Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Infortunio dell´atleta nel corso di un allenamento di pugilato: i diversi profili di responsabilità civile e la risarcibilità del danno morale (di Alessandro Torroni, Abilitato all’esercizio della professione forense, collaboratore della Cattedra di Istituzioni di Diritto privato e Diritto sportivo nell’Università degli Studi di Roma “Roma Tre)


Il testo mira ad analizzare i differenti profili di responsabilità che emergono dal caso di specie, principiando dall’approfondimento circa la relazione tra gli ordinamenti statale e sportivo e concludendosi con un cenno alla risarcibilità del danno non patrimoniale.

Injury of the athlete during a boxing training: the different profiles of civil liability and indemnity of moral damage

The note aims to analyze the various titles of responsibility that are highlighted by the case in question, starting with the introduction of the relationship between ordinary and sporty legal systems. At the end of the comment, a mention on the liquidation of non-pecuniary damage.

Keywords: moral damage, athlete’s injury, sports risk allowed.

Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano Tribunale Ordinario di Roma – Tredicesima Sezione Civile   Tredicesima Sezione Civile in persona della dr.ssa Rosa D’Urso, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. (Omissis) del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno (Omissis) e vertente TRA R.F. e A.B. esercenti la patria potestà su F.B., rappresentati e difesi come in atti, dallo Studio Legale (Omissis) ed elettivamente domiciliati in (Omissis) attore E ASCD E.T. e L.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell’avv. (Omissis), che lo rappresenta e difende come da documentazione in atti convenuta G.C. Convenuta – contumace P.V., elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio legale (Omissis), che lo rappresenta e difende in virtù di mandato come da documentazione in atti convenuta Conclusioni come da verbale del (Omissis). Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori, esercenti la patria potestà sul figlio F.B., minore all’epoca dei fatti, hanno convenuto in giudizio la ASCD E.T., gestori della palestra L.A., convenuta in solido. Citavano inoltre, G.C., nella qualità di istruttore e P.V., in qualità di avversario nell’allenamento. Tutti i convenuti citati al fine di veder accertare la responsabilità degli stessi, in solido, per l’infortunio verificatosi in data (Omissis) alle ore (Omissis) circa e condannare gli stessi, in solido e nella misura della responsabilità accertata, al risarcimento danni fisici e morali nella misura complessiva di €. 54.975,00. Più precisamente l’attore sostiene che durante una lezione di pugilato al­l’interno della palestra L.A., dopo aver svolto la fase di riscaldamento, l’allenatore G.C., autorizzava il ragazzo F.B. a salire sul ring per effettuare degli scambi con il sig. P.V. Sul ring erano presenti altre tre coppie, che svolgevano lo stesso tipo di allenamento. Parte attrice sostiene che, mentre il F.B. arretrava per difendersi, pestava il piede ad un altro atleta. Voltandosi per scusarsi, veniva colpito violentemente dal sig. P.V. Subito dopo il ragazzo accusava dolori alla mandibola ed al viso ed espelleva il paradenti insanguinato; gli veniva tolto il casco. Contattata la madre, questa, recatasi presso la palestra, conduceva il figlio al Pronto Soccorso (Omissis) dove gli veniva riscontrata frattura angolo mandibolare sinistra e necessitava di intervento chirurgico. Veniva inoltrata richiesta di indennizzo alla Federazione Pugilistica Italiana che, a mezzo della propria Compagnia assicurativa, provvedeva a liquidare l’indennizzo stesso sulla base della visita medico-legale eseguita dal medico fiduciario della Compagnia. Si è costituita parte convenuta, ASCD E.T. e [continua..]
SOMMARIO:

1. Inquadramento generale della responsabilità civile in ambito sportivo. Il ruolo delle regole tecniche di condotta - 2. La responsabilità dell’atleta danneggiante. Il concetto di rischio sportivo consentito - 3. La responsabilità oggettiva del gestore titolare della palestra. Il concetto di attività pericolosa - 4. La responsabilità dell’istruttore ed il concorso di colpa del minore danneggiato - 5. Il risarcimento del danno morale. Cenni - NOTE


