Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Giuseppe cassioli: l´artista delle medaglie olimpiche (di Gherardo Bonini, Archivi storici dell’Unione europea e Franco Cervellati, Direttore del Centro Studi ASSI Giglio Rosso Firenze – CESEFAS.    )


After de Coubertin’s era, the International Olympic Committee (IOC) led by Baillet-Latour aimed to reinforce its control over the games elaborating in particular unique ritual contents, thereby launching in 1925 a contest for the effigies to be engraved permanently on each of the three medals. Fascist sport authorities needed to improve its relationships with IOC and solicited the best artists to compete. The yet famous Florentine Giuseppe Cassioli (1865-1942) won the contest in 1927 and, after troubled processing, created the images, which decorated at least one side of the medal from 1928 to 2000. The paper describes the main phases of this slightly neglected story, also advocating a re-consideration of Cassioli’s artistic value.

 

SOMMARIO:

1. Il cerimoniale olimpico post de Coubertin - 2. Il dialogo tra il CIO e il regime - 3. Il concorso per la Medaglia Olimpica 1925-1927 - 4. La realizzazione dell’opera - 5. Giuseppe Cassioli artista eclettico - 6. La riconoscibilità del premio più ambìto - 7. La ricollocazione storica di un grande artista - NOTE


1. Il cerimoniale olimpico post de Coubertin

Al vertice del Comitato Internazionale Olimpico (CIO) il passaggio di consegne tra Pierre de Frédy, barone di Coubertin e il suo fedelissimo, conte Henri de Baillet-Latour, avvenne nella Sessione Olimpica di Praga del 1925 inaugurando una tradizione – tuttora in voga – che sia il presidente uscente a indicare il suo successore [1]. In quella Sessione, che deliberò fra le molte cose anche quel Concorso della medaglia Olimpica che sarà l’oggetto della nostra trattazione, il CIO decise di integrare in maniera incisiva i contenuti simbolici del Cerimoniale Olimpico, arricchendolo di elementi ispirati a una sacralità permeata dal più puro neoclassicismo, un forte richiamo culturale ed estetico al modello ispiratore del fondatore dei Giochi Olimpici moderni.

Sino alla riuscitissima edizione dei Giochi Olimpici di Parigi 1924, il cerimoniale si era limitato ai simboli già conosciuti dell’Olimpismo, come il motto Citius, Altius, Fortius adottato fin dalla prima edizione ateniese del 1896 [2], il regolamento olimpico o «Annuario Olimpico», in uso già dal 1908 e solo più tardi rinominato come Carta Olimpica, la bandiera dei cinque cerchi già presentata nel 1914 ed inaugurata – come vessillo olimpico – nell’Olimpiade del 1920 di Anversa, il «Giuramento Olimpico» inaugurato anch’esso ad Anversa.

Il movimento olimpico era uscito indubbiamente rafforzato dall’ottimo esito organizzativo, sportivo e politico dei Giochi di Parigi del 1924 ma non era ancora così impermeabile alle sfide, in termini di visibilità, riconoscibilità e importanza, che provenivano dalle manifestazioni sportive organizzate dalle associazioni dei lavoratori e che insidiarono ideologicamente i Giochi, come la prima festa operaia di Francoforte del 1925 o la Spartakiade che svolse a Mosca immediatamente dopo la chiusura dei Giochi di Amsterdam 1928, e che si proposero come alternative nei valori e nelle dinamiche di svolgimento ai cosiddetti «Giochi Borghesi» e che in certuni casi – in altri eventi sportivi meno noti – andarono addirittura ad appropriarsi indebitamente della definizione di Olimpiade o di Giochi Olimpici. Nella nostra chiave di lettura questa presenza alternativa resta la motivazione primaria del deciso rafforzamento d’imma­gine dei Giochi messa in atto dal CIO attraverso quei rituali destinati, dichiaratamente o in modo subliminale, a far riconoscere universalmente la loro «unicità».

Il Cerimoniale Olimpico di Amsterdam 1928 si arricchì dunque anche della Medaglia Olimpica realizzata dall’artista fiorentino Giuseppe Cassioli e sulla quale torneremo in seguito, ma anche della novità dell’installazione di un braciere nel quale venne accesa la Fiamma Olimpica, situato sulla sommità della torre adiacente il nuovo stadio. Non solo, nella sfilata delle rappresentative nazionali della giornata di apertura dei Giochi venne riservato il primo posto alla Grecia, paese d’origine degli antichi Gio­chi di Olimpia e l’ultima nazione a sfilare fu quella del Paese ospitante, inaugurando così un protocollo che è ancora valido attualmente. Inoltre, diversamente da quanto accaduto nei Giochi precedenti, tutte le premiazioni vennero centralizzate nello Stadio, anche quelle delle competizioni svolte in impianti esterni. La premiazione ebbe luogo presso un tavolo allestito in prossimità della tribuna dei regnanti e delle autorità. Rigidissimo il protocollo di consegna dei premi: le medaglie d’oro vennero consegnate dalla Regina Guglielmina d’Olanda, quelle d’argento dal Principe Consorte Enrico di Meclemburgo-Schwerin, quelle di bronzo dal Presidente del CIO Baillet Latour.

