Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Il commissioner. Origini e sviluppo del sistema di governo delle quattro leghe più importanti dello sport professionistico americano (di Andrea Panzarola, Professore ordinario di Diritto processuale civile nell’Università LUM di Bari.)


The author deals with the role of the «commissioner», the organ at the head of the professional sport leagues in the North-american system.

The analysis takes into account various aspects, specifically focusing on the powers of the commissioner.

Particular attention is drawn to a historical explanation of its origins and evolution, as well as to its current nature, its relation with the different figure of the «system arbitrator», and, more in general, to the means of control of sport arbitration in the U.S. jurisdiction.

SOMMARIO:

1. Il metodo della indagine - 2. La nascita del Commissioner - 3. Alle origini di un potere smisurato - 4. Il trauma delle scommesse - 5. Le contraddizioni del nuovo sistema - 6. La estensione del modello del Commissioner alle altre leghe professionistiche. Le specificità del baseball - 7. La repressione delle azioni «detrimental to the best interests of the game» - 8. La contrazione dei poteri del Commissioner: i sindacati dei giocatori, il contratto collettivo e l’arbitrato - 9. Il contratto collettivo nella Major League Baseball - 10. Il System arbitrator nella National Football League - 11. Il caso eccezionale del procedimento disciplinare a carico dei giocatori nella National Football League - 12. L’arbitrato sportivo e il controllo delle Corti - 13. Il Commissioner tra tradizione e rinnovamento - NOTE


1. Il metodo della indagine

«The life of the law has not been logic; it has been experience»: così, nel paragrafo d’apertura della sua opera più celebre [1], con caratteristico stile epigrammatico, Oliver Wendell Holmes Jr. [2] sintetizza le proprie vedute sul diritto. Per comprenderne la natura e misurarne lo sviluppo – secondo Holmes – non si può adottare soltanto la prospettiva logica ed è invece indispensabile considerare la interazione fra storia e mutevoli bisogni umani. Questo aperçu di Holmes serve senza dubbio per spiegare il diritto delle Corti nel contesto dell’ordinamento generale. A suo avviso, infatti, il diritto è soltanto la profezia di ciò che diranno le Corti nelle loro sentenze [3]. Possiamo però impiegare proficuamente quell’intuizione di Holmes anche in altra direzione, ad esempio per inquadrare lo specifico ordinamento sportivo statunitense, senza per questo tradire la concezione del diritto del celebre giurista di Boston. D’al­tronde, anni dopo [4], lo stesso Holmes ebbe modo di verificare in prima persona il rapporto profondo che si può stabilire fra il diritto delle Corti e la regolamentazione dello sport professionistico, redigendo nei panni di giudice della Corte Suprema americana la motivazione di una fondamentale [5] decisione assunta alla unanimità che ancora oggi esonera il baseball della Major League dalla applicazione della normativa antitrust. Lo stesso approccio storico-concreto suggerito da Holmes può rivelarsi utile quando dall’ordinamento sportivo professionistico si passi ad esaminare le istituzioni che vi operano. Fra queste un posto di primissimo piano spetta al c.d. Commissioner, vale a dire il capo delle varie leghe professionistiche statunitensi [6], al quale spettano significativi poteri giuridici che, pur incidendo nell’ambito dell’ordinamento sezionale [7] sportivo, presentano insieme riflessi sul piano ordinamentale generale. Per disimpegnare tali poteri, via via crescenti e diversificati, la persona fisica del Commissioner si avvale di una struttura (Office of the Commisioner [8]) che negli anni ha acquisito una complessità sempre maggiore. La persona e l’ufficio [9] del Commissioner non hanno l’eguale in altri ordinamenti, compreso il nostro. Si spiega pertanto la forte curiosità che da sempre avvolge questo tipico [continua ..]


