Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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La giurisprudenza del collegio di garanzia dello sport nei suoi primi tre anni di attività * (di Laura Santoro, Professore ordinario nell’Università di Palermo.)


This work focuses on the most important decisions pronounced by the Sport Guarantee Committee (Collegio di Garanzia dello Sport) since 2014 until now. The aim is to analyze and describe the most important orientations that have emerged in the sport jurisprudence, trying to provide sufficient legal certainty. Some of the most important interpretative guidelines relate to the substantive law applicable to the matter and some others related to the procedural rules

SOMMARIO:

1. Limiti e finalità del presente lavoro - 2. L’intervento delle Sezioni unite del Collegio di Garanzia dello Sport - 3. I casi di rimessione della causa alle Sezioni unite - 3.1. Delimitazione dell’ambito di competenza del Collegio di Garanzia dello Sport - 3.2. I limiti del sindacato di legittimità del Collegio di Garanzia dello Sport - 3.3. Dies a quo di decorrenza del termine per la conclusione del procedimento disciplinare - 3.4. Termine per la proposizione del ricorso al Collegio di Garanzia quale giudice in unico grado - 4. Questioni relative all’interpretazione di norme procedurali - 4.1. La legittimazione attiva e passiva - 4.2. La vocatio in ius della Federazione - 4.3. L’intervento ad adiuvandum e ad opponendum, con particolare riguardo alla figura del Procuratore federale - 4.4. Termine per il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport - 4.5. Termini di estinzione del giudizio disciplinare - 4.6. Ulteriori termini del giudizio - 4.7. Qualificazione dei termini per l’esercizio dell’azione disciplinare - 4.8. Autonomia del giudizio sportivo rispetto al giudizio penale - 4.9. Principi del processo civile ritenuti applicabili al processo sportivo - 4.9.1. Il divieto di nuovi mezzi di prova in appello - 4.9.2. Il principio di autosufficienza del ricorso - 4.9.3. Il principio della «ragione più liquida» - 4.9.4. Astensione e ricusazione - 4.9.5. Principio della perpetuatio jurisdictionis - 4.9.6. Sospensione feriale dei termini - 4.9.7. Il contenuto della sentenza - 4.9.8. La composizione del collegio giudicante - 4.10. Lo standard probatorio per la pronuncia di condanna - 4.11. Il contenuto del ricorso innanzi al Collegio di Garanzia - 4.12. Ulteriori principi su questioni di ordine procedurale - 5. Questioni relative all’interpretazione di norme di diritto sostanziale - 5.1. Principio di gerarchia delle fonti - 5.2. Rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo - 5.3. Principio di lealtà sportiva - 5.4. La nozione di illecito sportivo - 5.5. Il requisito dell’esercizio in concreto dell’attività sportiva per le società e associazioni sportive - 5.6. Il titolo sportivo - 5.7. Il tesseramento - 5.8. Il contributo di solidarietà promozione - 5.9. Il marketing associativo - 5.10. La responsabilità oggettiva delle società sportive - 5.11. Diritto di accesso e trasparenza amministrativa in ambito federale - 6. Le proposte di modifica de iure condendo - NOTE


1. Limiti e finalità del presente lavoro

Dal novembre 2014, mese di avvìo della sua attività, al 15 febbraio di quest’anno il Collegio di Garanzia dello Sport ha prodotto un numero di sentenze (circa duecentotrenta) dal cui esame è dato estrapolare una serie di principi sui quali è possibile già delineare una «giurisprudenza» del Collegio stesso, che funga da riferimento per l’operatore giuridico impegnato nell’ambito della giustizia sportiva [1]. La riforma del sistema della giustizia sportiva, attuata con l’emanazione del Codice della Giustizia Sportiva (CGS) nel luglio 2014 [2], ha previsto, come è noto, regole processuali e organi giudicanti tendenzialmente uniformi per tutte le Federazioni sportive, pur restando salva la competenza di queste ultime nel definire le fattispecie dei comportamenti rilevanti sotto il profilo disciplinare, anche in conformità a quanto previsto dalla rispettiva Federazione internazionale di appartenenza [3]. Questa uniformità, avvalorata dall’istituzione del Collegio di Garanzia dello Sport, quale organo di giustizia di ultimo grado rispetto a tutte le Federazioni sportive [4], si è realizzata, nel concreto del­l’attività ermeneutica svolta dal Collegio di Garanzia, anche per la sua funzione nomofilattica, nella delineazione di una serie di principi che formano il diritto sportivo positivo giurisprudenziale. La presente trattazione, in ragione della funzione svolta da chi scrive all’interno del Collegio di Garanzia, si limiterà ad un’analisi ragionata, ma dal taglio meramente descrittivo, dei principali approdi giurisprudenziali delle Sezioni unite e delle singole Sezioni del Collegio, nell’intendimento di offrire un ausilio all’interprete delle norme di diritto sportivo, in assenza, allo stato attuale, di una raccolta sistematica delle massime degli organi di giustizia sportiva. Dalle sentenze emanate dal Collegio di Garanzia in questi primi tre anni di attività è dato ricavare molteplici indici interpretativi in ordine alle norme procedurali che regolano il giudizio innanzi allo stesso Collegio, nonché i giudizi in sede endofederale. Essi concernono, tra l’altro, l’ambito di competenza e i limiti del sindacato del Collegio di Garanzia, la legittimazione attiva e passiva, il diritto di intervento, la natura dei termini per la proposizione del ricorso e delle [continua ..]


2. L’intervento delle Sezioni unite del Collegio di Garanzia dello Sport

Prima di addentrarci nell’esame di questa giurisprudenza, una notazione va fatta con riguardo all’attività delle Sezioni unite del Collegio, che, a mente dell’art. 56, com­ma 5, CGS, oltre a giudicare in via esclusiva le controversie relative agli atti e ai provvedimenti del CONI, decide, altresì, ogni altra controversia che il Presidente del Collegio, anche su proposta del Presidente di una Sezione, ritenga di sottoporre al suo esame per i profili di rilevanza e di principio che essa riveste. V’è da osservare, al riguardo, che in sede di seconda riforma del Codice della Giustizia sportiva, è stato modificato l’art. 57, comma 2, lett. c), che prevede l’assegnazione ad opera del Presidente del Collegio di «ciascuna controversia alla sezione di competenza», con l’inserimento dell’inciso «o, in caso di sovraccarico, ad altra sezione, ovvero alle Sezioni unite». L’intervento delle Sezioni unite, al di fuori dei casi di impugnazione di atti e provvedimenti del CONI (casi, peraltro, residuali), ovvero di sovraccarico dell’organo, stante alla lettera della norma sembrerebbe riferito ad ipotesi numericamente contenute. Al contrario, dati alla mano, le decisioni assunte dal Collegio a Sezioni unite, nel suo primo anno di attività, hanno rappresentato poco più del 40% dell’intero ammontare delle decisioni del Collegio di Garanzia, sommate quelle di tutte e quattro le Sezioni giudicanti. Tale valore è sceso gradualmente negli anni successivi, assestandosi nel 2017 alla soglia di poco più del 22% [5]. Va osservato, peraltro, che soltanto in pochissimi casi la rimessione alle Sezioni unite è avvenuta su iniziativa della singola Sezione giudicante alla quale la controversia era stata preliminarmente assegnata per ragioni di competenza [6]. Va, inoltre, evidenziato come il potere del Presidente del Collegio di decidere l’assegnazione di una causa alle Sezioni unite non è passibile di censura, come le stesse Sezioni unite hanno avuto modo di precisare nella prima decisione da esse emessa (7 gennaio 2015, n. 1 – G. Malagò v. FIN) [7]. Questa causa, già di per sé di particolare rilevanza per l’alta carica istituzionale che ne è stata parte, ha costituito, altresì, occasione per risolvere la questione dell’inte­grazione nella [continua ..]


3. I casi di rimessione della causa alle Sezioni unite

I casi di rimessione alle Sezioni unite per questioni di principio, che saranno trattati nei paragrafi che seguono, concernono l’ambito di competenza del Collegio di Garanzia e i limiti del suo sindacato, ai sensi dell’art. 54 CGS e dell’art. 12 bis Stat. CONI; l’identificazione del momento dal quale fare decorrere il termine per la conclusione del procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 38, comma 1, CGS; la definizione del termine per la proposizione del ricorso al Collegio nei casi in cui sia chiamato a decidere in unico grado, ai sensi dell’art. 54, comma 3, CGS. Vi sono, poi, altri tre casi di rimessione del ricorso alle Sezioni unite, sui quali ci si limiterà a brevi accenni per le ragioni qui di seguito spiegate. Le questioni in essi trattate concernono le modalità di pubblicazione delle decisioni dei giudici endofederali, la stipula del contratto di ingaggio dei corridori ciclisti professionisti e il premio alla carriera nell’ambito del contratto di lavoro sportivo. Nel primo caso, assegnato originariamente alla I sezione, parte ricorrente, cui era stata comminata la sanzione della perdita della gara per aver schierato in campo un giocatore che al tempo della gara stessa risultava squalificato, lamentava che la pubblicazione della decisione del Giudice sportivo, che aveva comminato la squalifica al giocatore, non fosse avvenuta con le modalità prescritte dai Codici di Giustizia Sportiva del CONI e della F.I.G.C. (ovvero mediante pubblicazione sul sito internet della Federazione), bensì con le modalità previste dalle N.O.I.F. (vale a dire a mezzo comunicato ufficiale affisso presso la sede federale). Il Collegio, tenuto conto della singolarità della questione oggetto del giudizio, nonché del potenziale conflitto tra la normativa del CONI e quella endofederale, ha quindi deciso di rimettere la questione alle Sezioni unite con provvedimento del 20 gennaio 2017, n. 7, cui è seguita la decisione delle Sezioni unite pubblicata nel solo dispositivo l’8 marzo 2017; ad oggi non risultano ancora pubblicate le motivazioni, ragione per cui non si può dar conto di tale decisione. Un altro caso di rimessione della causa alle Sezioni unite, sul quale ci si limiterà a riferire l’iter, è quello originariamente assegnato alla IV sezione, che coinvolgeva due tesserati della Federazione ciclistica sanzionati nel secondo grado del [continua ..]


