Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Sulla responsabilità personale dell´atleta in materia di antidoping, anche in caso di condotta colposa (di Snežana Lazović, Dottoranda presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano – Dottorato di ricerca in Social Sciences and Humanities XXXV Ciclo)


Il 10 novembre 2020 la Corte Arbitrale dello Sport (CAS) ha emesso un lodo arbitrale contro il pilota italiano della MotoGP Andrea Iannone, dopo aver deciso nelle procedure arbitrali di appello tra l’atleta, l’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) e la Fédération Internationale de Motocyclisme (FIM). L’atleta e la WADA hanno presentato distinti ricorsi al CAS contro la decisione resa dal Tribunale Disciplinare Internazionale FIM del 31 marzo 2020 con la quale è stato accertato che il pilota ha commesso una violazione del regolamento antidoping (ADRV), a causa della presenza nel suo corpo di Drostanolone, uno steroide anabolizzante incluso nella WADA Prohibited List del 2019, imponendogli un periodo di ineleggibilità di 18 mesi.

Il Collegio del TAS ha respinto il ricorso di Iannone e ha accolto il ricorso presentato dalla WADA. Pertanto, la decisione resa dal Tribunale Disciplinare Internazionale FIM è stata annullata e sostituita con la seguente nuova decisione: Andrea Iannone è stato sanzionato con un periodo di ineleggibilità di quattro anni a partire dal 17 dicembre 2019.

Il 3 novembre 2019, durante il Campionato Mondiale FIM MotoGP a Sepang/Malesia, l’atleta è stato sottoposto a un controllo antidoping che ha rivelato la presenza di Drostanolone. Dopo un procedimento disciplinare interno, il 31 marzo 2020 il Tribunale Disciplinare Internazionale FIM ha sanzionato il pilota con un periodo di ineleggibilità di 18 mesi a decorrere dal 17 dicembre 2019.

Iannone ha affermato che la fonte della sostanza proibita era carne contaminata ingerita in Malesia prima del Campionato Mondiale FIM MotoGP di Sepang 2019 e che la decisione impugnata doveva essere annullata.

La WADA, al contrario, ha confermato l’imposizione di un periodo di quattro anni di ineleggibilità per la mancata dimostrazione da parte di Iannone dell’origine della contaminazione.

Il Panel TAS ha ritenuto, quindi, che l’atleta non fosse riuscito a stabilire il tipo preciso di carne che aveva consumato e l’origine del suddetto prodotto.

Nonostante la sanzione e la presunta innocenza, il Tribunale ha ritenuto tali elementi insufficienti per stabilire, in un bilancio di probabilità, che la violazione da parte del pilota della norma antidoping non fosse intenzionale.

On the personal liability of the athlete in the field of antidoping, also in the case of culpable conduct

On 10 November 2020 the Court of Arbitration for Sport (CAS) delivered its arbitral award against the Italian MotoGP rider Andrea Iannone, after having decided in the appeal arbitration procedures between the athlete, the World Anti-Doping Agency (WADA) and the Fédération Internationale de Motocyclisme (FIM). The athlete and WADA filed separate appeals at CAS against the decision rendered by the FIM International Disciplinary Court dated 31 March 2020 in which the rider was found to have committed an antidoping rule violation (ADRV), because of the presence in his body of Drostanolone, an anabolic steroid included in the 2019 WADA Prohibited List and an 18-month period of ineligibility was imposed on him.

The CAS Panel rejected the appeal filed by Iannone and upheld the appeal filed by WADA. Therefore, the decision rendered by the FIM International Disciplinary Court has been set aside and replaced with the following new decision: Andrea Iannone is sanctioned with a period of ineligibility of four years starting from 17 December 2019.

On 3 November 2019, during the FIM World Championship MotoGP in Sepang/Malaysia, the athlete was tested for an antidoping control which revealed the presence of Drostanolone. After an internal disciplinary procedure, on 31 March 2020 the FIM International Disciplinary Court sanctioned the rider with a period of inelegibility of 18 months as of 17 December 2019.