L’edizione olimpica del 1928 marcò un forte rafforzamento e un’esplicita differenziazione con potenziali eventi alternativi, attraverso alcuni elementi destinati a divenire esem­plari per le future edizioni dei Giochi: ogni successiva organizzazione fece riferimento al moderno complesso polisportivo, l’Olympia Park; la realizzazione della pista per l’Atle­tica interna allo Stadio con sviluppo di 400 metri divenne una norma inderogabile, inoltre, dopo la reiterata pressione esercitata dall’organizzazione creata da Alice Milliat [3], furono introdotte gare femminili nel programma dell’Atletica e della Ginnastica, con buona pace di de Coubertin che aveva sempre avversato la presenza femminile in sede olimpica. Tutti questi elementi segnarono una svolta decisiva per il proseguio dell’evento Olimpico.


2. Il dialogo tra il CIO e il regime

Inquadrare il contesto storico interno italiano nel periodo di riferimento in cui si sviluppa il tema di questo scritto significa anche prendere in considerazione l’artico­lato dialogo che si sviluppò nel tempo tra il CIO e il regime fascista italiano. Il CIO non mostrò pregiudizi per questo dialogo, se è vero che nel 1923 – a soli sei mesi dalla Marcia su Roma – de Coubertin organizzò, per la prima volta in Italia, una riunione della sessione annuale del CIO, al Campidoglio, con la presenza delle massime autorità italiane, incluso il Re e Mussolini [4]. L’approccio fu favorito dal grande fascino esercitato dal­l’Italia e in particolare da Roma su de Coubertin: la capitale sarebbe già dovuta essere la sede dei Giochi della IV Olimpiade, quale luogo storico-simbolico in cui rilanciare definitivamente i Giochi dopo le opache edizioni di Parigi 1900 e Saint Louis 1904, un luogo dov’era possibile associare lo sport all’arte e alla cultura della più grande civiltà del mondo antico dopo la Grecia [5]. L’ottenimento da parte del CONI dell’organizzazione della Sessione del CIO del 1923 è stato letto come un gesto di riconciliazione, voluto da de Coubertin, con la delegazione olimpica italiana guidata da Carlo Montù – deputato giolittiano, rappresentante del CIO in Italia dal 1914 al 1939 e in stretto rapporto con il barone francese – dopo la mancata designazione di una sede italiana per l’Olimpiade del 1924 [6].

L’interesse del fascismo per il movimento olimpico era legato al fatto che lo sport venne individuato fin da subito come uno degli assi portanti della politica sociale del regime e diventò, per questo motivo, un campo di azione privilegiato e, proprio dalla «conquista» del CONI, iniziò l’opera di grave ingerenza del fascismo nei confronti dello sport nazionale [7].

Il 6 maggio 1923, a circa un mese dalla sessione olimpica romana, alla presidenza del CONI venne eletto Aldo Finzi, sottosegretario al Ministero degli Interni, uomo di regime, in sostituzione di Vincenzo Mauro e il ruolo del CONI, rispetto alle altre organizzazioni sportive nazionali, acquisì una superiorità gerarchica sancita poi dalla complessiva riforma del 1927. Il regime ritenne, fin da subìto, che la partecipazione ai Giochi Olimpici, sul piano della politica internazionale, fosse irrinunciabile per ogni paese che non intendesse isolarsi. D’altra parte le sollecitazioni e le direttive provenienti dal CIO avevano certo dimostrato tutto il loro peso negli sviluppi dello sport europeo e non è casuale quindi, che il Comitato Olimpico Nazionale venne considerato come la struttura portante del sistema sportivo italiano, tanto da aggiungere dal 1927 al suo acronimo l’appellativo di Federazione delle federazioni.

Nonostante il promettente inizio del 1923, i rapporti del fascismo italiano con il CIO non furono esattamente idilliaci, perché le autorità sportive italiane non riconobbero adeguatamente il ruolo gerarchicamente superiore acquisito dal CIO stesso, e qualche incidente diplomatico – il più noto dei quali avvenuto in occasione del torneo olimpico di scherma del 1924 a Parigi – offuscò i rapporti tra l’Italia e il massimo organismo olimpico. Pesò anche l’esclusione di Carlo Montù, punto di riferimento e uomo di fiducia di de Coubertin, da ogni effettivo ruolo di responsabilità nel nuovo modello di organizzazione sportiva nazionale [8].