3.1. Delimitazione dell’ambito di competenza del Collegio di Garanzia dello Sport

L’art. 54, comma 1, CGS dispone, come è noto, che «Avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale ed emesse dai relativi organi di giustizia, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro, è proponibile ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, di cui all’art. 12 bis dello Statuto del CONI. Il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti». Tale norma è stata oggetto di duplice rimessione al vaglio delle Sezioni unite sotto il profilo attinente alla delimitazione dell’ambito di competenza, da un lato, ed alla definizione dei limiti del sindacato di legittimità del Collegio di Garanzia, dall’altro. Con riguardo alla prima questione, il Collegio di Garanzia, ancor prima del caso rimesso alla sua cognizione su iniziativa della IV sezione (sent. 11 aprile 2016, n. 17), ha avuto modo in più occasioni di passare al suo vaglio interpretativo la norma contenuta nell’art. 54 CGS che, delimitando l’ambito della competenza del Collegio, esclude, come sopra detto, le controversie in materia di doping e quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a diecimila euro. In proposito, si è posta la questione se la competenza del Collegio possa dirsi esclusa nel caso in cui, nel corso del giudizio di merito in primo grado, sia stata irrogata una sanzione superiore ai sopra detti minimi edittali, la quale sia stata successivamente ridotta in grado di appello al di sotto di essi. Con sent. 18 gennaio 2016, n. 3, le Sezioni unite hanno in proposito statuito che «La norma de qua intende investire il Collegio di Garanzia del controllo delle decisioni assunte dagli organi di giustizia federali sulle controversie più rilevanti, ad esclusione di quelle bagatellari». È detto, altresì, che «La norma di cui all’art. 54, comma 1, va interpretata non letteralmente ma in via sistematica e funzionale. Non può essere l’esito del giudizio di secondo grado a radicare o meno la [continua ..]


3.2. I limiti del sindacato di legittimità del Collegio di Garanzia dello Sport

L’art. 54 CGS, come sopra accennato, è stato oggetto di vaglio in altra decisione di rimessione alle Sezioni unite sotto il profilo attinente ai limiti del sindacato di legittimità del Collegio di Garanzia dello Sport. Come già ricordato, ai sensi del citato art. 54, il ricorso al Collegio di Garanzia «è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti». In molteplici occasioni il Collegio di Garanzia, anche a Sezioni unite, si è pronunciato in merito all’interpretazione delle norma de qua, ora chiarendo che la congiunzione «nonché» va letta alla stregua di «due alternative» [10]; ora specificando che «Il Collegio di Garanzia non può procedere ad una nuova valutazione dei fatti» [11], così distinguendo nettamente il giudizio di questo organo di giustizia rispetto al sindacato del soppresso TNAS; ora precisando che «il Collegio di Garanzia può valutare la legittimità della misura di una sanzione solo se la stessa è stata irrogata in palese violazione dei presupposti di fatto o di diritto o per la sua manifesta irragionevolezza» [12]. In questo senso si è avuto modo in più occasioni di precisare che «l’apprezzamento favorevole per l’incolpato di una circostanza di fatto, ai fini della commisurazione della sanzione, costituisce esplicazione di una attività squisitamente discrezionale del Giudice di merito, come tale non censurabile col ricorso innanzi a questo Collegio allo scopo di farne invece scaturire una diversa valutazione in termini di disvalore» [13]. Non del tutto chiara appare la norma de qua nella parte in cui delinea il vizio motivazionale, che, se da una parte sembra ricalcare quello delineato dall’art. 360 c.p.c. per il ricorso in Cassazione, dall’altro sembra discostarsene sotto il profilo dell’accerta­mento dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Anche la giurisprudenza del Collegio di Garanzia sul punto sembra rivelare, almeno all’apparenza, un contrasto di indirizzo. Infatti, da una parte si afferma che «La disposizione riprende (parzialmente anche sotto il profilo lessicale) quanto disposto dall’art. 360 c.p.c. in [continua ..]


3.3. Dies a quo di decorrenza del termine per la conclusione del procedimento disciplinare

Altra questione portata all’attenzione delle Sezioni unite, con rimessione disposta in seno alla stessa sentenza della IV sezione n. 17/2016, sopra richiamata, concerne il quesito se il momento dal quale computare il decorso del termine per la conclusione del procedimento disciplinare vada identificato nel giorno in cui la Procura ha assunto notizia dell’illecito, ovvero in quello in cui ha proceduto a formalizzare l’incolpazione con atto di deferimento. Secondo il comune orientamento il procedimento disciplinare ha avvio con la formulazione dell’incolpazione in seno all’atto di deferimento e, quindi, il momento dal quale computare il decorso del termine per la conclusione del giudizio con la pronuncia della decisione di primo grado (novanta giorni) coincide con la data dell’atto di deferimento. Tuttavia, la constatazione, da un lato, dell’assenza, sia nei regolamenti federali che in quelli del CONI, di una norma che assegni alla Procura federale un termine per iscrivere la notizia di infrazione pervenuta da quando ne abbia avuto conoscenza, e, dall’altro, del notevole lasso di tempo che nei fatti può intercorrere prima che la Procura proceda a tale adempimento (come nel caso de quo in cui erano trascorsi oltre sei mesi tra la data in cui la Procura della FIR aveva assunto notizia dell’infra­zione disciplinare, a seguito dell’esposto di un tesserato, e la data in cui aveva formalizzato l’atto di incolpazione e deferimento a giudizio) ha motivato la rimessione della questione alle Sezioni unite. Nella sentenza di rimessione si dà atto che «Il processo sportivo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e gli altri principi del giusto processo.
I giudici e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo nell’in­teresse del regolare svolgimento delle competizioni sportive e dell’ordinato andamento dell’attività federale (...). Potrebbe quindi apparire irragionevole, e in violazione del principio della parità delle parti, ritenere che l’inizio del procedimento sanzionatorio sia rimesso esclusivamente al vaglio della Procura». Le Sezioni unite sul punto hanno espresso l’avviso che «Non è possibile che una Procura rimanga indifferente alla notizia di una infrazione e proceda in modo non solerte e a suo piacimento alla iscrizione sul Registro [continua ..]


3.4. Termine per la proposizione del ricorso al Collegio di Garanzia quale giudice in unico grado

Altra questione oggetto di rimessione alle Sezioni unite concerne la definizione del termine per la proposizione del ricorso al Collegio di Garanzia nei casi in cui esso sia chiamato a decidere in unico grado ai sensi dell’art. 54, comma 3, CGS. Detta questione involge più specificamente il caso del ricorso al Collegio di Garanzia per far valere una pretesa di ordine patrimoniale, rispetto alla quale la giustizia endofederale non appronti strumenti di tutela e, dunque, il Collegio di Garanzia sia competente a decidere nel merito in unico grado. Si è posto allora il quesito se la pretesa azionata in giudizio incontri il limite di ricorribilità riferito al termine di prescrizione ordinaria decennale, valevole in generale per i diritti di credito, ovvero quello riferito al termine di decadenza, assai più breve, previsto dall’art. 59, comma 1, CGS in riferimento all’or­dinario giudizio innanzi al Collegio di Garanzia quale giudice di ultimo grado (trenta giorni decorrenti dalla pubblicazione della decisione impugnata). Si evidenzia nella decisione di rimessione (sent. 5 settembre 2016, n. 40) come occorra dar peso, in seno all’ordinamento sportivo, alle esigenze di concentrazione e celerità le quali «trovano riscontro, del resto, proprio nella disciplina del procedimento innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, laddove si prevede non solo un termine per la proposizione del ricorso estremamente contenuto (trenta giorni), ma anche che l’intero procedimento deve essere definito entro sessanta giorni dal deposito del ricorso (art. 58, comma 3, CGS).
Orbene, ritenere che, rispetto alle controversie di carattere patrimoniale volte alla soddisfazione di diritti di credito, promosse direttamente innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, l’unico limite temporale sia costituito dal termine di prescrizione mal si concilia con la realizzazione delle esigenze di concentrazione e celerità sopra indicate e con la stessa disciplina dettata per il procedimento. Si dovrebbe, infatti, ammettere che pretese direttamente incidenti sull’equilibrio competitivo del campionato e sull’equilibrio finanziario di società che ad esso partecipano possano essere instaurate anche a distanza di dieci o cinque anni dallo svolgimento di esso, a seconda dei casi, o anche a maggiore distanza, data la possibilità di interruzione del termine prescrizionale. D’altra [continua ..]


4. Questioni relative all’interpretazione di norme procedurali

Le questioni affrontate dalle Sezioni unite al di fuori dei casi di rimessione da parte delle sezioni semplici, nonché direttamente da queste ultime attengono, come sopra si è accennato, sia a norme di diritto processuale che a norme di diritto sostanziale. Tratteremo, in primo luogo, le questioni di ordine procedurale.