Iannone asserted that the source of the prohibited substance was contaminated meat ingested in Malaysia prior to the 2019 Sepang FIM World Championship MotoGP and that the challenged decision should be annulled.

WADA, on the contrary, adfirmed the imposition of a four-year period of ineligibility on the grounds that Iannone had failed to demonstrate the origin of the contamination.

The CAS Panel found, therefore, that the athlete had failed to establish the precise type of meat he had consumed and the origin of the above-mentioned product.

Despite the clean record and the alleged innocence, the Court considered these factors insufficient to establish, on a balance of probability, that the rider’s violation of the antidoping rule wasn’t intentional

Keywords: Andrea Iannone, Court of Arbitration for Sport, Arbitral Award, 2020, Ineligibility.

 
ARBITRAL AWARD delivered by the COURT OF ARBITRATION FOR SPORT sitting in the following composition: President:        Dr. Hamid G. Gharavi, Attorney-at-Law in Paris, France Arbitrators:     The Hon. Franco Frattini, Judge in Rome, Italy The Hon. Michael J. Beloff Q.C., Barrister in London, United Kingdom in the arbitration between Andrea Iannone, Lugano, Switzerland Represented by Mr. Antonio de Rensis, Attorney-at-Law, San Giovanni in Persiceto, Italy Appellant/First Cross-Respondent and World Anti-Doping Agency, Montreal, Canada Represented by Mr. Ross Wenzel and Mr. Anton Sotir, Attorneys-at-Law with Kellerhals Carrard, Lausanne, Switzerland Cross-Appellant and Fédération Internationale de Motocyclisme, Mies, Switzerland Represented by Mr. Jiri Janak, Attorney-at-Law, Prague, Czech Republic Respondent/Second Cross-Respondent PARTIES Mr. Andrea Iannone (“Mr. Iannone”) is an Italian professional motorcycle racer of the Aprilia Racing Team Gresini who competed in the 2019 FIM World Championship MotoGP. The World Anti-Doping Agency (“WADA”) is a non-profit organization based in Montreal, Canada, responsible for promoting, coordinating and monitoring fight against doping. The Fédération Internationale de Motocyclisme (“FIM”) is an international organization based in Mies, Switzerland and recognized by the International Olympic Committee and the Global Association of International Sports Federations. FIM is responsible for the organization and supervision of motorcycling sports, notably the FIM World Championship MotoGP. M. Iannone, WADA and FIM are hereinafter collectively referred to as “the Parties”. FACTS Below is a summary of some of the key relevant facts. Additional facts and/or allegations are set out, where relevant, in subsequent sections. From 1 to 3 November 2019, the FIM World Championship MotoGP, to which Mr. Iannone participated, took place at Sepang, Malaysia. On 3 November 2019, Mr. Iannone underwent an in-competition doping control during which Mr. Iannone’s urine sample (sample no. 4501429) was collected and sent for testing to the Institute of Doping Analysis and Sport Biochemistry (“IDAS”), the WADA accredited laboratory in Ger­many. On 28 November 2019, the IDAS informed FIM that the analysis of Mr. Iannone’s A sample resulted in an adverse analytical finding (“AAF”) as it revealed the presence of drostanolone metabolite 2α-methyl-5α-androstane-3α-ol-17-one (“Drostanolone”) in a concentration of approximately 1.5ng/ml. By letter of 16 December 2019, FIM informed Mr. Iannone of the test result and, in light of this result, of his provisional suspension from participating in any motorcycling competition or activity as of 17 December 2019 until further notice. FIM also notified Mr. Iannone of the [continua..]
SOMMARIO:

1. I fatti ed il giudizio di primo grado dinanzi alla Corte Internazionale Disciplinare della Federazione Internazionale di Motociclismo - 2. Il ricorso dinanzi la Corte Arbitrale dello Sport - 3. La decisione della Corte Arbitrale dello Sport - 4. L’elemento dell’intenzionalità e le violazioni al Codice WADA: la mancata dimostrazione dell’atleta secondo il principio del c.d. balance of probabilities - 5. La quantificazione del c.d. standard of proof gravante sull’atleta e le difficoltà pratiche della c.d. comfortable satisfaction della CAS - 6. La condanna in peius in secondo grado di giudizio: l’indagine su una possibile eliminazione o riduzione della sanzione inflitta - 7. Il paragone con i casi Jarrion Lawson e Dominika Jamnicky - 8. Le possibilità di un’impugnazione dinanzi al Tribunale Federale svizzero - 9. Conclusioni - NOTE


1. I fatti ed il giudizio di primo grado dinanzi alla Corte Internazionale Disciplinare della Federazione Internazionale di Motociclismo

Dal 1° al 3 novembre 2019, a Sepang (Malesia) si svolgeva il Campionato Mondiale FIM MotoGP, al quale prendeva parte il sig. Andrea Iannone (di seguito, «sig. Iannone» o «Iannone») [1]. Il 3 novembre 2019 lo sportivo veniva sottoposto ad un controllo antidoping a campione, a seguito del quale veniva riscontrata la presenza di drostanolone nel suo organismo [2]; sostanza, questa, proibita dalla WADA [3] 2019 Prohibited List, a qualsiasi livello, rientrando a far parte del gruppo di steroidi androgeni anabolizzanti. Durante il giudizio di primo grado, instauratosi dinanzi alla Corte Disciplinare Internazionale (di seguito, «CDI») della FIM, l’atleta invocava l’applicazione dell’art. 10.5.1.2 del Codice, in quanto, essendo un gran consumatore di carne, sia rossa che bianca, anche durante il suo soggiorno in Malesia e Singapore, la probabilità di una contaminazione della carne da steroidi anabolizzanti sarebbe stata molto elevata. La CDI rigettava, però, tale motivo, sul presupposto che l’atleta avrebbe potuto richiedere informazioni circa il rischio di contaminazione della carne da steroidi anabolizzanti, non avendo, pertanto, esercitato il dovere e la cura a cui era obbligato al fine di garantire che nessuna sostanza proibita entrasse nel proprio organismo. Ad ogni modo, in considerazione del quantitativo ridotto della sostanza proibita presente nel corpo, la CDI, condividendo la tesi della non intenzionalità della contaminazione, irrogava una sanzione ridotta di soli 18 (diciotto) mesi di inidoneità all’esercizio della professione sportiva, con sospensione dalla partecipazione a qualsivoglia competizione o attività motociclistica [4] e non già 4 (quattro) anni, come previsto dall’art. 10.2 [5] del Codice.


2. Il ricorso dinanzi la Corte Arbitrale dello Sport

Avverso la decisione assunta dalla CDI della FIM, sia l’atleta che la WADA proponevano appello dinanzi alla Corte Arbitrale dello Sport [6] (di seguito «CAS») avente sede a Losanna (Svizzera). Con riferimento alla posizione dello sportivo, questi depositava i motivi d’appello in data 21 aprile 2020, richiedendo l’annullamento della decisione emessa dalla CDI della FIM, invocando, nuovamente, l’applicazione dell’art. 10.4 del Codice ovvero, in subordine, una riduzione del periodo di inidoneità al minimo previsto, nei termini di un mero rimprovero, ai sensi dell’art. 10.5.1.2 del Codice in materia di prodotti contaminati [7] o, in via ulteriormente subordinata, la condanna al periodo di inidoneità ad 1(un) anno, fermo restando il rigetto dell’appello avanzato dalla WADA [8]. La WADA, invece, affermava come il sig. Iannone non avrebbe potuto beneficiare di una eliminazione o di una riduzione del periodo di inidoneità, rispettivamente, sulla base degli artt. 10.4 [9] e 10.5 [10] del Codice, non avendo fornito alcuna prova concreta volta a sostenere la tesi della contaminazione alimentare.


