Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Profili civilistici e assicurativi della tutela dello sciatore, fra pista e fuoripista (di Umberto Izzo,  Professore associato di Diritto privato nell’Università di Trento.)


This work concerns the topic of accidents occurring on the ski slopes. In particular, the author focuses on the consequences that could derive from it both in terms of insurance, and, more broadly, civil law, with particular reference to the civil liability of the owner of the skiable area.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Profili di responsabilità civile e assicurazione nel sinistro infrasciatorio - 3. Profili di responsabilità civile e assicurazione nel sinistro imputabile al gestore dell’area sciabile - 4. Confini dell’area sciabile e oltre: quale tutela civilistica? - NOTE


1. Introduzione

Nella veduta del cultore della teoria della responsabilità civile, sciare all’interno delle aree sciabili identifica il prodotto di un’attività di impresa funzionale allo sviluppo dell’economia turistica delle aree montane [2].

Un prodotto che per un verso genera profitti, inserendosi quale fattore (se non decisivo come un tempo) certamente ancora molto rilevante per il successo delle attività economiche che ruotano attorno al turismo invernale del territorio nel quale insiste l’area sciabile. E che, per l’altro, è foriero di perdite e costi sociali, nella misura in cui la pratica dello sci determina incidenti statisticamente attesi, che prendono corpo in cifre nei rapporti diffusi dalle forze dell’ordine a consuntivo di ciascuna stagione invernale, i quali sono suscettibili di pregiudicare l’integrità fisica di chi è coinvolto nell’incidente, traducendosi in costi economici, individuali e sociali.

Compito primario della responsabilità civile è decidere se queste perdite debbano essere allocate quale costo dell’attività d’impresa dei gestori delle aree sciabili, o se esse debbano essere sopportate dallo sciatore coinvolto nell’incidente. Nella consapevo­lezza che, in entrambi i casi, i soggetti chiamati a internalizzare il costo dell’inci­den­te devono o possono assorbire tali perdite ricorrendo a strumenti assicurativi [3]. Non me­no importante compito della responsabilità civile è stimare il costo individuale e cumulativo di queste perdite, quantificando il danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente al verificarsi di ogni incidente occorso sulle piste.

Questa breve premessa illustra come la prospettiva di tutela nella quale l’incidente sciistico viene considerato nella visuale della responsabilità civile sia radicalmente diversa da quella che fa da sfondo alle riflessioni dell’interprete della responsabilità penale, di cui si è parlato questa mattina.

Mi accingo a interpretare il titolo della mia relazione ricordando che sono quasi quindici anni, mentre parlo, che il nostro ordinamento (unico tra i vari ordinamenti europei) vanta una legge nazionale, la legge n. 363/2003, specificamente concepita per garantire la sicurezza nella fruizione delle aree sciabili. Questa legge ha rappresentato un punto di svolta per la tutela dello sciatore e non solo.

Cercherò di tracciare a grandi linee il consolidato panorama della tutela civilistica all’interno delle aree sciabili e in seguito toccherò il tema del confine dell’a­rea sciabile, quale limes preciso della “sicurezza” richiamata nell’epigrafe del provvedimento nor­mativo appena evocato, entro il cui ambito spaziale vige e trova applicazione un nu­trito apparato di regole che quella sicurezza si sforzano di assicurare.

Al termine, formulerò alcune considerazioni sulla tutela dello sciatore tentato dal c.d. ‘fuori pista’. Ove la tutela civilistica accordata alla sicurezza dell’area sciabile sva­nisce di colpo. E dove solo l’assicurazione contro le disgrazie accidentali di cui si sia previdentemente dotato lo sciatore può apprestare un meccanismo di tutela negoziale idoneo ad assorbire e ridistribuire quei costi cui si è alluso in avvio di discorso [4].


2. Profili di responsabilità civile e assicurazione nel sinistro infrasciatorio

Nel panorama della responsabilità civile disegnata dalla legge n. 363/2003 esiste un primo, fondamentale, scenario di danno, che è quello dell’infortunio ‘infrasciatorio’. Lo scontro tra sciatori è regolato da una norma di responsabilità generale, l’art. 2043 c.c., che trova applicazione combinandosi con il contenuto precauzionale delle regole tecniche espresse nel c.d. «Decalogo dello sciatore», un pacchetto di regole di soft law concepito dalla comunità internazionale degli sciatori fin dalla seconda metà degli anni Sessanta e già da decenni applicato dalle Corti, divenuto diritto positivo a seguito della sua trasposizione in un decreto ministeriale del 2005.

In un simile contesto si tratta semplicemente di identificare e accertare la colpa intervenuta a determinare lo scontro fra gli sciatori, tenendo presente la regola aurea, suffragata dalle pronunce giurisprudenziali, per cui chi proviene da monte assume una posizione di vantaggio cognitivo rispetto alla possibile dinamica dell’incidente e deve adottare una condotta idonea a evitare collisioni con chi scia a valle.

In relazione a tale tipo di accadimento il profilo di criticità che manifesta la legge n. 363/2003 attiene a due fattori. Da un canto, la ‘tentazione’ di assimilare la responsabilità all’interno dell’area sciabile alla responsabilità vigente per la circolazione stra­dale, cui il legislatore del 2003 non ha resistito. Dall’altro, l’aver omesso di prevedere che, accanto a questa presunzione legale, operasse un obbligo assicurativo rivolto alla generalità dei frequentatori delle piste, non diversamente da quanto l’art. 122 cod. ass. prescrive per i veicoli a motore.

La regola di cui all’art. 2054 c.c., secondo comma, è stata trasposta all’ipotesi della collisione tra sciatori che non lasci apprezzare elementi probatori idonei e sufficienti per ricostruire l’addebito in capo ad uno dei due soggetti, assegnando con (relativa) certezza il peso della responsabilità.

L’art. 19 della legge n. 363/2003, delineando una regola di c.d. presunzione paritetica, ha inteso superare l’eventualità del c.d. non liquet (che si dà quando un’azione di risarcimento danni viene promossa e il giudice, in assenza di elementi probatori idonei a formarsi un convincimento in merito alla dinamica del sinistro e al ruolo avuto dai soggetti entrati in collisione, respinge la domanda perché l’attore non è riuscito a provarne il fondamento).