2. La nascita del Commissioner

Si direbbe che il ruolo di Commissioner sia nato per caso. O, per dir meglio, quale conseguenza di un crimine eccezionale (il Black Sox scandal) e della volontà smisurata di due uomini assai diversi: un gangster (Arnold Rothstein) e un giudice (Kenesaw Mountain Landis). Il gangster ideò il crimine, il giudice fu scelto come primo Commissioner per arginarne gli effetti negativi. Il baseball professionistico adottò per primo il nuovo sistema di governo incentrato sul Commissioner, imponendosi come modello per tutte le altre leghe sportive ed elevandosi a pietra di paragone per ogni indagine che voglia delucidare il funzionamento di questa originale istituzione americana. Tutto ruota intorno a un fatto centrale nella storia sportiva degli Stati Uniti o, per dir meglio, nella «Storia» tout court di quel paese. Accadde, un giorno del 1919, che un uomo [11] decise di «giocare con la fiducia di cinquanta milioni di persone provvisto della determinazione di uno scassinatore che fa saltare in aria una cassaforte» [12]. L’episodio, ricordato comunemente come il «Black Sox scandal» [13], si consumò nel 1919 quando alcuni giocatori dei Chicago White Sox – impegnati nelle finali (World Series) del campionato di baseball contro i Cincinnati Reds – accettarono del denaro da alcuni scommettitori per perdere intenzionalmente alcune partite. L’uomò che truccò [14] le finali del campionato di baseball – il gangster Arnold Rothstein [15] – e la sbalorditiva impresa criminale compiuta, s’impressero a fondo nell’im­ma­ginario collettivo americano. Al punto che Francis Scott Fitzgerald – l’elegiaco cantore della Jazz Age – ospitò nel suo romanzo più celebre (Il grande Gatsby) il personaggio [16] di Meyer Wolfsheim [17], «giocatore d’azzardo» [18] nel quale si indovina con nettezza il profilo di Rothstein [19]. Lo stesso scandalo delle World Series del 1919 è più volte menzionato nel romanzo di Fitzgerald, contribuendo ad accrescere l’aura di mistero che circonda la vita di Jay Gatsby sino alla sua tragica fine [20]. Per recuperare la fiducia di quei cinquanta milioni di americani «traditi» dalle scommesse e riportarli a seguire il baseball professionistico della MLB [21], occorreva sostituire la fiacca [continua ..]


3. Alle origini di un potere smisurato

L’insolita esperienza delle origini ha avuto nel prosieguo conseguenze notevoli sui meccanismi pratici utilizzati dal Commissioner statunitense e sull’orizzonte assiologico entro il quale si è dipanata la sua attività. Tanto quei meccanismi quanto questo orizzonte sono stati durevolmente influenzati dalla urgenza con la quale si provvide ad istituire il nuovo ruolo, dalla circostanza che lo si introdusse per regolare il baseball – vale a dire lo sport professionistico allora più diffuso e meglio organizzato – e soprattutto dalla scelta del primo Commissioner, un giudice (Kenesaw Mountain Landis) dalla personalità straripante. Il fatto è che la creazione del «nuovo» organo monocratico del Commissioner del baseball professionistico (MLB) – munito di poteri assoluti – conseguì a una imposizione dall’esterno, alla quale i proprietari delle sedici squadre che al tempo costituivano la Major League Baseball dovettero piegarsi. La richiesta di pieni poteri venne difatti dalla persona designata a rivestire l’incarico (dopo il rifiuto opposto dall’ex Presidente degli Stati Uniti Taft) [31], il giudice Kenesaw Mountain Landis [32], che la pose come condizione per accettare [33] la proposta rivoltagli di essere il primo Commissioner della storia. D’altronde i proprietari delle squadre riunite nella lega (MLB), pur se tradizionalmente gelosi della loro autonomia, decisero di aderire all’ultimatum del giudice Landis perché erano convinti che fosse l’unico modo per salvare il baseball professionistico. Senza dubbio nel 1920, quando si decise di istituire il Commissioner, si era di fronte ad un bivio: o si restituiva credibilità al gioco [34] sotto la guida ferrea di un soggetto indipendente, con amplissimi poteri gestionali e disciplinari, o la disaffezione fra gli americani avrebbe potuto crescere al punto da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa del baseball professionistico. Con la istituzione del Commissioner si decretò insieme l’abbandono dell’anteriore modello collegiale di governo del baseball professionistico imperniato sulla National Commission, creata nel 1903. Questa commissione – paragonata ad una sorta di panel arbitrale [35] – era composta da tre membri, uno per ciascuna lega (National League ed American League) ed un terzo nominato sull’accordo dei [continua ..]


