultimo per la cessione delle quote societarie [36].

La vicenda ci offre l’opportunità di analizzare la compatibilità strutturale od occasionale dello strumento giuridico con l’ordinamento giuridico italiano e quindi con il sub-ordinamento sportivo.

Il trust costituisce, come noto, uno straordinario strumento di autonomia privata per istituire patrimoni destinati a scopi predeterminati, consentendo di derogare in questo modo al principio di responsabilità patrimoniale universale, per cui il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri. Ciò ha consentito nei paesi di matrice anglosassone la disciplina delle diverse pretese intorno a patrimoni separati, situazione risolta spesso negli ordinamenti di civil law mediante soluzioni di secondo grado, quale è la costituzione di persone giuridiche, distinte da quelle fisiche, che traducono in atti giuridici l’esigenza di dare rilevanza autonoma a tali patrimoni [37].

Nel novero degli schemi v’è il c.d. trust di scopo, ovvero un trust il cui patrimonio non è destinato a beneficiari individuati, ma è volto a raggiungere determinate finalità previste nell’atto istitutivo. Tra le innumerevoli applicazioni pratiche che i trust di scopo consentono di realizzare, a livello internazionale si è diffusa la costituzione del c.d. blind trust [38], che in tale contesto è stato utilizzato in via emergenziale, detto anche trust “cieco” che è una forma di trust usato in passato in genere per evitare conflitti di interessi quando si assumono ruoli pubblici [39] o incarichi privati dai quali potrebbero derivare vantaggi per il proprio patrimonio, se le informazioni acquisite nello svolgimento dell’incarico fossero usate per finalità personali: è questa una delle molteplici finalità per le quali il trust può essere utilizzato, già in passato giunta più volte all’onore delle cronache. Il trust è “cieco” quando viene istituito dal disponente con lo scopo di affidare il proprio patrimonio finanziario al trustee affinché questi lo gestisca a sua completa discrezione (sia pure secondo profili di rischio indicati dal disponente), senza informare il disponente degli investimenti e dei disinvestimenti effettuati. In sostanza, da un lato il disponente può svolgere serenamente la sua professione o il suo incarico senza essere condizionato dal suo patrimonio finanziario; dall’altro lato egli non può essere sospettato di aver effettuato scelte di investimento del suo patrimonio in base a notizie riservate.

È quindi chiaro che un blind trust “funziona” se il trustee è un soggetto che svolge professionalmente tale attività e che si trova in una situazione di completa indipendenza rispetto al disponente: se si trattasse di una persona (fisica o giuridica) che ha relazioni di parentela, amicizia, affari o professione (o analoghe) tali da evidenziare che non può fondatamente esservi un chinese wall tra il trustee e il disponente, del trust si avrebbe solo una mera apparenza. In tal caso si tratterebbe di un puro e semplice mandato e cioè una strumentazione che non sarebbe qualificabile né come trust né, tanto meno, come blind trust.

È pacifico in ogni caso che la Convenzione dell’Aja non abbia introdotto un trust di diritto interno né abbia dettato una disciplina nazionale per l’istituto [40] e quindi si continua a discutere pur dopo la ratifica italiana [41] sull’ammissibilità del trust c.d. interno che non presenti cioè elementi importanti di estraneità rispetto all’ordinamento, ed in cui le parti siano cittadini italiani ed i beni da trasferire siano ubicati all’interno del territorio italiano, con la mera peculiarità della legge straniera scelta dal disponente per regolamentare il negozio istitutivo. In realtà, obiettivo della Convenzione è quello di garantire lo sviluppo dell’istituto, mediante la fissazione di norme internazionali di diritto privato, che introducano, negli ordinamenti dei diversi Stati, criteri univoci per il riconoscimento dei trusts di diritto estero e che consentano, per quanto possibile, di uniformare tra loro anche le norme interne di conflitto. La finalità di diffondere l’isti­tuto è stata perseguita prevedendo la libertà di sceglierne la legge regolatrice per cui il concreto utilizzo diviene possibile anche ai cittadini di «non Trust Country» (artt. 6 e 7) e sancendo l’obbligatorietà per tutti gli Stati aderenti di riconoscerlo quando corrisponda al modello convenzionalmente tipizzato (art. 11). La Convenzione dell’Aja rimane però una convenzione in tema di conflitti di leggi e, non assumendo il carattere di convenzione di diritto sostanziale uniforme, non produce l’effetto di introdurre nel nostro ordinamento un trust di diritto interno [42] ma di individuare la legge regolatrice di quelle fattispecie che presentano elementi di estraneità [43].

L’interpretazione letterale della norma sembra escludere la legittimità del trust domestico non avendo lo Stato italiano previsto e disciplinato tale figura e mancando elementi obiettivi di internazionalità della fattispecie [44]. Il citato articolo attribuisce ad ogni Stato sottoscrittore, che non preveda il Trust, ma anche ad uno Stato che lo preveda (Trust Country), il potere di rifiutarne il riconoscimento. L’ambito individuato dall’art. 13 è quello del Trust interno di uno Stato che non lo preveda, nel quale i soggetti e l’oggetto, cioè gli elementi importanti, sono localizzati nel territorio dello Stato medesimo. Così, un Trust interno allo Stato italiano sarebbe quello costituito (in base a legge straniera) da un cittadino a favore di un altro cittadino, entrambi residenti, mediante conferimento di beni situati in Italia. Nessuno degli Stati sottoscrittori, compresa l’Italia, è quindi tenuto a riconoscere un Trust di questo tipo [45].

Per il trust domestico restano pertanto insuperabili i principi che si oppongono allo sdoppiamento del diritto di proprietà, a prescindere dal fatto che venga perseguito uno scopo lecito o meno [46]. Nessun problema osta invece alla riconoscibilità di un trust in cui i soggetti abbiano nazionalità straniera e i beni siano situati in Italia oppure in cui i soggetti abbiano nazionalità italiana e i beni siano situati all’estero. Qui, il dovere di riconoscimento deriva dall’adesione dell’Italia alla Convenzione, il cui ordine pubblico non fa alcuna questione sullo sdoppiamento.

Restano le criticità che, per i particolari e soprattutto irriproducibili rapporti che nei paesi di common law vengono a porsi «fra legal estate ed equitable interests, necessariamente inducono alla definitiva perdita del bene fin dal momento del suo affidamento al trustee, all’azionabilità in personam delle limitazioni, aventi carattere per lo più obbligatorio, del diritto formalmente riconosciuto in capo a quest’ultimo, nonché ad una tutela» molto attenuata del beneficiario privo di ownership in senso proprio [47]. In buona sostanza non si può non prendere atto della mancanza di quell’apparato “rimediale” dell’Equity che nella sostanza attribuisce effettività al trust [48]. Quindi, al di là dell’uso improprio e transitorio dello strumento, funzionale solo a superare una situazione eccezionale, il trust presenta profili di criticità che non consentono di immaginarlo come una soluzione strutturale a risolvere i fenomeni di multiproprietà di società di calcio. Peraltro, esistono strumenti di civil law, a parte la società come soluzione di secondo grado, funzionali a raggiungere l’obietti­vo in modo analogo come il contratto di “affidamento fiduciario” [49] specie dopo la legge n. 112/2016 che ha sgombrato i dubbi sull’ammissibilità dell’isti­tuto [50], che concorre col trust in tema di situazioni affidanti [51], ma ha il vantaggio di discendere dalla tradizione civilistica e quindi di adattarsi meglio alla stessa [52].

È opportuno chiarire, infine, che completamente diverso è il caso dell’utilizzo del trust nella coeva vicenda della Unione Calcio Sampdoria, in quanto finalizzato a garantire finanza esterna in un concordato preventivo [53]. Si tratta dell’utilizzo del trust nell’ambito delle procedure concorsuali, come strumento di garanzia dei creditori concordatari [54] e non di accelerazione delle operazioni di chiusura della procedura [55].


7. La evoluzione della disciplina determinata dal caso U.S. Salernitana 1919. Le decisioni sul caso Bari-Napoli

Come si è visto, ipotizzando la possibilità che si verificasse il caso Salernitana, il Consiglio Federale del 26 aprile 2021 emanava nuove norme in diversi ambiti proprio per contrastare le criticità varie in atto nelle diverse categorie [56]. Su proposta del presidente federale venivano apportate modifiche all’art. 16-bis delle NOIF nonché all’art. 31, comma 9, del Regolamento di Giustizia Sportiva FIGC, sancendo: “di vietare le plurime partecipazioni di controllo da parte di un medesimo soggetto in ambito professionistico, anche nell’ipotesi in cui una società dilettantistica, controllata da un soggetto impegnato come socio di controllo nel professionismo, salga in Serie C”.

In base al combinato disposto del nuovo comma 3 dell’art. 16 bis NOIF e del nuovo comma 9, primo e secondo periodo, dell’art. 31 Regolamento di Giustizia Sportiva, viene introdotto un meccanismo sanzionatorio fondato su due fasi graduali e progressive, che colpisce prima la condotta violativa e poi l’inerzia colpevole dei responsabili. Questo sistema comporta l’applicazione delle sanzioni già previste nella vecchia formulazione dell’art. 31 comma 9, primo periodo, a carico della società e dei soci e poi decorsi 30 giorni dal passaggio in giudicato della pronuncia di condanna, determina l’esclusione dal campionato di competenza nonché un notevole aggravamento della sanzione della inibizione temporanea di cui al citato art. 9, comma 1, lett. h), Regolamento Giustizia Sportiva FIGC, che passa da un periodo “non inferiore ad un anno”, a quello, fisso, di “cinque anni” [57].

La procedura è integrata dalla previsione di una ulteriore ipotesi, di cui al successivo comma 4 dell’art. 16-bis NOIF, in base al quale si incorre nella situazione vietata di cui all’art. 16 bis comma 1 “anche nel caso la stessa sopravvenga al passaggio di una società dal settore dilettantistico al settore professionistico [58].

La Federazione, alla luce della vicenda del “Trust Salernitana”, con delibera pubblicata sul C.U. n. 88/A del 1° ottobre 2021 relativamente alla modifica dell’art. 16 bis ha poi statuito: “fatti salvi i provvedimenti già adottati dal Consiglio Federale in base alla previgente formulazione dell’art. 16 bis, i soggetti, che alla data di entrata in vigore della presente formulazione si trovano nella condizione di cui al comma 1, dovranno porvi fine entro e non oltre 5 giorni prima del termine fissato dalle norme federali per il deposito della domanda di ammissione al campionato professionistico di competenza della Stagione Sportiva 2024/2025. Qualora antecedentemente alla stagione sportiva 2024/2025 si verifichino, nell’ambito della medesima categoria, per due o più società professionistiche, le condizioni vietate dal comma 1, i soggetti interessati dovranno porvi fine entro e non oltre 5 giorni prima del termine fissato dalle norme federali per il deposito della domanda di ammissione al campionato professionistico di competenza”.

In particolare, la FIGC ha stabilito che, a partire dalla stagione 2024-2025, sarà proibito a un medesimo soggetto di controllare due società di calcio.

Vista l’assenza di norme FIFA che disciplinano questo argomento, nell’ordina­mento sportivo italiano la normativa di riferimento, come abbiamo visto, risultava dal combinato disposto tra l’art. 7 dello Statuto Federale e l’art. 16-bis delle NOIF.

A tutte le criticità evidenziate nei paragrafi precedenti, va aggiunto che per la società principale avere la possibilità di una società satellite per determinate operazioni costituisce un vantaggio tecnico, economico e finanziario.

Ad esempio, se la prima acquista un giocatore extracomunitario, non avendo però più slots disponibili per questo tipo di operazioni, lo potrà girare alla seconda mantenendone la proprietà senza dover rinunciare all’operazione. Al tempo stesso rappresenta un problema concorrenziale per le altre società iscritte al campionato minore della società-satellite in cui esistono grosse difficoltà di finanziamento dei clubs, con una evidente sperequazione in danno anche della competizione sportiva e conseguentemente dello spettacolo.

La fine dell’era delle multiproprietà ricorda la medesima sorte di un altro strumento in passato molto utilizzato dalle società sportive, cioè le “comproprietà dei calciatori”, “third-party ownership”, vietata a partire dal 2015 [59].

Queste ultime, disciplinate dall’ormai abrogato art. 102-bis delle Norme organizzative interne della FIGC, prevedevano la contemporanea proprietà di due squadre del c.d. “cartellino” di un giocatore (rectius contratto).

La conclusione di tale contratto poteva avvenire o mediante la cessione o l’acquisto derivante dall’accordo delle due società o, nel caso in cui non fosse stato raggiunto l’accordo, le parti si impegnavano a redigere un’offerta in busta chiusa e il cartellino sarebbe stato aggiudicato al miglior offerente.

Le pluriproprietà quindi, proprio come è accaduto per le comproprietà, sono state definitivamente abolite per le antinomie ed incoerenze prodotte a tutela della concorrenza nel campionato di appartenenza.

Tuttavia, nonostante il caso Salernitana, la pluriproprietà di Napoli e Bari al fine di evitare di essere costretta a cedere una delle società prima della fine del 2024, in caso di mancata promozione nelle more nella massima serie della compagine pugliese, ha impugnato la deliberazione del Consiglio federale [60].

Il Tribunale Federale Nazionale, sezione disciplinare, ha tuttavia respinto il ricorso di Aurelio De Laurentiis sulla questione multiproprietà con decisione assunta in Camera di Consiglio il 6 maggio e depositata in data 13 maggio 2022 [61]. Come vedremo si tratta di una sentenza che affronta macro-temi del settore e che a parte i profili processuali e formali, contiene l’affermazione di principi sostanziali che evidenziano la rilevanza della fattispecie sul piano sistemico per l’ordinamento sportivo [62].

I giudici, dopo aver affermato che non ha positiva cittadinanza un divieto di mutare le regole che disciplinino rapporti di durata [63], hanno rilevato che “punto di sintesi tra presidio dell’affidamento dei consociati e garanzia della flessibilità dell’assetto di regole si rinviene nella protezione di interessi generali che ragionevolmente giustifichino l’incidenza su acquisite posizioni di vantaggio. Ed è ragionevole che, nell’ecosi­stema di un ordinamento sportivo, l’interesse generale si indentifichi nel corretto svolgimento delle gare, che, a propria volta, presuppone la massima garanzia del principio di pari trattamento dei contendenti; principio che il divieto di simultaneo controllo di più società inevitabilmente preserva”.