Questo significa che, in caso di collisione, qualsiasi frequentatore di un’area sciabile, se non è in grado di dimostrare la propria mancanza di colpa nella causazione del sinistro e/o il ruolo causale esclusivo esercitato dalla colpa della controparte, è esposto all’eventualità di sopportare una responsabilità oggettiva dimidiata, essendo tenuto a risarcire la metà del danno sofferto in occasione del sinistro dalla persona con cui risulti essersi scontrato. Una responsabilità che in tale evenienza la presunzione posta dalla legge ascrive a ciascun protagonista dello scontro per pura causalità materiale.

Tutto ciò può comportare conseguenze assai spiacevoli nella misura in cui, pur sog­getto al taglio salomonico, l’ammontare dei danni che uno sciatore concretamente incolpevole, ma incapace di provare processualmente la sua diligenza, può rivelarsi assai ingente. Eloquente un caso occorso in Trentino, ma deciso dal Tribunale di Frosinone (perché entrambi gli sciatori, laziali in vacanza a Marilleva, avevano deciso di incardinare la causa presso il foro di residenza): nella collisione uno dei due sciatori aveva riportato gravi danni, mentre l’altro ne era uscito pressoché incolume. Quest’ultimo è stato condannato a risarcire la metà del danno sofferto dalla controparte, pari a 60.000 euro, non essendo riuscito a dimostrare che la propria condotta lo esonerasse dall’addebito presunto di colpa paritetica [5].

Aver trasposto una norma nata nel contesto della circolazione stradale all’interno delle aree sciabili, senza aver previsto l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile degli utenti dell’area sciabile (che chiude il cerchio rispetto alla menzionata responsabilità oggettiva cui la legge espone questi ultimi) determina un vulnus di sistema non indifferente.

In assenza di un atto di previdenza volontario che induca a dotarsi di una polizza per la RC del capofamiglia o di un’altra formula che contempli l’assicurazione per la RC dell’assicurato coinvolto nello scontro, recante un massimale assicurativo adeguato, una collisione avvenuta in assenza di testimoni fra un bambino rimasto incolume e un ricco imprenditore, sposato con cinque figli, che in esito alla caduta riporti una gravissima invalidità del 100%, è suscettibile di tradursi in una vera catastrofe economica per i genitori del piccolo sciatore, chiamati a rispondere ex art. 2047 o 2048 c.c. (a seconda del grado di capacità riconosciuto al piccolo sciatore nella circostanza) di un danno che, pur dimidiato, in base alla più aggiornata algebra del danno alla persona, potrebbe agevolmente superare il milione di euro.

Si è rinunciato ad introdurre l’obbligo assicurativo in ambito sciistico per ovvi motivi: i costi, la mancanza di elementi certi di identificazione (perché uno sciatore non è un autoveicolo dotato di targa, soggetto ad immatricolazione), l’assenza di un obbligatorio meccanismo di accertamento preventivo delle abilità sciistiche minime dei frequentatori delle piste, etc. Alcuni legislatori regionali hanno provato a rimediare alla lacuna, rendendo obbligatoria l’assicurazione RC per tutti gli utenti di un’area sciabile, con la previsione di una sanzione pecuniaria fino ad euro 250,00 ove, in esito a controllo, lo sciatore risulti sprov­visto di copertura assicurativa [6].

In altre Regioni, Trentino compreso, ci si limita a imporre al gestore di prospettare all’utente dell’area sciabile la possibilità di acquisire una copertura assicurativa per la propria RC, che resta però facoltativa, con offerte assicurative che nella realtà dei fatti si mostrano il più delle volte inadeguate a garantire quei massimali adeguati cui poc’anzi si alludeva.

Tutte queste misure normative regionali mancano però di specificità rispetto all’elemento chiave che può rendere effettiva la tutela assicurativa, cioè l’indicazione del massimale minimo obbligatorio.

Il mercato assicurativo, dal canto suo, non ha esitato a cogliere questa opportunità: si sono moltiplicate le offerte assicurative, prevedendo anche formule improntate al pagamento di un premio che il contraente paga erogando un supplemento rispetto al prez­zo dello skipass giornaliero o settimanale, il cui acquisto viene prospettato all’utente all’atto della conclusione del contratto per la fruizione dell’area sciabile.

Ma lo sciatore, all’atto dell’acquisto, non si rende conto che si tratta di una tutela cir­coscritta e solo parziale, poiché il più delle volte l’assicurazione acquistata, in relazione alla entità potenziale dei danni che possono determinarsi in esito a una collisione sulle piste, non offre quasi mai un massimale idoneo ad assicurare coperture capaci di garantire integralmente la neutralizzazione del rischio.

In questo quadro, può essere curioso osservare come si fosse cercato di introiettare l’esigenza di garantire che gli utenti dell’area sciabile siano adeguatamente assicurati, bypassando in toto il ruolo negoziale dell’utente. In Molise si pensò di introdurre una regola (poi disattesa nella prassi, in ragione degli alti costi che comportava, e infine abrogata a distanza di tre anni dalla sua promulgazione) che imponeva al gestore di ac­quisire, oltre alla copertura assicurativa per la sua responsabilità civile, anche una copertura assicurativa per l’utente nella formula dell’assicurazione per conto di chi spetta, il cui costo avrebbe dovuto essere riversato nel prezzo versato dall’utente delle piste al momento dell’acquisto del contratto per la fruizione dell’area sciabile [7].

Il problema, a tre lustri dall’emanazione della legge n. 363/2003, resta drammaticamente aperto, e si continua a far finta di non vederlo.


3. Profili di responsabilità civile e assicurazione nel sinistro imputabile al gestore dell’area sciabile

Dopo le incertezze che avevano allignato in giurisprudenza fino all’entrata in vigore della legge n. 363/2003, si può oggi ritenere pacifico – come vedremo, almeno nella giurisprudenza di legittimità – che al gestore, in caso di sinistro occorso allo sciatore nella fase di discesa, debba applicarsi una norma in grado di favorire grandemente le aspettative risarcitorie dello sciatore infortunatosi.

Ciò può accadere sia invocando l’art. 2051 c.c., assumendo il rapporto di custodia del gestore rispetto alle piste comprese nell’area sciabile, che valorizzando il rapporto contrattuale instaurato fra gestore e sciatore con l’acquisto del contratto per la fruizione delle aree sciabili.