3. La decisione della Corte Arbitrale dello Sport

Con riferimento al ricorso avanzato dall’atleta condannato, la CAS, rigettando totalmente l’appello del motociclista, criticava, innanzitutto, la constatazione effettuata dalla CDI, secondo cui lo sportivo sarebbe stato un «grande consumatore di carne, sia rossa che bianca», essendo priva di qualsivoglia fondamento probatorio, al pari della successiva considerazione, sempre svolta dalla CDI, circa la probabilità della contaminazione della carne ingerita dall’atleta e presuntivamente contenente il drostanolone. La Corte rilevava, invero, come lo sportivo non fosse riuscito a dimostrare quanto la legge gli imponeva di comprovare. Nello specifico, in relazione all’asserita cena del 1° novembre 2019 presso un ristorante e al consumo di carne rossa probabilmente contaminata da drostanolone, l’atleta non forniva alcuna prova documentale o di altro genere. L’unica prova prodotta dall’atleta consisteva in un estratto conto bancario che mostrava una voce di addebito per un’operazione avvenuta il 1° novembre 2019 a favore del suindicato esercizio commerciale e non già alcuna ricevuta contenente il dettaglio delle pietanze consumate. Circa una testimonianza scritta del 22 luglio 2020 prodotta dal sig. Iannone, essa veniva dichiarata troppo vaga e non adeguata a comprovare quanto consumato dall’atleta. Il teste affermava solo di aver tentato di raggiungere il proprietario del ristorante in una data non specificata, non già per risalire alle pietanze consumate dallo sportivo il 1° novembre 2019, bensì per certificare l’origine della carne solitamente servita, senza fare riferimento alcuno ad una particolare data in cui questo consumo sarebbe avvenuto. Circa il presunto consumo di carne, da parte del pilota, presso un altro esercizio commerciale dal 30 ottobre 2019 al 2 novembre 2019, l’atleta forniva, a sostegno della propria tesi, diverse ricevute (alcune anche di pranzi consumati non già dal predetto, ma da alcuni amici), senza, tuttavia, produrre alcuna documentazione specifica relativa alle pietanze consumate in quel periodo; anche in tale occasione, non riusciva nemmeno a comprovare gli sforzi effettuati per riuscire a risalire all’origine della presunta carne ingerita. Solamente in data 27 luglio 2020 (quando era già diffusa la tesi della probabile contaminazione) e non già in epoca antecedente, lo sportivo inviava [continua ..]


4. L’elemento dell’intenzionalità e le violazioni al Codice WADA: la mancata dimostrazione dell’atleta secondo il principio del c.d. balance of probabilities

Come anticipato nella parte introduttiva di tale commento, l’ambito normativo su cui l’Autorità si è basata, al fine di formulare la propria decisione, è da ricondurre al World Antidoping Code emanato dalla WADA. Senza approfondire la struttura ed il contenuto del Codice [12] per ragioni di brevità espositiva, si ritiene, tuttavia, utile soffermarsi su alcune fondamentali disposizioni richiamate dai giudici di Losanna per decidere sul caso de quo. Il Codice WADA contiene una Lista di Sostanze e Metodi Proibiti che, al suo interno, presenta una distinzione tra sostanze non specificate e sostanze specificate. La differenza tra le due sottospecie è da rinvenire nella circostanza che le sostanze specificate possono essere rinvenute nell’organismo dell’atleta, anche senza un previo utilizzo per scopi dopanti, giacché idonee ad un’involontaria ingestione, a causa della loro massiccia presenza nei medicinali. Nella fattispecie in esame, la sostanza rinvenuta nel campione biologico fornito dallo sportivo apparteneva alla categoria degli steroidi anabolizzanti androgeni (AAS), di cui alla classe S1 della Lista e classificata, quindi, quale sostanza non specificata. La natura specificata o non specificata della sostanza proibita dal Codice WADA risulta avere conseguenze sotto il profilo probatorio e sanzionatorio; profili, questi, ricollegati al criterio dell’intenzionalità o meno dell’ingestione della sostanza proibita. Ebbene, nella decisione assunta dalla CAS è stato proprio il concetto dell’intenzionalità ad essere l’artefice (altamente discusso) di una pena ritenuta troppo elevata e non debitamente giustificata dai giudici di Losanna. Come statuito dall’art. 10.2.3 del Codice WADA [13], ai fini dell’applicazione della sanzione in presenza di sostanze proibite nell’organismo dell’atleta, il termine «intenzionale» vuole fare riferimento agli atleti che barano. Il termine richiede, quindi, che l’atleta incorra in una condotta di cui conosca il carattere illecito, ovvero altamente rischioso rispetto alla disciplina anti-doping, e manifestamente assuma tale rischio. Il Codice WADA deve essere, ad ogni modo, letto in combinato disposto con l’Anti Doping Rule Violation (di seguito, «ADVR»), sulla scorta del quale un atleta potrà incorrere in una sanzione; proprio ai [continua ..]