4.1. La legittimazione attiva e passiva

Con riguardo alle questioni di diritto processuale, viene in primo luogo in considerazione quella relativa alla legittimazione processuale nei giudizi endofederali e nel giudizio innanzi al Collegio di Garanzia. Per quel che concerne la legittimazione attiva, come è noto, l’art. 6, comma 1, CGS statuisce che essa «Spetta ai tesserati, agli affiliati e agli altri soggetti legittimati da ciascuna Federazione il diritto di agire innanzi agli organi di giustizia per la tutela dei diritti e degli interessi loro riconosciuti dall’ordinamento sportivo».
 Secondo l’indi­riz­zo interpretativo seguito dal Collegio di Garanzia dello Sport (decisione della I sez., 17 luglio 2015, n. 26) «l’accesso alla Giustizia Sportiva è riservato esclusivamente ai tesserati, ed anche nel caso in cui il rapporto con le Federazioni sia cessato medio-tempore, venendo meno il «compromesso» che vincola al rispetto della giurisdizione endofederale chi non è più tesserato». Si afferma, quindi, la necessità della persistenza del requisito del tesseramento al momento dell’esercizio dell’azione. Questo principio è stato ribadito dalle Sezioni unite con la decisione 3 settembre 2015, n. 39, in cui si afferma che «le condizioni dell’azione devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere sino al momento della decisione». Quanto sopra detto per la legittimazione attiva non vale parimenti per quella passiva, giacché in proposito, come sostenuto dal Collegio di Garanzia, essa è da riconoscersi anche nelle ipotesi in cui il vincolo di appartenenza all’ordinamento sportivo, conseguente al tesseramento, sia venuto meno purché fosse sussistente al tempo in cui è avvenuto il fatto che ha dato causa al giudizio, nonché tutte le volte in cui un soggetto operi al­l’interno dell’ordinamento sportivo pur in assenza della qualifica formale di tesserato [20]. In questo senso si è affermato che «le previsioni statutarie e regolamentari, a cui l’associato soggiace per l’effetto del tesseramento, possono operare anche per il tempo successivo alla cessazione del vincolo associativo, purché riguardino vicende attinenti a quel vincolo e con effetti limitati ad esso» (II sezione, 23 febbraio 2015, n. 5); lo stesso principio è stato [continua ..]


4.2. La vocatio in ius della Federazione

Con riguardo, in particolare, al giudizio innanzi al Collegio di Garanzia, si è affermato il principio della necessità della vocatio in ius della Federazione, ancorché la stessa non sia stata parte nel giudizio di primo grado o di appello. Invero, sul punto è dato rilevare un latente contrasto tra pronuncie di diverse sezioni del Collegio di Garanzia. Con la sent. 23 febbraio, 2015, n. 5, la II sezione nel decidere l’eccezione preliminare proposta dalla Federazione Italiana Kickboxing Muay Thai e Shoot Boxe (FIKB), secondo la quale il ricorso era da ritenersi inammissibile perché indirizzato alla Procura Federale e non anche alla stessa Federazione, ne dichiara l’infondatezza in base alla motivazione che «la Procura Federale costituisce un organo della FIKB, quello, peraltro, deputato all’esercizio dell’azione disciplinare: con­seguentemente l’indicazione della stessa come controparte non allude ad un soggetto diverso, bensì alla funzione esercitata nell’organizzazione federale». Con la sent. 17 luglio 2015, n. 26, invece, la I sezione, nel decidere un ricorso intentato da un tesserato della F.I.G.C. avverso il provvedimento disciplinare inflittogli, sull’eccezione in ordine alla inammissibilità del ricorso stesso per difetto di notifica alla Federazione, ha osservato che essa «deve ritenersi parte del procedimento giudiziale previsto dall’Ordinamento CONI» posto che «l’art. 59 CGS CONI prevede che: «(…) copia del ricorso è trasmessa alla parte intimata e alle altre eventualmente presenti nel precedente grado di giudizio» e, inoltre, «al comma 4 dello stesso articolo, è previsto che all’atto del deposito del ricorso la parte ricorrente deve allegare «l’attesta­zione dell’avvenuta trasmissione del ricorso agli altri destinatari indicati dal comma 1» (…). Sul punto questo Collegio ritiene non sia dubitabile che le singole Federazioni, ove non già parti nei gradi di giudizio endofederali, debbano ritenersi a tutti gli effetti «parte intimata», e dunque, necessario contraddittore nel procedimento innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport». Con successiva sent. 5 agosto 2015, n. 34, la stessa sezione, chiamata a decidere in ordine alla legittimità di un provvedimento che aveva disposto la ripetizione della [continua ..]


4.3. L’intervento ad adiuvandum e ad opponendum, con particolare riguardo alla figura del Procuratore federale

Il Collegio di Garanzia si è espresso, inoltre, sulla questione relativa alla possibilità o meno di intervento ad adiuvandum o ad opponendum nel giudizio disciplinare, nonché, con riguardo specifico alla Procura Federale, alla possibilità di un suo intervento nel giudizio innanzi al Collegio stesso. Con la sent. 10 agosto 2015, n. 35, il Collegio di Garanzia a Sezioni unite ha espressamente affermato il principio dell’inammissibilità dell’intervento «ad adiuvandum o ad opponendum di soggetti terzi in un giudizio che ha per per oggetto una sanzione disciplinare endofederale». Si richiama, in proposito, il precedente dell’Alta Corte di Giustizia (sent. 17 dicembre 2012, n. 27) in cui si afferma che «la struttura bilaterale (duale) del procedimento disciplinare» non consente «alcuna ingerenza ab externo attraverso un intervento principale o ad adiuvandum» in giudizio. Il principio è stato successivamente ripreso dalle stesse Sezioni unite nella decisione 3 settembre 2015, n. 39 (in cui interveniente è lo stesso soggetto la cui domanda di intervento era stata dichiarata inammissibile con la sent. n. 35/2015, sopra citata). In questa occasione, con motivazione più articolata, le Sezioni unite spiegano che l’inammissibilità del­l’intervento di terzo si fonda sul carattere proprio del procedimento disciplinare, che ha «una struttura strettamente binaria nella quale si contrappongono due sole posizioni: da un lato, quella dell’organo che esercita l’azione disciplinare; dall’altro, quella del soggetto (o dei soggetti) destinatario della pretesa sanzionatoria, legittimato a difendersi ed a resistere all’azione. Tra queste due parti soltanto si svolge il procedimento disciplinare e si apre una dialettica processuale, nella quale nessun altro soggetto è legittimato ad intervenire, né per sostenere le ragioni dell’una o dell’altra parte, né per far valere un proprio autonomo interesse (interesse che, del resto, proprio perché autonomo risulterebbe necessariamente indipendente dal procedimento disciplinare e dunque estraneo ad esso). A questa logica fanno eccezione i casi di illecito sportivo, disciplinati dall’art. 33 del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. (nonché dal Titolo V del medesimo Codice) secondo il quale «Nei casi di illecito [continua ..]


4.4. Termine per il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport

Altra questione particolarmente interessante, che coinvolge profili di ordine procedurale, attiene alla definizione del termine stabilito dall’art. 59, comma 1, CGS per la proposizione del ricorso innanzi al Collegio. Già più sopra (par. 3.4) questa norma è stata richiamata sotto l’angolo di osservazione della sua possibile applicabilità ai giudizi in cui il Collegio di Garanzia non sia chiamato a giudicare in ultimo grado, bensì in unico grado. Qui interessa invece soffermarsi sull’aspetto relativo alla decorrenza del termine per impugnare che, come è noto, è riferita dalla norma sopra citata alla «pubblicazione delle decisione impugnata». La norma de qua va interpretata in combinato disposto con l’art. 37, comma 7, CGS il quale dispone che «il ricorso al Collegio di garanzia dello sport rimane improponibile fino alla pubblicazione della motivazione». Dalla lettura delle norme sopra richiamate si evince, quindi, l’inammissibilità di un ricorso al buio e in questo senso si è espresso il Collegio di Garanzia con la decisione 11 aprile 2016, n. 17, resa dalla IV sezione, nella quale si dà conto che ove «per ragioni di celerità, si è inteso scindere il dispositivo e la motivazione ai fini della proposizione del gravame, tale scelta è stata effettuata in maniera esplicita, come per le controversie in materia di diritto del lavoro, dove ai sensi dell’art. 433 c.p.c., è dato al datore di lavoro il potere di impugnare il dispositivo del giudice di primo grado, con riserva di motivi al deposito della motivazione, al fine di chiedere la sospensione dell’esecutività».
Lo stesso principio viene affermato nella sent. 6 luglio 2016, n. 27, resa dalla I sezione, ove in argomento si evidenzia che «con il termine di “decisione” si ritiene doversi evocare il compendio della motivazione insieme con il dispositivo» [22].
 La questione, invero, è stata oggetto di espressa disamina da parte delle Sezioni unite nel primo caso dalla stessa affrontato. In quell’occasione, infatti, si era posto il problema se, impugnato il solo dispositivo, l’impugnazione proposta potesse essere integrata con motivi aggiunti, nel termine di 30 gg. dalla pubblicazione della motivazione e, così facendo, si potesse superare l’eccezione di [continua ..]


4.5. Termini di estinzione del giudizio disciplinare

Secondo l’indirizzo espresso dal Collegio di Garanzia, i termini previsti dall’art. 38, commi 1 e 2, CGS hanno natura perentoria. Si afferma in questo senso che «le disposizioni citate dal ricorrente, nel prevedere che tra l’esercizio dell’azione disciplinare e la decisione debba intercorrere un termine non superiore a novanta giorni, sono evidentemente poste a tutela della posizione dell’incolpato.
La ratio immanente a tale previsione deve essere infatti individuata nel diritto dell’incolpato a non restare in una situazione di incertezza e a vedere definita la propria posizione entro un termine determinato e ragionevole, termine al quale deve riconoscersi natura perentoria proprio in quanto previsto a tutela e garanzia dell’accusato che, al contrario, resterebbe soggetto indeterminatamente o, comunque, per un tempo eccessivamente lungo all’accusa e alla possibilità di essere sottoposto a sanzione.
Vengono in rilievo le fondamentali esigenze di certezza e ragionevole durata dei tempi di definizione dei procedimenti disciplinari, espressamente riconosciute nel CGS (art. 2, comma 3), le quali sarebbero inevitabilmente disattese da un’interpretazione della disciplina di riferimento che consentisse, all’opposto, di lasciare il soggetto accusato in attesa, «sine die», della decisione» (sez. II, 21 novembre 2016, n. 58). Parimenti, la I sezione (decisione 6 luglio 2016, n. 27) ha affermato che «Nessun dubbio, può esservi, allora, circa la perentorietà di termini come innanzi stabiliti, anche considerando come gli stessi risultino essere in perfetta armonia con i principi generali della Giustizia Sportiva che prevedono, espressamente, la massima restrizione dei tempi per la risoluzione delle controversie sportive, dovendosi la giurisdizione armonizzare all’incalzare di qualificazioni, tornei, campionati, ecc.». Più di recente analogo principio è stato affermato dalla IV sezione (decisione 8 maggio 2017, n. 34) e, incidentalmente, dalle Sezioni unite (decisione 9 agosto 2017, n. 59). Va infine osservato che il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 38 CGS determina l’estinzione del giudizio disciplinare, inteso nella sua interezza a far data dall’avvio dell’azione disciplinare e comprendente, quindi, sia il primo che, in caso di appello, il secondo grado di giudizio. Sul punto la I [continua ..]