Continuo a ritenere poco persuasiva, e a conti fatti inutile sul piano processuale, l’idea di applicare l’art. 2050 c.c. al gestore, pur evocata da qualcuno [8], per rilievi strutturali che attengono al corretto modo di impostare l’analisi del concetto di attività pericolosa implicato dalla norma, su cui qui non è il caso di soffermarsi [9].

Rilevato che la legge n. 363/2003 impone al gestore l’osservanza di numerosi obblighi normativi che descrivono positivamente l’attività tipica di un soggetto chiamato a custodire una cosa, per controllarne le potenzialità dannose (smentendo definitivamente l’orientamento che sosteneva come le aree sciabili fossero troppo vaste e fossero esposte a troppi fattori imprevedibili, strutturali e atmosferici, per essere assoggettate a questo ti­po di disciplina), concentriamoci sulla fattispecie che mette in gioco il paradigma di responsabilità aggravata od oggettiva legato all’applicazione dell’art. 2051 c.c.

La giurisprudenza di legittimità continua a dirsi persuasa della necessità di ricondurre la responsabilità del gestore al nomen della responsabilità oggettiva [10], anche se questo inquadramento teorico costringe la giurisprudenza a fare impiego della posticcia nozione di “fortuito incidentale” per giustificare l’esonero della responsabilità del gestore quando la dinamica causale del sinistro occorso allo sciatore renda evidente il ruolo preponderante assunto dalla condotta gravemente negligente dello sciatore nella causazione dell’incidente.

Come altrove ho sostenuto in modo più compiuto [11], questa impostazione produce esiti contraddittori, sia sul piano teorico che su quello concreto della logica decisoria che accompagna la soluzione del singolo caso nell’aggiudicazione di merito, perché non permette di giustificare razionalmente la decisione giudiziale che pervenga a distribuire, in relazione alle risultanze probatorie del caso, il peso della responsabilità fra gestore e sciatore in relazione all’incidenza che sul piano causale può essere ricondotta alla condotta dello sciatore e al deficit di sicurezza dimostrato dal gestore.

Il caso fortuito «incidentale» cui assurge la condotta dello sciatore giudicata abnorme e tale da escludere la responsabilità assunta in forma puramente oggettiva del gestore, permette solo una soluzione binaria, nella quale o tutta la responsabilità è attribuita allo sciatore, oppure essa viene fatta gravare sul gestore.

Il problema derivante dall’applicazione del 2051 c.c. alle aree sciabili è dato dalla circostanza che l’infortunio dello sciatore è sempre il prodotto di una relazionalità fra la condotta dell’utente e lo stato del luogo teatro dell’incidente. Può accadere che nello specifico questa relazionalità induca a ritenere esente da rimproveri precauzionali il com­portamento dello sciatore che, sciando in condizioni cognitive ottimali e ad andatura consona allo stato dei luoghi, rovini a terra per la presenza di un ramo sulla pista. O che la caduta sul ramo veda protagonista uno sciatore con un tasso alcolemico elevato che sciava a velocità eccessiva, in una situazione che consigli di distribuire in quote variabili le conseguenze risarcitorie dell’accaduto fra le parti.

È in circostanze come queste, che nella realtà degli incidenti sciistici approdanti in tribunale è di gran lunga la più ricorrente, che l’abbandono di una lettura dell’art. 2051 c.c. impostata sul paradigma della responsabilità oggettiva, a vantaggio di una logica motivazionale nella quale torni ad avere spazio l’idea che la norma «integri un’ipotesi di responsabilità caratterizzata da un criterio di inversione dell’onere della prova» [12] (e, dunque, non «oggettiva»), permette al giudicante di articolare liberamente la distribuzione delle quote di responsabilità fra il custode della cosa e il danneggiato non relazionatosi alla cosa con la diligenza dovuta.

Passando al secondo modo di inquadrare la responsabilità del gestore dell’area sciabile, riterrei costituire ormai ius receptum l’opzione che estende la tutela contrattuale dello sciatore – creditore nei confronti del gestore, a seguito dell’acquisto oneroso del titolo per la fruizione dell’area sciabile, di numerose prestazioni finalizzate a garantire la sua sicurezza quando è trasportato a monte e quando solca l’area sciabile proteso a valle [13].

In questa prospettiva la responsabilità contrattuale, secondo le regole generali, chiede al creditore delle prestazioni suscettibili di assecondare gli obblighi nascenti dalla conclusione del contratto per la fruizione dell’area sciabile di provare in giudizio solo il titolo della propria pretesa (la conclusione del contratto), per poi allegare l’inadempi­mento in cui è incorso il debitore di tali prestazioni, indicando il difetto precauzionale ascritto al gestore assunto a causa del sinistro occorso.

Sotto questo profilo si può cogliere con favore l’opportunità di utilizzare proattiva­mente il contratto per la fruizione dalle aree sciabili per definire in modo anche più puntuale di quanto non prescriva la legge n. 363/2003 gli obblighi gravanti sulle parti.

Inoltre, l’impostazione contrattuale rende più lineare ragionare sul concorso di colpa del danneggiato. Quanto all’onere della prova, altrove si è proposto di valorizzare il dispositivo dell’allegazione, richiedendo allo sciatore una indicazione assai puntuale dei fatti costitutivi della propria pretesa in relazione al tipo di intervento precauzionale mancato dal gestore e sottoponendo l’operare della prova a un regime diversificato nel quale competa al gestore provare l’adozione di quelle che sono definibili «precauzioni durevoli», mentre spetti allo sciatore la prova del mancato assolvimento della «precauzione non durevole» [14].

In questo quadro complessivo, incomprensibile, e destinata a sicura falcidia nomofilattica, appare un’isolata giurisprudenza territoriale che indugia in posture da ultimo giapponese, arroccandosi in una laconica interpretazione da anni ’70, tesa ad applicare al gestore, in caso di incidente occorso al fruitore dell’area sciabile in fase di discesa, esclusivamente l’art. 2043 c.c. [15].

Da ultimo va ricordato che, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 363/2003, il gestore non può consentire l’apertura al pubblico dell’area sciabile «senza avere previamente stipulato apposito contratto di assicurazione ai fini della responsabilità civile per danni derivabili agli utenti e ai terzi per fatti derivanti da responsabilità del gestore in relazione all’uso di dette aree».