Come si legge, a chiare lettere, nel verbale del Consiglio Federale del 30 settembre 2021, un esteso divieto di multiproprietà valorizza la competizione sportiva, nell’ottica di un rigore etico che viene appieno promosso in forza della piena operatività della regola non solo rispetto a squadre che partecipano allo stesso campionato ma anche a società che appartengono a categorie diverse (così incidendo, ad esempio, sulla quaestio del trasferimento dei calciatori). La norma limitativa contenuta nella delibera impugnata appare, in tale ottica, ragionevole. Secondo il Tribunale la ragionevolezza sussiste sia in sé sia alla luce di un bilanciamento in concreto del richiamato interesse generale con i cosiddetti diritti quesiti. Va infatti ricordato che l’art. 7, comma 7, dello Statuto FIGC non ammette partecipazioni, gestioni o situazioni di controllo, in via diretta o indiretta, di più società del settore professionistico da parte del medesimo; che il disposto non contiene distinguo tra ‘multiproprietà’ in campionati diversi o in uno stesso campionato; che il principio di gerarchia delle fonti impone che le norme regolamentari siano sempre subordinate a quelle statutarie.

Null’altro ha fatto la FIGC “se non adeguare l’assetto regolamentare a quello statutario (il nuovo art. 16 bis NOIF, come introdotto nell’ottobre 2021, reca un dettato del tutto sovrapponibile, quanto alla presente fattispecie, a quello che caratterizza l’art. 7, c. 7, dello Statuto FIGC); obiettivo che la Federazione ha, coerentemente, perseguito sia con la delibera del maggio 2021 sia con quella dell’ottobre 2021 (delibere che, siccome attuative della stessa norma dello Statuto ed espressive di uno stesso, omogeneo, principio, non appaiono antinomiche)”.

Lungi dall’esservi contraddizioni tra i due provvedimenti, gli stessi riposano su una ratio del tutto uniforme: allineare le NOIF alla sovraordinata norma statutaria nel segno della serietà della competizione sportiva, in un’ampia accezione che ricomprenda anche categorie diverse [64]. D’altronde se è vero che il dettato che i ricorrenti contestano era già esistente prima della delibera di cui chiedono la caducazione, e che dunque dovevano conoscerlo (ignorantia legis non excusat), non può dirsi che, prima del provvedimento dell’ottobre 2021, sussistessero diritti quesiti né affidamenti meritevoli di tutela. Perché l’affidamento, pur centrale nell’ordinamento giuridico (anche nell’ot­tica del diritto unionale e internazionale), meriti di essere considerato, deve essere legittimo, e non è tale la (solo presunta) sicurezza giuridica che discenda da disposizioni contrarie a norme sovraordinate. In ogni caso, ferme la rilevanza dell’in­teresse generale e l’insussistenza di posizioni di oggettivo vantaggio meritevoli di protezione, non può stimarsi arbitrario l’agere della Federazione, che non ha comunque mancato di pesare l’impatto della sua delibera, delineando misure sufficientemente adeguate a garanzia dei soggetti incisi. Va, anzitutto, posto l’accento sull’inequivoco preambolo della delibera del maggio 2021, che, testualmente recitando “ritenuto, allo stato, di dover regolare le situazioni preesistenti con la disciplina transitoria, riservando ulteriori approfondimenti, con eventuali interventi modificativi all’esito degli stessi”, evidentemente apre a possibili revisioni; ben poteva, dunque, la Federazione, al cospetto delle chiare precisazioni contenute nella delibera del maggio 2021, mutare orientamento in relazione alla stagione successiva (cosa che ha legittimamente fatto rispetto alla disciplina transitoria delineata nel primo provvedimento).

Le espressioni “allo stato”, “riservando ulteriori approfondimenti” ed “eventuali interventi modificativi all’esito degli stessi” non possono certo generare l’affidamento che i ricorrenti invocano nell’atto introduttivo. Radicano, piuttosto, un affidamento di segno contrario a quello fatto valere dall’attore: contengono un chiaro monito sulla concreta possibilità che la disciplina transitoria venga modificata. Rileva, poi, massimamente il non irrilevante orizzonte temporale (individuato nei cinque giorni antecedenti il termine fissato dalle norme federali per il deposito della domanda di ammissione al campionato professionistico di competenza della stagione sportiva 2024/2025) che il provvedimento impugnato concede alle società per adeguarsi alle nuove previsioni. Si tratta di un termine, certamente non breve, che permette alle società di compiere ogni opportuna valutazione, rimodulando i propri investimenti.

Infine, posto che i ricorrenti lamentano il mutamento di assetto dalla delibera del maggio 2021 a quella dell’ottobre successivo, l’eventuale affidamento si sarebbe radicato su un lasso temporale di soli cinque mesi; e, per come dimostrano il diritto sovranazionale e quello nazionale [65] l’elemento cronologico, rafforzando la convinzione della stabilità della posizione di oggettivo vantaggio, condiziona quella fede laica in cui l’affidamento si sostanzia. In definitiva, non può dirsi che il provvedimento abbia violato il legittimo affidamento [66]; né che sia stato irragionevole (è, piuttosto, ragionevole il bilanciamento, contenuto nella delibera, tra l’interesse generale e le posizioni acquisite, invero prive di copertura positiva); né che sia immotivato [67].

La modifica che si muove nel senso di valorizzare il merito del Campionato e della competizione sportiva” non ne ha vulnerato gli ulteriori principi. Sarebbe, piuttosto, di dubbia ragionevolezza il, pur transitorio, mantenimento di controlli multipli alla (odiosa) condizione che le società controllate restino confinate nelle maglie di una stessa categoria. Contrasterebbe con il canone, immanente al sistema sportivo, “per cui chi meglio compete ha diritto a superare i confini della categoria di partenza, con la promozione alla serie superiore; per cui, in definitiva, è il migliore a dover vincere”.

La decisione è stata ulteriormente impugnata, ma le sezioni unite della Corte federale d’appello, con decisione del 22 giugno 2022, hanno confermato in pieno la legittimità del divieto di pluriproprietà.

In particolare, i giudici hanno affermato che “un’attenta – e necessaria – verifica della legittimità del precedente assetto normativo (oggettivamente più favorevole ai reclamanti) non può essere certamente preclusa dalla circostanza che, finora, nessuna autorità giurisdizionale abbia avuto occasione di affrontare funditus la questione. È vero semmai il contrario: in assenza di decisioni giurisdizionali sul punto, l’intervento regolatore degli organi federali, diretto a modificare la disciplina delle multiproprietà societarie non incontra alcun ostacolo”.

Correttamente il Tribunale ha ritenuto che l’art. 16-bis, comma 4, NOIF vigente sino al 1° ottobre 2021, dovesse considerarsi illegittimo, in quanto contrario allo Statuto FIGC, a nulla rilevando il dato della sua ripetuta applicazione, per plurime stagioni sportive, in più casi, da tutte le Leghe professionistiche e dalla FIGC.

Il Collegio ha rilevato, tuttavia, che l’intervento regolamentare non si configura come una revoca o un annullamento di un precedente provvedimento, ma costituisce legittimo esercizio del potere normativo che ben può riguardare rapporti in corso di svolgimento, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità esposti in precedenza [68]. Quanto al termine del periodo transitorio, quello indicato dalla norma federale non risulta ictu oculi eccessivamente breve o irragionevole [69].

In tale quadro “la libertà di iniziativa economica non è, nel contesto sportivo, un valore assoluto, ma subordinato piuttosto alla preminente garanzia di correttezza e regolarità delle competizioni, promosse dall’intervento normativo per cui oggi è controversia’. Nel caso di specie, ad ogni modo, la normativa federale in contestazione opera un corretto equilibrio tra le diverse esigenze in rilievo.

È forse vero che, come dedotto dai reclamanti, il provvedimento con il quale si impedisce ad un imprenditore che abbia legittimamente acquisito il controllo di una società di capitali di mantenerne la titolarità oltre il 30 giugno 2024 (così modificando le norme vigenti al momento dell’acquisizione), potrebbe rappresentare, in astratto, una compressione del principio di libertà dell’iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 della Costituzione e una altrettanto restrizione del diritto di impresa sancito dall’art. 16 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e degli artt. 101 e 102 (già 81 e 82) del Trattato UE. Ma è altrettanto indiscutibile che, nel caso di specie, la limitazione è giustificata da ragioni di interesse generale, ampiamente dimostrate.

Tuttavia, dopo il ricorso degli interessati al Collegio di garanzia del CONI, la Federcalcio, confermando un modo di normare a “toppe”, piuttosto che a “tappe”, sulla spinta degli interessi dei singoli affiliati nel senso di un deplorevole “ius singulare”, il 28 luglio 2022 è nuovamente intervenuta sulle disposizioni transitorie alla norma di cui all’art. 16-bis delle Noif sancendo che “Fatti salvi i provvedimenti già adottati dal Consiglio Federale in base alla previgente formulazione dell’art. 16 Bis, i soggetti, che alla data di entrata in vigore della presente disposizione si trovano nella condizione di cui a comma 1, dovranno porvi fine entro e non oltre 5 giorni prima del termine fissato dalle norme federali per il deposito della domanda di ammissione al campionato professionistico di competenza della Stagione Sportiva 2028/2029. Qualora antecedentemente alla stagione sportiva 2028/2029 si verifichino, nell’ambito della medesima categoria, per due o più società professionistiche, le condizioni vietate dal comma 1, i soggetti interessati dovranno porvi fine entro e non oltre 5 giorni prima del termine fissato dalle norme federali per il deposito della domanda di ammissione al campionato professionistico di competenza”.


8. Le soluzioni adottate dalle istituzioni internazionali e dagli altri ordinamenti

Il caso Unione Sportiva Salernitana 1919 sembra aver chiuso una certa fase storica nel nostro Paese ed averne aperto un’altra. Occorre tuttavia che la Federazione italiana si faccia anche portatrice di queste ineccepibili posizioni nel contesto europeo ed internazionale. Ciò al fine di evitare che la sua posizione una volta tanto di avanguardia e di difesa dei fondamentali principi di civiltà giuridica, non divenga a conti fatti una battaglia viceversa di “retroguardia” che alla fine indebolirà ancora di più il substrato finanziario e patrimoniale dei clubs italiani costretti a competere ingiustamente con i grandi colossi del c.d. MCO che continueranno a crescere “nella pienezza dei conflitti di interesse” nel resto del mondo.

Ma vediamo a questo proposito il quadro internazionale e comparato in materia di multiple football club ownership e conflitto di interessi [70].

Innanzitutto, come si è visto, la FIFA all’art. 18, comma 2, dello Statuto federale sancisce, su un piano molto generale, l’obbligo per le federazioni affiliate mondiali di garantire “che nessuna persona fisica o giuridica (comprese società controllanti e controllate) eserciti il controllo su più di un club ove l’integrità di una partita o di una competizione possa essere compromessa”.

La UEFA si occupa del problema della pluriproprietà delle società di calcio nella logica e nel contesto europeo in modo più specifico. La recente regolamentazione in vigore dalla stagione sportiva 2000/2001, nasce da un caso, di cui abbiamo parlato e che ha riguardato il gruppo ENIC nell’acquisizione di un pacchetto azionario di minoranza nell’AEK Atene FC e di maggioranza nello Slavia Praga FC, società sportive qualificatesi, nella stagione 1999/2000, per la medesima competizione europea, la Europa League.

Proprio sulla base della decisione del CAS (The Court of Arbitration for Sport) [71], l’UEFA ha stabilito che una persona, fisica o giuridica, si trova in posizione di conflitto di interesse quando, possedendo la maggioranza assoluta delle azioni di un club, acquisisce la maggioranza assoluta delle azioni di un altro club che prende parte alla medesima competizione UEFA, ovvero abbia “il diritto di nominare o rimuovere i dirigenti del predetto club [72].

La normativa era molto blanda e meno rigida nella valutazione delle posizioni di interesse, esigendo l’acquisizione di una partecipazione sociale “formale” alta ed escludendo, almeno così appariva, forme di partecipazione indiretta. All’esito delle ovvie critiche, la UEFA ha introdotto un parametro aggiuntivo e flessibile ovvero quello dell’esercizio di “una influenza decisiva” nell’ambito del club, che viene equiparato, nella sostanza, ad una partecipazione di maggioranza, applicabile secondo il criterio del caso concreto, che impedisce l’acquisizione di ulteriori posizioni di interesse.

Il tema è regolamentato dall’art. 5 del “Regulations of the UEFA Champions League”, che parla di “Integrity of the competition/multi-club ownership” (integrità della competizione e multiproprietà) [73].

La norma, che prevede quattro diversi commi, recita al primo comma: «Per garantire l’integrità delle competizioni UEFA per club (vale a dire UEFA Champions League, UEFA Europa League e UEFA Europa Conference League), si applicano i seguenti criteri. Nessun club che partecipa a una competizione UEFA per club può, direttamente o indirettamente: detenere o negoziare titoli o azioni di qualsiasi altro club che partecipa a una competizione UEFA per club; essere socio di qualsiasi altro club che partecipa a una competizione UEFA per club; essere coinvolto a qualsiasi titolo nella gestione, amministrazione e/o prestazione sportiva di qualsiasi altro club che partecipa a una competizione UEFA per club; o avere qualsiasi potere nella gestione, amministrazione e/o prestazione sportiva di qualsiasi altro club che partecipa a una competizione UEFA per club. Nessuno può essere coinvolto simultaneamente, direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo nella gestione, amministrazione e/o prestazione sportiva di più di un club che partecipa a una competizione UEFA per club. Nessuna persona fisica o giuridica può avere il controllo o l’influenza su più di un club che partecipa a una competizione UEFA per club, tale controllo o influenza essendo definiti in questo contesto come: detenere la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti; avere il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del­l’organo di amministrazione, direzione o controllo del club; essere azionista e controllare da solo la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti in virtù di un accordo stipulato con altri azionisti del club; o poter esercitare con qualsiasi mezzo un’in­fluenza determinante nel processo decisionale del club» [74].

Al comma 2 dello stesso articolo, si specifica invece che «se due o più club non soddisfano i criteri volti a garantire l’integrità della competizione, solo uno di loro può essere ammesso a una competizione UEFA per club, secondo i seguenti criteri (applicabili in ordine decrescente): il club che si qualifica per merito sportivo alla più prestigiosa competizione UEFA per club (ovvero, in ordine decrescente: UEFA Cham­pions League, UEFA Europa League o UEFA Europa Conference League); il club che si è classificato in posizione migliore nel campionato nazionale dando accesso alla relativa competizione UEFA per club; il club la cui federazione è classificata più in alto nelle liste d’accesso».