4.6. Ulteriori termini del giudizio

Si riconosce, invece, natura meramente ordinatoria al termine stabilito per la pubblicazione delle motivazioni [25]. Natura ordinatoria viene, altresì, riconosciuta al termine previsto dall’art. 60, comma 1, CGS per la costituzione in giudizio della parte intimata, giacché esso, secondo l’indirizzo espresso dalle Sezioni unite (sent. 6 maggio 2015, n. 11) e ripetuto successivamemte dalla IV sezione (sent. 9 febbraio 2017, n. 12), è «posto per la presentazione di atti puramente difensivi (non in prossimità dell’udienza di trattazione del merito) e a garanzia delle stesse parti intimate (per evitare che prima del suo decorso siano compiuti atti per le stesse pregiudizievoli) (…) il suo mancato rispetto non determina un danno non rimediabile all’interesse della parte istante». Pertanto «non può ritenersi inammissibile la costituzione in giudizio tardiva della parte intimata, fermo restando il termine per la proposizione del ricorso incidentale (…) e fermo restando il rispetto del termine ultimo per la presentazione di memorie e istanze stabilito dall’art. 60, comma 4», dei quali viene, invece, espressamente affermata, quanto al primo la natura perentoria e, quanto al secondo, la natura decadenziale. È stato, in proposito, altresì precisato che, nel caso di costituzione tardiva in giudizio, la mancata attestazione del versamento del contributo per l’accesso ai servizi di giustizia del CONI, previsto dall’art. 59, comma 4, CGS, non rappresenta condizione di inammissibilità della stessa costituzione, giacché «la parte intimata deve produrre l’attestazione in caso di impugnazione incidentale. (…) Ciò risulta coerente con il principio che il contributo è dovuto da chi chiede l’accesso al servizio di giustizia e non anche da chi intende solo difendersi nel giudizio proposto da altri» (decisione IV sez., 9 febbraio 2017, n. 12) [26]. Natura ordinatoria è stata espressamente riconosciuta, altresì, al termine di dieci giorni previsto dall’art. 29 CGS per la fissazione dell’udienza a seguito dell’atto di deferimento. In questo senso si è affermato che tale previsione ha «una indubbia finalità meramente acceleratoria. Non può ritenersi, quindi, che il termine previsto, estremamente ristretto, sia stato posto a pena [continua ..]


4.7. Qualificazione dei termini per l’esercizio dell’azione disciplinare

Un’importante questione, cui più sopra si è fatto cenno, che ha interessato il Collegio di Garanzia sia nella composizione delle Sezioni unite (decisione 7 aprile 2017, n. 25) che delle singole sezioni (IV sez., 28 marzo 2017, n. 23; II sez., 26 aprile 2017, n. 28; IV sez., 5 luglio 2017, n. 49; II sez., 10 luglio 2017, n. 50; IV sez., 21 luglio 2017, n. 55) con esiti ermeneutici contrastanti, concerne la qualificazione dei termini previsti dall’art. 44, comma 4, CGS in riferimento all’azione del Procuratore federale. In proposito, come è noto, detto articolo dispone che «Quando non deve disporre l’archiviazione, il Procuratore federale, entro venti giorni dalla conclusione delle indagini, informa l’interessato dell’intendimento di procedere al deferimento e gli comunica gli elementi che lo giustificano, assegnandogli un termine per presentare una memoria ovvero, se questi non sia stato già audito, per chiedere di essere sentito. In caso di impedimento a comparire personalmente, l’interessato può presentare una memoria sostitutiva entro i due giorni successivi. Qualora il Procuratore federale ritenga di dover confermare la propria intenzione, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria, esercita l’azione disciplinare formulando, nei casi previsti dallo Statuto o dalle norme federali, l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio comunicato all’incolpato e al giudice e agli ulteriori soggetti eventualmente indicati dal regolamento di ciascuna Federazione». La questione involge più specificamente la natura perentoria ovvero meramente ordinatoria dei termini sopra richiamati, pur nella considerazione di tali qualificazioni secondo la tesi dottrinaria, di cui si fa espresso richiamo nella decisione n. 23/2017, sulla quale si dirà appresso, secondo cui «la differenza tra l’inosservanza di un termine perentorio e quella di un termine ordinatorio non consiste nelle conseguenze che da tale inosservanza si producono, bensì nel fatto che, nel primo caso, la decadenza è un effetto ope legis, che si produce, dunque, ipso iure alla scadenza del termine, senza pos­sibilità di diversa soluzione, mentre, nel secondo caso, è un effetto ope iudicis, giacché spetta al giudice, una volta constatata d’ufficio la mancata [continua ..]


4.8. Autonomia del giudizio sportivo rispetto al giudizio penale

Interessanti spunti si traggono dalla giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport anche per quel che concerne il principio di autonomia tra il giudizio sportivo ed il giudizio penale, e, d’altra parte, l’applicabilità al giudizio sportivo, per quanto non disciplinato, dei principi e delle norme generali del processo civile «nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva», ai sensi di quanto previsto dall’art. 2, comma 6, CGS. Va sul punto preliminarmente osservato come da una larga parte degli operatori giuridici impegnati nelle aule della giustizia sportiva si tenda a trasferire pedissequamente il diritto processuale penale con le sue regole e principi nel falso convincimento di una sua identità col giudizio disciplinare. Tale falso convincimento, probabilmente, dipende dall’osservazione di una forte somiglianza del procedimento disciplinare con quello penale, per la sua articolazione nella preliminare fase di indagine, prodromica alla decisione di archiviazione ovvero di incolpazione e deferimento a giudizio, affidata alla Procura, e nella successiva fase del processo, a seguito del deferimento a giudizio, che si celebra innanzi al Tribunale federale. Anche l’assonanza terminologica dei nomi degli Organi investiti della funzione inquirente e giudicante (Procura e Tribunale) può avere indotto la falsa rappresentazione del giudizio disciplinare secondo il rito del giudizio penale, così come l’ap­plicazione nel procedimento disciplinare in sede endofederale di alcuni istituti, quali le aggravanti e le attenuanti, la continuazione nell’illecito ovvero l’applicazione di sanzioni e adozione di impegni su richiesta e senza incolpazione (ex art. 48 CGS), che ricalcano gli omologhi istituti del diritto penale ovvero il c.d. patteggiamento. Vale in proposito ricordare che la giustizia sportiva, compresa quella disciplinare, è improntata al canone dell’autonomia dalla giustizia statale [29]. Tale autonomia si declina, tra l’altro, nella facoltà del giudice sportivo di «valutare in assoluta libertà gli elementi istruttori raccolti in sede penale, indipendentemente anche dal rilievo penale dei fatti rappresentanti o dal fatto che vi sia stata sentenza di condanna penale» [30]. La giustizia sportiva, dunque, si fonda sui propri principi e regole [continua ..]


4.9. Principi del processo civile ritenuti applicabili al processo sportivo

Tra i principi del processo civile di cui si è fatta applicazione nella giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport vanno richiamati quello secondo cui, in linea generale, non si ammettono nuovi mezzi di prova in appello, il principio di autosufficienza del ricorso, il principio della «ragione più liquida», il principio della terzietà e imparzialità del giudice con il richiamo degli istituti dell’astensione e della ricusazione, nonché, in particolare, del principio della non deducibilità, come motivo di nullità della sentenza, della mancata astensione del giudice in assenza di ricusazione, il principio della perpetuatio jurisdictionis; si è fatta, altresì, applicazione della regola della sospensione feriale dei termini e della disciplina sulla deliberazione collegiale e la sottoscrizione della decisione ex art. 276 c.p.c., nonché del principio della immutabilità del giudice con riguardo alla composizione dell’organo giudicante.


4.9.1. Il divieto di nuovi mezzi di prova in appello

In ordine al primo dei richiamati principi, la IV sezione, con la decisione 2 febbraio 2016, n. 7, in base all’espresso richiamo dell’art. 345 c.p.c. (così come modificato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 11 agosto 2012, n. 143), ha interpretato la norma di cui all’art. 30, comma 30, CGS della F.I.G.C. nel senso che essa «lungi dall’ammettere la possibilità di produrre nuove prove nel giudizio di 2° grado, ha il significato di riconoscere efficacia probatoria di avvenuto pagamento soltanto ad alcuni specifici documenti, i quali devono comunque essere stati già prodotti nel giudizio di primo grado». In senso almeno apparentemente difforme si è, invece, pronunciata la I sezione, con la decisione 21 febbraio 2017, n. 15, secondo cui «sia in linea di principi generali che secondo le regole di procedura sportiva, è appena il caso di ricordare che, anche nel processo civile, nel giudizio di appello possono essere ammesse nuove prove, compresi i documenti, laddove utili a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sulla esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata». In ordine all’assunzione dei mezzi di prova, va incidentalmente ricordato che il Collegio di Garanzia ha puntualizzato che, in riferimento al giudizio disciplinare nell’ambito della Federcalcio, ma il principio può rivestire una valenza ben più generale, «una volta esaurita la fase delle indagini, il procedimento disciplinare prosegue davanti agli Organi giudicanti sulla base degli elementi probatori posti a fondamento dell’atto di deferimento e delle memorie difensive, che costituiscono, invero, gli atti introduttivi, rispettivamente, della Procura Federale e degli incolpati; essendo scontato che, nel prosieguo del giudizio, gli Organi giudicanti possano (anzi, debbano) assumere gli ulteriori elementi probatori ritenuti utili ai fini della decisione» (II sez., 13 novembre 2017, n. 83).