1. Inquadramento generale della responsabilità civile in ambito sportivo. Il ruolo delle regole tecniche di condotta

Una compiuta disamina della sentenza in epigrafe merita un preliminare cenno al delicato rapporto di riconoscimento esistente tra ordinamento giuridico statale ed ordinamento giuridico sportivo [1], regolato come noto in base al principio di autonomia [2]. Fondamentale rilevanza assumono in particolare le regole tecniche di condotta sportiva, le quali giocano un ruolo decisivo sia nell’ambito del riparto di giurisdizione tra i due ordinamenti, sia anche nell’individuazione del perimetro applicativo della c.d. scriminante sportiva [3]. In merito al primo aspetto, la violazione di una regola tecnica di condotta, dettata al fine di garantire la correttezza della competizione sportiva nel corso della sua esecuzione, determina l’attribuzione della relativa competenza agli organi di giustizia sportiva, risultando tendenzialmente irrilevante per l’ordinamento giuridico statale. Laddove, tuttavia, la violazione della regola tecnica integri contestualmente una fattispecie costitutiva di responsabilità civile, assumerà rilevanza (anche) per l’ordinamento giuridico statale [4]. Di conseguenza, sotto il profilo della lesione di un interesse giuridico rilevante per l’ordinamento statale, la competenza sarà del giudice dello Stato (ordinario o amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva), ferma restando la competenza del giudice sportivo per la violazione delle regole disciplinari. Peraltro, in determinati sport, alcune regole tecniche sono proprio dettate al fine di salvaguardare l’incolumità degli atleti [5], con la conseguenza che la loro violazione di per sé non esclude che si possa configurare astrattamente una responsabilità di tipo aquiliano. In tali ipotesi, dunque, la norma tecnica di condotta sportiva è dettata anche al fine di tutelare interessi generali rilevanti per l’ordinamento giuridico statale. Preminente rilievo nella tutela degli interessi degli atleti assume in tal senso il principio del neminem laedere, del quale le norme sportive possono costituire un complemento o un’integrazione [6]. In relazione al secondo profilo, come anticipato le regole tecniche di condotta consentono di individuare i limiti di operatività della c.d. scriminante sportiva. Occorre peraltro chiarire fino a che punto l’inosservanza della regola tecnica comporta l’assun­zione di un giudizio di responsabilità. [continua ..]


2. La responsabilità dell’atleta danneggiante. Il concetto di rischio sportivo consentito

È proprio dagli eventuali profili di responsabilità dell’atleta danneggiante che merita principiare il discorso, in quanto consente di approfondire immediatamente il citato concetto di rischio sportivo consentito [12], centrale per la decisione in commento. Al fine di inquadrare a pieno tale concetto, è bene sottolineare che non tutti i comportamenti in ambito sportivo sono rilevanti dal punto di vista della responsabilità, ma solamente quelli che in qualche modo esorbitino rispetto alla soglia del rischio consentito [13]. A parte le condotte ispirate da finalità lesive, le quali sono senza dubbio da con­dannare a prescindere dalla violazione di qualsiasi regola tecnica [14], l’inquadramento di una condotta nell’ambito del rischio consentito si differenzia peraltro a seconda dei casi. In termini diversi, il limite di accettazione del rischio sportivo è più o meno ampio a seconda sia del tipo di sport praticato, sia anche del contesto nel quale la competizione sportiva si svolge. Nel primo senso si distinguono sport a contatto necessario, sport a contatto eventuale e sport a contatto vietato (o a rischiosità nulla) [15]. Ovviamente il rischio consentito sarà tanto maggiore quanto più il contatto tra gli atleti sia necessario. Così nel pugilato, dove l’uso della violenza è consentito, le lesioni sono ad alto rischio ma pur sempre lecite, se arrecate nel pieno rispetto delle regole di gioco [16]. Di conseguenza, la responsabilità civile sorgerà in capo all’atleta nell’ipotesi in cui il sinistro si verifichi al di fuori della normale alea dello sport praticato. Il Tribunale di Roma, nella motivazione, ha infatti argomentato sottolineando la peculiarità della violenza che caratterizza lo sport del pugilato. In particolare, il giudice capitolino ha chiarito che il metro di paragone nella valutazione di un potenziale illecito si basa sulla normale diligenza tenuta dallo sportivo medio che agirà nel rispetto del regolamento e dei principi di lealtà e prudenza [17]. Il superamento del c.d. rischio consentito è pertanto conseguente ad un comportamento non coerente al regolamento ed ai principi sopra enunciati. Ora, nella fattispecie in commento, il calcio che ha causato la frattura angolo mandibolare sinistra è stato sferrato dal danneggiante nel pieno rispetto [continua ..]


3. La responsabilità oggettiva del gestore titolare della palestra. Il concetto di attività pericolosa

Dando per assodata l’opinione secondo la quale determinate attività sportive, tra le quali rientra certamente il pugilato, sono considerate attività pericolose ai sensi del­l’art. 2050 c.c., l’orientamento giurisprudenziale costante è nel senso di riconoscere in capo al gestore dell’impianto sportivo una posizione di garanzia connessa all’esercizio dell’attività pericolosa. Egli avrà pertanto il preciso obbligo di adottare tutte le misure idonee a garantire l’integrità fisica dei terzi che vi entrino in contatto e, più in generale, ad assolvere al precetto del neminem laedere [19]. Dall’esame della pronuncia in commento emerge con estrema chiarezza, in particolare, che gli elementi costitutivi della responsabilità del gestore ex art. 2050 c.c. sono due, e precisamente: da un lato l’attività svolta deve qualificarsi come pericolosa e dall’altro lato è necessario che siano state omesse tutte le misure atte ad evitare, limitare o quanto meno prevenire il danno che si è verificato. Per attività pericolose si intendono non solamente quelle che la legge espressamente qualifica come tali [20], ma anche ogni attività che, per natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comporti, in ragione della sua spiccata potenzialità offensiva, una rilevante possibilità del verificarsi di un evento dannoso [21]. In seconda analisi, ai fini dell’esclusione della responsabilità, serve provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. A ben guardare tuttavia, è stato osservato [22] che la prova liberatoria è tanto complicata da assurgere a probatio diabolica, con la conseguenza che la responsabilità ex art. 2050 c.c. costituisce un tipico esempio di responsabilità oggettiva, nella quale l’ob­bligazione risarcitoria deriva sic et simpliciter dall’accertamento del nesso di causalità tra attività pericolosa e danno. In termini diversi, è sufficiente provare il nesso di causalità per individuare la responsabilità in capo a colui che esercita l’attività pericolosa. In ambito sportivo, il giudizio di pericolosità dell’attività svolta è generalmente rimesso alla discrezionalità del giudice, anche se sono stati elaborati due indici [continua ..]