Ma, di là della previsione di una sanzione amministrativa per la violazione del precetto contenuta nel medesimo articolo, quali sono i massimali minimi previsti per questo tipo di copertura? L’art. 4.3 della legge n. 363/2003 non contempla alcun vaglio sull’ampiezza della garanzia assicurativa in sede di rilascio delle autorizzazioni all’a­pertura al pubblico degli impianti, sebbene questo silenzio non precluda la possibilità di un intervento integrativo ad opera del legislatore regionale.

Troppo generiche si dimostrano, tuttavia, le disposizioni regionali che esigono la stipula di una polizza elasticamente definita «adeguata» alla tipologia e alle dimensioni del rischio, formula che non sembra introdurre un vincolo particolarmente assillante per il gestore delle piste, né pare autorizzare un controllo più invasivo sull’effettiva ot­temperanza all’obbligo imposto dall’art. 4 della legge n. 363/2003 rispetto al rischio con­nesso alla conduzione di un’attività foriera di oneri risarcitori assai cospicui.

In talune disposizioni regionali sono invece previsti massimali minimi di polizza per importi predeterminati: ove l’assicurazione sia stipulata per importi inferiori potrebbero ritenersi carenti i presupposti per autorizzare l’attività di gestione degli impianti [16]. Anche in questo caso, quindi, la normativa di settore, nazionale e locale, difetta di definizioni e indicazioni puntuali.


4. Confini dell’area sciabile e oltre: quale tutela civilistica?

L’ultimo aspetto che vorrei toccare in questa breve relazione riguarda il confine dell’area sciabile e la tutela che può sperare di ricevere lo sciatore portatosi oltre quel confine per godere l’ebrezza del fuori pista.

A tutta prima, l’art. 17 della legge n. 363/2003 sembra essere chiarissimo a riguardo, statuendo che il concessionario e il gestore degli impianti di risalita non sono responsabili degli incidenti che possono verificarsi nei percorsi fuori pista serviti dagli impianti medesimi.

Il «percorso fuori pista servito dagli impianti medesimi» assurge, dunque, a elemento normativo per capire quando si dia questa inequivoca esenzione da responsabilità. Si tratta di una nozione articolata, che si compone di una serie di enunciati normativi, privi di definizione univoca nel testo della legge n. 363/2003. Quest’ultima definisce la nozione di area sciabile, che ricomprende sia gli impianti di risalita che le varie tipologie di piste. Ma il concetto di pista è solo presupposto dalla legge quadro, non essendo definito in quella sede. La normativa nazionale rinvia, quindi, a quanto prescrive sul punto la legislazione di secondo livello, accumulatasi in tempi e con modalità assai diversificate su impulso dei legislatori di regioni e provincie autonome.

L’esito di un’indagine su questo disparato insieme di norme induce a concludere che la nozione normativa di «percorso fuori pista» non è definita dalla legislazione nazionale vigente e certamente non lo è univocamente se si guarda alla legislazione regionale, che concretizza indirettamente questa nozione rinviando (con modalità, peraltro, in parte diverse in ciascuna regione) alle planimetrie che i gestori devono allegare alle domande inoltrate ai regolatori regionali per ottenere l’autorizzazione all’apprestamento delle piste.

In un panorama poco utile a dare un senso applicativo alla nozione giuridica recata dall’art. 17 della legge 363 emergono i casi delle regioni Abruzzo, Piemonte e Liguria, che, anche in questo caso con modalità tutt’altro che omogenee, predispongono indicazioni normative da cui può inferirsi che il fuoripista viene spazialmente individuato non già in funzione di una delimitazione cartografica, ma dell’apposizione – contingente e verificabile in loco – di «delimitazioni» a carattere inevitabilmente mobile, che tali leggi regionali fanno obbligo al gestore di curare.

Con l’ulteriore conseguenza che, in difetto di tali delimitazioni riscontrate in situ nell’immediatezza del sinistro, questi dispositivi normativi locali sono suscettibili di estendere l’ambito spaziale del bordo pista in modo indefinito, rendendo responsabile il gestore per l’incidente occorso allo sciatore su qualsiasi tracciato che risulti collocato oltre le delimitazioni, quando queste ultime risultino assenti a valle del percorso intrapreso dallo sciatore infortunatosi (in assenza di idonee delimitazioni visive) entro i confini dell’area sciabile [17].

L’inappagante nozione normativa di fuoripista che la legge n. 363/2003 (combinandosi in vario modo con le varie legislazioni regionali) restituisce all’interprete consiglia di fermare l’attenzione su una nozione di fuoripista di tipo funzionale, definibile in relazione allo sciatore che interagisce con un luogo che si vorrebbe spazialmente il più preciso possibile, ove la «sicurezza» della legge n. 363/2003 cessa di spiegare i suoi effetti.

Si possono così enucleare tre tipi di fuori pista: cinetico, inconsapevole e volontario.

Il primo identifica l’ipotesi in cui lo sciatore sia proiettato fuori dall’area sciabile per effetto del moto cinetico impresso dalla sua discesa sulla pista, dove le regole della legge n. 363/2003 trovano applicazione. La giurisprudenza non ha mai nutrito dubbi sul fatto che, nell’assolvere i propri obblighi precauzionali, il gestore dell’area sciabile debba valutare il rischio che lo sciatore fronteggia per l’eventualità di cadute o perdite di controllo che ne determinino l’uscita di pista.

Preciso obbligo del gestore nell’allestire i tracciati è condurre un giudizio prognostico di natura tecnica, volto a considerare i comportamenti ragionevolmente attesi da parte degli utenti delle piste, per mettere in relazione il moto cinetico che tali comportamenti lasciano ipotizzare durante la percorrenza di un determinato tratto di pista con lo stato dei luoghi corrispondenti ai possibili scenari di caduta. Da questa delicata valutazione tecnica dipende il concreto atteggiarsi dell’obbligo di eliminare ostacoli naturali e/o artificiali posti oltre le palinature e di installare – nei tratti di pista che si reputano interessati dal rischio del fuori pista cinetico – adeguate precauzioni passive, protezioni fisiche e/o reti di contenimento concepite in modo da mitigare il rischio di danno atteso, senza costituire a loro volta un pericolo aggiuntivo per l’incolumità degli sciatori.

