Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Il financial fair play alla prova del diritto antitrust dell´unione europea (di Enrico Spagnolello, Dottore in giurisprudenza.)


This work highlights how the economic dimension of sport involves several issues on relationship between the “sporting rules” and the European Union law. That requires that “sporting rules” of sport governing bodies which have an economic impact and could be contrasting with competition law can only be justified if shown to be a proportionate response to relevant need for the sport.

An important test bench for this conformity assesstment could be represented by the Financial Fair Play Regulation by UEFA.

This Regulation is introduced “to decrease pressure on salaries and transfer fees and limit inflationary effect […] to encourage long-term investments in the youth sector and infrastructure”. It provides that football clubs, as a condition for taking part in the most lucrative sports competition globally (the UEFA Champions League), face a new limit on the amount they can invest in their largest item of expenditure, namely purchasing, and paying the wages of, players. Under the ‘break-even’ rule, clubs can not spend more than their income derived from football activities, and equity investment from rich benefactors can not be counted as part of the club’s income.

All this certainly has a significant impact for the business in the european football market and could affect its competitive dynamics.

SOMMARIO:

1. La UEFA Club Licensing and Financial Fair play Regulation - 2. Interessi economici in gioco - 3. Inquadramento del FFP nel mercato calcistico europeo - 4. Gli effetti della regolamentazione UEFA nell’attività dei club - 5. Un’analisi comparativa - NOTE


1. La UEFA Club Licensing and Financial Fair play Regulation

Come ormai noto, il passaggio da sport-ludus a sport-business ha fatto sorgere diverse problematiche nel rapporto tra la regolamentazione dell’Unione europea in materia di attività economica (in particolare, con le norme che disciplinano la concorrenza all’interno del mercato europeo e la libera circolazione dei lavoratori e dei servizi) e le regolamentazioni che gli enti sportivi nazionali e sovranazionali si sono date per disciplinare i più variegati aspetti dell’attività sportiva. Nell’ambito calcistico europeo, il più recente ed importante banco di prova può essere considerato l’istituto del Financial Fair Play (FFP) introdotto dalla UEFA con la UEFA Club Licensing and Financial Fair play Regulation [1]. Tale disegno regolamentare ha come obiettivo quello di risolvere e di prevenire insolvenze e fallimenti dei club europei grazie all’introduzione di meccanismi che mirano a un management razionale e a una stabilizzazione delle situazioni finanziarie delle società. L’emanazione di tale regolamentazione è il frutto dell’approvazione di diversi enti che esercitano un’attività economica come l’UEFA Club Competitions Committee, l’European Club Association Board e il Professional Football Strategy Council, composto da rappresentanti delle Federazioni nazionali, da rappresentanti degli atleti (FIFPro Europe), dai club (European Club Association) e dal vice-presidente UEFA. Esso costituisce un vero e proprio corpus normativo suddiviso in quattro parti a cui si aggiungono undici allegati. Dopo una prima parte definitoria che detta, altresì, le disposizioni generali con cui si indicano gli obiettivi della regolamentazione (artt. 1-3), gli aspetti centrali riguardano la disciplina del c.d. sistema delle licenze, ovvero il UEFA club licensing, mediante cui la UEFA si riserva il diritto di concedere la licenza per la partecipazione alle competizioni da essa organizzate a quei club che osservano determinati requisiti (artt. 4-52); e il UEFA club monitoring nella quale viene disciplinata l’attività di controllo esercitata dalla UEFA, nonché i poteri di questa e i criteri che presiedono a tale attività (artt. 53-68). Tale regolamentazione, che inizialmente si rivolgeva ai club calcistici professionisti che si qualificano per le competizioni UEFA, nel giugno 2015, è stato esteso anche alle [continua ..]