4. Il trauma delle scommesse

Da quegli straordinari accadimenti del 1919 emerse una nuova figura di «capo» dello sport (il Commissioner) che finì per campeggiare – negli anni successivi – nel panorama delle leghe professionistiche statunitensi e nella cui assoluta originalità si intravedono gli elementi concreti che ne propiziarono la nascita, fra i quali, in particolare, lo scandalo legato alle scommesse sull’andamento delle World Series (il Black Sox scandal). Non per caso nacque allora, in quel fatidico 1919, nel mondo del baseball, una paura che non dovette mai più abbandonare i suoi dirigenti e che restò per molto tempo centrale nella attività del Commissioner. Vale a dire la paura per le scommesse e per la loro inesauribile forza inquinante della purezza del gioco [38] e della fiducia degli spettatori. Fra il 1917 e il 1927 ben trentotto giocatori [39] della Major League Baseball rimasero coinvolti nei numerosi scandali connessi alle scommesse che costellarono quel­l’epoca turbolenta. Il Commissioner Landis ne squalificò a vita diciotto, fra i quali gli otto giocatori («Eight Men Out») dei Chicago White Sox coinvolti nella combine del 1919 e i cui nomi [40] sono rimasti impressi nella memoria collettiva [41]. L’Avenging Angel [42] (uno dei tanti nomignoli di Landis) estese le sanzioni anche al di fuori della squadra di Chicago, cacciando l’ultimo anello della catena, il «nono uomo» (il c.d. «ninth man out»), Joe Gedeon, seconda base dei St. Louis Browns. I precedenti elementi lasciano arguire facilmente che, se l’obiettivo della creazione dell’istituto del Commissioner era stata la lotta alle scommesse, il giudice Kenesaw Mountain Landis vi si dedicò con energia senza pari. La proverbiale severità del primo Commissioner Landis è confermata anche dal fatto che egli squalificò a vita più persone [43] (nel periodo 1920-1943) di quante ne furono sanzionate con la stessa pena negli oltre settant’anni successivi (dal 1944 ad oggi) da tutti i suoi successori al vertice della lega sommati tra loro. Con la morte di Landis la «caccia alle streghe» – come qualcuno la definì – ebbe termine. Il problema delle scommesse fu senza dubbio ridimensionato. Ma non fu risolto per sempre. La paura per le scommesse riemerse negli anni successivi sia pure in [continua ..]