Il fuoripista inconsapevole innesca problemi di maggior momento. La circostanza – lo si intuisce – è quella nella quale viene a trovarsi lo sciatore che non si avveda di aver impostato la propria traiettoria in un tratto innevato posto al di là dal perimetro del­l’area sciabile e come tale non soggetto agli obblighi di sicurezza del gestore. Se può a tal fine essere utile richiamare quanto detto poc’anzi in merito alla necessità che il fuoripista sia efficacemente segnalato, anche in relazione alle situazioni meteo che ci si può attendere interessino l’area sciabile, emerge l’importanza di appuntare l’attenzio­ne sull’affidamento che lo stato dei luoghi può ingenerare nello sciatore.

Eloquente, sotto questo profilo è una sentenza di merito, la cui massima ha statuito che «i gestori delle aree sciabili fra le quali insista un percorso di collegamento (ski weg) non possono invocare l’esclusione di responsabilità prevista dell’art. 17, legge n. 363/2003 per i danni occorsi a uno sciatore precipitato in un dirupo transitando su detto percorso, ove, sebbene il percorso non fosse compreso nell’area sciabile descritta dalle planimetrie allegate alle autorizzazioni all’apertura dell’area sciabile ottenute dai gestori, risulti che, prima del sinistro, lo ski weg fosse regolarmente utilizzato da un numero consistente di sciatori e che gli stessi gestori avevano provveduto alla battitura dello ski weg per rendere più sicuro il transito dell’utenza» [18].

E il fuoripista vero? Quello consapevolmente cercato dallo sciatore smaliziato, a caccia di emozioni che l’area sciabile non può più riservargli? Quello su cui oggi molto preme il marketing e la comunicazione pubblicitaria delle località sciistiche invernali?

È inevitabile evocare il concetto di autoresponsabilità o l’assunzione del rischio di chi compie questa scelta, oggi così in voga sulle nostre montagne. In caso di scontro fra sciatori fuori dall’area sciabile, o qualora uno sciatore in fuoripista sia travolto da una valanga determinata da un altro sciatore, la responsabilità civile torna a dimensionarsi nel suo assetto minimale, che è sicuramente quello scandito dall’art. 2043 c.c., fronteggiando peraltro problemi probatori certamente maggiori di quelli, già non trascurabili, che si danno nel caso di sinistri occorsi all’interno dell’area sciabile.

Non sarebbe precluso, per converso, applicare allo sciatore impegnato in fuori pista, e dunque in un luogo che non è soggetto all’opera di messa in sicurezza di un soggetto diverso dallo sciatore, l’art. 2050 c.c., la cui applicazione in questo contesto avrebbe modo di giustificarsi proprio in ragione della circostanza che lo sciatore in fuori pista fronteggia consapevolmente e unilateralmente i pericoli di un ambiente nevoso verso cui non è possibile coltivare attese di sicurezza e che, dunque, costringe ad agire in un contesto di incertezza, che per converso può determinare pericoli non solo per quanti intraprendomo l’attività, ma anche per i terzi coinvolti da valanghe provocate dal moto impresso al manto nevoso di chi sceglie di compiere questa attività [19].

Si potrebbero porre quesiti intriganti qualora il gestore, per attrarre utenti amanti del fuoripista, reclamizzasse in modo esplicito la possibilità di servirsi dei propri impianti per raggiungere la quota e poi lanciarsi in itinerari fuoripista opportunamente illustrati e posti a base dell’offerta allestita per l’amante del fuori pista.

Sebbene la legge n. 363/2003 limiti la vigenza delle sue prescrizioni all’interno del­l’area sciabile, potrebbe opinarsi che, così facendo, il gestore, avendo indotto lo sciatore a concludere il contratto di fruizione dell’area sciabile al fine di godere del fuoripista, possa poi essere ritenuto contrattualmente responsabile di obblighi di controllo, ove lo sciatore, servendosi degli impianti, si immetta in fuoripista e, percorrendo un itinerario spazialmente non ricompreso nell’area sciabile, incorra in un infortunio o una disgrazia.

Basterebbe, a tal fine, richiamare la previsione dell’art. 17 della legge n. 363/2003 per chiudere ogni discussione in proposito? Si potrebbe replicare che, promettendo esplicitamente allo sciatore che l’accesso ai propri impianti di risalita consente di solcare bianche distese non trattate e anzi, facendo leva su questa attrattiva per incrementare i propri utenti, il gestore si assuma implicitamente in via negoziale un obbligo di controllo autonomo ed ulteriore rispetto a quello contemplato dalla legge n. 363/2003.

Per tentare di esorcizzare questo esito interpretativo si sono mossi alcuni legislatori regionali, fra cui quello piemontese [20], e quello abruzzese [21].

Di là da questi interrogativi, è solo acquistando un servizio di accompagnamento professionale per la sua escursione che lo sciatore attratto dalla neve fresca può contare sulla prestazione erogata a suo favore dalla guida alpina o dal maestro di sci, i professionisti che la legge – attribuendo alle due figure professionali una competenza professionale concorrente – riconosce idonei «a insegnare le tecniche scialpinistiche e ad effettuare l’accom­pa­gnamento in escursioni sciistiche» [22], o «le tecniche sciistiche in tutte le loro specializzazioni esercitate con qualsiasi tipo di attrezzo, su piste di sci, itinerari sciistici, percorsi di sci fuori pista ed escursioni con gli sci che non comportino difficoltà richiedenti l’uso di tecniche e materiali alpinistici, quali corda, piccozza, ramponi» [23].

Non vi è qui modo per soffermarsi sulla responsabilità civile dell’accompagnatore professionale, che con riguardo al danno occorso agli accompagnati oggi non avrebbe motivo per non essere inquadrata stabilmente nell’alveo più idoneo a leggere i presupposti dell’azione di responsabilità in discorso, che è sicuramente quello contrattuale.

E si può soggiungere che nei confronti di queste categorie professionali vige l’ob­bli­go di dotarsi di idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente per l’eserci­zio del­l’attività professionale, con l’obbligo di renderlo edotto, al momento dell’assun­zio­ne dell’incarico, degli estremi della polizza corredati dal massimale previsto [24].

Meritevole di analisi più approfondite qui non compiutamente svolgibili è, infine, il rilievo, enucleabile da una indagine condotta in rete senza pretese di completezza sulle polizze contro le disgrazie accidentali offerte dalle principali compagnie assicurative operanti sul mercato italiano, che le note informative predisposte secondo il modello IVASS a corredo delle polizze standard proposte ai contraenti non sempre includono la copertura del rischio occasionato dalla pratica dello scialpinismo [25].