Il riavvicinamento del regime nei confronti del CIO iniziò già nel 1925: le autorità sportive italiane e i dirigenti del fascismo, accettarono in pieno i «Principi olimpici» e si adeguarono dichiaratamente al ruolo assunto dal massimo organismo olimpico nel contesto dello sport mondiale e lavorarono con successo per la nomina di un terzo rappresentante italiano – oltre a Montù e al marchese Giorgio Guglielmi – nel novero del CIO: prima nella figura del conte Alberto Bonacossa, alla quale si aggiunse, per un breve periodo dal 1930 al 1931, quella del gerarca Augusto Turati e successivamente quella, più autorevole, del Conte Paolo Ignazio Tahon de Revel, medaglia d’oro nella spada a squadre ai Giochi di Anversa del 1920.

Nel ristretto contesto della nostra trattazione, riteniamo che la convinta partecipazione italiana al Concorso per la Medaglia Olimpica, indetto fin dagli ultimi mesi del 1925, fu tra le azioni messe in atto dalla dirigenza sportiva nazionale nel quadro della strategia di distensione e di fattiva collaborazione con il CIO [9].

La ritrovata sintonia con il movimento olimpico si rivelò funzionale al capillare sforzo organizzativo e propagandistico del modello di sviluppo sportivo dell’Italia fascista, un esempio che troverà diversi emulatori nei regimi totalitari europei. La riattivata centralità dei Giochi Olimpici impose alla dirigenza fascista una programmazione quadriennale sulla quale orientare la propria organizzazione sportiva al fine di una miglior visibilità internazionale, investendo risorse, favorendo quegli sport dove si intravedevano maggiori possibilità di poter competere con il mondo anglosassone, a detrimento di quelli dove i valori che potevano essere messi in campo restavano assai distanti.

Una sintonia, quella tra olimpismo e fascismo, che ebbe molti altri punti in comune, a partire dal simbolico riferimento storico al mondo dei classici, quello della civiltà ellenica per l’olimpismo e quello romanico imperiale per il fascismo, quello dei riti e dei simboli del cerimoniale olimpico già delineato nei Giochi del primo dopoguerra e la simbologia, i rituali e le cerimonie imposte dalla «liturgia fascista»: la religione virile [10] sostenuta nell’ideologia decoubertiniana ben si adattava al tentativo di imporre in Italia una religione civica fascista, ritualizzata con il saluto romano, il giuramento, la benedizione di bandiere e gagliardetti, il culto della Patria e dei suoi caduti, le cerimonie collettive e le esibizioni coreografiche [11]. Altro fondamentale punto in comune tra le due ideologie fu il palese antisocialismo: indispensabile all’olimpismo per contrastare la minaccia delle organizzazioni sportive dei lavoratori, utile per il fascismo che contro i principi dell’eguaglianza sociale indirizzò il suo capillare apparato sportivo inteso come forma di profilassi sociale e di educazione morale delle masse [12].


3. Il concorso per la Medaglia Olimpica 1925-1927

Baillet-Latour dette inizio alla riorganizzazione del movimento olimpico, perorando un rigido protocollo valido per ogni futura edizione olimpica, comprensivo anche della realizzazione della medaglia per i primi tre classificati di ogni competizione. Occorre premettere che già nella Sessione olimpica di Losanna del 1921, su proposta dello stesso Baillet-Latour, si decise di bandire un concorso internazionale artistico per la realizzazione della medaglia dei Giochi 1924 di Parigi, con la dichiarata opzione di reiterazione, ma la stretta vicinanza con la menzionata Sessione Olimpica di Roma nel 1923, nella quale si sarebbero dovuti giudicare i modelli pervenuti per il concorso, convinse il CIO di posporre il «Concorso internazionale per la Medaglia» alla successiva Sessione olimpica del 1925. Per Parigi 1924, fu il locale Comitato Organizzatore a scegliere il modello di medaglia fra i sei pervenuti da altrettanti giovani artisti francesi, sollecitati da un concorso artistico nazionale.

Il concorso per la medaglia tornò d’attualità nell’ambito della Sessione olimpica svoltasi a Praga tra il 25 e il 28 maggio 1925, nella quale vi fu il passaggio di consegne ufficiale alla testa del CIO tra de Coubertin e Baillet-Latour. Successivamente, nella riunione del Comitato Esecutivo di Parigi, nel mese di novembre, fu stilata la composizione della Giuria per la valutazione delle opere pervenute al Concorso. Essa consisteva nel conte Clary (Francia), il conte de Penha Garcia (Portogallo), il conte de Rosen (Svezia), il signor Krogius (Finlandia), e il signor Devresse. In quella prima sessione di lavoro, il Comitato Esecutivo mise a verbale che:

«La data di chiusura del Concorso Nazionale per la nuova Medaglia Olimpica è stata posticipata al 31 marzo 1926. I fac-simile della medaglia dovranno essere inviati dai Comitati Nazionali Olimpici al Presidente del CIO, al 23 di Rue du Trône, Bruxelles, entro la data del 31 dicembre 1926».