4.9.2. Il principio di autosufficienza del ricorso

Con riguardo al principio di autosufficienza del ricorso, desunto dall’art. 366 c.p.c. che disciplina il contenuto del ricorso per Cassazione, è dato rilevare un contrasto giurisprudenziale tra la I e la II sezione in ordine alla sua applicabilità al giudizio innanzi al Collegio di Garanzia. Osserva, infatti, la I sezione (decisione 15 novembre 2017, n. 86) «che anche il ricorso innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport soggiace alle regole della cosidetta necessità di «autosufficienza», mutuata questa dall’art. 366 c.p.c.»; mentre la II sezione, in una decisione di pochi giorni successiva (decisione 21 novembre 2017, n. 87) rileva che «nessuna norma del C.G.S. pone per il giudizio sportivo il principio formale di c.d. autosufficienza del ricorso, solo in base al quale potrebbe fondatamente invocarsi in questa sede l’inammissibilità del gravame per omessa indicazione dei fatti materiali da cui si origina la controversia; con il corollario che, nel difetto di una siffatta previsione normativa riferibile al presente procedimento, non può trovare automatica applicazione la notoria giurisprudenza in proposito elaborata dalla Corte di Cassazione; dovendosi viceversa affermare che l’inammissibilità del gravame sportivo per tal causa può predicarsi unicamente in quei casi – tra cui quello in esame palesemente non rientra – in cui risulti concretamente impossibile, anche all’esito di una ragionevole relatio ad altri atti del procedimento richiamati nell’atto processuale introduttivo, pervenire a un’adeguata comprensione dei fatti di causa che ne consenta lo scrutinio». Unitamente al riconoscimento dell’applicabilità del principio di autosufficienza al ricorso innanzi al Collegio di Garanzia, la sopra richiamata pronuncia n. 86/2017 afferma, altresì, l’operatività della regola «della specificità dei motivi di cui all’art. 342 c.p.c.». In proposito, si statuisce che «Circa la specificità dei motivi, invero, si richiede che questi esprimano, individuando le parti della sentenza impugnata che si intende censurare, le norme violate e in che modo, applicate correttamente, dette norme avrebbero dato luogo ad una diversa decisione. Il ricorrente, cioè, non può limitarsi ad esporre un approdo ermeneutico alternativo rispetto a quello accolto dal [continua ..]


4.9.3. Il principio della «ragione più liquida»

Il principio della «ragione più liquida» è stato espressamente richiamato nella decisione della III sezione, 25 marzo 2016, n. 15, ove si afferma che «in applicazione del principio processuale della «ragione più liquida» – desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale, in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio». Più di recente lo stesso principio è stato applicato dalla II sezione nella decisione 13 novembre 2017, n. 83.


4.9.4. Astensione e ricusazione

Il richiamo di principi del processo civile è stato operato, come si è accennato, anche in riferimento alla riconosciuta non deducibilità come motivo di nullità della sentenza della mancata astensione del giudice in assenza di ricusazione. In questo senso, si è espressa la IV sezione, nella decisione 2 novembre 2016, n. 55, in cui si afferma che «il principio per il quale, in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza (…) ben può trovare applicazione in questa sede, in virtù del rinvio ai principi e alle norme generali del processo civile, di cui all’art. 2, sesto comma, del Codice di Giustizia Sportiva». Lo stesso principio è stato più di recente riaffermato dalla II sezione (decisione 13 novembre 2017, n. 82) la quale, dopo avere affermato che «il principio di imparzialità-terzietà del giudice ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo», richiama l’orientamento (Cass., sez. VI, n. 2317/2015) secondo il quale l’in­­compatibilità del giudice non comporta ex se la nullità della sentenza, qualora al­l’assenza di astensione del giudice non abbia fatto seguito l’istanza di ricusazione della parte interessata». Più in generale, con riguardo all’applicazione degli istituti dell’astensione e della ricusazione, il Collegio di Garanzia ha avuto modo di chiarire che l’obbligo di astensione non si applica nei casi di giudizio di revocazione, in ragione del fatto che, in tali casi, «non vi è un altro grado del processo» (IV sez., 4 luglio 2017, n. 47).


4.9.5. Principio della perpetuatio jurisdictionis

Il principio della perpetuatio jurisdictionis è stato espressamente richiamato nella decisione emessa dalla II sezione (24 maggio 2017, n. 40), là dove si afferma che «Giusto il generale rinvio ai principi ed alle norme generali del processo civile, di cui all’art. 2 CGS CONI, il momento determinante della competenza deve, poi, correttamente essere individuato in applicazione del principio c.d. della perpetuatio jurisdictionis, di cui all’art. 5 c.p.c., per il quale «[La giurisdizione e] la competenza si determina[no] con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento di proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo».


4.9.6. Sospensione feriale dei termini

Il principio della sospensione feriale dei termini è stato in più occasioni richiamato dal Collegio di Garanzia come applicabile anche al giudizio sportivo. In questo senso si sono pronunciate, infatti, le Sezioni unite, con la decisione 22 dicembre 2015, n. 69, ove si afferma che «Nel regolamento di giustizia FISE (…) si stabilisce il principio generale di applicabilità delle norme del processo civile. Le regole della sospensione feriale dei termini, dunque, sono applicabili ai procedimenti regolati dal Regolamento di Giustizia FISE, in quanto non disciplinate diversamente da que­st’ultimo e certamente non «incompatibili» con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva». Più di recente, con la decisione emessa dalla IV sezione, 8 maggio 2017, n. 34, si è riaffermato che «in forza del summenzionato rinvio ai principi e alle norme generali del processo civile, il decorso dei termini processuali relativo ai procedimenti che si tengono davanti alle giurisdizioni sportive sia da ritenersi sospeso nel periodo feriale (1º-31 agosto)», ma con la puntualizzazione che tale principio possa trovare applicazione «a meno che non sia disposto diversamente (dai regolamenti federali) e sempre che i procedimenti, per la loro intrinseca natura di urgenza, non possano subire la ridetta sospensione (come accade nei procedimenti riguardanti le iscrizioni delle squadre ai campionati)». La stessa IV sezione, da ultimo, ha fatto nuovamente applicazione del principio in esame nella decisione 21 luglio 2017, n. 53, in cui, nel solco della precedente, ha spiegato come «Utilizzando il filtro della giurisprudenza costituzionale (…) l’istituto in parola assurga al rango di principio processuale generale il quale, al di là dell’istanza di celerità che permea l’ordinamento sportivo e della codifica delle ipotesi di sospensione del procedimento disciplinare, esprime una sovrastante esigenza che finisce per conformare, in via strutturale e per mezzo di una fonte primaria esterna alle singole codificazioni, l’intero sistema processuale italiano e, con esso, i procedimenti giustiziali che da quello attingono con necessità le fondamenta».


4.9.7. Il contenuto della sentenza

Con riguardo al contenuto della sentenza e dell’atto introduttivo del giudizio innanzi al Collegio di Garanzia, dall’esame della giurisprudenza del Collegio si ricavano significative indicazioni ermeneutiche, che sono espressione del principio di «informalità dei procedimenti di giustizia sportiva» enunciato, come sopra detto, dall’art. 2, comma 6, CGS. Con riguardo al contenuto della sentenza, va preliminarmente richiamato l’art. 2, comma 4, CGS il quale dispone che «La decisione del giudice è motivata e pubblica». Il Collegio di Garanzia dello Sport in più occasioni ha fatto applicazione di tale norma alla luce del principio di informalità e di speditezza del processo sportivo, così da ammettere che la prescrizione di cui all’art. 2 sopra citato possa dirsi assolta con motivazioni succinte. Ciò risulta con maggiore evidenza nelle pronuncie concernenti l’ambito della giustizia tecnica. In questo senso, infatti, la I sezione ha avuto modo di affermare che «premesso che gli Organi di Giustizia Sportiva sono soggetti all’obbligo di motivazione delle loro decisioni (cfr. art. 34, comma 2, CGS F.I.G.C.) al pari di qualsiasi altro Organo giurisdizionale, sebbene la propria funzione sia più propriamente giustiziale e non giurisdizionale; tale onere, in ossequio al principio di speditezza cui è improntata la giustizia sportiva (onde non pregiudicare il corretto svolgimento dei campionati), è correttamente assolto con motivazioni succinte che diano conto delle fonti normative e giurisprudenziali, endoassociative, richiamate nella decisione» [33]. Il principio della ’motivazione succinta’ è stato successivamente riaffermato dalla II sezione (decisione 4 agosto 2015, n. 33), in cui viene operato il richiamo, altresì, al­l’art. 132 c.p.c. sui requisiti che deve contenere la sentenza, e, in particolare, al comma 2, n. 4, che prevede «la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione», nonché all’art. 138 disp. att. c.p.c., nella parte in cui dispone che «la motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, numero 4, del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione». Il Collegio conclude, quindi, confermando l’orientamento [continua ..]