L’impressione è che vi sia spazio per una riflessione più mirata che gli operatori as­si­curativi potrebbero condurre per intercettare al meglio la domanda potenziale che al­li­gna nelle schiere sempre più numerose degli adepti del fuoripista, i quali, per le ragio­ni viste, non possono fare a meno di coltivare un rapporto assai stretto col principio di autoresponsabilità e con il suo previdente corollario: l’autoassicurazione contro le di­sgrazie accidentali, di cui fa isolata menzione l’art. 1916 del codice civile.


NOTE

Il presente contributo costituisce una versione ampliata del testo rivisto ed aggiornato della relazione presentata al Convegno “Prevenzione dei sinistri in area valanghiva. Attività sportiva, aspetti normativo-regolamentari e gestione del rischio”, svoltosi a Trento il 23 novembre 2018, e di recente pubblicato negli Atti del convegno a cura di A. Melchionda e S. Rossi, Prevenzione dei sinistri in area valanghiva. Attività sportive, aspetti normativo-regolamentari e gestione del rischio, Napoli, 2019.

[2] L’art. 1 della legge n. 363/2003 esplicita che le norme in materia di sicurezza nella pratica non agonistica degli sport invernali da discesa e da fondo, compresi i princìpi fondamentali per la gestione in sicurezza delle aree sciabili, sono state concepite al fine di favorire lo sviluppo delle attività economiche nelle località montane, nel quadro di una crescente attenzione per la tutela dell’ambiente.

[3] È questa la chiave di lettura che ho scelto per analizzare in modo sistematico la responsabilità civile all’interno delle aree sciabile in U. Izzo, Allocare il costo sociale degli incidenti sui campi da sci: alla ri­cerca di un senso, in id (a cura di), La Montagna, vol. I del Trattato La responsabilità civile e penale degli sport del turismo (a cura di G. Fornasari, U. Izzo, L. Lenti, F. Morandi), Torino, 2013, p. 3-106.

[4] Per un’analisi più compiuta di questo tema sia consentito rinviare a U. Izzo, I confini dell’area sciabile fra legge e affidamento: fuoripista e responsabilità civile, in Riv. dir. sportivo, 1/2018, p. 162-193, anche in OA: http://www.rivistadirittosportivo.coni.it/images/rivistadirittosportivo/dottrina/12_Izzo_162-193.pdf.

[5] Trib. Frosinone, 2 dicembre 2014, in http://dirittodeglisportdelturismo.jus.unitn.it/, ove si legge: «Controversa, tuttavia, resta la concreta dinamica del sinistro, assumendo l’attrice che si è trattato di un investimento puro e semplice da parte di uno sciatore che sopraggiungeva da monte e a forte velocità e sostenendo, invece, il convenuto che lo scontro è stato in realtà causato dalla stessa parte attrice che improvvisamente svoltava non avvedendosi del convenuto il quale, trovandosi più a valle rispetto all’attrice, lo investiva facendolo cadere. Anche i testi escussi hanno rappresentato dinamiche totalmente contrastati tra loro. In particolare i testi indicati dall’attore hanno sostanzialmente confermato la ricostruzione in fatto rappresentata dall’attrice. Viceversa, i testi indicati dalla parte convenuta hanno sostenuto l’esatto contrario, coincidente con la ricostruzione in fatto operata dalla parte convenuta. Tuttavia, gli stretti rapporti di parentela e di amicizia tra le parti ed i testi, in assenza di ulteriori elementi (quali, ad esempio, una dichiarazione testimoniale resa da soggetto terzo) rendono inattendibili le stesse dichiarazioni e non idonee a superare la presunzione di corresponsabilità prevista dalla normativa vigente. Anche il rapporto di incidente sciistico (n.1/01) redatto dai Carabinieri della locale stazione di Mezzana, ed in particolare la parte relativa alla dinamica presunta, non chiarisce l’iniziale posizione dei soggetti coinvolti e non chiarisce se la condotta di uno possa aver determinato l’evento. Si legge, infatti, «nell’effettuare la pista Orso Bruno il sig. M.A. scendeva sul lato sinistro della pista, nell’effettuare una curva a sinistra andava a collidere con la sig.ra B.A. che scendeva nella stessa direzione che stava girando a destra». In buona sostanza, dalla dinamica riferita dai Carabinieri, si sarebbe trattato di una interferenza tra due sciatori che stavano percorrendo la pista sostanzialmente alla stessa altezza, uno verso destra ed uno verso sinistra. Tuttavia, gli stessi Carabinieri, possono solo ipotizzare detta dinamica attesa la loro assenza al momento del sinistro. Pertanto, appare difficilmente contestabile un concorso di colpa a carico di entrambe le parti. La fattispecie in esame richiama i seguenti principi normativi: i) ai sensi dell’art. 12, legge 24 dicembre 2003, n. 363 la precedenza spetta, in caso di incroci tra sciatori ed in linea di principio, a chi proviene da destra, ossia nella specie alla parte convenuta (e ciò rappresenta un ulteriore argomento per valutare la condotta ed il grado di responsabilità del convenuto in riferimento a questo urto); ii) fondamentale regola n. 3 del c.d. decalogo dello sciatore che, come è noto, costituisce il compendio delle norme di comune prudenza che devono essere seguite nella pratica sciatoria e che sono ora state sostanzialmente tipizzate dal legislatore nel Capo III della legge 24 dicembre 2003, n. 363. In particolare, l’art. 10 della legge citata, sotto l’in­titolazione “precedenza”, dispone «lo sciatore a monte deve mantenere una direzione che gli consenta di evitare collisioni o interferenze con lo sciatore a valle». Analoghe le prescrizioni imposte dalla normativa locale (cfr. art. 30-ter, comma 1, lett. b, n. 1, decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Trento 2 dicembre 2004 n. 18 «Modifiche al decreto del presidente della Giunta provinciale 22.09.1987 n. 11-51/legisl. emanazione del regolamento per l’esecuzione della legge provinciale 21 aprile 1987, n. 7 concernente Disciplina delle linee funiviarie in servizio pubblico e delle piste da sci, in G.U. 12.03.2005, n. 10 3 serie speciale Regioni». Tuttavia, una situazione di incertezza probatoria in merito all’effettiva dinamica del sinistro, così come è emersa all’esito del giudizio, fa sì che gravi interamente sul convenuto la prova liberatoria, in forza della presunzione legale di pari responsabilità prevista dall’art. 19 legge n. 363/2003, in caso di scontri tra sciatori. Nel caso di specie, in definitiva, si deve ritenere non superata la presunzione di pari responsabilità. Ciò consente di ritenere che il danno dell’attrice, certamente riconducibile sul piano causale all’urto tra le parti, è imputabile al convenuto ed alla medesima attrice con la conseguenza che il convenuto va condannato al risarcimento dei danni in favore dell’attrice, nella misura del 50%».