5. Le contraddizioni del nuovo sistema

L’istituto del Commissioner rappresentò pertanto il trionfo della pratica sulla teoria, della esperienza concreta sulle astrazioni. E, tuttavia, con il primo Commissioner, più che di una esperienza collettiva, si trattò della imposizione delle opinioni di un solo uomo. Ne derivarono due conseguenze diverse, ma egualmente rilevanti. Da un lato, la aderenza del nuovo sistema di governo ai fatti della vita, il ripudio della idea che il «commissario» fosse chiamato ad una applicazione meccanicistica di precetti giuridici puntuali e si dovesse invece basare su una clausola aperta per difendere «the best interests» dello sport, valsero a conferire all’ufficio di Commissioner una rilevante duttilità e capacità di adattamento ai nuovi casi e bisogni posti dalla realtà, non disgiunte dalla possibilità di impiegare criteri di tipo equitativo. Il che non vuol dire necessariamente inattività o prudente gradualismo, come la vicenda delle squalifiche durissime irrogate da Landis comprova. Significa piuttosto propensione del nuovo sistema ad adattarsi ai bisogni dello sport, ridefinendo e perfezionando l’azione «politica» in sintonia con il mutamento dei tempi. Dall’altro lato, però, il prevalere delle vedute individuali del Commissioner Landis comportò spesso che, attraverso il nuovo sistema di governo, vennero adottate scelte in contrasto con le aspirazioni collettive o, all’opposto, bloccati progetti che la ragione comune reputava indispensabili. Talvolta, come nel caso della apertura dello sport agli atleti di colore, le convinzioni intime del Commissioner si saldarono con i sentimenti più retrivi della popolazione. Un chiaro segno della tendenza del Commissioner a privilegiare le sue opinioni personali – anteponendole alle esigenze oggettive di una amministrazione imparziale – si coglie perfino nella vicenda delle scommesse. A dispetto del pugno di ferro utilizzato negli episodi dianzi menzionati, almeno in un caso Landis mostrò una tolleranza che a molti è parsa – e continua ad apparire – sospetta e che sembra confermare che talvolta, più che alla giustizia, il Commissioner tendesse a conformarsi alle proprie inclinazioni. Due celebri campioni – Ty Cobb e Tris Speaker [59] – erano stati accusati nel dicembre del 1926 dal pitcher Herbert «Dutch» [continua ..]


6. La estensione del modello del Commissioner alle altre leghe professionistiche. Le specificità del baseball

Le contraddizioni segnalate nulla tolgono al fatto che, con la creazione del Commissioner, inizia un’epoca nuova nella gestione dello sport. Davvero il periodo a cavallo fra il 1920 ed il 1921 può essere assunto a spartiacque: prima il baseball era retto, come detto, da un triumvirato (la National Commission [78] – «Commissione Nazionale» – del 1903) tutt’altro che saldo. Poi si affermò il dominio solitario del Commissioner, volto ad assicurare – al di sopra delle parti – gli interessi generali dello sport. In particolare, i poteri della «Commissione Nazionale» istituita nel 1903 erano stati, da una parte piegati ai desideri di Ban Johnson, e, dall’altra parte, delimitati dalla decisione assunta – in American League Baseball Club of New York v. Johnson – dal Giudice Wagner, la stessa persona alla quale si attribuisce comunemente la paternità del National Labor Relations Act (NLRA) del 1935. Ebbene, Wagner aveva nel 1919 rigorosamente circoscritto le prerogative della National Commission e del suo Presidente, fra l’altro stabilendo che l’esercizio dei suoi poteri disciplinari doveva essere circoscritto entro limiti ben definiti («in the performance of his duties») [79]. Inversamente nessun limite incontrava il Commissioner introdotto nel 1920-1921. Poteva agire «in the best interests of baseball» [80], vale a dire con poteri altrettanto vasti, quanto misura in ampiezza la formula degli «interessi del baseball». Ed è difficile immaginare una formula più ampia e generica di questa con la quale ha inizio la storia del nuovo sistema di governo dello sport americano. L’istituto del Commissioner fu presto copiato dalle altre leghe professionistiche USA e trapiantato, dallo sport del baseball, al football della NFL [81], al basket della NBA [82] ed anche all’hockey su ghiaccio della NHL [83]. Anche la locuzione impiegata nella «Costituzione» [84] del baseball («in the best interests» del gioco) è stata sostanzialmente recepita negli altri sport professionistici, ora in maniera pressoché identica [85], ora con minime varianti [86]. Non va però dimenticato che, in effetti, per molti anni la storia del Commissioner si è identificata unicamente con il mondo del baseball. Gli altri sport [continua ..]