Da questi passaggi, ricostruiti attraverso l’analisi dei Bollettini Ufficiali del CIO [13], si evince che la partecipazione al Concorso sia stata stimolata dai singoli Comitati Olimpici Nazionali alle aziende specializzate e agli artisti ritenuti più competenti in materia; ciò è confermato dall’analisi del carteggio riguardante la medaglia olimpica presso l’Archi­vio del Museo Cassioli ad Asciano [14] contenente la corrispondenza tra il CONI, il CIO, e gli Stabilimenti Artistici Fiorentini (SAF) [15], l’azienda che affidò all’artista fiorentino Giuseppe Cassioli l’incarico di realizzare un modello per partecipare al concorso.

Almeno cinquanta proposte per la realizzazione della medaglia arrivarono al CIO [16]. Parte di esse trovarono spazio nell’esposizione per le Competizioni Artistiche organizzate dal Comitato olimpico olandese. Nella sottosezione per opere di scultura riservata alla medaglistica, si registrò l’affermazione del modello presentato dal noto artista austriaco Edwin Grienauer. La Giuria espresse infine un proprio verdetto, corredato da indicazioni correttive rispetto al modello presentato, e annunciò l’esito del Concorso nell’ultima giornata della Sessione Olimpica svoltasi nel Principato di Monaco, dal 23 al 27 aprile 1927. Erano presenti a quella riunione:

Il Presidente del CIO conte de Baillet-Latour (Belgio), il barone Godefroy de Blonay (Svizzera), il conte Gautier Vignal (Monaco), Jiri Guth-Jarkovsky (Cecoslovacchia), il conte di Rosen (Svezia), Miguel de Beistegui (Mexico), il conte Geza Andrassy (Ungheria), Georges A. Plagino (Romania), Selim Sirry Bey, (Turchia), Jules de Muzsa (Ungheria), Angelo C. Bolanachi (Egitto), il conte di Penha Garcia (Portogallo), Glandaz (Francia), R. de Rio Branco (Brasile), M. Pescatore (Lussemburgo), il marchese di Polignac (Francia), il barone de Laveleye (Belgio), il generale Kentish (Gran Bretagna), J. S. Edström (Svezia), il conte Clary (Francia), Bucar (Yugoslavia), J. de Matheu (America Centrale), Ernst Krogius (Finland), il generale Sherrill (U.S.A.), il principe Lubomirsky (Polonia), il barone Güell (Spagna), J.J. Keane (Irlanda), Alfredo Benavides (Perù), il Dr. Lewald (Germania), il barone A. Schimmelpenninck (Olanda), il conte Alberto Bonacossa (Italia), Fearnley (Norvegia) e lord Rochdale (Gran Bretagna) [17].

Al termine dei lavori, fu il Presidente del CIO in persona, Baillet-Latour, a pronunziare il verdetto della Giuria, non è dato conoscere con quanta enfasi poiché il verbale tratto dal Bollettino Ufficiale è quanto mai essenziale:

«The President informed his colleagues that the design of Professor Cassioli of Florence was chosen by the Judges for the prize medals for future Olympic Games» [18].

A nostro avviso, l’affermazione dell’artista fiorentino fu netta: dopo l’iniziale selezione i modelli rimasti in concorso furono quelli dei tedeschi Edwin Scharff, Josef Wackerle e Richard Langer e degli olandesi Christian H. Van der Hoef e Johannes C. Wienecke, ma nessuno di questi poteva competere con la forza espressiva e insieme narrativa trasmessa dal lavoro di Cassioli. Il Comitato organizzatore olandese scelse il modello di Wienecke per coniare la medaglia di partecipazione di Amsterdam 1928. D’altra parte la dirigenza sportiva italiana aveva ben giocato le sue carte, affidandosi ad un artista già quotato incisore medaglista del suo tempo, capace di cogliere i desiderata neo classicheggianti della Giuria del CIO.