[6] L’obbligo è sancito dal comma 1-bis dell’art. 32, rubricato «Norme di comportamento», della legge Regione Piemonte 2/2009, come modificato dal comma 7 dell’articolo 53 della Legge Regione Piemonte 26/2015, che così dispone: «l’utilizzo delle piste da sci è subordinato al possesso da parte dell’utente di un’assicurazione per la responsabilità civile per danni o infortuni che lo stesso può causare a terzi, ivi compreso il gestore». La norma è singolarmente ribadita dall’art. 14-bis dello stesso articolo 32, che così recita: «Lo sciatore che utilizza le piste da sci deve possedere un’assicurazione in corso di validità che copre la propria responsabilità civile per danni o infortuni verso terzi, ivi compreso il gestore». A sua volta l’art. 18, comma 1, lett. i) bis, prevede che «il gestore è tenuto a comunicare all’utente l’obbligo del pos­sesso della copertura assicurativa, di cui all’articolo 32, comma 14 bis». L’art. 1, lett. d), dell’art. 35 della medesima legge prevede la sanzione da euro 40,00 a euro 250,00, a carico dell’utente, per la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 32, comma 1 bis, relative al possesso di un’assicurazione per responsabilità civile.

[7] Così l’art. 4 del Reg. reg. Molise n. 2 del 5 marzo 2004, poi abrogato dall’art. 17 del Reg. reg. Molise 20 marzo 2007, n. 1: «Obbligo di assicurazione ai fini della responsabilità civile verso terzi – 1) I gestori delle aree sciabili, con esclusione delle aree destinate allo sci di fondo, devono stipulare apposita polizza assicurativa ai fini della responsabilità civile per danni derivati agli utenti ai terzi in relazione all’utilizzo degli impianti e delle aree. 2) I gestori di cui al comma 1 devono, altresì, stipulare per conto degli utenti delle aree sciabili una polizza assicurativa della responsabilità civile per i danni da questi provocati a persone durante le attività sportive svolte all’interno delle aree stesse, il cui costo è ricompreso, in tutto o in parte, nel prezzo di utilizzo degli impianti di risalta. 3) La violazione delle prescrizioni di cui ai commi 1 e 2 è soggetta alla sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da euro 15.000,00 a euro 45.000,00».

[8] M. Bona, A. Castelnuovo, P.G. Monateri, La responsabilità civile nello sport, Milano, 2002, pp. 153-54.

[9] U. Izzo, Allocare il costo sociale degli incidenti sui campi da sci, cit., 34 ss. Per i medesimi motivi non può essere accolta la proposta avanzata in dottrina (da ultimo M. Pittalis, Sport e diritto. L’attività sportiva fra performance e vita quotidiana, Milano, 2019, p. 396 ss.) di applicare l’art. 2050 c.c. allo sciatore. La proposta non si avvede che, dal punto di vista operazionale, l’esito che l’accoglimento di questa tesi produrrebbe sugli effetti della regola di responsabilità applicata allo sciatore è oggi già realizzato per effetto della presunzione posta dall’art. 19 della legge n. 363/2003, che opera in perfetta armonia con l’art. 2043 c.c. applicato al singolo sciatore, senza aver bisogno di considerare, contro le evidenze statistiche, l’attività sciistica svolta all’interno delle aree sciabili un’attività “pericolosa” nel senso implicato dall’art. 2050.

[10] Antesignana Cass. n. 2563/2007, sulla cui scia Cass. n. 13940/2012; Cass. n. 4018/2013; Cass. n. 28616/2013; Cass. n. 22344/2014.

[11] U. Izzo, Allocare il costo sociale degli incidenti sui campi da sci, cit., p. 39 ss.

[12] Così, più di recente, Cass., ord., 18856/2017.

[13] Almeno a far tempo da Cass. n. 2563/2007.

[14] Per questa analisi e l’illustrazione di questi concetti sia ancora consentito il rinvio a U. Izzo, Allocare il costo sociale degli incidenti sui campi da sci, cit., p. 97 ss.

[15] Così Trib. Trento, 4 agosto 2015, in http://dirittodeglisportdelturismo.jus.unitn.it/: «La responsabilità del gestore dell’area sciabile, per sinistri occorsi in pregiudizio degli utenti in caso di impatto con segnaletica installata all’esterno del tracciato, soggiace alla disciplina della responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.; non è configurabile né l’esercizio di attività pericolosa né la responsabilità per cose in custodia; è altresì escluso il regime contrattuale derivante dal contratto di skipass; ne consegue che grava sull’attore l’onere di dimostrare l’esistenza di un fatto illecito addebitabile alla convenuta (anche sotto il profilo della colpa) e dell’esistenza di un nesso causale tra tale preteso fatto illecito e l’evento lesivo». Vedi, altresì, Trib. Trento 19 maggio 2015, ivi: «Lo scrivente giudicante ritiene, però, che la domanda attorea può essere esaminata solo sotto il profilo dell’art. 2043 c.c. Deve osservarsi, del resto, che il suddetto orientamento si può basare, sul disposto degli artt. 3 e 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 363 (già in vigore all’epoca del sinistro oggetto di esame), in virtù del quale, i gestori hanno l’obbligo di assicurare agli utenti, la pratica dello sci in condizioni di sicurezza, provvedendo alla messa in sicurezza delle piste secondo quanto stabilito dalle regioni (art. 3) e sono civilmente responsabili della regolarità e della sicurezza dell’esercizio delle piste (art. 4). Grava, pertanto, sull’attore l’onere di dimostrare l’esistenza di un fatto illecito addebitabile alla convenuta (anche sotto il profilo della colpa) e dell’esistenza di un nesso causale tra tale preteso fatto illecito e l’evento lesivo. Tale prova non risulta essere stata adeguatamente fornita».