4. La responsabilità dell’istruttore ed il concorso di colpa del minore danneggiato

L’analisi dei singoli profili di responsabilità che interessano la vicenda oggetto della sentenza in commento non può ritenersi conclusa senza considerare l’ampia rilevanza che ricopre il ruolo dell’istruttore nel corso dell’attività sportiva, specie se considerata, come il pugilato, pericolosa. Sotto questo punto di vista rileva il disposto di cui all’art. 2048 comma 2 c.c., che integra un’ulteriore ipotesi di responsabilità oggettiva, in particolare indiretta e per colpa propria [26]. Trattasi della tipica ipotesi di culpa in vigilando [27], la quale peraltro è sempre presunta, salvo che si dimostri di non aver potuto impedire il fatto. La giurisprudenza e la dottrina prevalenti, tuttavia, sono nel senso di ritenere sempre sussistente, in via presuntiva, la colpa dell’istruttore, non limitandosi la sua prova liberatoria all’intervento correttivo ed immediatamente successivo al verificarsi dell’evento lesivo, ma dovendo questi adottare preventivamente ed in via precauzionale tutte le misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare una situazione di pericolo favorevole all’insorgere del­l’evento dannoso [28]. È stato peraltro correttamente osservato in giurisprudenza [29] che il grado di intensità della vigilanza, nonché la predisposizione delle misure di sicurezza dipende non solo dal tipo di sport praticato, ma anche dall’età e dal grado di maturità degli allievi. Un esonero assoluto da responsabilità si verifica quando, ai sensi dell’art. 2048, ultimo comma, c.c., l’istruttore provi di non aver potuto impedire il fatto. Circostanza questa che, per l’estrema difficoltà probatoria, si eleva quasi, ma non del tutto [30], a probatio diabolica. Nell’ipotesi in cui l’allievo sia minore di età, poi, la responsabilità dell’istruttore per culpa in vigilando può concorrere con la responsabilità dei genitori per culpa in educando, la cui presunzione di responsabilità potrà essere superata solamente con la difficile prova di aver impartito al minore una buona educazione alla vita relazionale [31]. Nel caso in esame, il Tribunale di Roma ha ritenuto di non poter addossare l’intera responsabilità in capo all’istruttore, essendo stato peraltro appurato che i due atleti [continua ..]


5. Il risarcimento del danno morale. Cenni

Oltre al danno biologico, il Tribunale di Roma ha provveduto a conteggiare il danno morale, giustificandone la liquidazione in favore del danneggiato sulla base della pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, n. 26972 [34]. Stabilisce infatti la Suprema Corte che nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito il giudice di merito deve, in ogni caso, tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento [35]. Secondo la Corte, il risarcimento del danno morale si giustifica per una sofferenza del tutto interiore e non relazionale e perciò meritevole di un compenso aggiuntivo, il quale non è tuttavia dovuto sic et simpliciter in automatico, dovendo invece essere accertato caso per caso. Di fronte alla difficoltà di fornire una simile prova, spesso confinata nel racconto di chi afferma di aver intimamente sofferto, la Corte di cassazione conferma l’utilizzabilità delle presunzioni, fondate su massime di esperienza tali da poter sostenere un rapporto di proporzionalità diretta tra gravità della lesione e misura della sofferenza soggettiva. Mutuando il ragionamento seguito dalla Cassazione e preso a fondamento della decisione de qua, il risarcimento del danno non patrimoniale è possibile solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente qualificato. Il cosiddetto pregiudizio di tipo esistenziale è, quindi, risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno. Al contrario, se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona, non è data tutela risarcitoria [36]. Da un punto di vista critico, tuttavia, non appare chiara l’individuazione di tali diritti costituzionalmente qualificati, lasciando ampio spazio a singole interpretazioni, le quali, come nel caso di specie, conducono a pronunciamenti giurisprudenziali in sede di merito che sicuramente sono motivo di ulteriori riflessioni, specie proprio per quanto attiene al delicato confine sussistente in materia di responsabilità civile tra l’ordi­namento sportivo e quello [continua ..]


NOTE