7. La repressione delle azioni «detrimental to the best interests of the game»

Al di là delle differenze evidenziate, certo rimarchevoli, in tutte e quattro le leghe professionistiche statunitensi (la National Football League – NFL –, la National Basketball Association – NBA –, la National Hockey League – NHL – e la Major League Baseball, MLB) esiste la particolarissima figura del «Commissioner», una figura che non ha equivalenti nel nostro ordinamento. In ogni lega professionistica esiste una clausola generale che conferisce al «commissario» il potere di intraprendere una qualunque iniziativa per reprimere le attività che interferiscano con i «migliori interessi» dello sport, si tratti degli interessi del baseball, del football, dell’hockey su ghiaccio o del basket. In principio ciascun Commissioner ha inteso la clausola vaghissima dei «best interests» dello sport in accordo con le proprie vedute personali. Il caso di Kenesaw Moun­tain Landis è illuminante in questo senso, anche se estremo. In un modo o nel­l’altro, infatti, gli altri Commissioner hanno dovuto tenere conto delle aspettative dei detentori delle leve del comando, vale a dire i proprietari delle squadre professionistiche, che dopo tutto pagano lo stipendio al «commissario». Pur con questa limitazione, si è trattato di poteri comunque vastissimi, continuamente evocati dal Commissioner (anche quale espediente retorico) per legittimare questa o quella iniziativa agli occhi del pubblico degli sportivi statunitensi. Resta comunque eccezionale la decisione assunta dal Commissioner Bowie Kuhn il 18 giugno 1976. Agendo dichiaratamente nell’interesse del gioco, il Commissioner vietò la cessione di tre giocatori (autentici campioni) della squadra degli Oakland A’s (Athletics) di proprietà di Charles Finley. Si trattava di due lanciatori – il partente Vida Blue e il relief pitcher Rollie Fingers – e dell’esterno sinistro Joe Rudi. Ad avviso del Commissioner la cessione di quei giocatori fortissimi (Rudi e Fingers ai Boston Red Sox, Vida Blue agli Yankees [117] di New York) avrebbe alterato l’equilibrio del campionato di baseball. L’intervento del Commissioner era assolutamente ardito e originale. Neanche Landis, il primo Commissioner, aveva mai osato tanto [118], pur se nel 1931 si era trovato in una situazione quasi identica quando Connie Mack [119], il padre [continua ..]


8. La contrazione dei poteri del Commissioner: i sindacati dei giocatori, il contratto collettivo e l’arbitrato

Con il tempo i poteri del Commissioner sono stati drasticamente ridimensionati, anzitutto perché la struttura economica e le modalità gestionali dello sport professionistico sono stati in larga misura affidati alle forze cieche del mercato. Da questo punto di vista la eliminazione della c.d. clausola di riserva [127], ad opera della decisione arbitrale di Seitz del 1976 (ricordata retro), ha avuto una importanza centrale. Sconosciuta nella età albare [128] del gioco e in opera unicamente dalla fine del XIX sec. [129], quella clausola ha per circa un secolo legato ciascun giocatore al proprio team per la durata di una vita [130]. Basti dire che, dopo la cancellazione di tale clausola e la creazione della free agency, i salari dei giocatori nel settore del baseball sono schizzati alle stelle [131], senza che nessuno (né tantomeno il Commissioner) potesse arginare il fenomeno. Il ridimensionamento della autorità del Commissioner si è poi esteso a più generale materia dei rapporti di lavoro fra i giocatori e le squadre. Ciò è accaduto anche in dipendenza del modo peculiare nel quale l’autonomia dell’ordinamento dello sport professionistico [132] americano si è venuta organizzando nel corso degli ultimi decenni, attraverso lo strumento della contrattazione collettiva fra le parti, rispettivamente la lega (dei proprietari delle squadre che vi sono rappresentate) e l’associazione (o sindacato) dei giocatori. Questi ultimi hanno infatti gradatamente preso consapevolezza del proprio ruolo, rafforzato tra loro i vincoli associativi, scelto dirigenti combattivi e rivendicato collettivamente i propri diritti. Per una serie di circostanze, le relazioni tra le due parti collettive – e di riflesso quelle tra i giocatori e le squadre di appartenenza – hanno finito per essere ordinate nella cornice della comune disciplina dei rapporti di lavoro in vigore negli Stati Uniti. Il contratto collettivo ha poi effettivamente attribuito all’arbitrato la gran parte delle materie già di competenza esclusiva del Commissioner, fra cui quella delle sanzioni disciplinari nei confronti dei giocatori per comportamenti (fuori e dentro il campo di gioco) illeciti. Come in molte altre cose, anche dal punto di vista della regolazione dei rapporti di lavoro, il baseball della MLB (Major League Baseball) ha operato da battistrada per le altre leghe [continua ..]