5. La quantificazione del c.d. standard of proof gravante sull’atleta e le difficoltà pratiche della c.d. comfortable satisfaction della CAS

Per una migliore comprensione della presente tematica, appare doveroso svolgere una breve disamina sugli aspetti generali della normativa in materia di antidoping. Il principio chiave dei regolamenti adottati dalle federazioni sportive internazionali e dallo stesso Codice Antidoping [16] consiste in una responsabilità personale e diretta dell’atleta per quanto rinvenuto, in occasione dei controlli a campione, all’interno del proprio corpo, a prescindere dall’esistenza di una condotta colposa [17]. Rispetto a tale criterio di carattere generale, vi sono, tuttavia, dei casi che derogano al già indicato principio. Ad esempio, il Codice Antidoping della Federazione Internazionale di Motociclismo [18] (di seguito, semplicemente «FIM» [19]), prevede, all’art. 10.4 [20], che, laddove il pilota sia in grado di comprovare di essere stato sabotato da parte di un collega, possa andare esente dalle sanzioni previste nel Codice medesimo. Vi sono, inoltre, alcuni casi in cui la sanzione base può subire delle riduzioni. Ad esempio, sempre il Codice FIM dispone sanzioni base di diversa entità, a seconda del tipo di sostanza vietata rinvenuta nell’organismo del pilota sottoposto a controllo. Nell’eventualità in cui si tratti di una sostanza «specified», di cui all’art. 4.2.2 del Codice [21], l’inidoneità dell’atleta sarà fissata in un periodo massimo di 2 (due) anni ex art. 10.5.1.1 dello stesso Codice, mentre, se trattasi di una sostanza non «specified», il periodo di inidoneità potrà durare fino a 4 (quattro) anni, come previsto dall’art. 10.2.1.1, a meno che il pilota non riesca a dimostrare il carattere non intenzionale della violazione. In tal caso, la sanzione potrà essere rimodulata fino a 2 (due) anni di inidoneità, ai sensi dell’art. 10.2.2 del Codice. Da ultimo, allorquando il pilota riesca a comprovare l’ingestione di una sostanza proibita a causa dell’assunzione di un prodotto contaminato, la sanzione potrà oscillare dal richiamo ufficiale ad un periodo di inidoneità di 2 (due) anni, come disposto dall’art. 10.5.1.2. In caso di violazione delle già indicate fattispecie di cui al precedente paragrafo, l’art. 10.2 del Codice WADA dispone il criterio di quantificazione della squalifica inflitta [continua ..]


6. La condanna in peius in secondo grado di giudizio: l’indagine su una possibile eliminazione o riduzione della sanzione inflitta