4.9.8. La composizione del collegio giudicante

Il Collegio di Garanzia ha, inoltre, affermato che comporta «nullità della sentenza la differente composizione del collegio che pronuncia il dispositivo e di quello che pronuncia le motivazioni, stante il principio, di cui lo stesso Collegio di Garanzia fa espresso richiamo, della immutabilità del giudice (sez. I, 21 febbraio 2017, n. 15). La questione della composizione del collegio giudicante è stata, altresì, affrontata dalle Sezioni unite, nella già più volte citata decisione n. 36/2017, allorché si è affermato che «Per principio pacifico, infatti, le decisioni degli organi collegiali possono essere prese solo dai componenti che hanno titolo a farne parte e nel numero previsto dalle disposizioni che ne regolano il funzionamento. Alla Camera di Consiglio, peraltro, (…) possono partecipare i soli componenti del collegio che deve giudicare sulla determinata questione sulla quale sono stati chiamati a decidere. Non è, invece, possibile ammettere alla discussione altri soggetti. Infatti, la decisione deve essere assunta dai soli componenti del collegio che ne assumono la paternità, con le conseguenti responsabilità, e non può essere influenzata dalle opinioni di altri soggetti che non fanno parte dell’organo giudicante».


4.10. Lo standard probatorio per la pronuncia di condanna

Sulla base delle considerazioni sopra svolte con riguardo all’autonomia tra giudizio sportivo e giudizio penale, può facilmente comprendersi e convenirsi con l’orienta­mento che emerge dall’esame della giurisprudenza del Collegio di Garanzia in merito allo standard probatorio sufficiente a fondare una pronuncia di condanna nel giudizio disciplinare. In proposito, il principio costantemente affermato dal Collegio di Garanzia è che «lo standard probatorio richiesto non si spinge sino alla certezza assoluta della commissione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera astrazione – né al superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. La sua definizione prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione della probabilità, ma inferiore alla esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale principio vigente nell’ordinamento deve assegnarsi una portata generale; sicché deve ritenersi adeguato un grado inferiore di certezza, ottenuto sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire un ragionevole affidamento in ordine alla com­missione dell’illecito. Il comportamento illecito, dunque, «per avere valenza sul piano regolamentare ed essere produrre effetti sul piano disciplinare, deve aver superato sia la fase dell’ideazione che quella così detta preparatoria e essersi tradotto in qualcosa di apprezzabile, concreto ed efficiente per il conseguimento del fine auspicato» [34]. Questo principio è stato più di recente riaffermato dalla IV sezione, con la decisione 3 ottobre 2017, n. 69 e, da ultimo, ribadito dalle Sezioni unite, con la decisione 19 dicembre 2017, n. 93, ove viene operato il richiamo «A conforto di tale orientamento (…) al principio di valutazione probatoria espressamente previsto dall’art. 40, comma 1, delle Norme Sportive Antidoping e considerato ormai acquisito come principio generale immanente all’ordinamento sportivo. In sostanza, nell’accertare una violazione disciplinare, l’organo giudicante deve formarsi un «confortevole convincimento». Per giungere a questo risultato il grado di prova richiesto si deve individuare in un criterio che superi la semplice valutazione delle [continua ..]


4.11. Il contenuto del ricorso innanzi al Collegio di Garanzia

Oggetto di pronunciamento nella giurisprudenza del Collegio di Garanzia è anche il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio. Già più sopra si è avuto modo di rilevare il contrasto giurisprudenziale in ordine al­l’ap­­plicabilità del principio di autosufficienza del ricorso innanzi al Collegio di Garanzia. Viene ora in considerazione un’altra questione sulla quale si è posta l’attenzione del Collegio, chiamato a decidere se la procura costituisca un requisito del ricorso, così che essa debba necessariamente essere riportata in calce allo stesso, ovvero comunque esservi indicata. La questione è stata affrontata dalla IV sezione a fronte di un ricorso sottoscritto dal difensore e in cui difettava l’indicazione della procura conferita dalla parte [35]. Nel caso de quo il Collegio ha osservato che «In proposito, l’art. 58 del Codice della Giustizia Sportiva prevede che «la parte non può stare in giudizio se non col ministero di un difensore, munito di apposita procura» e l’art. 59, comma 3, lett. g), prevede che il ricorso debba contenere, tra gli altri elementi, «l’indicazione della procura al difensore». L’accertamento, operato nella ricostruzione dei fatti di causa, che la procura, ancorché non inserita nel ricorso, era stata comunque rilasciata dalla parte ricorrente, da un lato, e il rilievo del carattere di informalità che ispira il processo sportivo, dall’altro lato, hanno condotto alla decisione di ritenere comunque ammissibile il ricorso ancorché sprovvisto dell’indicazione della procura. Nella motivazione il Collegio pone in risalto la differenza, anche sul piano concettuale, tra la normativa sopra citata di cui agli artt. 58 e 59 CGS e quella dettata dal codice di procedura civile sul contenuto del ricorso in Cassazione, di cui all’art. 365 c.p.c., secondo cui «Il ricorso è diretto alla corte e sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da un avvocato iscritto nell’apposito albo, munito di procura speciale». Il Collegio ha, quindi, rilevato come «le disposizioni, di cui agli artt. 58 e 59 del Codice della Giustizia sportiva, non prevedono, per il caso di mancata osservanza delle prescrizioni in esse contenute, l’effetto della inammissibilità del ricorso e (…) a differenza della [continua ..]


4.12. Ulteriori principi su questioni di ordine procedurale

Ulteriori principi attinenti a questioni di ordine processuale sono stati affermati dal Collegio di Garanzia nelle seguenti materie. In riferimento al contenuto dell’atto di deferimento, il Collegio di Garanzia ha osservato che, specie con riguardo all’incolpazione avente ad oggetto la violazione del dovere di lealtà (stante il suo carattere elastico, sul quale appresso si dirà), «il diritto di difesa dell’incolpato può essere peraltro garantito solo da un atto di deferimento che contenga una chiara e completa contestazione delle condotte ascritte» [37]. Con riguardo al potere d’ufficio del giudice nell’esercizio dell’attività di cognizione, il Collegio di Garanzia, in riferimento all’ambito delle controversie di natura tecnica, ha riconosciuto che il giudice, chiamato a decidere sulla regolarità della gara in base a dati elementi, possa d’ufficio rilevare altre evidenti irregolarità [38]. Con riguardo alla sospensione del processo, le Sezioni unite, con la decisione 9 agosto 2017, n. 59, hanno affermato il principio secondo cui il provvedimento del Presidente, adottato nella forma del decreto, di fissazione dell’udienza per la ripresa delle attività processuali «ha natura ordinatoria» e non è «idoneo ad interrompere la sospensione del procedimento disciplinare». In materia si è altresì precisato, optando per un’interpretazione più restrittiva sul divieto di compimento di atti processuali ai sensi dell’art. 298, comma 1, c.p.c., che «Seguendo, dunque, un’impostazione letterale della norma in esame si può a buon diritto propendere per il divieto assoluto di compimento di atti di natura processuale». Con la stessa decisione sopra richiamata è stato, altresì, affermato il principio secondo cui, in riferimento all’ipotesi dell’annullamento della sentenza senza rinvio ai sensi dell’art. 62 CGS, in presenza di «attività istruttoria definita in primo grado», una scelta nel senso sopra detto è in linea con il «rispetto dei caratteri di celerità e speditezza che informano l’ordinamento sportivo ed in particolare il settore della giustizia sportiva» e «del principio di economia processuale che sottende all’intento di favorire la rapida definizione dei [continua ..]


5. Questioni relative all’interpretazione di norme di diritto sostanziale

Le questioni attinenti a norme di diritto sostanziale, cui si è sopra fatto cenno, spaziano in diversi ambiti del diritto sportivo, da quello più vicino alle materie del diritto pubblico e amministratvo, a quello, invece, più attinente all’area del diritto privato.


5.1. Principio di gerarchia delle fonti

Va in primo luogo rilevato come il Collegio di Garanzia si sia espresso nel senso dell’affermazione del principio di gerarchia tra le fonti dell’ordinamento sportivo [44]. Nel caso in specie tale gerarchia è stata affermata tra fonti federali (Circolare federale e Regolamento di giustizia), ma il principio può essere riferito anche al di fuori dell’ambito endofederale, nel rapporto tra atti normativi della Federazione e atti normativi del CONI con l’affermazione della prevalenza di questi ultimi sui primi.


5.2. Rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo

In ordine poi al rapporto tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, le Sezioni unite, in due occasioni [45], hanno affermato che «La pluralità di ordinamenti è possibile proprio in quanto siano concepibili ordinamenti sociali, con una propria predeterminazione dei soggetti, con una propria (almeno parziale) produzione normativa, con una propria (almeno parziale) organizzazione (autorità). Sarà sufficiente rilevare come sia oggi comune la divisione degli ordinamenti giuridici in due categorie: a) ordinamenti giuridici esprimenti interessi collettivi (fra i quali, soprattutto, gli enti pubblici territoriali, e fra questi, innanzitutto, lo Stato); b) ordinamenti giuridici esprimenti interessi settoriali (come, ad esempio, le associazioni). Il rapporto tra le due categorie di ordinamenti deve essere risolto in termini di non autosufficienza degli ordinamenti settoriali, se pur autonomi sotto il profilo funzionale; e la detta mancanza di autosufficienza deve esprimersi, quanto meno nella conseguenza che gli effetti connessi ad atti provenienti da un ordinamento esprimente interessi settoriali e determinanti conseguenze contrastanti con i principi fondamentali dello Stato (o di altro ente pubblico territoriale) possono legittimamente essere conosciuti e giudicati da quest’ultimo. Deve, quindi, aderirsi alla ricostruzione secondo cui tra gli ordinamenti giuridici esprimenti interessi settoriali e gli ordinamenti giuridici esprimenti interessi collettivi, che a quelli corrispondono, si instaura un rapporto asimmetrico, in quanto i secondi hanno giuridica ragion d’essere soltanto ove riconosciuti dai primi. Sotto un profilo di assoluta generalità, è, dunque, configurabile l’ordinamento giuridico sportivo: ordinamento esprimente interessi settoriali e connotato dal carattere dell’autonomia, ma non dell’autosuf­fi­cienza, dunque, necessariamente in rapporto di collegamento con il corrispondente ordinamento giuridico esprimente interessi collettivi (o con i corrispondenti ordinamenti giuridici esprimenti interessi collettivi)». In altra occasione il Collegio di Garanzia, I sezione, ha invece espresso il convincimento che anche l’ordinamento sportivo sia espressione di interessi collettivi, nella specie «interessi pubblici collettivi» in riferimento all’ambito federale ed alle «norme organizzative di un campionato [continua ..]