9. Il contratto collettivo nella Major League Baseball

L’incertezza che sembra contraddistinguere ovunque ogni forma di applicazione del diritto notoriamente aumenta quando siano impiegate norme a struttura aperta e si accresce ulteriormente se la decisione debba essere assunta all’interno di sistemi «complessi» [147]. E l’ordinamento dello sport professionistico statunitense, a modo suo, è proprio un ordinamento complesso. Si è potuto già notare che vi si utilizzano concetti indeterminati e clausole generali elaborati nel tempo – in una dimensione, si direbbe [148], schiettamente «esistenziale» – per soddisfare esigenze concrete [149] riguardanti la disciplina dello sport in ogni sua manifestazione [150]. L’indeterminatezza del concetto di condotta «detrimental to the integrity» dello sport è innegabile. Non meno generica è la espressione di «best interests» del baseball [151], del football, del basket o dell’hockey su ghiaccio. Tali locuzioni – coniate al momento della creazione dell’ufficio del Commissioner nella Major League Baseball (MLB) nel biennio 1920-1921 – compaiono (pur se variamente declinate) in tutte quante le «Costituzioni» delle leghe sportive professionistiche americane. La situazione è ulteriormente complicata dalla circostanza che attualmente la determinazione concreta di ciò che è possibile fare con quei concetti indeterminati – ed in particolare con la clausola generale dei «best interests» – dipende, non più come in passato dalla volontà solitaria del Commissioner, ma dal sistema complessivo nel quale quest’ultimo è chiamato ad agire: un sistema nel quale, con i proprietari delle squadre, sono chiamati ad operare i sindacati dei giocatori, nel contesto della contrattazione collettiva, sotto la supervisione del Labor Board, e con la garanzie del ricorso allo strumento arbitrale. Sicché, nell’ordinamento sportivo professionistico, debbono essere rispettati i principi generali che governano (in specie attraverso la Costituzione) la società americana, quelli che regolano i comuni rapporti di lavoro e quegli altri che sovrintendono al funzionamento delle associazioni private (quali sono le leghe professionistiche). Quando vi sia l’intervento degli arbitri rilevano anche i principi ai quali è improntata la [continua ..]


10. Il System arbitrator nella National Football League

Nel caso della National Football League (NFL), i difficili rapporti tra la lega dei proprietari delle squadre e il sindacato dei giocatori hanno determinato l’instaurazione di molti giudizi di fronte alle Corti. Fra questi, svetta per importanza un processo in materia antitrust intrapreso dinanzi alla Corte distrettuale del Minnesota e poi definito con un accordo di conciliazione stipulato nel 1993 tra la Players Association e la NFL. Fra le clausole dell’accordo figurava anche la previsione relativa alla nomina giudiziale – per dirimere talune controversie che vi erano menzionate – di uno special master per la NFL. È così accaduto che – in attuazione di quell’accordo del 1993 – il giudice distrettuale del Minnesota (David Doty) ha nominato uno «special master» [166] (sia pure col consenso preventivo della lega – NFL – e del sindacato dei giocatori, NFLPA), vale a dire un «delegato» della Corte col compito di espletare talune attività [167]. Chiaramente, le funzioni disimpegnate da questo soggetto («special master») sono valse – in vario modo – a circoscrivere le prerogative già spettanti al Commissioner della NFL, in numerosi casi ben noti al grande pubblico, coinvolgenti singoli giocatori (si pensi alle vicende di Terrell Owens, di Michael Vick e di Plaxico Burress [168]), o interessi di categoria (come quelli, ad esempio, connessi ai contratti televisivi). La natura dello special master ha poi introdotto una forma di penetrante controllo giudiziale, spettante allo stesso giudice che ne aveva curato la nomina [169], cioè a David Doty del Minnesota. Il più noto special master (il terzo, scelto nel 2002) è stato un professore di diritto [170] dell’Università della Pennsylvania, Stephen Burbank. L’attività di Burbank è proseguita nel tempo e sta continuando ancora adesso, anche se, alla base di essa, non vi è più la designazione giudiziale (della Corte del Minnesota e del giudice Doty), ma la base pattizia del vigente Collective Agreement (CBA) [171] della NFL, laddove contempla una nuova figura di arbitro (il cosiddetto System Arbitrator) chiamato in talune ipotesi a decidere al posto del Commissioner. Pertanto, anche nell’attuale contratto collettivo del football professionistico della NFL si coglie, in modo distinto, [continua ..]