Nei mesi seguenti, dopo la notizia dell’affermazione nel Concorso, iniziò, febbrile, la seconda fatica di Giuseppe Cassioli e dei SAF per rispondere, nei tempi adeguati, alle richieste di modifica del bozzetto presentato con il nome di «Trionfo» e del collegato modello originale, avanzate sia dal CIO che del Comitato Olimpico Olandese e che transitarono attraverso la sede milanese del CONI. L’affermazione di Cassioli nel concorso internazionale godette di una discreta visibilità in Italia e la stampa gli dedicò commenti enfatici. Questa la nota pubblicata nella rivista Lo Sport Fascista [19], fondata e diretta dal­l’allora presidente del CONI Lando Ferretti, nel suo primo numero del giugno 1928:

«Ispirata al più puro classicismo, ma animata da un potente soffio di vita virilmente vissuta, la medaglia rappresenta il trionfo dell’atleta nello stadio: dai particolari anatomici dei corpi perfetti al movimento armonico delle masse, allo sfondo architettonico, è tutta un’euritmia che dà all’opera il crisma inimitabile della nostra arte. Il Trionfo di Cassioli non è, infatti, soltanto l’affermazione d’un nobile artista, ma di tutta una scuola e d’una tradizione, per la quale l’Italia domina ogni rivale là dove si contenda una palma nel nome della bellezza».

L’immagine incisa sul diritto della medaglia comprende la figura della «Gloria» con una corona di alloro nella mano destra e un ramo di palma nella sinistra e sullo sfondo un edificio classico a due ordini di arcate sovrapposte che ricorda, piuttosto vagamente, il Colosseo di Roma senza pur tuttavia averne le caratteristiche architettoniche, gli altri elementi presenti sono un bassorilievo classicheggiante con carro e cavalli e un’anfora panatenaica posta a sinistra della figura principale. La stampa italiana dell’epoca definì regolarmente la figura femminile come la «Gloria»: un elemento interpretativo trascurato poi da altri osservatori che alla figura centrale vollero associare la dea «Nike», ma in maniera impropria dato che alla figura modellata dal Cassioli mancano le ali che sono invece elemento precipuo della Nike di Samotracia. Sul verso della medaglia, certamente molto avvincente, emerge la dinamica scena capace di intestarsi il titolo del modello richiesto: è il trionfo dell’atleta vincitore sollevato e portato a braccia dai compagni che saluta con il braccio destro un invisibile pubblico mentre la mano sinistra stringe la palma della vittoria, sullo sfondo compare un edificio che pare essere un ginnasio più che uno stadio. In basso a destra, vicino al bordo, le iniziali dell’artista «GC», una sigla poi scomparsa nelle repliche, dal 1948 in poi.


4. La realizzazione dell’opera

Monsieur le President

J’ai l’honneur de vous prier de bien vouloir faire part à l’auteur de la médaille, choisie per le Jury du CIO des observations suivantes, qui ont été formulées et de le prier de bien vouloir en tenir compte dans l’exécution définitive:

La saillie était trop forte dans le projet en cire; elle ne l’est pas assez dans le projet en plâtre – la femme sur la face avers était plus souple et plus gracieuse dans le premier projet; déplus elle n’est plus au centre et il y a lieu de conserver le stade qui figurait dans le projet en cire et a été changé dans le second.

Enfin la dimension des lettres dans le cartouche doit être étudiée afin qu’elles ne soient pas trop petites.

Le President du CIO

f° Baillet Latour  [20]

Con questa missiva non datata, indirizzata dal Presidente del CIO al Presidente del CONI, prese avvio il lavoro di Cassioli per adeguare i modelli alle esigenze richieste, perlopiù dovute al rinfresco [21] dei punzoni, fino all’edizione olimpica di Città del Messico 1968; da quella data, si conservò l’impianto progettuale del Cassioli del «fronte» della medaglia e concedendo, da Monaco di Baviera 1972 in poi, ai vari Comitati organizzatori di poter riadattare il «verso» della medaglia, come avvenne regolarmente, ad eccezione dell’edizione di Los Angeles 1984 che ripropose integralmente il tema ideato dall’artista fiorentino.

Cassioli riuscì a far affidare ai SAF la produzione definitiva del modello d’arte e dei punzoni, un lavoro arduo, visto il carteggio piuttosto fitto intercorso tra il Comitato organizzatore olandese, il CONI e l’azienda fiorentina, e con la pressione dei tempi di realizzazione, sostanzialmente ristretti, poiché il Comitato olandese affidò il lavoro finale alla Zecca nazionale olandese con sede ad Utrecht solo nella primavera del 1928. Di questo consistente carteggio ecco una significativa minuta, esemplificativa delle reciproche aspettative [22]:

 

Milano, 13 maggio 1927

 

Egregio Prof. Cassioli

 

Egregio Professore,

Oggi stesso provvedo ad inviarLe i due modelli ritornatici dal C.I.O. e cui unito troverà copia della lettera che il Presidente dello stesso ci invia e nella quale sono indicate le modificazioni da apportare al modello stesso.