[16] Si veda l’art. 30, legge regionale Veneto 21 novembre 2008, n. 21, ove si subordina l’autorizzazio­ne all’apertura delle piste alla stipula di un contratto di assicurazione conforme alle prescrizioni del precedente art. 15 e alle caratteristiche e ai massimali previsti con regolamento di Giunta regionale. Sulla stessa scia si muovono la L.P. Bolzano del 23 novembre 2010, n. 14, che all’art. 11 prescrive la stipula del contratto assicurativo contro la RC con copertura per un importo non inferiore a quanto disposto dall’assessorato provinciale competente, nonché gli artt. 40 e 40 bis della L.P. Trento 21 novembre 1987, n. 7, il cui regolamento di esecuzione, adottato con D.P.G.R. 22 settembre 1987, n. 11, successivamente modificato, fissa nell’art. 30 quater, mediante il rinvio al successivo allegato, i massimali minimi per i quali deve esser stipulata la polizza. Per poi prevedere che «dopo l’allegato J del D.P.G.P. 22 settembre 1987, n. 11-51/Leg. è inserito il seguente: “Allegato K – Massimali minimi della polizza di assicurazione per la responsabilità civile prevista dall’articolo 40, comma 1-ter, della L.P. – responsabilità civile per danni a cose 10.000 euro – responsabilità civile per danni alla persona 150.000 euro. Meno puntuale è invece l’art. 23 della legge regionale Marche del 22 ottobre 2001, n. 22, ove dispone genericamente che il rilascio della concessione e dell’autorizzazione per l’apertura al pubblico esercizio degli impianti di risalita e delle piste da sci è subordinato all’esistenza di una «adeguata» copertura assicurativa, atta a garantire ogni infortunio o danno conseguente al loro utilizzo.

[17] È peraltro evidente che sul piano fattuale uno sciatore di media diligenza non può non accorgersi che, proseguendo la sua sciata molto oltre il limitare della pista non segnalata compiutamente dal gestore, lo stato dei luoghi renda auto-evidente che la sciata sia compiuta fuori dall’area sciabile. Sotto questo profilo, questa inequivoca autoevidenza potrebbe rilevare sotto il profilo della buona fede contrattuale nel momento in cui lo sciatore tenti di imputare al gestore il danno occorsogli per un sinistro verificatosi molto al di là dell’area sciabile.

[18] Trib. Sondrio, 17 ottobre 2013, in dirittodeglisportdelturismo.jus.unitn.it.

[19] È proprio la necessaria e intrinseca unilateralità del pericolo fronteggiato da chi esercita un’attività pericolosa a identificare la chiave di lettura che accompagna l’interprete verso l’opportunità di applicare l’art. 2050 c.c. a una data attività umana. Amplius per questa analisi, U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile. Analisi di un concetto sul tema del danno da contagio per via trasfusionale, II ed., Trento, 2007, p. 620 ss., in OA in Academia.

[20] L’art. 4, comma 2, lett. f) della legge regionale Piemonte 26 gennaio 2009, n. 2 e successive modifiche, definisce il «percorso fuoripista o misto» in questi termini: «itinerario sciistico, anche non compreso nell’area sciabile e di sviluppo montano attrezzata, che può essere segnalato con paletti indicatori di percorso e normalmente accessibile. Per tale itinerario valgono le disposizioni di cui all’articolo 30 e, pertanto, viene percorso dall’utente a suo esclusivo rischio e pericolo». A sua volta l’art. 30 della stessa legge al comma 1 prevede: «i gestori delle piste da sci, le pubbliche amministrazioni locali e la Regione non sono in alcun modo responsabili degli incidenti che possono verificarsi al di fuori delle piste da sci di cui all’articolo 4, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e), anche se accaduti su percorsi fuori pista serviti dagli impianti di risalita, né degli incidenti che possono verificarsi sui percorsi di cui all’articolo 4, comma 2, lettera f)».

[21] Nel testo vigente l’art. 99 della legge regionale Abruzzo 8 marzo 2005, n. 24, reca: «Sci fuoripista, scialpinismo e alpinismo.1. Fermo restando l’obbligo per il concessionario e gestore dell’area sciabile attrezzata di apporre idonea segnaletica di pericolo di frane o valanghe, per gli incidenti che possono verificarsi nei percorsi fuoripista accessibili dagli impianti o al di fuori delle piste individuate ai sensi della presente legge, si applica quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 17 della legge 24 dicembre 2003, n. 363 e successive modifiche e integrazioni. 2. I soggetti che praticano lo scialpinismo devono munirsi di Apparecchio di Ricerca dei Travolti in Valanga (ARTVA), Pala e Sonda per garantire un idoneo intervento di soccorso. 3. Le disposizioni del presente articolo sono riportate sulla documentazione di informazione all’utente ed indicate su cartelli esposti presso le stazioni di partenza ed arrivo degli impianti di risalita, come da Allegato B alla presente legge. La documentazione di informazione all’utente ed i cartelli sono predisposti dal concessionario e dal gestore dell’area sciabile attrezzata».

[22] Si veda la lettera b) e c) del primo comma dell’art. 2 della legge n. 6/1989 relativa alla professione di guida alpina.

[23] Si veda il primo comma dell’art. 2 della legge n. 81/1991 relativa alla professione di maestro di sci.

[24] L’obbligo è stato sancito dall’art. 5 del d.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, che ne sanziona la violazione limitandosi a prevedere che quest’ultima costituisca oggetto di sanzione disciplinare.

[25] Tale rischio è incluso nella polizza «Generali sei in sicurezza – Contratto di Assicurazione infortuni, malattie, tutela giudiziaria ed assistenza per l’individuo e la famiglia» (edizione 1.6.2017); è invece esclusa nella polizza contro i danni da infortuni Genialloyd (edizione 9.2018); con estremo dettaglio definitorio, lo «sci e snowboard estremi (effettuati fuori pista in zone distanti non immediatamente adiacenti alle piste battute servite da impianti di risalita» sono considerati sport ad alto rischio per i quali non opera la garanzia assicurativa nella polizza «UnipolSai Infortuni Premium» (edizione 1.12.2016); con formula meno impermeabile a incertezze interpretative è parimenti esclusa la copertura del rischio in caso di pratica dello «sci estremo» e dello «snowboard estremo» nella polizza Infortuni e malattia proposta da ITAS (edizione 9.2018); lo «sci estremo» è formula che ricorre per richiamare l’esclusione della garanzia anche nella polizza infortuni e malattia «Su misura» proposta da AXA (edizione 6.2016).