Il comma 3 sottolinea che «le società non ammesse sono sostituite ai sensi del Paragrafo 4.09», e dunque che «una società che non è ammessa alla competizione viene sostituita dalla squadra successiva meglio classificata nel massimo campionato nazionale della stessa federazione, a condizione che la nuova società soddisfi i criteri di ammissione».

Infine, il comma 4 conclude sottolineando che «questo articolo non è applicabile se uno dei casi elencati al paragrafo 5.01 si verifica tra un club qualificato direttamente alla fase a gironi della UEFA Champions League e uno qualificato per una qualsiasi fase della UEFA Europa Conference League».

Nell’ordinamento sportivo spagnolo, caratterizzato peraltro dal ricorso al c.d. azionariato popolare, l’art. 17 del Real Decreto 1251/1999, de 16 de julio 1999, nessuna persona fisica o giuridica che detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione nel diritto di voto di una società sportiva uguale o superiore al cinque per cento può detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione uguale o superiore a tale cinque per cento in altra società sportiva che partecipa alla medesima competizione professionistica o, se distinta, alla medesima specialità sportiva [75].

I clubs che partecipano alle competizioni professionistiche statali, inoltre non possono partecipare, né direttamente né indirettamente, al capitale di altre società sportive che partecipano alla medesima competizione professionistica o, se diverse, alla medesima specialità sportiva. La norma, tuttavia, riguarda espressamente le “competizioni professionistiche in ambito statale” ed è quindi limitata alle sole società di calcio che partecipano alla Liga spagnola di “primera e segunda division”.

Infine, la federazione calcistica inglese prevede che la persona fisica o giuridica consegue la qualifica di “Individual” qualora assuma la carica di dirigente ovvero acquisisca più del trenta per cento delle partecipazioni azionarie di una società calcistica ovvero, ancora, abbia la facoltà di nominare o rimuovere i membri del consiglio di amministrazione della predetta società [76].

Chi assume tale qualifica è soggetto ad uno specifico test e deve sottoscrivere l’im­pegno a rispettare le condizioni previste nella Premier League Rule D.2. [77].

Inoltre, la disciplina prevede che si trovi in posizione di “interesse significativo” (o “rilevante”) chiunque detenga legalmente una quota societaria che, da sola o abbinata ad altre quote detenute in via indiretta o tramite il controllo di terzi gruppi a lui riferibili, gli consenta di esprimere oltre il dieci per cento del totale dei voti [78].

In virtù della normativa regolamentare nessun soggetto può avere o acquisire un interesse significativo in più di un club e nessun soggetto può avere la proprietà, gestione o partecipazione dominante nell’amministrazione di più di un club. Ne deriva che non soltanto è vietata l’assunzione della posizione di Individual in più di una squadra, ma lo stesso Individual (come ogni altro soggetto titolare di un mero “interesse significativo”, ossia di almeno il dieci per cento dei diritti di voto – non può assumere una partecipazione che dia vita a “un interesse significativo” in un secondo club).


9. Considerazioni conclusive

Occorre prendere atto che il fenomeno delle “multi-club ownerships” (come d’altra parte accade per i gruppi multinazionali negli altri settori dell’economia) è ormai inarrestabile e rappresenterà per il futuro il modello di riferimento dei clubs di punta del calcio mondiale, tant’è che già quest’anno le società appartenenti a MCO hanno vinto tre dei principali cinque campionati europei.

Le MCO nate da vicende occasionali e sulla base di interessi variegati sono diventate progressivamente il modo più efficace per attirare investitori in grado di dare stabilità economica ai clubs. I gruppi proprietari più evoluti costruiscono una sorta di “gerarchia interna” tra le tante squadre possedute in giro per il mondo che permette, anche sul piano della efficienza tecnica, di assicurarsi i migliori giovani in alcuni mercati strategici di minore importanza anche extra-europei, in modo di farli crescere in un sistema coeso e ben strutturato, per poi promuovere i migliori nei clubs di Paesi di seconda fascia con poche pressioni. Chi supera questa seconda fase passa alla terza e così via fino ad arrivare nelle squadre di punta dei campionati principali. In questo modo si controllano i calciatori fin dagli anni giovanili abbassando i costi delle acquisizioni e delle commissioni esorbitanti dei procuratori.

Ma a prescindere dal profilo tecnico è soprattutto la valenza commerciale ed economica sinergica complessiva del modello, anche sul piano dei brand, ad essere decisiva anche in virtù delle conseguenti ricadute relazionali con l’economia dei vari paesi interessati, dove vengono intessuti rapporti commerciali che vanno ben oltre lo sport. E non è un caso che nelle piazze principali i clubs appartengano quasi sempre a MCO [79].

Peraltro, i gruppi conglomerali sono in grado di realizzare gli investimenti collaterali nelle strutture sportive e commerciali, nelle attività atipiche, nei servizi, nel merchandising, nel licensing, nelle sponsorizzazioni, nelle piattaforme digitali, [80] con la crescita esponenziale dei fatturati [81].

Tuttavia, a parte gli evidenti conflitti di interesse e la violazione delle regole della concorrenza che spesso il fenomeno determina nello svolgimento dell’attività sportiva, emergono nella prassi “anomalie ed antinomie” anche in prospettive diverse, come dimostra ad esempio l’aggiramento delle regole Financial Fair Play o delle regole interne sui requisiti patrimoniali. La casistica delle “sponsorizzazioni anomale”, come nel caso del PSG o di cessioni di calciatori (o persino di clubs) a valutazioni convenzionali non corrispondenti a quelle reali, è ben nota. Il tutto in modo da poter produrre plusvalenze o minusvalenze (fittizie) modulate in base alle regole di quel Paese ed alla esigenza della singola società di gruppo interessata [82].

D’altra parte, le criticità derivanti dal “transfer pricing” nei gruppi multinazionali, conosciute in tutti i settori dell’economia, nel calcio sono aggravate dalla circostanza che le “posizioni dominanti” possono turbare o persino falsare la regolarità delle competizioni e più in generale il libero mercato di riferimento, in violazione del diritto interno e comunitario. E ciò soprattutto perché le istituzioni calcistiche nazionali ed internazionali, tutte strutturate su base associativa, hanno regole che vengono applicate in funzione dei soli interessi degli affiliati “dominanti”. Il governo del calcio spesso chiude un occhio a costo di aggirare le proprie stesse regole sull’equa competizione sportiva.

Infatti, l’art. 18 comma 2 dello Statuto FIFA – “Ciascuna affiliata è tenuta ad assicurarsi che i club ad essa affiliati siano in grado di assumere tutte le decisioni in materia di affiliazione in modo autonomo e indipendente da qualsiasi organo esterno. Questo obbligo vige a prescindere dalla struttura societaria dell’affiliata. In ogni caso, l’affiliata dovrà garantire che nessuna persona fisica o giuridica (comprese società controllanti e controllate) eserciti il controllo su più di un club ove l’integrità di una partita o di una competizione possa essere compromessa” – di fatto è rimasto inattuato.

Analogamente la normativa UEFA, che era ancora più blanda nella valutazione delle posizioni di interesse (esigendo l’acquisizione di una partecipazione sociale “formale” alta ed escludendo forme di partecipazione indiretta) all’esito delle ovvie critiche, è stata modificata con il parametro aggiuntivo dell’esercizio di “una influenza decisiva” nell’ambito del club. Requisito che viene equiparato, nella sostanza, ad una partecipazione di maggioranza, applicabile secondo il criterio del caso concreto, che impedisce l’acquisizione di ulteriori posizioni di interesse. Ma poi in concreto anche queste norme sono applicate “in modo compiacente”. Basti pensare al caso Lipsia e Salisburgo, società riferibili alla Red Bull, che si sono incontrate nella medesima competizione di Champions League, venendo scagionate con motivazioni “di comodo”. Secondo l’UEFA, l’influenza della MCO si era notevolmente ridotta in quanto erano state rimosse alcune figure dirigenziali coincidenti ed era stato modificato l’accordo di sponsorizzazione e l’accordo di collaborazione tra i due club sui prestiti dei calciatori. In sostanza, secondo la Camera Investigativa dell’Organo UEFA di Controllo Finanziario dei Club, la relazione tra Red Bull e il Salisburgo, in seguito alle modifiche, era diventata una relazione di sponsorizzazione standard, stabilendo così che non fosse stato violato l’art. 5 (riguardante l’integrità delle competizioni) e ammettendo entrambi i club alla stessa competizione. Ma è evidente a tutti che si è trattato di operazioni di facciata che in altri settori industriali, governati da istituzioni pubbliche e non da associazioni private, sarebbero state sanzionate.

La situazione in Italia è ancora più “opinabile”, come ha dimostrato il caso emblematico della U.S. Salernitana 1919 di cui abbiamo diffusamente parlato. Lo statuto federale e le Noif impedivano alla stessa proprietà di possedere due clubs nella medesima lega, ma nessuno si è opposto per tempo ed alla fine si sono trovati a disputare il medesimo campionato. Quando è successo, con evidente ed insuperabile conflitto, si è prodotta una normativa d’emergenza, ma la Salernitana pur conferita in un trust, ha comunque disputato mezzo campionato in una situazione di violazione sostanziale delle Noif, affrontando proprio la Lazio, compagine appartenente alla medesima proprietà, nel girone d’andata del campionato. Un modus operandi molto discutibile, confermato dal caso successivo della MCO di Bari e Napoli, in cui la Federazione dopo aver stabilito, sulla base della precedente esperienza, che le multiproprietà anche in campionati diversi dovessero essere dismesse entro il 2024, con una delibera, giudicata corretta da due diversi gradi della giustizia sportiva, su pressione dei clubs interessati ha sorprendentemente spostato il termine alla stagione 2028/2029.

Insomma, per adeguare il settore, ormai divenuto rilevantissimo sul piano industriale, serve un approccio di tipo regolatorio “serio” che consenta il superamento di una logica dilettantistica ed associativa, legata ad un mondo che ha subito una profonda mutazione, conformandolo a quello degli altri settori dell’economia. Occorre una armonizzazione almeno comunitaria del diritto del calcio, in quanto su alcune tematiche è assolutamente necessaria una elaborazione normativa comparata [83], senza che esistano categorie di soggetti i cui rapporti sono regolati da uno ius singulare [84].

Gli ordinamenti sportivi sono caratterizzati tuttora da statuti “associativi” che lasciano un elevato grado di discrezionalità nelle decisioni di autogoverno e ancora peggio vengono cambiate via via che emergano spinte o pressioni di gruppi organizzati. Nella stessa logica bisogna rendere le istituzioni del calcio delle vere e proprie Autorità indipendenti di regolamentazione, con obblighi e poteri di indagine penetranti.

La fenomenologia del calcio ha avuto negli anni una vera e propria “mutazione genetica” senza precedenti in alcun altro settore, che ha fatto emergere un rilevantissimo comparto industriale, nel segmento dell’intrattenimento e dello spettacolo, partendo da una attività di natura ideale e ludica, nata come completamente amatoriale. Tutto ciò ha infatti messo in crisi non solo l’apparato regolatorio, inadatto alla profonda trasformazione, ma anche i modelli di “governance” evidenziando la inadeguatezza della gestione degli addetti ai lavori [85], che appare evidente proprio nel caso del gruppo pluriproprietario, che non è altro che un modello gestorio imperante nell’economia moderna, “attenzionato” e regolamentato in modo cogente sin dallo Sherman Act del 1890 [86].


NOTE

[1] La multiproprietà disciplina la casistica in cui un bene, normalmente immobile, costituisce oggetto di più diritti di eguale o analogo contenuto, di cui sono titolari più soggetti. In questo caso l’esercizio del diritto – individuale e non collettivo – di proprietà è periodico – limitato ad un determinato periodo del­l’anno – ed il godimento è turnario e prefissato sulla base di una scansione temporale predeterminata al momento dell’acquisto. Si discute sulla natura della multiproprietà, contemplata dalla legge comunque tra i diritti reali, sul se si tratti di diritto di proprietà peculiarmente limitato ovvero di sottocategoria del genere comunione.

[2] La clausola di recesso altro non è che una clausola inserita nel contratto tra giocatore e una società sportiva, che consente al tesserato di sciogliersi anticipatamente dal contratto stesso, previo pagamento di una somma di denaro prefissata. La clausola viene determinata con l’obiettivo di rendere oneroso lo scioglimento anticipato del contratto (e quindi dissuadere altre società dall’acquistare il giocatore) e allo stesso tempo generare guadagni per la società in caso di vendita del giocatore stesso, recuperando quindi la perdita anticipata delle prestazioni rispetto al termine contrattuale. L’utilizzo della denominazione rescissione è impropria, poiché tale clausola non ha nulla a che fare con l’istituto giuridico della rescissione che riguarda la situazione di lesione ultra dimidium per contratto concluso in stato di pericolo od in stato di bisogno, ma riguarda piuttosto il recesso da un contratto. Dal punto di vista giuridico, si tratta pertanto di una multa penitenziale, ovvero la prestazione di un corrispettivo pattuito per il recesso dal rapporto (art. 1373, comma 3, c.c.). Nel Regolamento sullo status e sui trasferimenti dei calciatori della FIFA è contemplato espressamente, all’art. 17, comma 2, che un contratto tra un calciatore e una società può prevedere l’ammontare dell’indennizzo necessario per la risoluzione del contratto senza giusta causa. Nella prassi, di frequente, il prezzo del recesso viene versato non dal tesserato, ma direttamente dalla nuova società che intende ingaggiare l’atleta, senza che questa pratica incida però né sull’essenza né sulla struttura del patto. La clausola recessoria trova origine nell’ordinamento spagnolo e più precisamente al­l’art. 16 del Real Decreto n. 1006 del 26 giugno 1985, ove si avvertì la necessità di armonizzare le esigenze di libertà contrattuale dell’atleta professionista con l’interesse della società, indennizzata per il pregiudizio economico provocato dalla risoluzione anticipata del contratto (in tema M. Di Francesco, Il recesso ante tempus dal contratto di lavoro sportivo nel settore del calcio professionistico, in Rass. dir. econom. dello sport, III, 3, Edus Law International, 2007). La finalità originaria della norma fu via via distorta già dopo pochi anni. Si pensi al passaggio del calciatore Ronaldo dal Barcellona all’Inter. All’epoca la FIFA non ammetteva trasferimenti decisi unilateralmente da giocatori ancora in pendenza di contratto e inoltre considerava la clausola di rescissione valida esclusivamente nell’ordinamento spagnolo e quindi per i soli trasferimenti tra squadre iberiche. Pertanto, tentò di bloccare il trasferimento dell’attaccante, salvo consentire poi il 22 luglio 1997, in virtù di sentenza, il tesseramento del brasiliano da parte dell’Inter con un transfer provvisorio, aggiungendo successivamente, il 9 settembre 1997, un ulteriore indennizzo a favore del Barcellona pari a circa 3 miliardi di lire per la formazione e la promozione del giocatore. Successivamente, nel 1998 la Commissione europea avviò un’indagine sulle norme FIFA riguardanti i trasferimenti internazionali dei calciatori, a seguito della quale la FIFA il 5 luglio 2001 adottò un nuovo regolamento, con l’accordo del sindacato dei calciatori FIFPro, che, tra l’altro, prevede la possibilità di risoluzione unilaterale del contratto da parte di un giocatore solo al termine di una stagione e previo versamento di un indennizzo finanziario in caso di risoluzione unilaterale (cfr. La Commissione chiude le indagini relative al regolamento FIFA sui trasferimenti internazionali dei calciatori, su europa.eu, Unione europea, 5 giugno 2002).