2. Interessi economici in gioco

Nonostante la UEFA Club Licensing and Financial Fair play Regulation abbia ricevuto in tempi recenti l’approvazione da parte della Commissione europea, che ne ha sancito la piena compatibilità con il diritto europeo [5], in quanto uno degli obiettivi del FFP è quello di introdurre strumenti per fronteggiare la crisi economica in corso [6], ciò non fa venir meno la necessità di verificare la compatibilità di tale regolamentazione con la disciplina dell’Unione in materia antitrust per la natura imprenditoriale delle società di calcio professionistiche. Anche se il problema della concorrenza non sia stato direttamente affrontato nel­l’atto regolamentare UEFA, appare doveroso analizzare se e quali effetti concorrenziali esso potrà avere nel mercato a cui è diretto. A tal fine, si deve partire dal presupposto che tutti i club hanno interesse a competere nei livelli più alti delle competizioni nazionali e internazionali poiché da queste partecipazioni derivano rilevanti introiti economici per le società. Si pensi, inter alia, alla partecipazione alla UEFA Champions League, che procura entrate crescenti per le società a seconda del piazzamento finale, o alla partecipazione nelle massime serie delle competizioni nazionali, che assicurano ai club risorse di gran lunga superiori rispetto a quelle previste nelle serie minori. Ad esempio la Premier League, massima serie del campionato inglese, nella stagione 2009/2010 ha prodotto un fatturato di circa 2 miliardi di sterline contro i 400 milioni di sterline fatturati nella stessa stagione dalla serie immediatamente inferiore, la Football League Championship [7]. Per la maggior parte delle società, la possibilità di raggiungere tali «premi finanziari» costituisce un mezzo per poter vincere nuovamente (o comunque competere ai massimi livelli nazionali e europei) e prolungare nel tempo gli introiti. Nel momento in cui i club raggiungono determinati obiettivi sportivi ed economici avranno un forte incentivo a mantenere tali livelli: il prestigio e i trionfi diventano così più di una priorità sportiva e condizionano le decisioni finanziarie. Questo loop, però, può portare a conseguenze disastrose per le società nel caso in cui l’amministrazione delle stesse non operi in modo professionale e diligente. Si pensi, ad esempio, al [continua ..]


3. Inquadramento del FFP nel mercato calcistico europeo

Con la celebre sentenza Meca-Medina [10] la Corte di giustizia ha stabilito la potenziale assoggettabilità di tutte le norme sportive (quindi anche le c.d. regole del gioco) alla disciplina europea della concorrenza e, dunque, il regolamento contenente la disciplina sul Financial Fair Play deve essere sottoposto al vaglio della stessa. In un’ottica di comparazione con la disciplina antitrust, la UEFA si configura come impresa in virtù delle attività di carattere economico che pone in essere (contratti di sponsorizzazione, vendita di biglietti per la partecipazione ad eventi da essa organizzati, vendita di diritti audiovisivi, concessioni sul proprio brand, ecc.) mentre il FFP si configura come accordo tra imprese poiché, come anticipato, esso è frutto dell’appro­vazione di una serie di enti. Per quanto riguarda il mercato rilevante in cui tale regolamentazione produce i pro­pri effetti, questo deve essere individuato, sotto il profilo del mercato geografico, nel­l’area commerciale in cui i club di tutte le cinquantaquattro federazioni nazionali com­petono in eventi UEFA [11], e sotto il profilo del mercato del prodotto rilevante (che «comprende tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e del­l’uso al quale sono destinati» [12]), nel mercato calcistico delle competizioni europee tra club professionistici, ad esclusione sia delle competizioni di altre discipline sportive, sia delle competizioni calcistiche nazionali che costituiscono mercati diversi. Sulla base di tali elementi, in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia (tra tutte, la sentenza Société Technique Minière [13]), un accordo deve considerarsi vietato se esercita «un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale sulle correnti degli scambi tra Stati membri, influenza tale da far temere che venga messa in pericolo la realizzazione di un mercato unico fra gli Stati membri» [14]. Infatti, i membri delle football associations e i club europei fanno continuamente affari tra loro, scambiandosi risorse e servizi, per cui vi sono poche possibilità che tale intervento non incida sugli scambi tra Stati membri a causa dell’ingente attività economica tra i club sparsi in tutta Europa. Con [continua ..]