Alla luce di una squalifica di 4 (quattro) anni in secondo grado, da parte della Corte, ma soprattutto di un precedente periodo di inidoneità di 18 (diciotto) mesi inflitto in primo grado, è sorto un grandissimo fermento nell’opinione pubblica che, commentando la decisione assunta dall’Organismo che si è pronunciato di recente, ha mostrato perplessità circa la congruità o meno della sanzione inflitta in secondo grado, nonostante la mancanza di evidenze probatorie in merito alla non intenzionalità dell’assunzione. Per la formulazione di una risposta a tale quesito, si ritiene opportuno offrire una breve disamina della normativa antidoping, al fine di comprendere sotto quali condizioni il panel investito della decisione avrebbe potuto operare una riduzione ovvero eliminare la sanzione inflitta in primo grado. In via preliminare, è necessario ricordare come la fattispecie in esame concernesse il ritrovamento di una sostanza non specificata e come, in tali circostanze, non vi sia ampia discrezionalità in capo ai giudici. Esaminando, invece, le disposizioni contenute nel Codice WADA, l’art. 10.4 contempla la possibilità di eliminare il periodo di squalifica per assenza di colpa o negligenza, allorquando l’atleta riesca a comprovare di non avere colpa, ovvero di non aver agito con negligenza; possibilità che, tuttavia, ricorre nelle ipotesi di ingestione di sostanze contaminate, dal momento che è lo stesso Codice WADA ad affermare la responsabile diretta e personale degli atleti per quanto ingerito, ai sensi dell’art. 2.1.1, in virtù di un principio generale di «strict liability». Le ipotesi per le quali, quindi, si prevede l’applicazione del succitato art. 10.4 possono definirsi eccezionali come, a titolo esemplificativo, quando l’atleta riesca a dimostrare di essere stato vittima di un sabotaggio da parte di un avversario. Il successivo articolo prevede, poi, due ipotesi di riduzione della sanzione. La prima (art. 10.5.1) concerne il caso della positività a sostanze specificate (art. 10.5.1.1), ovvero a prodotti contaminati (art. 10.5.1.2). Escludendo l’ipotesi concernente le sostanze specificate, allorquando l’atleta sia in grado di provare l’assenza di colpa o negligenza grave e nei casi in cui la sostanza riscontrata sia da ricondurre ad un prodotto contaminato, il periodo di [continua ..]


7. Il paragone con i casi Jarrion Lawson e Dominika Jamnicky

Tra i motivi a supporto del proprio appello alla CAS, Iannone richiedeva di seguire il medesimo ragionamento logico-giuridico applicato per un caso, ad avviso dell’atleta, analogo al proprio, che aveva visto come protagonista lo sportivo Jarrion Lawson (di seguito, «Lawson») [24]. L’atleta argomentava [25] come, al fine di valutare l’intenzionalità della violazione, la CAS avrebbe dovuto tenere in considerazione il risultato del test del capello, così come fatto nella vicenda che aveva interessato poco prima Lawson. Nello specifico, ad avviso dello sportivo, oltre al risultato negativo del test del capello, eseguito in data 9 gennaio 2020 presso il Centro Antidoping Bertinaria di Torino, dal quale sarebbe emersa l’assenza di sostanze proibite nell’organismo dell’atleta dal settembre 2019, la CAS avrebbe dovuto considerare la sua buona fede, come evidenziato, peraltro, dalla volontarietà di sottoporsi a tale esame e dalla mancanza di precedenti. Anche nel caso Lawson, l’esito di un controllo a campione effettuato sull’atleta aveva fatto emergere la positività ad una sostanza non specified; positività giustificata dallo sportivo con l’ingestione di carne contaminata. Il Tribunale Disciplinare della International Association of Athletics Federations, rigettando le argomentazioni difensive, aveva sanzionato l’atleta con un periodo di inidoneità pari a 4 (quattro) anni, per violazione volontaria degli artt. 2.1 e 2.2 del Codice. In sede di appello, la Corte aveva annullato la decisione del Tribunale Disciplinare, dichiarando confermata la violazione del Codice antidoping, ma qualificando la condotta dell’atleta quale non intenzionale e, in virtù dell’assenza di colpa o negligenza, annullando la sanzione precedentemente irrogata in primo grado. Anche se non sono mancati i casi [26] in cui l’Autorità di secondo grado abbia precedentemente affermato l’onere, in capo all’atleta, di comprovare le modalità di ingresso della sostanza proibita nel proprio organismo, in altre decisioni [27] il panel ha evidenziato come, solo in casi estremamente rari, l’atleta può essere in grado di comprovare un’assenza di intenzionalità. Se il Tribunale Disciplinare aveva ritenuto che l’atleta dovesse comprovare non solo la possibilità della contaminazione, [continua ..]