[3] L’origine normativa della clausola di rescissione si rinviene nel primo comma dell’art. 16 del Real Decreto spagnolo, n. 1006 del 26 giugno 1985, che dispone: «la extinción del contrato por voluntad del deportista profesional, sin causa imputable al club, dará a éste derecho, en su caso, a una indemnización que en ausencia de pacto al respecto fijará la Jurisdicción Laboral en función de las circunstancias de orden deportivo, perjuicio que se haya causado a la entidad, motivos de ruptura y demás elementos que el juzgado considere estimable. En el supuesto de que el deportista en el plazo de un año desde la fecha de extinción, contratase sus servicios con otro club o entidad deportiva, éstos serán responsables subsidiarios del pago de las obligaciones pecuniarias señaladas».

[4] Al riguardo cf. A. Lepore, Brevi riflessioni sulle clausole dei contratti dei calciatori professionisti. Contenuto, forma, deposito e c.d. clausola rescissoria, in Rass. dir. econom. dello sport, 2020, p. 297; J.H. Martínez, Cláusulas de rescisión: el caso de Ricky Rubio, jugador del DKV Juventud de Badalona, Recopilación Iusport, 2007.

[5] Il cuore del gruppo S.A.RA.S. (Società Anonima Raffinerie Sarde) è rappresentato dal sito industriale di Sarroch, collocato in una posizione strategica nella costa sud-occidentale della Sardegna, a sud-ovest di Cagliari. Nel sito sorge una delle raffinerie più grandi del Mediterraneo per capacità produttiva (circa 15 milioni di tonnellate all’anno, pari a 300 mila barili al giorno) e una delle più avanzate in termini di complessità degli impianti (indice di Nelson pari a 11,7).

[6] Fino a maggio 2016 quando poi il club è stato ceduto alla Desports group.

[7] Nel 2018, in ottobre, la cordata “Nuovo Inizio” ha rilevato parte delle quote (60%) del Parma dalla Desports di Lizhang che è divenuta socio di minoranza al 30 per cento con un restante 10 per cento di azionariato popolare diffuso. A inizio 2020 il gruppo asiatico non ha dato seguito alla sottoscrizione e quindi la società è tornata completamente italiana.

[8] Gazprom ha acquistato nel 2005 lo Zenit, ha poi costruito il nuovo stadio “la Gazprom Arena” e in quindici anni ha portato a San Pietroburgo cinque titoli, due coppe e quattro Supercoppe nazionali, più una Europa League nel 2007 ed una Supercoppa Europea l’anno successivo. Nel 2007 è stata invece la volta dello Schalke 04, nelle cui casse sono stati versati circa trenta milioni di euro ogni anno, mentre nel 2010 è arrivato il maxi-investimento dell’azienda in Serbia, dove è stato raggiunto un accordo a Belgrado con la Stella Rossa. Nel 2012, oltre a diventare global energy partner del Chelsea, ha stretto un accordo con la Uefa, diventando uno degli sponsor di cartello della Champions League e della Supercoppa Europea. Infine, con i Mondiali del 2018, è arrivato anche l’agognato salto a livello globale. Il 28 febbraio 2022 la UEFA ha deciso “di porre fine alla sua partnership con Gazprom in tutte le competizioni” ed ha spostato la sede della finale di Champions dalla Gazprom Arena allo Stade de France di Parigi.

[9] Il modello Red Bull è quello da un punto di vista aziendalistico più innovativo e funzionale. La multinazionale ha innanzitutto investito in un club locale, il Salisburgo, che partecipa ad un campionato dal livello piuttosto basso, in cui era possibile con pochi fondi e una buona organizzazione arrivare rapidamente a dominare. Dalla sua istituzione, il primo club della Red Bull ha vinto tredici titoli nazionali su sedici, e l’ultima volta che un’altra squadra è stata campione d’Austria era il 2013. Poi, la holding si è espansa negli Stati Uniti, in un paese calcisticamente marginale ma che rappresenta il cuore dell’eco­nomia globale (non a caso, la succursale americana è stata impiantata a New York). Quindi in Brasile, la nazione che produce più talento calcistico al mondo, e dopo in Ghana, mettendo un piede nei mercati calcistici sudamericano e africano, ma con potenzialità economiche fuori scala rispetto ai club locali. L’ap­prodo in Germania è servito a costruire una squadra in uno dei massimi campionati europei, in grado di lottare per titoli a livello internazionale. La Red Bull ha costruito una gerarchia interna che le permette di assicurarsi i migliori giovani in alcuni mercati strategici extra-europei, farli crescere in un sistema coeso e ben strutturato, e poi promuovere i migliori al Salisburgo, un club con poche pressioni in ambito nazionale, che favorisce l’ambientamento nel nuovo continente, ma allo stesso garantisce di fare esperienza nelle coppe europee. Chi supera questa fase passa al Lipsia, nella squadra di punta del gruppo, e da lì viene ceduto ad altri club con notevoli plusvalenze. In tutti questi passaggi, la Red Bull ha investito poco, controllando il giocatore fin dagli anni giovanili. Sono stati eliminati i prezzi elevati dei contratti dei calciatori e le commissioni esorbitanti dei procuratori. È evidente, peraltro, che la presenza nel calcio di Red Bull ha una valenza innanzitutto commerciale in quanto serve a promuovere il nome del brand industriale nel mondo.

[10] Il filo conduttore che accomuna l’Atletico Madrid e i francesi del Lens è l’Azerbaijan, nella figura di Hafiz Mammadov, azionista dei colchoneros e artefice della sponsorizzazione di maglia dei due club, grazie alle partnership create attraverso il marchio “Azerbaijan – Land of Fire”, patrocinato dall’ente del turismo azero. Mammadov, che intrattiene rapporti anche con i portoghesi del Porto e che in passato aveva spostato le proprie mire anche sull’acquisizione dello Sheffield Wednesday, controllava il Lens. L’Atletico Madrid di fatto ha aiutato Mammadov acquisendo il 35 per cento della Solferino Sarl. Il via libera all’operazione è arrivato nella giornata di lunedì 23 maggio 2022 con l’accettazione dell’offerta della Solferino Sarl da parte del tribunale commerciale di Parigi e dalla delibera del Cda dell’Atletico Madrid.

[11] Il 3 aprile del 2022 il Comitato Esecutivo UEFA a Nyon ha approvato le nuove regole di Sostenibilità Finanziaria, che sostituiranno il vecchio Fair Play Finanziario e che hanno come obiettivo la solvibilità, la stabilità e terranno sotto maggiore controllo i costi e le spese dei club: “per quanto riguarda la solvibilità, la nuova regola sull’assenza di debiti scaduti (verso squadre di calcio, dipendenti, autorità sociali/fiscali e UEFA) garantirà una migliore tutela dei creditori. I controlli saranno effettuati ogni trimestre e ci sarà una minore tolleranza verso i ritardatari. I nuovi requisiti di guadagno calcistico sono un’evoluzione dei requisiti di pareggio esistenti e porteranno maggiore stabilità alle finanze del club. Per facilitare l’implementazione per i club, il calcolo dei guadagni del calcio è simile al calcolo del risultato di pareggio. Sebbene la deviazione accettabile sia aumentata da 30 milioni di euro in tre anni a 60 milioni di euro in tre anni, i requisiti per garantire il valore equo delle transazioni, migliorare il bilancio dei club e ridurre i debiti sono stati notevolmente rafforzati”, si legge sul sito ufficiale dell’UEFA. Questa invece la parte relativa al tetto massimo consentito per le spese di ogni club: “La più grande innovazione nei nuovi regolamenti sarà l’introduzione di una regola sui costi di squadra, al fine di ottenere un migliore controllo in relazione agli stipendi dei giocatori e ai costi di trasferimento. Il regolamento limita la spesa per stipendi, trasferimenti e commissioni degli agenti al 70% delle entrate del club. Le valutazioni saranno eseguite in modo tempestivo e le violazioni comporteranno sanzioni pecuniarie e misure sportive predefinite”. Le nuove regole sono entrate in vigore in luglio, ma i cambiamenti verranno attuati in maniera graduale e nell’arco di tre anni, in modo tale da permettere a tutti i clubs di potervisi adeguare. Ad esempio: l’attuazione graduale della limitazione delle spese per club vedrà la percentuale al 90 per cento nel 2023/2024, all’80% nel 2024/2025 fino ad assestarsi al 70% nel 2025/2026, come richiesto dal nuovo regolamento.

[12] La Corte di cassazione, Sez. trib., 9 gennaio 2019, n. 345, con nota di R. Rossi, Le minusvalenze da trasferimento di calciatori in assenza di corrispettivo sono indeducibili, in Rass. dir. econom. dello sport, 2019, p. 130 s., ha di fatto accertato seppure in sede tributaria la natura fittizia di molte operazioni.

[13] Questa norma, intitolata “Definizione di controllo”, sancisce: “sono considerate imprese controllate, oltre a quelle indicate nell’art. 2359 primo comma, numeri 1 e 2, del codice civile, anche: a) le imprese, italiane o estere, su cui un soggetto ha un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole; b) le imprese, italiane o estere, su cui un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone da solo di voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria”.

[14] La norma prevede, al comma 1, che sono società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

[15] In tema ampiamente A. Sacco Ginevri, Società calcistiche quotate e informativa al mercato, in Riv. dir. sportivo, 2017, p. 336 s.

[16] L. De angelis, L’impostazione dei bilanci delle società calcistiche, in Contr. e impr., 2, 2016, 431 s., che sottolinea poi tali raccomandazioni – per non divenire obsolete in breve volgere di tempo, come si sono dimostrate quelle finora vigenti – devono essere mantenute costantemente aggiornate, anche tenendo conto della progressione delle interpretazioni promananti dalla professione contabile più accreditata che si traducono nei principi contabili via via emanati dall’OIC, allo scopo di assicurare al­le società calcistiche per le quali vengano apprestate un punto di riferimento sicuro e non discutibile, inidoneo pertanto a fornire alibi di sorta a quanti dovessero cercare appigli nella varietà di interpretazioni delle regole per frustrare lo scopo fondamentale del bilancio, che è quello di «rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio» (art. 2423, comma 2, c.c.).

[17] Il dominio nel nostro ordinamento, rilevante ad esempio ai fini dell’art. 2497, può essere esercitato mediante tutti gli strumenti possibili. Il controllo assembleare e l’influenza dominante (in via partecipativa o contrattuale) possono rappresentare indici meramente presuntivi, ma il controllo e la direzione possono concretizzarsi anche e soprattutto di fatto con le modalità più disparate. L’art. 2497 sexies c.c. contempla infatti una mera presunzione relativa, che ammette prova contraria, nei casi in cui l’attività di direzione e coordinamento sia esercitata dalla società (o dall’ente) tenuta al consolidamento dei bilanci o che comunque, ai sensi dell’art. 2359 c.c. esercita il controllo disponendo «della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria» della società, o «di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria» o «… in virtù di particolari vincoli contrattuali» che generano una influenza dominante (A. Niutta, Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497-sexies e 2497-septies c.c.: brevi considerazioni di sistema, in Giur. comm., 2004, I, 983 s.). Quest’ultima forma di controllo c.d. esterno si identifica con un potere effettivo che prescinde dalle regole organizzative della stessa di determinarne o comunque influenzarne l’attività d’impresa. Si pensi al caso dell’impresa economicamente dipendente in virtù ad es. di contratti di subfornitura, somministrazione, agenzia, licenza, ristrutturazione crediti, etc. Il carattere esistenziale del rapporto contrattuale configura in tal caso un’ingerenza nella gestione che si concretizza attraverso le decisioni degli organi della controllata. Il contratto peraltro non ha ad oggetto il controllo, ma la produzione. Il controllo, in questo caso, non si realizza attraverso l’organizzazione societaria, ma attraverso il risultato dell’esercizio dell’attività economica, cioè la produzione che la controllante indirizza mediante il rapporto contrattuale verso il proprio profitto. Questo stesso sistema delle presunzioni evidenzia implicitamente che il dominio non ha modalità tipiche di attuazione e quindi neppure di accertamento quando si verifica di fatto, soprattutto attraverso direttive impartite fuori da schemi organizzativi e\o negoziali (e comunque senza rilievo esterno, perché indirizzate esclusivamente verso la società dominata) e frutto di un potere effettivo. D’altra parte, l’ete­rodirezione è cosa completamente diversa dalla partecipazione alla gestione (o dalla ingerenza nella stessa) e che può soltanto rappresentare in taluni casi un indice rivelatore dell’attività di dominio.

[18] Corte giust. europea, causa C-85/76, Hoffmann La Roche/Commissione, sent. 13 febbraio 1979.

[19] Cfr. Le Società pubbliche – Fenomenologia di una fattispecie, a cura di F. Fimmanò, R. Cantone, A. Catricalà, 2 t., Napoli, 2020. Il d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39 recante “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”, prevede un articolato sistema di incompatibilità e inconferibilità, tra i quali si evidenzia quello tra l’incarico di dirigente pubblico con la carica di presidente del C.d.A. o di amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico ovvero con cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione o ente pubblico che conferisce l’incarico. L’Autorità nazionale anticorruzione ha reiteratamente offerto chiarimenti in tema di conflitto di interessi e, in particolare, in materia di inconferibilità e incompatibilità tra cariche pubbliche e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni.