5.3. Principio di lealtà sportiva

Va ora richiamato, seppur per brevi cenni, l’orientamento espresso dal Collegio di Garanzia in ordine al principio di lealtà sportiva, stante la sua centrale rilevanza quale principio fondante l’intero ordinamento sportivo. In proposito il Collegio di Garanzia ha evidenziato il carattere elastico che connota il dovere di lealtà, probità e correttezza che fa capo a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo. Dal che se n’è fatto derivare il principio sopra richiamato in ordine al contenuto specifico e dettagliato dell’atto di deferimento. Nel merito si è affermato che i doveri di lealtà e probità «come già espresso dal Collegio di Garanzia (sez. II, decisione 8/2015), sono canoni valutativi del contegno dei tesserati, che non sono suscettibili di essere individuati e specificati una volta per tutte, ma devono essere di volta in volta rielaborati in base alle complesse circostanze del caso concreto, così fissando e specificando il precetto, formulato nella norma in modo ampio e volutamente valutativo» [47].


5.4. La nozione di illecito sportivo

Oggetto di attenzione del Collegio di Garanzia è stata anche la questione relativa alla natura giuridica dell’illecito sportivo. In proposito le Sezioni unite hanno avuto occasione di precisare che esso non rappresenta una fattispecie «a formazione progressiva (…) bensì costituisce illecito di pura condotta, a consumazione anticipata, che si consuma con il semplice compimento di atti diretti ad alterare la gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica che non sia il fisiologico risultato della gara stessa. Il vantaggio effettivo – cioè l’alterazione del risultato – non è elemento costitutivo dell’illecito, bensì mera circostanza aggravante» [48]. Lo stesso principio è stato riaffermato nella sentenza delle stesse Sezioni unite 4 agosto 2016, n. 37, e nella successiva 20 ottobre 2016, n. 52, in cui viene altresì specificata la differenza significativa tra la figura dell’illecito a consumazione anticipata (o di attentato) in sede penale e di quella propria dell’ambito sportivo sotto il profilo della rilevanza, nel primo ordinamento, e della irrilevanza, nel secondo, della idoneità ed univocità degli atti compiuti al perseguimento del risultato. Più di recente sempre le Sezioni unite hanno confermato la natura di reato di attentato da riconoscersi all’illecito sportivo, ponendo in evidenza un’interpretazione sistematica della norma che lo disciplina (nella specie, il riferimento è operato all’art. 7 del Cod. giust. della F.I.G.C.). Si è in proposito affermato che la tesi secondo cui la «soglia di punibilità arretra al compimento di un’attività idonea ad alterare il naturale svolgimento di una competizione (…) trova riscontro anche in virtù di un’inter­pre­tazione sistematica della norma disciplinata dall’art. 7, CGS F.I.G.C. Infatti, al comma 6 del medesimo articolo, si specifica che «In caso di pluralità di illeciti ovvero se lo svolgimento o il risultato della gara è stato alterato oppure se il vantaggio in classifica è stato conseguito, le sanzioni sono aggravate». In questo caso il verificarsi del­l’even­to configura un’ipotesi aggravata di illecito sportivo, che si innesta sulla norma di base, rappresentata dall’art. 7, comma 1, CGS F.I.G.C., e non [continua ..]


5.5. Il requisito dell’esercizio in concreto dell’attività sportiva per le società e associazioni sportive

Va rilevato, poi, l’orientamento espresso dal Collegio di Garanzia in merito alla configurazione delle società ed associazioni sportive quali soggetti affiliati sotto il profilo, in particolare, della necessità dell’esercizio in concreto dell’attività sportiva, compresa l’attività didattica. Con sent. 8 gennaio 2015, n. 2, la III sezione del Collegio di Garanzia dello Sport ha affermato «l’esistenza nell’ordinamento sportivo, di un principio e di una corrispondente prassi applicativa, costantemente e generalmente rispettati dagli organi del CONI, dagli Enti di Promozione Sportiva e dalle Federazioni Sportive Nazionali; nonché dalle società e dalle associazioni sportive. Un principio ed una prassi nel rispetto dei quali le società e le associazioni sportive dilettantistiche si configurano necessariamente quali soggetti che, in modo diretto e/o attraverso propri tesserati, devono in concreto esercitare attività dilettantistica, compresa quella didattica, e non svolgere attività meramente organizzativa e associativa a beneficio di altri soggetti (in particolare società o associazioni).
(…) Il Collegio è persuaso, quindi, che è anche alla luce di tale principio che devono essere correttamente intesi l’art. 3, comma 1, delle “Norme per l’istituzione e funzionamento del Registro Nazionale” ed il requisito, in esso previsto, dello svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica (compresa quella didattica). La ratio di questa previsione, cioè, va rinvenuta anche nell’obiettivo di evitare che associazioni o società sportive dilettantistiche, anziché dedicarsi all’effettivo svolgimento dell’attività sportiva (e didattica), agiscano quali enti meramente associativi e svolgano un ruolo assimilabile a quello di Federazioni Sportive Nazionali, Enti di Promozione Sportiva ecc., limitando la propria azione a raggruppare soggetti affiliati per coordinarne o organizzarne l’attività».


5.6. Il titolo sportivo

Con riguardo alle associazioni e società sportive va richiamato anche l’orienta­mento espresso dal Collegio di Garanzia in riferimento alla intrasferibilità del titolo sportivo che è generalmente sancita nelle carte federali. In proposito, il Collegio ha osservato che «in forza della citata disposizione, risulta vietata qualsiasi ipotesi di trasferimento del titolo sportivo di una società calcistica, anche ove inserito nell’ambito di una procedura fallimentare. L’impossibilità di considerare il titolo sportivo come un asset patrimoniale dell’azienda liberamente trasferibile a titolo oneroso, anche nel contesto di una procedura concorsuale, discende quindi dalla peculiarità dello stesso e dalla valenza al medesimo attribuita dall’ordinamento sportivo nell’ambito della propria autonomia». In altri termini, «Il dettato normativo per cui «in nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica o di cessione» deve essere inteso nel senso di considerare il valore intrinseco del titolo sportivo non già come assoluto, bensì come relativo, ovvero come partecipativo, che trova il proprio riconoscimento nel contesto normativo, quello sportivo, in cui viene a maturare e ad esprimersi. Da tale incontestabile presupposto discende, quale ovvio corollario, la impossibilità di rivendicare la libera disponibilità del citato titolo alla stregua di un qualsivoglia diritto assoluto e, coerentemente, l’impossibilità di considerare il titolo sportivo come un asset patrimoniale del quale la Curatela di una società fallita possa disporre in favore di terzi» [50]. In altra occasione, vertente sempre in un’ipotesi di fallimento di una società sportiva, il Collegio di Garanzia ha riconosciuto l’intervenuto passaggio del titolo, con la conseguente iscrizione al campionato di una nuova società in luogo di quella dichiarata fallita, per effetto di una continuità attestata da una serie di elementi, quali la «medesimezza del contesto cittadino», la «continuità di utilizzo (…) degli stessi colori sociali della precedente società e la continuità di utilizzo dello storico palazzetto dello sport (…) nel quale continua a essere custodito il corpus mechanicum dei prestigiosi trofei revocati dal giudice sportivo [continua ..]


5.7. Il tesseramento

Anche in materia di tesseramento è dato rilevare alcune pronuncie del Collegio di Garanzia da cui possono trarsi interessanti spunti ermeneutici. Giova richiamare, in proposito, una recente pronuncia delle Sezioni unite (decisione 12 settembre 2017, n. 66) in cui è stata accertata l’esistenza del tesseramento tra un’atleta e la Federazione sportiva di appartenenza, con il conseguente riconoscimento del vincolo di giustizia, pur in assenza in capo all’atleta della tessera valida per la stagione sportiva di riferimento. La motivazione a fondamento della decisione predetta poggia sulla distinzione concettuale tra «rapporto di tesseramento» e «tessera». Le Sezioni unite affermano, infatti, che «il tesseramento è il rapporto tra l’atleta e la Federazione, la tessera il documento rappresentativo del richiamato rapporto (…). Da quanto precede emerge che il tesseramento, inteso quale rapporto giuridico-sportivo, è altro rispetto alla sua documentazione. In questa prospettiva, il rapporto giuridico-sportivo non si costituisce con il rilascio della tessera, ma preesiste logicamente alla medesima, che è allora il documento che assume valore probatorio per i fini previsti dal Regolamento medesimo. La costituzione di un rapporto giuridico-sportivo tra atleta e FIT non è, dunque, dovuta al rilascio della tessera, ma alla sussistenza di una relazione tra una persona e la FIT, sia di contenuto organizzativo, sia relativa allo svolgimento di una attività sportiva (nella specie il tennis), secondo quanto previsto dall’art. 84 del Regolamento Organico (“settori di età”). E non è un caso che l’art. 73, nel definire il rapporto di tesseramento, non si limiti alla relazione sportiva tra atleta e FIT, ma estenda il rapporto a qualunque relazione tra una “persona” (dunque anche diversa dall’atleta) e la FIT. Del resto, l’art. 74 R.O., rubricato “Tipi di tessera”, distingue tra “tessera di riconoscimento” e “tessera di riconoscimento e di abilitazione alle gare”, destinate, le prime, a soci e, le seconde, ad atleti. (…) il rilascio di una tessera non è indispensabile per la costituzione di un rapporto giuridico-sportivo (dunque anche per una attività diversa da quella sportiva), ma lo è ai soli fini della partecipazione ad una [continua ..]