11. Il caso eccezionale del procedimento disciplinare a carico dei giocatori nella National Football League

Non mancano però eccezioni a questa tendenza. Spicca perciò in questo sfondo – di complessiva riduzione dell’autorità del Commissioner – la previsione contenuta nel contratto collettivo del football americano [175] (art. 46 CBA/Collective bargaining agreement) relativa al procedimento arbitrale concernente le sanzioni disciplinari. Con l’art. 46 CBA, cit., nella sostanza, l’associazione dei giocatori (NLFPA) ha restituito al Commissioner nella materia disciplinare poteri assai ampi, compreso quello di decidere circa la correttezza di una sua sanzione contro un giocatore, anche in sede di opposizione (appeal). Si può pensare ad un «ritorno al passato» conseguente – non già ad avvenimenti eccezionali come quelli che portarono negli anni venti del secolo scorso alla creazione del Commissioner nel baseball della MLB, ma piuttosto – ad una libera scelta dei giocatori e dei loro rappresentanti «sindacali». Al posto della clausola generale dei «best interests» del gioco del baseball, vi è nella NFL l’obiettivo di reprimere condotte «detrimental to the integrity of, or public confidence in, the game of professional football», ma non può sfuggire che la genericità delle due formule è molto simile. I poteri che sono stati conferiti nel 2011 al Commissioner della NFL in materia disciplinare pertanto eguagliano, se non superano, quelli in principio assegnati al Commissioner del baseball nel 1920, quel Giudice Kenesaw Mountain Landis che nei fatti impose alla Major League di scrivere sotto «dettatura» le regole del nuovo istituto. Però il Commissioner del 2014 non è più quello del 1920, che poteva agire con enormi poteri per la tutela dell’interesse generale del gioco in posizione di indipendenza dalla lega e dai giocatori. Oggi si tende a percepire l’attività del Commissioner come quella di un comune amministratore (CEO) che si adopera per soddisfare le aspettative dei proprietari delle squadre associate nella lega («on behalf of the owners» [176], quindi, sovente contro i giocatori). Sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica statunitense, i poteri consegnati al Commissioner della NFL dall’art. 46 del contratto collettivo (CBA) del 2011 sono parsi eccessivi. Tanto che la lega ha creduto necessario [continua ..]