[20] Nella versione precedente alla modifica apportata durante l’assemblea straordinaria del 4 ottobre 2004, l’art. 6, rubricato “Le società”, recitava: “Le società e le associazioni che svolgono l’attività del giuoco del calcio in Italia si avvalgono di calciatori tesserati dalla F.I.G.C., a norma dell’art. 13 del presente Statuto. I calciatori sono qualificati in professionisti, dilettanti e giovani. Le società che stipulano contratti con atleti professionisti devono avere la forma giuridica di società per azioni o di società a responsabilità limitata, a norma della legislazione vigente. La F.I.G.C. detta, tenuto conto della legislazione vigente, i criteri e le condizioni per il passaggio delle società dal settore dilettantistico a quello professionistico e viceversa. Le società del settore professionistico hanno l’obbligo di creare centri di formazione per giovani calciatori, fermo quanto disposto dall’art. 10 del presente Statuto. Le società e le associazioni controllate direttamente o indirettamente dallo stesso soggetto non possono partecipare al medesimo campionato di divisione nazionale”. La multiproprietà tra società appartenenti a categorie professionistiche (o dilettantistiche) differenti ed a maggior ragione tra società professionistiche e dilettantistiche – era sempre ammessa. Tale principio era stato trasposto nell’art. 16-bis NOIF – che, nella sua formulazione ante 2005 – sanciva: “Non sono ammesse partecipazioni, dirette o indirette a società della sfera professionistica partecipanti allo stesso Campionato, salvo quanto previsto dall’art. 16 ter”. La norma prevedeva tuttavia un sistema articolato di eccezioni, dettato nell’art. 16-ter, secondo cui: “È consentito detenere partecipazioni al capitale azionario di più società calcistiche della sfera professionistica con azioni quotate in Borsa, sempre che tali partecipazioni non comportino più di una situazione di controllo, di fatto o di diritto, ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, punti 1 e 2. La facoltà di cui al precedente comma è attribuita anche a soggetti che detengano azioni o quote di capitale di società della sfera professionistica non quotate in Borsa. Il limite del controllo di fatto o di diritto di cui al comma 1 vale anche per questo caso”.

[21] Le sanzioni disciplinari irrogabili erano quelle di cui all’attuale art. 31, comma 9, del Regolamento di Giustizia Sportiva della FIGC, approvato con Giunta nazionale del CONI, con deliberazione n. 258 dell’11 giugno 2019 (già art. 8, comma 12, del Regolamento di Giustizia Sportiva FIGC approvato con deliberazione CONI del 31 luglio 2014) secondo cui: “L’inosservanza dei divieti di cui all’art. 16 bis, comma 1 delle NOIF comporta, su deferimento della Procura federale, le seguenti sanzioni: a) A carico della società la penalizzazione di almeno due punti in classifica e l’ammenda nella misura da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00 da destinarsi alla FIGC per la cura del vivaio nazionale; b) A carico dei soci, anche se interposti, aventi plurime partecipazioni, la sanzione di cui all’art. 9, comma 1, lettera h) (inibizione temporanea a svolgere attività in ambito FIGC), per un periodo non inferiore ad un anno”. Ulteriore sanzione, prevista all’art. 16-bis NOIF sia nella formulazione ante che post delibera del 15 luglio 2015, era quella della sospensione dei contributi federali e, in caso di definitivo accertamento dell’il­lecito e di mancata regolarizzazione nei termini indicati, la decadenza dai contributi stessi.

[22] Per consentire la regolarizzazione delle posizioni di controllo in essere al momento della modifica regolamentare, la Federazione introduceva una disciplina transitoria che dettava tempi e modalità di dismissione delle partecipazioni in termini tanto più dilatati quanto maggiori fossero le categorie di distanza tra le società il cui controllo facesse capo al medesimo soggetto. A. I soggetti che, all’entrata in vigore della presente norma, si trovino in una situazione di cui al comma 2, hanno l’obbligo di darne immediata comunicazione alla FIGC e di adottare gli strumenti necessari ad assicurare il rispetto del disposto di cui al comma 1, entro i seguenti termini perentori: 30 giugno 2007 in ipotesi di controllo riguardante società che militano in campionati diversi e con una categoria di differenza; 30 giugno 2009 in ipotesi di controllo riguardante società che militano in campionati diversi e con due categorie di differenza; 30 giugno 2011 in ipotesi di controllo riguardante società che militano in campionati diversi e con tre categorie di differenza; 30 giugno 2013 in ipotesi di controllo riguardante società che militano in campionati diversi e con quattro categorie di differenza. B. Nell’ipotesi di sopravvenuta compresenza nello stesso campionato di due o più società oggetto della comunicazione di cui alla lett. A), la FIGC assegna un termine perentorio non superiore a 30 giorni, entro il quale dovrà darsi luogo alla cessazione di controllo. L’inosser­vanza delle presenti disposizioni transitorie comporta l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 16 bis, comma 3. Il capo B della disposizione transitoria disciplinava in maniera autonoma una ipotesi peculiare, in virtù della astratta potenzialità ad incidere sul regolare svolgimento dell’attività sportiva. È la ipotesi della sopravvenuta compresenza nello stesso campionato di due o più società oggetto della comunicazione di cui al capo A per la quale si contemplava una accelerazione dei tempi di risoluzione della criticità, assegnandosi un termine perentorio non superiore a 30 giorni per la cessazione della situazione di controllo.

[23] Con atto del 13 agosto 2009 il Procuratore Federale deferiva: «1) Clodomiro Murolo, presidente onorario della S.S. Cassino S.r.l. per aver acquisito una posizione di controllo “per particolari vincoli contrattuali” della Salernitana Calcio 1919 S.p.A., in violazione dell’art. 16 bis NOIF e degli artt. 1, comma 1, e 8, comma 12, C.G.S.; 2) la società S.S. Cassino S.r.l., per responsabilità diretta, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del vigente C.G.S., con riferimento alle condotte contestate al suo Presidente onorario con poteri di legale rappresentanza; 3) Francesco Rispoli, amministratore unico e legale rappresentante della Salernitana Calcio 1919 S.p.A. e Antonio Lombardi, azionista di maggioranza, institore e legale rappresentante della Salernitana Calcio 1919 S.p.A., per aver, nelle predette qualità, sottoscritto e comunque fatto uso dei contratti di sponsorizzazione indicati nella parte motiva dell’atto di deferimento, perfezionati e utilizzati dalla stessa società al particolare fine di eludere gli obblighi di ricapitalizzazione facenti carico alla società medesima, in contrasto con i principi di lealtà, correttezza e probità cui sono tenuti tutti gli appartenenti all’ordinamento sportivo, ai sensi dell’art. 1, C.G.S. e con gli obblighi di cui all’art. 8, comma 2, C.G.S.; 4) la società Salernitana Calcio 1919 S.p.A., per responsabilità diretta, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del vigente C.G.S., con riferimento alle condotte contestate ai Signori Francesco Rispoli e Antonio Lombardi, suoi dirigenti e legali rappresentanti».

[24] La Commissione Disciplinare Nazionale in particolare dichiarava improcedibile il deferimento a carico del Sig. Murolo Clodomiro, sul presupposto che «all’epoca dei fatti non rivestiva la carica di legale rappresentante della società»; quindi, nel merito, la Commissione ha rigettato il deferimento a carico degli altri soggetti per insufficienza di elementi probatori. Più nel dettaglio la Commissione Disciplinare Nazionale ha ritenuto «non formata la prova della dedotta influenza dominante del Murolo nell’ambito della Salernitana, in quanto non è sufficiente, come per il controllo societario, una mera situazione di fatto, quanto, piuttosto occorre la prova di condotte mediante le quali tale influenza si sarebbe esercitata»; infatti, secondo l’organo giudicante è necessario acquisire la prova della consumazione di specifiche attività tali da concretizzare un chiaro esercizio del potere di influenza dominante della società controllante sulla controllata.

[25] Si veda in particolare tra le altre Cons. Stato, Sez. V, 22 aprile 2004, n. 2318: «Al fine, poi, di individuare gli elementi probatori sulla cui base la stazione appaltante può affermare la violazione dei principi di segretezza e par condicio, ed è quindi abilitata ad emettere il provvedimento di esclusione in caso di collegamento sostanziale estorsivo del corretto esplicarsi della procedura ad evidenza pubblica sotto i profili della trasparenza e della correttezza, rilevato che il collegamento tra imprese non comporta, di per sé, necessariamente la nascita di un autonomo centro di interessi, poiché in astratto le società collegate mantengono la propria personalità giuridica e la propria autonomia, al di là delle ipotesi tipizzate dall’art. 2359 c.c., occorre vagliare, caso per caso, gli elementi utili per poter affermare che le imprese siano oggettivamente riconducibili ad un medesimo centro di interessi, ovvero ad un centro decisionale comune (Cons. Stato, Sez. V, 2 luglio 2001, n. 3605). (…) In ogni caso, va ribadito che l’esistenza di forme di collegamento tra le concorrenti ad una medesima gara non rappresenta indizio certo e sufficiente della violazione delle regole poste a tutela della correttezza della procedura, e che quindi occorre procedere ad un esame approfondito del caso concreto, operando se strettamente necessario e senza aggravio inutile per il normale corso del procedimento, verifiche puntuali. (…) l’alterazione della par condicio dei concorrenti e la violazione dei principi di concorrenza e di segretezza dell’offerta possono ritenersi provate qualora ricorrano elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi, precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, il venir meno della correttezza della gara».

[26] Il Procuratore Federale ha eccepito, tra le altre, l’erronea valutazione della posizione del Murolo Clodomiro in seno alla società S.S. Cassino s.r.l. e, soprattutto, l’erronea interpretazione ed applicazione della norma di cui all’art. 16-bis NOIF. Infatti, il Procuratore Federale ha sostenuto che il divieto imposto dall’art. 16-bis delle NOIF non deve considerarsi un divieto legato alla carica formale, nel caso in esame del legale rappresentante, rivestita dal soggetto, «bensì al controllo, diretto o indiretto, che il medesimo può esercitare su due o più società professionistiche, con le modalità giustappunto specificate dal comma 2 dell’art. 16-bis NOIF». In sintesi, il Murolo ha acquistato quote sociali pari al 75% della società S.S. Cassino e alcuni mesi dopo, tramite alcune società riferite a sé, ai suoi parenti e affini entro il quarto grado, ha acquistato il 30% della società Salernitana Calcio. Inoltre, successivamente, sono stati stipulati dei contratti di sponsorizzazione necessari per evitare la ricapitalizzazione della stessa società, assumendo così, chiaramente, il controllo contemporaneo della società S.S. Cassino e della Salernitana Calcio.

[27] La nozione di collegamento cui si riferisce espressamente l’art. 90, comma 8, del Codice sui contratti pubblici è, quindi, soltanto quella prevista dall’art. 2359, comma 3, c.c., vale a dire la situazione di collegamento presunto in funzione dell’influenza notevole esercitata da un soggetto su un altro soggetto, senza necessità di ulteriori indagini al fine di accertare il collegamento stesso. Le due nozioni di collegamento, richiamate rispettivamente dall’art. 34, comma 2, e dall’art. 90, comma 8, sembrano, quindi, non coincidere pienamente; infatti, la prima, ex art. 34, comma 2, ha una portata più ampia rispetto alla nozione civilistica basata su una mera presunzione, poiché richiede un’attività di verifica ed accertamento del collegamento sostanziale sulla base di elementi univoci prima di addivenire alla esclusione dei concorrenti che versano in situazioni di collegamento. A parere di chi scrive, l’istituto in questione va non solo ricondotto alla ratio dell’art. 34, comma 2, del Codice Appalti, ma anche, se non soprattutto, al comma 3 dell’art. 2359 c.c.

[28] Sulla questione si veda A. Capuano, Le multiproprietà delle società professionistiche. Analisi della normativa e ipotesi di riforma del sistema, in https://www.coni.it/images/rivistadirittosportivo/dottrina/Capuano.pdf (secondo cui l’istituto in questione va non solo ricondotto alla ratio dell’art. 34, comma 2, del Codice Appalti, ma anche, se non soprattutto, al comma 3 dell’art. 2359 c.c.). Al riguardo, il TAR Lazio ha affermato che «se è vero che l’accertamento del collegamento tra società, in relazione alla presunzione, di cui all’art. 2359, comma 3, c.c., che considera collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole, va condotto alla stregua di elementi oggettivi e concordanti, utili a dimostrare che le ditte siano riconducibili ad un unico centro decisionale, in una situazione di intreccio delle partecipazioni finanziarie e degli organi amministrativi e societari che faccia ritenere plausibile una reciproca conoscenza o condizionamento delle rispettive offerte e quindi una lesione della par condicio e della segretezza delle offerte medesime, nel caso in cui (…) un soggetto risulti titolare di quote sociali di una o più società tutte concorrenti nella medesima gara, solo allorquando la società dominante abbia la possibilità di determinare la gestione ordinaria e straordinaria delle imprese partecipate e di nominare gli amministratori e quindi anche di condizionare la quantificazione dei rispettivi ribassi percentuali in vista della partecipazione alla gara, si produrrebbe l’effetto illegittimo della violazione della par condicio dei concorrenti nelle gare pubbliche (cfr. anche, Cons. Stato, Sez. V, 24 dicembre 2001, n. 6372)» (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 23 aprile 2008, n. 3418).

[29] La Cassazione ebbe modo di affermare proprio in quel periodo storico che: «a norma dell’art. 2359, comma 3, c.c., si considerano collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole; tale situazione – che la norma considera presunta ove nell’assemblea ordinaria possa essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo, se si tratta di società quotate in borsa – può sussistere anche in presenza di società a ristretta base azionaria e familiare, in virtù del vincolo di complicità che – secondo l’id quod plerumque accidit – connota i rapporti dei parenti di primo e secondo grado, facendone derivare intese dirette a realizzare finalità comuni». (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso tale collegamento in presenza di due società, appartenenti a soggetti legati da vincolo di parentela entro il secondo grado, nelle quali uno stesso componente era titolare di un quinto del capitale di una delle società e, assieme al proprio padre, del 95% del capitale dell’altra)» (Cass. civ., Sez. III, n. 7554 del 1° aprile 2011).