5.8. Il contributo di solidarietà promozione

In materia di rapporti economici tra società sportive e Lega e di cessione di contratto di lavoro sportivo tra società vanno richiamati i principi espressi dal Collegio di Garanzia in merito al contributo di solidarietà promozione, al marketing associativo ed al premio di rendimento. In merito al «contributo di solidarietà promozione» il Collegio di Garanzia, rigettando l’eccezione secondo cui lo spostamento patrimoniale che esso realizza risulterebbe eccessivo nella misura e privo di giustificazione sul piano della causa del contratto associativo, afferma che esso «risponde a un’evidente finalità solidaristica, giacché pone a carico delle società neopromosse nella massima serie, che usufruiscono di un cospicuo incremento degli introiti derivanti, in particolare, dalla cessione dei diritti televisivi, un onere mirante all’innalzamento del livello competitivo del Campionato dal quale provengono e, quindi, delle singole società che aspirano, a loro volta, ad accedere alla serie superiore. Al riguardo, occorre tenere presente che l’adesione stessa alla Lega importa la fruizione del beneficio derivante dal pagamento del contributo. Da tale beneficio non sono escluse le società neopromosse nella serie superiore, che, avendo partecipato al Campionato di Serie B, lo hanno ricevuto e che, in caso di retrocessione, potranno percepirlo in futuro. Non può, quindi, sostenersi che lo spostamento patrimoniale abbia carattere unilaterale e non sia caratterizzato, quindi, da sinallagmaticità. È anche grazie ad esso che le società neopromosse sono poste in condizione di raggiungere un livello tale da poter competere con le altre società partecipanti al massimo campionato. Quanto fin qui detto, riguardo all’aspetto causale, vale anche ad escludere, sul piano dell’ordinamento sportivo, il carattere iniquo del contributo di solidarietà promozione e la violazione dei principi di lealtà e regolarità sportiva. Il meccanismo del contributo in questione si inserisce, innanzi tutto, nel quadro più vasto di un sistema di contribuzione con finalità solidaristiche previsto in relazione ad eventi quali la promozione e la retrocessione, che coinvolge le tre Leghe professionistiche. Il contributo di solidarietà promozione non crea un effettivo squilibrio competitivo, ma, al contrario, come [continua ..]


5.9. Il marketing associativo

In merito al «marketing associativo», che comporta l’utilizzo «collettivo» di spazi pubblicitari nella disponibilità dei singoli associati o la possibile imposizione di vincoli di non concorrenza per la realizzazione degli interessi comuni degli associati e per il loro beneficio, il Collegio di Garanzia, rigettando le censure di asserita contrarietà agli artt. 41 e 42 Cost. delle norme del Codice di Autoregolamentazione disciplinanti il marketing associativo, ha espressamente riconosciuto come esso non determini «alcuna compressione del diritto costituzionalmente garantito della libertà economica. Il marketing associativo, così come previsto e disciplinato nelle indicate previsioni del codice di autoregolamentazione, risponde, infatti, ad una evidente finalità mutualistica e, oltre a costituire un elemento di identificazione per le società che appartengono alla Lega, realizza anche l’obiettivo di incrementare le risorse disponibili per le associate, sostenendo anche le società più deboli che altrimenti svilupperebbero un’attività com­merciale modesta. Il tutto senza determinare evidenti effetti negativi sulle società più strutturate. Tale disciplina risulta peraltro del tutto in linea con la tendenza diffusa anche in altre Leghe europee di sviluppare politiche di marketing associativo che includono spazi promo-pubblicitari messi a disposizione dai club associati durante le competizioni sportive» [55].


5.10. La responsabilità oggettiva delle società sportive

Va rammentato, inoltre, l’indirizzo ermeneutico espresso dal Collegio di Garanzia dello Sport con riguardo all’istituto, oggetto di forte dibattito in dottrina, della responsabilità oggettiva delle società sportive. Senza entrare nel dettaglio di tale argomento, che ci porterebbe ben al di là dei confini del presente lavoro, preme qui soltanto rilevare come il Collegio di Garanzia abbia precisato che, ai fini della configurazione di tale responsabilità in capo ad una società sportiva, non sia necessario il requisito del vantaggio conseguito dalla società stessa. Sul punto si è, infatti, affermato che non «può costituire un’esimente per la società di appartenenza la circostanza che i comportamenti ritenuti illeciti sono stati commessi (da un proprio tesserato) in assenza di un coinvolgimento della stessa e per fatti riguardanti l’attività di altre società. Il Codice di Giustizia sportiva punisce, infatti, (…) a titolo di responsabilità oggettiva, la società con la quale il soggetto ritenuto autore dell’illecito sportivo è tesserato, indipendentemente dal fatto che tale illecito sia il frutto di comportamenti che coinvolgono la stessa società (per esserne beneficiaria) o di comportamenti rispetto ai quali la società sia estranea». Portando all’estreme conseguenze quanto sopra detto è da ritenersi, dunque, che la responsabilità oggettiva di una società debba essere riconosciuta «anche quando i comportamenti illeciti commessi da un proprio tesserato sono addirittura controproducenti per le sorti della società, come accade quando un tesserato è ritenuto responsabile per aver contribuito ad alterare il risultato di una partita a danno della propria squadra» [56]. Le Sezioni unite hanno precisato, altresì, quale significato debba assegnarsi al termine «sostenitori» impiegato dall’art. 4, comma 3 del Codice di Giustizia sportiva della Federcalcio secondo cui, come è noto, «Le società rispondono oggettivamente anche dell’operato e del comportamento delle persone comunque addette a servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’e­ventuale campo neutro, sia su quello delle società ospitanti, fatti salvi i doveri di queste [continua ..]


5.11. Diritto di accesso e trasparenza amministrativa in ambito federale

Un’altra interessante questione, infine, affrontata dal Collegio di Garanzia a Sezioni unite concerne l’applicabilità della normativa in materia di diritto di accesso nel­l’ambito dell’ordinamento federale. Con la decisione 5 ottobre 2017, n. 74, le Sezioni unite, in un caso concernente il diniego opposto dalla Lega Italiana Calcio Professionistico all’istanza di accesso agli atti presentata dalle ricorrenti, pur dichiarando la materia del contendere estranea al proprio ambito di competenza, – posto che «A ben vedere, la tutela richiesta dalle odierne ricorrenti, come quella in materia di accesso in generale, ha una precipua finalità istruttoria che si attaglia ad un giudizio di merito sull’accertamento del diritto delle ricorrenti/istanti ad ottenere la ostensione dei documenti richiesti, nonché sulla legittimità o meno del diniego» – ritiene però «di dover porre l’attenzione su un diverso aspetto, sollecitando nel contempo il legislatore sportivo al compimento di un fondamentale passo in avanti per l’evoluzione dell’ordinamento giuridico sportivo». Come affermato dalle Sezioni unite «si tratta, infatti, di comprendere se, nell’autonomia del­l’ordinamento sportivo, i principi che governano quest’ultimo possano indurre a ritenere che il silenzio serbato dagli organi sportivi nei confronti degli associati, titolari di una situazione giuridicamente tutelata dall’ordinamento settoriale e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, possa essere violativo del legittimo diritto a conoscere atti e documenti per potersi difendere nelle sedi proprie. Orbene, si tratta ancora una volta di ricercare la giusta interpretazione del sistema di rapporti che intercorrono tra l’ordinamento giuridico sportivo e l’ordinamento generale. (…) Il che val quanto dire che gli interessi e le situazioni giuridiche soggettive dei soggetti facenti parte del­l’ordinamento sportivo devono essere valutati anche in correlazione alle norme del­l’or­di­namento statale. Dunque, qualora le norme dell’ordinamento statale stabiliscono dei principi che possono essere in un certo modo espressione anche dei principi che permeano l’ordinamento settoriale, quest’ultimo è chiamato a recepirli e ad adattarli al proprio diritto positivo, attesa [continua ..]


6. Le proposte di modifica de iure condendo

Oltre al caso da ultimo riferito, in cui le Sezioni unite hanno sollecitato un intervento di modifica normativa da parte del legislatore sportivo, vanno richiamati altri due casi parimenti rilevanti, in cui analoga opera di moral suasion è stata posta in essere dalla IV sezione (decisione 21 luglio 2017, n. 54) e dalla I sezione (decisione 6 settembre 2017, n. 64). Il primo caso concerne la differente regolamentazione sul computo delle sanzioni sportive: a mesi nella disciplina di fonte federale (nella specie il Reg. giust. F.I.H., là dove si prevede la sanzione della sospensione per tre mesi); a giorni, nell’art. 54 CGS CONI, là dove, come è noto, si escludono dall’ambito di competenza del Collegio le controversie che abbiano comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni. Sul rilievo che «tre mesi possono corrispondere a novanta giorni o anche ad un numero di giorni superiore o ad un numero di giorni inferiore», la IV sezione ha espresso l’auspicio che siano adottate «modifiche normative tali da eliminare o ridurre il rischio che circostanze quali quelle rilevabili nel caso in questione, legate sostanzialmente a un dato estrinseco o, se si vuole, casuale, quale quello inerente al momento di applicazione della sanzione, possano condizionare l’ammissibilità del ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport». Il secondo caso chiama in causa la F.I.G.C. e concerne la normativa in materia di «ripescaggio» di squadre nei campionati della Lega (di cui al C.U. della LND n. 183 del 21 dicembre 2016). Il Collegio osserva che detta «normativa fa riferimento, sempre per ottenere il medesimo risultato, anche alla «ammissione in sostituzione». Trattasi, in definitiva, di due istituti che hanno presupposti diversi (di fatto e di diritto) e per i quali è previsto un differente procedimento, ma sembrerebbe potrebbero dar luogo ad effetti diversi», ragione per cui il Collegio ha espresso l’auspicio di «un illuminato e decisivo intervento chiarificatore del legislatore sportivo».


NOTE