8. Le possibilità di un’impugnazione dinanzi al Tribunale Federale svizzero

In via generale, a seguito della decisione emessa da parte della CAS, il lodo può essere impugnato davanti al Tribunale Federale svizzero, ai sensi di quanto indicato negli artt. 190 e 191 della Legge federale sul diritto internazionale privato [29]. Ai sensi dell’art. 190, secondo comma, i motivi di ricorso del lodo, aventi natura meramente formale, possono essere sintetizzati nei seguenti punti: a) nomina irregolare dell’arbitro unico, ovvero costituzione irregolare del tribunale arbitrale; b) dichiarazione del tribunale arbitrale, a torto, circa la propria competenza, ovvero incompetenza a giudicare; c) decisione del tribunale arbitrale in merito a questioni che non gli erano state sottoposte, ovvero a determinate conclusioni che ha omesso di giudicare; d) violazione del principio della parità di trattamento delle parti o il loro diritto di essere sentite; e) incompatibilità del lodo arbitrale con l’ordine pubblico. Nel caso di specie, tuttavia, alcuna delle suindicate circostanze sembra essersi manifestata – alla luce di un’attenta lettura del lodo e dell’assenza di eccezioni formulate dalla difesa del pilota in sede di giudizio – con conseguente impossibilità per l’atleta condannato di impugnare il lodo arbitrale dinanzi al Tribunale Federale svizzero.


9. Conclusioni

Dalle già indicate considerazioni, è possibile desumere come il caso in discussione abbia destato grandissimo clamore nell’opinione pubblica per l’entità della sanzione inflitta, soprattutto in ragione del paragone di tale esito con altri lodi più recenti emessi dallo stesso Organismo, tra cui il già indicato caso di Jarrion Lawson, ove la difesa dell’atleta era stata in grado di annullare in toto la sanzione dei 4 (quattro) anni di inidoneità inflitta in primo grado di giudizio. Pur non vigendo la regola del precedente giudiziario [30], risulta, tuttavia, doveroso precisare come il ruolo svolto dalla Corte sia di altissima rilevanza, soprattutto in relazione all’indirizzo interpretativo che si vorrà assumere in futuro, dovendo, pertanto, offrire ogni possibile spiegazione circa le motivazioni assunte a fondamento della propria decisione. Come indicato nel lodo [31], l’Autorità non segue il principio del precedente vincolante, nella misura di quanto esistente nella giurisdizione di common law, anche se, nell’interesse del mantenimento di una giurisprudenza uniforme, il Collegio presta la massima attenzione ai lodi precedentemente assunti e relativi a questioni analoghe a quelle del lodo emanando. Ad ogni modo, allorquando un lodo si discosti da una giurisprudenza consolidata, è necessario indicare in motivazione le ragioni di questa divergenza. È pur vero, tuttavia, che, non essendoci la regola dello stare decisis [32] rispetto ai lodi della CAS, questa non è obbligata a rispettare il precedente. Ciò che ha destato maggiori perplessità nell’opinione pubblica è stata l’assenza di una linearità logico-giuridica nell’esposizione delle ragioni assunte a fondamento della propria decisione da parte della Corte. Pur affermando l’impossibilità per l’atleta di comprovare l’elemento dell’intenzionalità, se non in ipotesi eccezionali (a titolo esemplificativo, il sabotaggio ad opera di un collega), tramite evidenze probatorie concrete e persuasive e, pertanto, la difficoltà di adempiere, da parte dell’atleta, all’onere di allegazione, l’Autorità, discostandosi completamente, dai casi Lawson e Jamnicky, analoghi nel merito alla fattispecie che aveva interessato il pilota, senza offrire alcun motivo esplicativo in materia, [continua ..]


NOTE