[30] Introdotta nel calcio professionistico a partire dalla stagione 2018/2019, la fattispecie viene regolata ogni anno dalla Federazione con specifici provvedimenti che determinano limiti, requisiti di iscrizione e oneri economici da sostenere. Come risulta dai comunicati n. 42 dell’11 maggio 2018, 140/A del 19 giugno 2019, 150/A del 20 giugno 2019, 26/A del 27 luglio 2020, le società di massima serie possono candidare ogni anno proprie seconde squadre per la partecipazione al torneo di serie C, purché la squadra sia così composta: “Le Seconde squadre potranno inserire nella distinta di gara fino a 23 calciatori. Nella distinta di gara potranno essere inseriti soltanto 4 calciatori nati prima del 1° gennaio 1997 (over 23, n.d.A.); tutti gli altri calciatori della distinta di gara dovranno essere nati dopo il 31 dicembre 1996 (under 23, n.d.A.). Nella distinta di gara, nel rispetto dei limiti numerici e di età sopra individuati, potranno essere inseriti fino ad un massimo di 7 calciatori che siano stati tesserati in una società di calcio affiliata alla FIGC per meno di sette stagioni sportive. Tutti gli altri calciatori della distinta di gara dovranno essere stati tesserati in una società di calcio affiliata alla FIGC per almeno sette stagioni sportive. I calciatori inseriti nella distinta di gara non dovranno essere presenti nell’elenco dei 25 calciatori per il Campionato di Serie A, né dovranno aver disputato più di 50 gare nel Campionato di Serie A”. La seconda squadra potrà al termine del Campionato di Serie C essere promossa al campionato di Serie B, ma non potrà mai partecipare al medesimo campionato della prima squadra, né ad un Campionato superiore. Qualora al termine del campionato di competenza, si verifichi un’ipotesi di compresenza della prima e della seconda squadra nella medesima categoria, la seconda squadra dovrà partecipare al campionato professionistico della categoria inferiore. In caso di retrocessione della Seconda squadra al campionato Nazionale di Serie D, la stessa non potrà iscriversi al campionato dilettantistico e potrà chiedere di essere ammessa al campionato di Serie C 2021/2022 soltanto in caso di vacanza di organico nel medesimo campionato, secondo le procedure che verranno all’uopo fissate.

[31] Il Consiglio in conformità a quanto deliberato nella precedente seduta del 27 giugno 2012, di cui al comunicato ufficiale n. 183/A, dopo aver ribadito le ragioni di carattere economico, storico e sportivo che giustificavano l’acquisizione di partecipazioni in società dilettantistiche (per lo più dalla grande tradizione sportiva) da parte dei proprietari di società militanti nella massima serie, riteneva che, rispettate le predette condizioni, l’eventuale promozione nelle categorie professionistiche delle società partecipate andava valutato come un evento non voluto per il quale, pertanto, non vada inflitta alcuna sanzione.

[32] Anche se la modifica veniva approvata dalla Giunta Nazionale del CONI con delibera n. 307 del 17 settembre 2013 in cui si attestava che la modifica dell’art. 16-bis delle NOIF è conforme al d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242 nonché al d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15, oltre che allo Statuto del CONI ed allo Statuto Federale.

[33] La questione aveva prodotto in passato, come visto, una prima fattispecie guarda caso riguardante la precedente Salernitana poi fallita.

[34] Nell’atto modificativo del Trust per notaio Votta del 3 luglio 2021 (Rep. 30930 – Racc. 14425) tra l’altro si legge: “… la domanda di ammissione della Società al Campionato di calcio di Serie A 2021-2022 non potrebbe essere accolta ai sensi dell’art. 16 bis delle NOIF e dell’art. 7, comma 7 dello Statuto F.I.G.C; la F.I.G.C. con nota prot 17561/Presidenza del 16 giugno 2021 ha ritenuto che l’ipotizzata violazione delle norme non sussista… in sintesi qualora le Disponenti trasferiscano le Partecipazioni in un trust di breve durata aventi la finalità di venderle per mezzo di un procedimento trasparente e senza influenze da parte delle Disponenti, e del quale sia trustee una o più persone giuridiche che operino in pienezza di poteri e in assenza di conflitti di interesse con la “S.S. Lazio Spa o con altri soggetti riconducibili alla medesima o alle Disponenti … in data 25 giugno 2021 le Parti hanno sottoscritto l’atto istitutivo del “Trust Salernitana 2021 giusta scrittura privata autenticata dal notaio Votta rep. 30.918… in forza del quale la Melior Trust Srl e la Widar Trust Srl sono state nominate trustee ed i signori Generale Coppola Vincenzo e Avv. Giuseppe Matteo sono stati nominati Guardiani del Trust; al fine di realizzare la causa concreta del Trust, in pari data le Disponenti ed il Trustee hanno sottoscritto il contratto di cessione, a titolo di apporto senza regolamento finanziario, della piena proprietà delle rispettive Partecipazioni nella società al Trustee del Trust, giusta scrittura privata autenticata dal notaio Natale Votta rep. 30920; in data 28 giugno 2021 sia la FIGC con nota prot. 18027/Presidenza, sia la Co.Vi.So.C. con nota prot. 42/502021, hanno indicato ulteriori e più precise prescrizioni da inserire nell’Atto istitutivo e pertanto hanno richiesto di apportare allo stesso tutte le opportune modifiche, oggetto del presente atto, invitando, tra le altre cose, le Disponenti a fornire documentazione della autosufficienza economica della società … Art. 6 – La Causa concreta del Trust. Per causa concreta del trust si intende: 1. l’alienazione delle partecipazioni da parte del trustee entro il termine improrogabile del trentuno dicembre 2021, con una unica eccezionale deroga di giorni 45 qualora il Trustee dichiari per tempo alla Federazione che si è concluso un accordo vincolante di alienazione a terzi non sottoposto a condizione o a termine alcuno e che sono in corso gli adempimenti esecutivi previsti per il suo perfezionamento… 2. ogni attività che garantisca la prevenzione, la soluzione, l’insussistenza di qualsivoglia legame (societario, economico, finanziario, personale, etc.), diretto o indiretto, fra il Trust, i suoi organi, e la società, da un lato, e le disponenti, la S. S. Lazio Spa e\o i soggetti a questa o alle Disponenti riconducibili dall’altro; l’esercizio esclusivo ed in piena indipendenza dei diritti di amministrazione e gestione delle partecipazioni anche in relazione, a titolo esemplificativo ai diritti federali ed ai diritti sociali;… Il Trustee si determina rispetto alla causa concreta del Trust in piena discrezionalità e nel rispetto delle prescrizioni contenute in questo strumento”.

[35] Alla resurrezione del club ormai quasi sprofondato nell’esclusione dal campionato con effetti sul­l’intera competizione, ne seguiva un altro sportivo. La Salernitana ultima in classifica con appena nove punti e staccata ormai quasi irreversibilmente dalla coda delle ultime, dopo la realizzazione di un nuovo “instant team”, si salvava all’ultima giornata di campionato. Al miracolo giuridico-economico seguiva il miracolo sportivo come nelle migliori tradizioni della passione e dell’emozione calcistica.

[36] A rappresentare il club in Lega sono state la Melior Trust, rappresentata da Isabella Isgrò, e la Widar Trust, rappresentata da Paolo Bertoli. Il generale Ugo Marchetti invece, amministratore del club, sottoscrisse una dichiarazione di indipendenza e sottoposto all’osservazione del cosiddetto “guardiano”, con i trustee che potevano nominare un ente terzo per verificare l’autonomia dello stesso amministratore.

[37] Cfr. nell’ampissima letteratura tra gli altri M. Stella Richter, Il “trust” nel diritto italiano delle società, in Riv. not., I, 1998, p. 477 s.; M. Lupoi, Trusts, Milano, 2001; Id., Aspetti gestori e dominicali, segregazione: “trust” e istituti civilistici, I, 1998, p. 3391; A. Gambaro, Trust, voce in Dig. disc. priv., Sez. civ., IV, XIX, Torino, 1999, p. 449.

[38] Secondo specifiche linee guida che possono essere dettate nell’atto istitutivo rispetto alla c.d. blindness.

[39] Al riguardo tra le legislazioni in cui è disciplinato il blind trust merita una specifica menzione quella degli Stati Uniti, dove la normativa in materia di prevenzione e risoluzione dei conflitti di interesse connessi all’esercizio di cariche pubbliche è molto evoluta, con un ampio ambito soggettivo di applicazione, in quanto applicabile non solo alle cariche di governo strettamente intese, ma anche ai membri del Congresso e ad ogni altro funzionario o impiegato pubblico. L’Office of Government Ethics (OGE), l’organo competente in materia di conflitto di interessi istituito con la legge federale Ethics in Government Act (del 1978), ha messo a punto lo strumento del qualified blind trust (QBT) per risolvere il conflitto di interessi di natura economica dei funzionari della pubblica amministrazione. L’Ethics in Government Act prevede la possibilità per i funzionari pubblici di istituire un altro tipo di trust composto esclusivamente da un portafoglio di titoli mobiliari negoziabili e diversificati, in modo tale che nessun titolo costituisca singolarmente più di una certa percentuale del portafoglio totale e che nessuna azione in relazione a tali titoli possa costituire un conflitto di interessi (il qualified diversified trust). Tra i numerosi casi in cui è stata applicata questa disciplina è famoso quello di Michael R. Bloomberg, sindaco di New York dal 2002 al 2013, che, in ragione del suo ingente patrimonio, presentò analiticamente le proprie partecipazioni e i propri interessi finanziari al Conflict of Interest Board della città di New York, concordando con quest’ultimo organo la misura più adatta per la risoluzione del conflitto di interessi in relazione a ciascuna tipologia di asset. In Italia il 21 dicembre 2008 Renato Soru, presidente della Regione autonoma della Sardegna (proprietario dell’Unità e fondatore-azionista di controllo di Tiscali) istituì un blind trust per le sue attività, affidandone proprietà e gestione a un fiduciario, il professore ordinario di Diritto Commerciale Gabriele Racugno.

[40] Al riguardo C. Castronovo, Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, p. 1323; Id., Il trust e «sostiene Lupoi», in Europa e dir. priv., 1998, p. 451; A. Gambaro, Il diritto di proprietà, cit., p. 638. V’è chi sostiene che la Convenzione avrebbe introdotto un Trust «amorfo», dettandone caratteristiche diverse da quelle del Trust anglosassone (M. Lupoi, The shapeless Trust – Il Trust amorfo, in Vita not., 1995, p. 51).

[41] Prima dell’entrata in vigore della legge di ratifica, ne avevano affermato, in giurisprudenza, la incompatibilità con i principi del nostro ordinamento: Trib. Oristano, 15 marzo 1956, in Foro it., I, 1956, p. 1020; Trib. Casale Monferrato, 13 aprile 1984, in Giur. it., I, 2, 1985, p. 760, con nota di G. Cassoni, Il «trust» anglosassone quale istituzione sconosciuta nel nostro ordinamento.

[42] In tal senso P. Rescigno, Notazioni a chiusura di un seminario sul trust, in Eur. e dir. priv., 1998, 457; F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e trascrizione, in Riv. not., 2001, p. 18 ss.; Id., In Italia tutto è permesso, anche quel che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e su altre bagattelle), in Riv. not., 2001, p. 1251; A. Di Majo, Responsabilità e patrimonio, Torino, 2005, p. 95 ss.

[43] D’altra parte, l’art 13 sancisce che «Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione».

[44] Si è rilevato che i vari comitati che si sono occupati del testo della convenzione hanno inteso evitare che in conseguenza della adesione alla convenzione il trust divenisse strumento operativo a disposizione della pratica degli affari in un paese non trust (M.C. Malaguti, Il futuro del trust in Italia, in Contr. e impr., 1990, p. 997; A. Busato, La figura del trust negli ordinamenti di commow law e di diritto internazionale, in Riv. dir. civ., 1992, p. 309).

[45] Si è osservato che la legittimità dei trust interni sarebbe fondata sulle disposizioni della Convenzione sul riconoscimento” e che esse non pongono alcuna limitazione soggettiva o oggettiva, né essa è desumibile dal complesso della Convenzione stessa, nonostante la sua natura di convenzione essenzialmente internazionalprivatistica. Secondo questa impostazione la Convenzione aderirebbe a quel criterio della libertà della scelta della legge regolatrice che costituisce l’attuale tendenza del diritto internazionale privato e che qualsiasi obiezione di diritto civile riguardo specifiche istanze o specifici profili dei trust o si rivolge contro i trust da chiunque istituiti (ma questo non sarebbe possibile dopo l’entrata in vigore della Convenzione) o cade nei confronti di tutti (sul tema cfr. anche L. Rovelli, Libertà di scelta della legge regolatrice, in Trusts, 2001, p. 506).

[46] Per una critica al concetto di “sdoppiamento della proprietà” cfr. M. Bianca, La fiducia attributiva, Torino, 2001.

[47] Così G. Palermo, Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2002, p. 400.

[48] M. Bianca, Trustee e figure affini nel diritto italiano, in Riv. not., I, 2009, p. 575, che evidenzia la mancanza nel nostro sistema, a differenza del sistema di common law, di rimedi di carattere reale e recuperatorio che consentano di dare rilevanza esterna al rapporto di destinazione e in generale al rapporto fiduciario, rimedi che si rivelano determinanti nel caso di abuso di gestione.

[49] Al riguardo A.M. Gambino, M. Patrone, Struttura del patto di famiglia e trust: funzionalità degli istituti ed esigenze pratiche, in Nuovo dir. civ., 2022, p. 39, che ricordano come fosse già previsto nella Repubblica di San Marino dalla legge 1° marzo 2010, n. 43 “l’istituto dell’affidamento fiduciario” cui comunque può farsi riferimento (A. Vicari, Il contratto di affidamento fiduciario nella legge di san marino, in Autonomia privata e affidamenti fiduciari, a cura di A. Barba, D. Zanchi, Torino, 2012, p. 210 s).