12. L’arbitrato sportivo e il controllo delle Corti

A parte il caso eccezionale del procedimento disciplinare nella NFL, dove il potere del Commissioner è davvero enorme, negli altri casi la sua attività è condizionata dalla presenza del sindacato dei giocatori e dalla possibilità di utilizzare lo strumento arbitrale. Tramite l’arbitrato, i giocatori ed il sindacato possono reagire alle decisioni giudicate pregiudizievoli assunte a loro danno dal Commissioner. Il punto è rimarchevole: l’assegnazione ad un arbitro indipendente del potere di sindacare le decisioni del Commissioner, mentre ne limita i poteri, concorre ad assicurare l’autonomia dell’ordinamento dello sport professionistico da interventi invasivi delle Corti. Accade spesso che una decisione arbitrale emessa in ambito sportivo viene impugnata di fronte alle Corti [191]. E, dopo tutto, fin dal celeberrimo lodo arbitrale con il quale Seitz abolì la famigerata clausola di riserva [192] si assiste al tentativo di ottenere l’annullamento del verdetto arbitrale in sede giudiziale. Ma le Corti, in questo caso fondamentale, ed in molti altri [193] – dalle sanzioni inflitte ai giocatori, alle controversie di lavoro stricto sensu, comprese quelle salariali, ecc. –, hanno esibito estrema cautela nel sindacare i lodi arbitrali sportivi, procedendo al loro annullamento solo in ipotesi molto particolari. Le ragioni dell’atteggiamento delle Corti – di «rispetto» verso i lodi – sono numerose e non è qui possibile enumerarle. Alcune sono legate alle «eterne» peculiarità delle competizioni sportive [194]. Altre discendono dalle particolari condizioni storiche che hanno attratto negli Stati Uniti le controversie legate allo sport nell’ambito dell’ordina­mento lavoristico generale. A quest’ultimo proposito merita sottolineare – una volta di più – la circostanza che il procedimento di arbitrato obbligatorio in vigore nello sport professionistico statunitense è il frutto di contratti collettivi stipulati fra associazioni private (le leghe da un lato, i sindacati dei giocatori dall’altro) e sottoposti alla comune regolamentazione lavoristica. Ora, nei confronti dei lodi arbitrali emessi nel contesto della contrattazione collettiva, le Corti manifestano – per lunga consuetudine – uno spiccato self-restraint o, come spesso si dice, una vera e [continua ..]


13. Il Commissioner tra tradizione e rinnovamento

Occorre a questo punto tirare le fila del discorso compiuto sin qui. Il particolarissimo «ufficio» del Commissioner, nato nell’ambito del baseball della Major League, è oggi recepito anche nelle altre leghe (NBA e NHL), compresa soprattutto la NFL. Se è vero che è difficile immaginare due sport più diversi fra loro del baseball e del football – le regole secolari [215] in lentissima e sorvegliata evoluzione dell’uno, di contro alla vorticosa e continua [216] riscrittura delle regole dell’altro [217] –, sta di fatto che l’organizzazione di entrambi gli sport è affidata al Commissioner. La stessa cosa vale per il basket (NBA) e l’hockey su ghiaccio professionistici (NHL). Un istituto nato «dalle cose» [218] – per fronteggiare esigenze contingenti (il «Black Sox scandal», Rothstein, la paura dei padroni [219] che il gioco scomparisse, ecc.) e plasmato dalle caratteristiche di una persona [220] (il giudice Landis) – ha guadagnato un successo duraturo e generale. A distanza di quasi cento anni il Commissioner è ancora il fulcro della gestione delle leghe professionistiche, anche se non può più esercitare i poteri immensi che a suo tempo esercitava Kenesaw Mountain Landis. Vincoli penetranti alla sua attività derivano dal contratto collettivo con il sindacato dei giocatori e discendono dalla esistenza di un sistema di arbitrato che assicura un controllo delle sue decisioni. Nelle situazioni di crisi, quando la conflittualità è massima, l’intervento del Commissioner non è riuscito ad impedire né gli scioperi dei giocatori né le serrate dei proprietari. Ne hanno offerto la prova [221] gli eventi che hanno condotto alla cancellazione di intere stagioni dei campionati o di moltissime delle gare: e ciò è accaduto sia nel baseball della MLB (con lo sciopero del 1994), sia nell’hockey della NHL (nel 1994-1995, nel 2012-2013 e soprattutto nel 2004-2005 [222]) come pure nel football della NFL (nel 2011 [223]) e nel basket della NBA (nel 2011, e fra il 1995 ed il 1999 [224]). In tutti questi casi, che hanno alla fine condotto le parti (sindacati dei giocatori e associazioni dei proprietari delle squadre) alla stipula di un nuovo contratto collettivo, un ruolo decisivo è stato svolto non certo dal [continua ..]


NOTE