Ebbi anche occasione di intrattenermi col Conte Alberto Bonacossa, membro del C.I.O. che era a Monaco ed ebbe occasione di parlare coi membri della Giuria per il Concorso della medaglia. Egli oltre alle modifiche segnalate dal Conte Baillet Latour, mi disse anche che la giuria desiderava che l’Atleta trionfatore figurasse col braccio alzato, come figura nel modello in gesso, e che nel rovescio fosse tolto il putto con la coppa. Mi disse ancora, il Conte Bonacossa, che il Comitato Olimpico Olandese organizzatore delle Olimpiadi prossime avrebbe dato a Lei l’incarico di provvedere ai punzoni perché ne potesse sorvegliare l’esecuzione ottenendo una fedele riproduzione del modello. Questo però non mi è stato confermato da Amsterdam, mentre mi si chiede una fotografia del modello per poter essere pubblicata.

Per quanto riguarda il punzone ho scritto al Comitato Olandese chiedendo assicurazione, e per la fotografia prego Lei a voler essere tanto gentile di farmela avere non appena abbia apportato al modello le modifiche volute dalla Giuria.

Nel bando del Concorso era testualmente detto che il C.I.O. avrebbe accordato un premio all’autore della medaglia prescelta, e non essendo accennato a questo nella lettera del Presidente del C.I.O., oggi stesso glie ne scrivo ricordandogli la clausola che a noi interessa. La terrò informata della risposta.

Mi è grata l’occasione per porgere a Lei Egregio Professore i più cordiali saluti.

 

IL SEGRETARIO GENERALE

  1. Corbari

 

 

Concluso il lavoro di Cassioli e dei SAF, il CONI inviò i punzoni per la realizzazione della medaglia alla corrispettiva organizzazione olimpica olandese. Quanto avvenne successivamente, nella primavera del 1928, è stato ben ricostruito grazie ad uno specifico studio che ha preso in considerazione la corrispondenza intercorsa tra la Zecca di Stato Olandese e il Comitato Organizzatore dei Giochi [23].

La nostra ricerca non ha purtroppo potuto ricostruire l’entità del compenso attribuito dal CIO al vincitore del Concorso e così pure è stato vano il tentativo di reperire il testo del bando del concorso medesimo. Vi è poi una successiva curiosità che deriva dall’osservazione pervenutaci posteriormente alla pubblicazione del nostro lavoro [24] da parte di Patricia Raymond – Collection Manager del Museo Olimpico di Losanna – la quale ci ha posto un interrogativo non banale: perché Cassioli non riprodusse nel suo lavoro la simbologia dei Cinque cerchi olimpici? Questi erano pur stati inseriti – in maniera discreta – nel conio delle Olimpiadi di Parigi del 1924. Un dato è certo e corroborato dal valido carteggio della Medaglia Olimpica conservato nell’Archivio del Museo Cassioli: fra le diverse richieste di modifica al modello presentato in concorso provenienti da parte del CIO, nessuna fa cenno ai cerchi olimpici.

Apparentemente, il CIO riteneva allora il simbolo dei cinque cerchi un’esclusiva della «Bandiera Olimpica»: come ricordato, il drappo esordì ai Giochi di Anversa nel 1920. La bandiera originale rimase il vessillo olimpico fino all’edizione di Seul 1988: secondo un cerimoniale invariato nel tempo, essa era issata durante la cerimonia d’aper­tura, ammainata alla chiusura, poi avvolta e consegnata dal Sindaco della città che ave­va appena ospitato i Giochi al Presidente del CIO, che a sua volta la porgeva al primo cittadino della sede olimpica successiva [25].

È probabile che il simbolo dei Cinque cerchi risultasse estraneo alle linee guida neo classiche già redatte nel 1925, se non sin dal 1921. Perfino quando il conio subì un primo restyling evidente – Tokio 1964 – non vi fu spazio per la simbologia dei cinque cerchi, neppure la concessione ai LOC di personalizzare il verso la medaglia favorì immediatamente la comparsa di questo simbolo, visto che il primo privilegio toccato a Monaco 1972, si esaurì nella raffigurazione simbolica di Castore e Polluce, patroni degli sportivi e dell’amicizia tra i popoli. Saranno i Giochi di Barcellona del 1992 a vedere i Cinque cerchi inclusi nella figura originale ideata dal Cassioli. Si osserva infine come l’ope­ra del Cassioli non sia stata ancora messa adeguatamente in evidenza nel Museo Olimpico di Losanna che dedica un’intera sala alla collezione delle medaglie olimpiche, senza fare cenno né biografico né artistico al Cassioli, la cui opera è stata – lo ricordiamo – replicata per diciassette edizioni olimpiche estive dal 1928 al 2000.