[50] Si tratta della c.d. Legge sul “dopo di noi” (A.M. Gambino, M. Patrone, op.cit., p. 40). L’istituto nato quale figura di invenzione dottrinale è stato comunque già ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza (Trib. Genova, 30 novembre 2016, in Trust e attività fiduciarie, 2017, p. 409; Trib. Genova, 30 gennaio 2014, ivi, 2014, p. 511; Trib. Civitavecchia, 4 dicembre 2013, ivi, 2014, p. 299; Trib. Genova, 31 dicembre 2012, in Trusts, 2013, p. 422; M. Lupoi, Le ragioni della proposta dottrinale del contratto di affidamento fiduciario, in Contr. impr., 2017, 3, p. 734 s.; Id., Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014).

[51] L’oggetto di tale contratto è costituito dal programma che obbliga l’affidatario a gestire i beni affidati secondo le modalità stabilite nel contratto. I principali effetti del contratto sono, fra gli altri: il sorgere di obbligazioni fiduciarie in capo all’affidatario; e la segregazione patrimoniale. Sul concetto di “situazione affidante” M. Lupoi, Le situazioni affidanti, Torino, 2006.

[52] A.M. Gambino, M. Patrone, op. cit., p. 41.

[53] Il presidente ed azionista della Sampdoria in quanto «disponente» del Rosan Trust ha trasferito al trustee Trust Services di Venezia rappresentato da Gianluca Vidal il 100 per cento di Spettacolo Holding, quota pari a 950mila euro, che detiene fra l’altro il 99,9 per cento della squadra ligure denominata Unione Calcio Sampdoria. Il Trust «si avvale nel limite di 33 milioni» di garantire «finanza esterna ai piani concordatari o fallimentari di Eleven Finance, Farvem Real Estate e Abaco (tutte società riferibili a Ferrero, ndr)» facendo in modo di «prevenire per quanto possibile, anche per mezzo di transazioni, che vengano iniziate o proseguano, iniziative giudiziarie contro Massimo, Giorgio, Michela e Vanessa Ferrero anche quali amministratori, se così eventualmente ritenuti, di fatto o di diritto delle fallite società Ellemme Group, Blu Cinematografica, Blu Line e Maestrale» oltre che delle tre società sopra citate. Il trust è regolato dalla legge del Jersey, Isole del Canale della Manica. La proposta concordataria della Eleven Finance contempla la vendita della gestione e degli immobili di vari cinema in Italia in provincia di Pisa, dei beni mobili e immobili. Per la Farvem, è prevista anche in questo caso la cessione del complesso immobiliare residenziale di Torre Spaccata, nella zona est di Roma, e del relativo contratto di property management ai creditori. Il tutto integrato dalla finanza esterna riveniente dalla vendita delle partecipazioni delle azioni segregate.

[54] Esistono precedenti giurisprudenziali specifici, ante riforma, secondo cui il trust consente di superare le incertezze interpretative registrate sul concordato misto e sulle modalità di attuazione, assicurando la meritevole composizione degli interessi coinvolti nella procedura, non unilateralmente definibili e valutabili con riferimento al solo debitore concordatario in quanto parallelamente assistiti dall’adem­pimento del terzo (Trib. Parma, 3 marzo 2005, in Fallimento, 2005, p. 553, con nota di L. Panzani, Trust e concordato preventivo; Trib. Mondovì, 16 settembre 2005 inedito, secondo cui in caso di concordato preventivo per “cessio bonorum”, il piano di concordato, qualora vi siano i presupposti, può essere attuato anche tramite il conferimento dei beni immobili in un trust liquidatorio). Dopo la riforma del 2006 si è diffuso l’utilizzo a partire dal precedente del Tribunale di Napoli, 19 novembre 2008 con nota critica di F. Fimmanò, Il Trust a garanzia del concordato preventivo, in Banca, borsa, tit. cred., n. 1, 2010, p. 90 s.

[55] Qualora le procedure concordatarie si convertano in fallimento questo “trust di scopo” viene sciolto a meno che il trust non diventi liquidatorio e quindi atto al soddisfacimento dei creditori delle procedure.

[56] Se da una parte venivano introdotte nuove regole al fine di migliorare il pagamento di debiti e degli stipendi – evitando così le sempre frequenti penalizzazioni derivanti dai mancati versamenti – le novità più significative erano rappresentate da due novelle. La prima, resasi necessaria per contrastare la già menzionata Superlega, riguarda una modifica dell’art. 16 delle NOIF (Norme organizzative interne federali) e prevede che “Ai fini della iscrizione al campionato la società si impegna a non partecipare a competizioni organizzate da associazioni private non riconosciute dalla FIFA, dalla Uefa e dalla FIGC. La partecipazione a queste competizioni organizzate da associazioni private non riconosciute comporta la decadenza della affiliazione” (al riguardo tra gli altri: S. Bastianon, La Superlega e il modello sportivo europeo, in questa Rivista, 2021, p. 288 s.; P. Sandulli, La quiete dopo la tempesta (Riflessioni sul tema della Superlega), in Rass. dir. econom. dello sport, 2021, p. 1 s.). La seconda ha riguardato invece la modifica di un’opportunità promossa da Presidenti di società di Serie A e che vede l’acquisto di compagini anche di leghe inferiori. Diversamente da questa situazione si considera la semplice partecipazione societaria, come il caso del presidente Setti dell’Hellas Verona che fa parte anche del quadro societario del Mantova, o della partnership tecnica tra il Cagliari e l’Olbia.

[57] Cfr. al riguardo: E. Caggiano, Il divieto di multiple partecipazioni societarie alla luce dell’art. 16 bis NOIF, in www.deiustitia.it/cms/cms_files /20210730110126_srfo.pdf.

[58] La fattispecie è regolamentata dal nuovo comma 4 dell’art. 16 bis che, per il caso di situazione di incompatibilità derivante dal passaggio di una società dal settore dilettantistico a quello professionistico, impone ai soggetti interessati di risolvere la situazione di conflitto entro 5 giorni dal termine di scadenza per l’iscrizione al campionato professionistico di competenza, pena l’applicazione delle sanzioni disciplinari di cui all’art. 31 comma 9, secondo capoverso, lett. a) e b), del codice di giustizia sportiva. Concluso il procedimento disciplinare con la condanna dei soggetti coinvolti, è prevista la concessione di un ulteriore termine, pari a 30 giorni decorrenti dal passaggio in giudicato della condanna, per risolvere la situazione di conflitto ancora persistente, pena l’applicazione delle più incisive sanzioni, di cui al comma 9, secondo capoverso, dell’art. 31 del codice di giustizia sportiva ossia esclusione dal campionato ed inibizione temporanea per anni 5.

[59] L’esecutivo della FIFA annunciò nel 2014 che la “third-party ownership” sarebbe stata vietata a partire dal 1° maggio 2015. I contratti esistenti sono rimasti validi fino alla scadenza naturale. Gli accordi stipulati tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2014 sarebbero stati validi al massimo per un anno.

[60] I ricorrenti hanno fatto valere la presunta contraddittorietà del provvedimento rispetto alla delibera assunta il 7 maggio 2021 dal medesimo organo federale, altresì invocando la violazione del principio di ragionevolezza, di certezza del diritto e di trasparenza dell’agire amministrativo e, per l’effetto, instando per l’annullamento del provvedimento per lamentato eccesso di potere. Non si comprenderebbe, a giudizio dei ricorrenti, quale esigenza sopravvenuta avrebbe determinato il cambio di orientamento; il difetto di “qualsivoglia esigenza giuridico-ordinamentale” a suffragio dell’adozione dell’impugnato provvedimento lo renderebbe illegittimo e ingiustificatamente lesivo dei principi di affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto. Più in particolare, la delibera del 7 maggio 2021 non sarebbe stata impugnata neppure da consiglieri federali o componenti dissenzienti; non consterebbe la necessità, per la FIGC, di recepire direttive o indicazioni in ipotesi discendenti da autorità sovraordinate, come il CONI; non esisterebbero, in ambito sovranazionale (tanto a livello UEFA quanto FIFA) norme o direttive che impongano alle Federazioni sportive nazionali di impedire situazioni di ‘multiproprietà’ anche relativamente a clubs partecipanti a campionati diversi o, addirittura, di porre immediato rimedio a situazioni già esistenti e legittimamente venute in essere. Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti hanno denunciato la violazione del principio di affidamento incolpevole, dell’obbligo di generalità e astrattezza del provvedimento regolamentare, nonché del divieto di irretroattività della normativa. Il principio di affidamento incolpevole sarebbe stato leso in quanto: le norme dell’epoca avrebbero previsto l’illimitata e piena possibilità di controllare due clubs, a condizione che uno venisse acquisito nel settore dilettantistico e che, in caso di successivo accesso al settore professionistico, non militasse nella medesima categoria dell’altra società sottoposta al potere di controllo dello stesso soggetto; all’atto dell’ammissione della S.S.C. Bari S.p.a. al campionato professionistico di Serie C 2019-2020, come a quelli successivi, la situazione di controllo comune con la S.S.C. Napoli S.p.a. non sarebbe mai stata sottaciuta e la FIGC avrebbe sempre concesso la Licenza Nazionale senza riserve, condizioni o limiti di tempo; il 26 aprile 2021, a margine del Consiglio Federale, il Presidente della FIGC avrebbe dichiarato che la modifica delle norme sarebbe avvenuta con la salvaguardia dei diritti già acquisiti; sarebbe rimasto inoppugnato il C.U. n. 231/A del 7 maggio 2021, con cui le situazioni di controllo diretto e/o indiretto, da parte di un medesimo soggetto, esistenti dal 26 aprile 2021, sarebbero rimaste regolate dalle disposizioni previgenti. In definitiva, il Consiglio Federale avrebbe operato una illegittima modifica in peius dei diritti soggettivi acquisiti da Filmauro S.r.l. e suffragati dall’affidamento maturato a seguito del comportamento concludente della FIGC e dei fatti del 26 aprile-7 maggio 2021. Inoltre, sempre a giudizio dei ricorrenti, il gravato provvedimento sarebbe privo dei requisiti di generalità e astrattezza, non potendosi configurare alla stregua di atto amministrativo di natura normativa, bensì di provvedimento amministrativo nella specie viziato da sviamento di potere. Infine, come ancora si legge nel corpo del ricorso introduttivo, sarebbe stata introdotta, in conflitto con il dettato dell’art. 25 Cost., una “sanzione esiziale” (la revoca dell’affiliazione) nel caso in cui non si fosse posto rimedio a una situazione legittima dal momento della sua verificazione. Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti hanno denunciato la violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost. e dei principi in materia di concorrenza previsti dagli artt. 81 e 82 del Trattato UE. Secondo la parte, un provvedimento che impedisca a un imprenditore, che abbia legittimamente acquisito il controllo di una società di capitali, di mantenerne la titolarità oltre il 30 giugno 2024 integrerebbe una illegittima compressione del principio di libertà di iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost. e una altrettanto indebita restrizione del c.d. diritto di impresa sancito dagli artt. 81 e 82 Trattato UE. Più in particolare, il provvedimento impugnato: inciderebbe, ancorché in maniera indiretta, ma decisiva, sulla determinazione del valore della società controllata da Filmauro S.r.l., condizionando in maniera negativa e irreparabile il potere contrattuale dell’imprenditore; restringerebbe la concorrenza, impedendo a un soggetto che abbia legittimamente avviato un’attività di impresa, in presenza di certe “regole di ingresso”, di proseguirla liberamente; violerebbe il principio di uguaglianza tra soggetti nella medesima condizione, creando un effetto distorsivo del mercato, posto che Filmauro S.r.l., in una eventuale trattativa per la cessione della titolarità della S.S.C. Bari S.p.a., a causa dell’obbligo imposto dalla FIGC, avrebbe una “forza contrattuale enormemente inferiore ad un soggetto titolare di club equiparabile” che non dovrebbe “soggiacere alla ‘ghigliottina’ consistente nella decadenza dell’affiliazione (e, quindi, perdita totale dell’investimento) qualora l’operazione di trasferimento del controllo del club non si perfezioni entro il 30 giugno 2024”. La violazione degli evocati principi costituzionali ed euro-unitari sarebbe vieppiù rilevante nel caso di specie, ove difetterebbero esigenze tali da giustificare, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, la descritta compressione della posizione soggettiva della parte. L’esigenza di salvaguardare l’integrità della competizione non potrebbe spingersi al punto di costringere un imprenditore, che abbia legittimamente acquisito una società, a spogliarsene entro un certo termine a pena di “esproprio/dissoluzione di autorità del bene”. Con il quinto e ultimo motivo di ricorso, i ricorrenti hanno dedotto che l’intervento del legislatore federale rischierebbe di produrre l’effetto contrario rispetto all’esigenza che lo fonda: Filmauro S.r.l., preso atto che, al 30 giugno 2024, l’alternativa resterebbe la dissoluzione dell’investimento o la vendita del bene a condizioni sfavorevoli, potrebbe interrompere o drasticamente ridurre gli investimenti nella S.S.C. Bari S.p.a. fino a determinare una “deminutio notevole in termini di competitività del campionato, di regolarità della competizione e di livello del prodotto offerto”. La revoca del titolo sportivo da parte della FIGC pregiudicherebbe, in definitiva, la stessa integrità delle competizioni, oltre alla Società Filmauro S.r.l., alla città di Bari e al settore calcistico.

[61] Il Tribunale ha pronunciato, decidendo nell’udienza fissata il giorno 4 maggio 2022, sul ricorso proposto dal Cav. Aurelio De Laurentiis (in proprio e n.q. di legale rapp.te p.t., Presidente del C.d.A. di SSC Napoli Spa, nonché n.q. di legale rapp.te p.t., Presidente del CdA di Filmauro Srl), dal sig. Luigi De Laurentiis (in proprio e n.q. di legale rapp.te p.t., Amministratore Unico, della SSC Bari Spa) avente ad oggetto l’impugnazione della delibera pubblicata sul C.U. n. 88/A del 1° ottobre 2021 relativamente alla modifica dell’art. 16 bis NOIF nonché di ogni atto presupposto o conseguente, contro Federazione Italiana Giuoco Calcio, Lega Nazionale Calcio Professionisti Serie A, Lega Nazionale Calcio Professionisti Serie B, Lega Italiana Calcio Professionistico.

[62] Sul contenuto delle decisioni sul piano generale: F. Ottombrino, Le decisioni degli organi di giustizia sportiva: aspetti formali e sostanziali, in Rass. dir. econom. dello sport, 2021, 72 s.

[63] La Corte europea dei diritti dell’uomo – sin dalla nota sentenza National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito del 23 ottobre 1997 – e la Corte costituzionale hanno ripetutamente affermato che non è impedito a chi legifera di emanare disposizioni che mutino in peius la morfologia dei rapporti di durata, anche a fronte di diritti acquisiti in forza delle regole previgenti.