4. Gli effetti della regolamentazione UEFA nell’attività dei club

Prima dell’entrata in vigore dell’UEFA Club Licensing and Financial Fair play Regulation, i proprietari dei club avevano la possibilità di immettere, nelle casse della società, proprie risorse economiche senza dover sottostare a particolari limiti. Ad esempio il Manchester City Football Club, dal 2008 di proprietà del gruppo Abu Dhabi United Group for Development and Investment, ha ricevuto risorse economiche per oltre 235 milioni di euro dal suddetto gruppo, al fine di rilanciare il prestigio del club, riuscendo ad ottenere importanti risultati sportivi nella lega nazionale di appartenenza e riuscendo ad accedere alla competizione UEFA Champions League con i conseguenti introiti derivanti dai premi; dalla vendita dei diritti audiovisivi e dei biglietti; dalla stipula di ulteriori contratti di sponsorizzazione, ecc., riuscendo ad ottenere nel corso degli anni una certa indipendenza economica dal gruppo proprietario. Con l’entrata in vigore del FFP, questo tipo di operazioni non sono più possibili in virtù dell’introduzione del principio del break-even (c.d. pareggio in bilancio), per cui i club devono «vivere» con i propri mezzi, «to ensure that clubs spend money they have, not money they would like to have in the future» [18]; dunque, i proprietari delle società non hanno la possibilità di investire nel club risorse economiche derivanti da fondi esterni, rendendo così proibitivo per molte squadre un percorso di crescita sportiva ed economica simile a quello condotto dalla società inglese. Si pensi anche al contesto in cui la disciplina UEFA esplica i propri effetti, ovvero un mercato in cui le squadre che partecipano alle competizioni europee ricevono premi ed introiti per la vendita dei diritti audiovisivi e di immagine sia in base alla posizione raggiunta nelle competizioni, sia in base al numero della popolazione del Paese di pro­venienza. In questo modo le leghe i cui Paesi presentano un alto tasso di popolazione (come Germania o Inghilterra) continueranno ad avere sempre più vantaggi rispetto a società di Paesi più piccoli (per esempio Scozia e Ucraina). Queste ultime, non potendo ottenere risorse ab externo, si troveranno in una posizione di svantaggio permanente rispetto ai club provenienti da Paesi con più alta densità di popolazione in quanto hanno poche possibilità di colmare il gap [continua ..]


5. Un’analisi comparativa

In verità, i suddetti obiettivi sono perseguiti anche da prima che la disciplina UEFA entrasse in vigore, dalle federazioni francese e tedesca che hanno adottato un sistema di financial fair play forse meno restrittivo e maggiormente proporzionato alle finalità perseguite, così da non alterare il gioco della concorrenza. La Deutscher Fußball-Bund (DFB), federazione nazionale di calcio tedesca, prevede un sistema di licensing e monitoring per cui i club che vogliono partecipare alla com­petizione devono annualmente presentare i propri dati finanziari al fine di ottenere la licenza. I livelli di debito di ogni club sono costantemente controllati per ridurre i rischi di insolvenza e la possibilità di compiere investimenti particolarmente onerosi è subordinata ad un veto da parte dell’autorità federale. A differenza del modello UEFA, in questo sistema manca la clausola c.d. fair value per i contratti di sponsorizzazione. Tale clausola prevede che le operazioni finanziarie debbano essere fatte al «corretto valore di mercato» e il club potrebbe essere costretto a rimuovere dal bilancio parte degli introiti derivanti da una sponsorship ai fini del rispetto del c.d. bilancio in pareggio (break-even provision). Per esempio, il Paris Saint-Germain, di proprietà del fondo Qatar Sports Investments, nel 2012 concluse con tale società un accordo di sponsorizzazione che portava nelle casse del club una cifra vicina ai 200 milioni di euro. La UEFA ritenne che l’importo stabilito era superiore al valore di mercato della prestazione, ritenendo che se il fondo qatariota non fosse stato anche proprietario del club parigino non sarebbe mai stato versato un importo simile; ritenne che il valore reale della sponsorizzazione andava commisurato in circa 100 milioni di euro e che solo questa cifra sarebbe stata rilevante ai fini del controllo sul rispetto del break-even. La mancanza di questa clausola in Germania ha consentito nello stesso anno al piccolo club VfL Wolfsburg di ottenere liberamente dalla casa produttrice di automobili Volkswagen, con cui ha la proprietà in comune, un importo di 20 milioni di euro annui a seguito di un accordo di shirt sponsorship. Una soluzione per rendere la disciplina del FFP maggiormente proporzionata ai suoi obiettivi potrebbe essere quella di rimuovere la clausola c.d. fair value e limitarsi ad un sistema di licenze basato sulla valutazione [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2016