5. Giuseppe Cassioli artista eclettico

Nato a Firenze nel 1865, figlio d’arte del senese di Asciano Amos Cassioli, Giuseppe maturò negli anni ottanta dell’Ottocento mostrando fin dai suoi primi lavori un eclettismo che lo portò ad apprezzati risultati nella pittura, nella scultura e nella progettazione di allestimenti artistici. Se il padre Amos gli fece da maestro nell’arte pittorica, in quella scultorea fu il noto artista senese Tito Sarrocchi a seguirne i primi passi e farne maturare le potenzialità. Nel 1888 a Giuseppe Cassioli venne commissionata la porta bronzea laterale destra del Duomo fiorentino di Santa Maria del Fiore, un lavoro che si dilatò nel tempo per una lunga serie di avversità, tra le quali la scomparsa del padre Amos. Ma furono principalmente le difficoltà di carattere economico – la commessa prevedeva che l’artista dovesse eseguire a proprie spese la fusione – a rallentare la realizzazione dell’opera. La porta venne ufficialmente inaugurata nel giugno del 1899, con unanime consenso e apprezzamento di critica. Questa realizzazione fu eseguita alla maniera rinascimentale del Ghiberti e rappresentò il momento più alto della produzione scultorea di Cassioli che, in seguito, si espresse nei progetti e nelle realizzazioni del monumento funebre a Gioacchino Rossini nella chiesa fiorentina di Santa Croce (1902), nell’altare monumentale della chiesa di Christchurch in Nuova Zelanda (1916) e negli elementi scultorei della facciata neogotica del Duomo di Arezzo (1915).

La sua produzione pittorica trovò invece il suo punto più alto nella decorazione della cupola della basilica di San Luca a Bologna, ultimata nel 1932, ma sono opera sua le decorazioni delle sale del palazzo della Borsa di Odessa e le decorazioni interne alla chiesa dei Sette Santi Fondatori a Firenze, eseguite tra il 1927 e il 1934. Centro del lavoro di Giuseppe Cassioli fu lo studio/atelier fiorentino del Viale Principe Eugenio, dove operò anche con il figlio Giuseppe Amos, nato nel 1901 dal matrimonio con Chiara Lardori. Egli realizzò in quello studio apprezzati lavori di arte decorativa, quadri, statue, monumenti, altari, stucchi, progetti per edifici sacri e civili, vetrate, bronzi, oreficeria e medaglie. In questo settore, nel 1910, Cassioli vinse un concorso internazionale per la realizzazione dei distintivi celebranti il Centenario della Repubblica Argentina e di seguito elaborò medaglie celebrative in onore di Edmondo De Amicis e di Giosuè Carducci, ma la Medaglia Olimpica resta il suo successo più importante. Il fondamentale carattere estetico delle opere di Cassioli consiste nella sua grande capacità di conferire l’espressività del movimento ai soggetti ritratti, non solo nelle scene allegoriche o fantastiche, ma ugualmente in scene dove la ricostruzione storica deve avvincere e convincere [26].

Giuseppe Cassioli scomparve il 5 ottobre 1942 e fu sepolto nel Cimitero monumentale delle Porte Sante presso la basilica di San Miniato, il luogo che accoglie le spoglie delle più alte personalità fiorentine e che ospita numerosi monumenti e cappelle di gusto neogotico progettati dal Cassioli medesimo. Pur celebrato dal regime per la sua affermazione nel Concorso olimpico, l’autorevole professore all’Accademia rimase, per il ruolo e per sua modestia e ritrosia, discretamente fuori dal vivace contesto artistico e letterario fiorentino del primo dopoguerra e non divenne mai un artista simbolo del fascismo. Curiosamente la toponomastica fiorentina ha dedicato una strada al padre Amos, non a lui.


6. La riconoscibilità del premio più ambìto

Il CIO è riuscito nel tempo a garantire continuità per la realizzazione delle medaglie dei Giochi Olimpici estivi. La minaccia più seria in senso contrario avvenne nel 1936, per le Olimpiadi di Berlino. Il Comitato organizzatore tedesco aveva preparato una propria versione della medaglia, che fu rigettata dal CIO e riciclata come medaglia di partecipazione assegnata ai concorrenti olimpici. Sul verso di questa medaglia figuravano cinque cerchi olimpici sormontati e ghermiti dagli artigli dell’aquila germanica.

La continuità è durata per oltre settant’anni e s’è interrotta per l’edizione olimpica di Atene 2004, per la quale il CIO accolse la richiesta del locale Comitato Organizzatore di predisporre un restyling del prezioso simbolo, realizzato dall’artista ellenica Elena Votsi. La nuova medaglia olimpica raffigura una Nike alata che sormonta lo stadio Panathinakos e sullo sfondo si distingue la sagoma dell’Acropoli Ateniese: una simbolica celebrazione del faticoso ritorno, a 104 anni dall’edizione inaugurale, alle origini territoriali del movimento olimpico. Il lavoro di Elena Votsi è stato confermato dal CIO per i Giochi di Pechino 2008, Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016. Solo i posteri diranno se questa rinnovata versione dell’ambito premio permarrà nel tempo più di quella del Cassioli.