[64] Per la legittimità dell’adeguamento di regole sottordinate, nell’ottica dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, si veda la citata sentenza Corte Edu, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, par. 90).

[65] Cfr. per tutti, l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 all’esito della legge n. 124/2015 e del d.l. n. 77/2021.

[66] Il principio e il precetto di dettaglio fatti propri dalla delibera erano già iscritti nell’ordinamento federale – tanto da far lecitamente dubitare dello stesso interesse alla base dell’azione, il cui positivo esito comunque osterebbe alla ‘multiproprietà’ del ricorrente.

[67] Dal verbale del Consiglio Federale del 30 settembre 2021, risulta che: “la proposta di modifica del nuovo art. 16-bis delle NOIF […] ribadisce il principio già previsto dall’art. 7, comma 7, dello Statuto Federale, per effetto del quale è vietata ogni forma di partecipazione, di qualunque entità (anche lo 0,1%) in più società professionistiche”; “[…] la bozza in esame rappresenti un atto di grande rigore e chiarezza; inoltre, si concede il tempo per risolvere positivamente la partecipazione”.

[68] Ciò in quanto i reclamanti avevano ribadito che: l’affidamento incolpevole si è perfezionato il 31 luglio 2018, data di costituzione della S.S.C. Bari S.p.a. e si è consolidato giorno dopo giorno, in ragione non soltanto del sistema normativo vigente, ma anche dell’atteggiamento di FIGC e Leghe che, ammettendo S.S.C. Napoli S.p.a. e S.S.C. Bari S.p.a. ai campionati di riferimento senza riserve, hanno confermato la piena legittimità della situazione di simultaneo controllo in campionati di categorie differenti, peraltro espressamente consentita dalla norma (art. 16-bis, comma 4) e priva di qualsivoglia disallineamento con lo Statuto, per le ragioni già descritte. Quanto al termine temporale del 25 giugno 2024 per risolvere la situazione di simultaneo controllo, definito ‘non irrilevante’, si rileva come lo stesso abbracciasse, al­l’epoca dell’approvazione, meno di tre stagioni sportive.

[69] La Corte ha ribadito come le scelte normative federali, nella parte in cui hanno stabilito un congruo periodo transitorio, siano in perfetta linea con i suddetti principi.

[70] Sul piano più generale per una analisi comparata delle discipline in tema di diritto sportivo, cfr. G.G. Carboni, L’ordinamento sportivo italiano nel diritto comparato, in federalismi.it, 2021, p. 49 s.

[71] Arbitration CAS 98/200 AEK Athens and SK Slavia Prague / Union of European Football Associations (UEFA), award of 20 August 1999, Football Conflicts of interest related to multi-club ownership within the same competition Application of EC law to sport Status of UEFA according to EC law Right to be heard Principle of procedural fairness. The Court of Arbitration for Sport: “The Panel considers that an immediate application of the effects of the award could be unreasonably harmful to commonly owned clubs which during the recently terminated 1998/99 season have qualified for one of the 1999/2000 UEFA competitions. Such clubs, if any, would find themselves in the same situation as they were in when the CAS rightly stayed the implementation of the Contested Rule. If UEFA had announced in the Summer of 1998 that the Contested Rule was going to be implemented at the beginning of the 1999/2000 football season, no club could have later claimed to have legitimate expectations with respect to the treatment of multi-club ownership. In other words, without a ruling on the temporal effects of this award, the Panel would not give sufficient weight to the procedural defect which occurred in the adoption of the Contested Rule. 163. In conclusion, paramount considerations of fairness and legal certainty, needed in any legal system, militate against allowing UEFA to implement immediately the Contested Rule in the 1999/2000 football season which has already begun. Accordingly, the Panel partially upholds the Claimants’ petition to extend the stay of the Contested Rule and deems it appropriate to extend such stay until the end of the current 1999/2000 football season; for the remaining part, the petition for an indefinite extension of the stay is rejected. As a result, the Panel holds that the Contested Rule can be implemented by UEFA starting from the 2000/2001 football season: 1. Rejects the petitions by AEK Athens and Slavia Prague to declare void or to annul the resolution adopted by UEFA on 19 May 1998 on the «Integrity of the UEFA Club Competitions: Independence of the Clubs». 2. Partially upholding the petition by AEK Athens and Slavia Prague to extend indefinitely the interim stay ordered by the CAS on 16 July 1998, orders the extension of the stay until the end of the 1999/2000 football season and, accordingly, orders UEFA not to deny admission to or exclude clubs from the 1999/2000 UEFA club competitions on the ground that they are under common control; consequently, UEFA is permitted to implement its resolution of 19 May 1998 starting from the 2000/2001 football season. 3. Rejects all other petitions lodged by AEK Athens and Slavia Prague”.

[72] D. Geey, Multiple football club ownership, in www.danielgeey.com/post/multiple-football-club-ownership-disparities-between-rules.

[73] Le norme sono pubblicate in https://documents.uefa.com/r/Regulations-of-the-UEFA-Champions-League-2022/23-Online.

[74] Una situazione di questo tipo si è già verificata in passato, con la partecipazione a competizioni UEFA per club da parte di Lipsia e Salisburgo, società all’epoca controllate da Red Bull. Un’indagine approfondita della UEFA aveva tuttavia portato a un verdetto positivo: via libera ai due clubs di partecipare alla Champions League. Le motivazioni sono state diverse. In particolare, secondo l’UEFA, l’in­fluenza di Red Bull sul Salisburgo si era notevolmente ridotta: erano state rimosse alcune persone legate alla Red Bull (le quali erano anche contemporaneamente coinvolte con il Lipsia) nel CdA, così come il presidente del CdA, legato a Red Bull, si era dimesso. Inoltre, era stato modificato l’accordo di sponsorizzazione tra Salisburgo e Red Bull (con spazi e cifre ridotte), così come è stato concluso l’accordo di collaborazione tra i due clubs e i diversi prestiti in essere. In sostanza, secondo la Camera Investigativa dell’Organo UEFA di Controllo Finanziario dei Clubs, la relazione tra Red Bull e il Salisburgo, in seguito alle modifiche, era diventata una relazione di sponsorizzazione standard, stabilendo così che non fosse stato violato l’art. 5 (riguardante l’integrità delle competizioni) e ammettendo entrambe le squadre alla stessa competizione.

[75] A norma dell’art. 17 (Prohibiciones de adquisición de acciones): “1. Las sociedades anónimas deportivas y los clubes que participen en competiciones profesionales de ámbito estatal no podrán participar directa o indirectamente en el capital de otra sociedad anónima deportiva que tome parte en la misma competición profesional o, siendo distinta, pertenezca a la misma modalidad deportiva. 2. Ninguna persona física o jurídica que, directa o indirectamente, ostente una participación en los derechos de voto en una sociedad anónima deportiva igual o superior al 5 por 100 podrá detentar directa o indirectamente una participación igual o superior a dicho 5 por 100 en otra sociedad anónima deportiva que participe en la misma competición profesional o, siendo distinta, pertenezca a la misma modalidad deportiva. 3. La adquisición de acciones de una sociedad anónima deportiva o de valores que den derecho a su suscripción o adquisición hecha en contravención de lo dispuesto en los tres primeros apartados del artículo 23”.

[76] Peraltro, l’Individual che perde tale qualifica se condannato per gravi reati penali contro il patrimonio o se è coinvolto nel fallimento di altro club sportivo non può detenere più del 9,9 per cento delle quote societarie di un altro club professionistico associato alla federazione inglese.

[77] Il test è esplicato nell’appendice 3 al Regolamento della EFL, rubricato “Owners and Directors test” in www.efl.com/-more/governance/efl-rules--regulations/appendix-3---owners-and-directors-test/ (al riguardo cfr. E. Caggiano, op. cit., p. 26).

[78] Significant Interest’ means the holding and/or possession of the legal or beneficial interest in, and/or the ability to exercise the voting rights applicable to, shares or other securities in the Club which confer in aggregate on the holder(s) thereof ten (10) per cent or more of the total voting rights exercisable in respect of the shares of any class of shares of the Club. All or part of any such interest may be held directly or indirectly or by contract including, but not limited to, by way of membership of any Concert Party, and any rights or powers held by an Associate, Nominee or Connected Person shall be included for the purposes of determining whether an interest or interests amounts to a ‘Significant Interest’”.

[79] Basti pensare con riferimento proprio al calcio alla c.d “Stadium diplomacy” che è uno dei caposaldi del c.d. soft power cinese. La strategia cinese ha seguito in questi anni due direttrici principali che intersecano, nel grande disegno complessivo, le traiettorie marittime e terrestri delle nuove vie della seta: la prima è quella degli investimenti nei maggiori clubs europei di calcio; la seconda è la cosiddetta Stadium Diplomacy, realizzata soprattutto nelle aree più povere come Africa e America Latina. Investimenti che hanno l’obiettivo principale di rafforzare la presenza cinese nei singoli Stati, per stringere accordi che vanno anche molto oltre il business calcistico. Tra il 2014 e il 2017 la Cina ha portato più di 2 miliardi e mezzo di euro in squadre di calcio europee. La diffusione nel tessuto sociale europeo, la natura popolare e l’enorme indotto che questo sport genera ne fanno un vettore ideale per veicolare qualsiasi messaggio o brand. La seconda direttrice è la Stadium Diplomacy che riguarda decine di paesi in America Latina, Africa e Asia. La Cina è così divenuta il maggior partner commerciale per l’effetto della costruzione delle infrastrutture. Dall’inizio del nuovo millennio una buona fetta degli investimenti in Africa riguardano stadi e strutture sportive, che in alcuni casi sono veri e proprie liberalità funzionali ad ottenere “indirettamente” l’approvvigionamento di materie prime.

[80] In tema cfr. E. Maio, Le sponsorizzazioni, il fenomeno sportivo e la nuova era digitale – Sponsorship, the sporting phenomenon and the new digital age, in Rass. dir. econom. dello sport, 2020, p. 185 s.

[81] Si pensi che la Juventus è la squadra di Serie A che fattura di più (ed ha già investito su uno stadio di proprietà), con 480,7 milioni per la stagione 2020/2021 ed in Premier League, sarebbe solo al sesto posto per ricavi. Il Manchester City, primo in Inghilterra, arriva a 689,6 milioni. Lo stesso per quanto riguarda i guadagni da diritti televisivi. La Premier incassa tre miliardi di euro l’anno, mentre la Serie A naviga poco sopra al miliardo. Come documenta Calcio e Finanza, nel 2020/2021 la squadra che ha incassato di meno in Inghilterra è stata lo Sheffield United, con 105,6 milioni di euro. L’Inter, campione d’Italia, nella stessa stagione, non è arrivata a 100 milioni. Bastano questi numeri a giustificare un solco che negli anni è diventato sempre più profondo.

[82] Per i calciatori la casistica è varia ed articolata e spesso contempla persino l’uso di calciatori dal settore giovanile o provenienti da campionati minori in giro per il mondo che vengono valorizzati in modo improprio e talvolta ridati in prestito alle stesse società venditrici. Il riferimento è alla sopravvalutazione nelle operazioni di scambio volta a consentire l’iscrizione in bilancio di rilevanti plusvalenze alla società cedente, cui non corrisponde analoga componente negativa per la società cessionaria, dato che quest’ultima ammortizza l’investimento nell’arco di durata, di solito quinquennale, del contratto con il calciatore. Tali plusvalenze sono state determinanti per garantire il contenimento delle perdite d’esercizio, per evitare deficit patrimoniali o per eludere le regole del Fair play finanziario. Tuttavia, si tratta di una misura che ha solo benefici temporanei nel bilancio dei clubs. Infatti, se nell’esercizio in cui avviene lo scambio può essere rilevato l’elevato componente economico positivo, negli anni successivi il maggior valore conduce ad una crescita degli ammortamenti, la cui compensazione richiede, a meno di procedere ad altre operazioni di scambio, a “valori gonfiati” nonché ad inderogabili conferimenti di capitale netto per coprire le perdite. Ed è proprio per far fronte a questo circolo vizioso che intervenne il legislatore italiano con una disposizione normativa di carattere eccezionale che consentiva la diluizione in più anni degli effetti connessi alla necessaria e improcrastinabile riduzione del valore dei calciatori. Era necessario trovare una soluzione momentanea, un escamotage (d.l. 24 dicembre 2002, n. 282 definito decreto “Salva – calcio”). Il provvedimento fu subito oggetto di censure da parte della Commissione Europea che avviò un’in­dagine sull’ipotesi che risultasse incompatibile tanto con le norme comunitarie che regolano gli aiuti di stato quanto con quelle che disciplinano la redazione dei bilanci. Nel 2005 si giunse alla risoluzione della controversia attraverso l’impegno del Governo italiano all’eliminazione del riconoscimento “a fini fiscali” delle quote di ammortamento delle svalutazioni dei giocatori.

[83] Sulla tematica generale G.G. Carboni, L’ordinamento sportivo italiano nel panorama comparato, in Rass. dir. ec. sport, 2021, p. 4 s.

[84] Fenomeno deprecabile, in quanto nel migliore dei casi, finisce per originare privilegi e discriminazioni. In taluni casi, poi, non è tanto la ponderata volontà di sottrarre alla disciplina comune determinati soggetti a spingere il legislatore sulla strada della riforma, “bensì l’incapacità a resistere alla pressione di gruppi organizzati, che spesso emotivamente e prepotentemente, chiedono e invocano questa o quella riforma. In tal modo, il potere legislativo, sollecitato da spinte corporative, si muove male e si trasforma, come suol dirsi in una machine a faire lois” (U. Apice, La società sportiva: dentro o fuori al Codice civile, in Riv. dir. fall., 1986, p. 538 s.).

[85] In tema mi permetto di fare riferimento a: F.R. Fimmanò, Le società di calcio professionistico in bilico tra diritto speciale e diritto comune all’esito delle recenti riforme, in Rass. dir. econom. dello sport, 1, 2022, p. 123 s.

[86] L’atto, che costituisce la prima pietra miliare del diritto della concorrenza, prende il nome del senatore dell’Ohio John Sherman che presentò al congresso americano un progetto di legge diretto a vietare appunto i collegamenti di trust in quanto rappresentativi di concentrazioni aziendali restrittive del commercio e della produzione.