7. La ricollocazione storica di un grande artista

Giuseppe Cassioli, chi era costui? Questo specifico interrogativo è stato inoltrato al CONI dal Museo Olimpico di Losanna e ha dato il via alla ricerca che ha messo in luce il poliedrico talento e il contesto degli eventi in cui l’artista si è mosso. La ricerca ci ha prima condotto presso il Museo Cassioli di Asciano, terra d’origine del padre Amos, dove oltre a diverse opere è custodito un non ordinato archivio di documenti donato dagli Eredi Cassioli al Comune di Asciano. Fra essi, è stata reperita la busta intitolata «Documenti della Medaglia Olimpica», rivelatasi fondamentale per gli sviluppi della ricerca e che ha consentito l’individuazione degli Stabilimenti Artistici Fiorentini, il cui archivio aziendale ha impresso un’accelerazione della ricerca, grazie alla visione dei molti disegni preparatori del Cassioli medaglista, custoditi dal SAF e soprattutto di ammirare, perfettamente conservati i punzoni originali che produssero il «conio» della medaglia di Amsterdam 1928. Tutti questi elementi hanno permesso di rispondere alla domanda originaria ed inoltre di fornire una valutazione più profonda della caratura di questo grande artista italiano.


NOTE

[1] G. Reineri, Il comitato internazionale olimpico, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2004.

[2] G. Reineri, Il comitato internazionale olimpico, cit.

[3] G. Reineri, Il comitato Internazionale olimpico, cit.

[4] A. Lombardo, Il fascismo alle Olimpiadi, in Sport e Fascismo, Milano, 2009, p. 57.

[5] T. Forcellese, L’Italia e i Giochi Olimpici, Milano, 2013, p. 22.

[6] T. Forcellese, L’Italia e i Giochi Olimpici, cit., p. 87.

[7] A. Lombardo, Il fascismo alle Olimpiadi, cit., p. 57.

[8] A. Lombardo, Il fascismo alle Olimpiadi, cit., p. 59.

[9] G. Bonini, F. Cervellati, Giuseppe Cassioli – L’Artista delle Medaglie Olimpiche, Firenze, 2018. A questa pubblicazione faranno riferimento gran parte dei contenuti di questo articolo.

[10] A. Lombardo, Il fascismo alle Olimpiadi, cit., p. 51.

[11] A. Lombardo, Il fascismo alle Olimpiadi, cit., p. 63.

[12] A. Lombardo, Il fascismo alle Olimpiadi, cit., p. 55.

[13] Official Bulletin of the International Olympic Committee, Losanna, 1925.

[14] Il Museo Cassioli di Asciano (SI) raccoglie una corposa quantità di opere donate dalla famiglia dei due artisti ascianesi di origine, Amos e Giuseppe Cassioli, rispettivamente padre e figlio. Presso l’Archi­vio del Museo è conservato anche un carteggio sulla Medaglia Olimpica che si è rivelato indispensabile ai fini della ricerca effettuata.

[15] Gli Stabilimenti Artistici Fiorentini che realizzarono i modelli e successivamente i punzoni per la realizzazione della medaglia olimpica per i Giochi di Amsterdam del 1928 – prodotta materialmente con i conii realizzati con i suddetti punzoni dalla Zecca di Utrecht – esistono ancora oggi ed hanno sede in Firenze. Presso il loro archivio si trovano numerosi bozzetti e disegni realizzati da Giuseppe Cassioli e una copia dei modelli realizzati per la partecipazione al Concorso per la Medaglia Olimpica.

[16] Elemento non comprovato e che fa riferimento alla narrazione del concorso fatto dalla stampa italiana ed in parte al carteggio dell’Archivio Cassioli.

[17] Official Bulletin of the International Olympic Committee, Losanna, 1927.

[18] Official Bulletin of the International Olympic Committee, Losanna, 1927.

[19] L. Ferretti, Lo Sport Fascista, A. I, n. 1, Milano, giugno 1928.

[20] Archivio Museo Cassioli, Carteggio della Medaglia Olimpica.

[21] Operazione di rifinitura degli incisori che osservando il modello d’arte originario realizzato dallo scultore, “rinfrescano” il punzone curandone i dettagli e particolari affinché continui nel tempo ad emergere la qualità della precisione artigiana originaria.

[22] Archivio Museo Cassioli, Carteggio della Medaglia Olimpica.

[23] AA.VV., Olympic Medals Amsterdam 1928, in Journal Of Olympic History, Vol. 1, n. 3, 2011.

[24] G. Bonini, F. Cervellati, Giuseppe Cassioli – L’Artista delle Medaglie Olimpiche, Firenze, 2018.

[25] E. Trifari, Glossario dei simboli olimpici, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2004.

[26] AA.VV., Museo Cassioli, Comune di Asciano, 1991.