Il contributo è occasionato dalla recente riforma del processo civile e si propone di analizzare l’effettività della tutela degli appartenenti all'Ordinamento sportivo. Viene, dapprima, analizzato il riparto di giurisdizione in materia sportiva, così come vagliato dalla Corte costituzionale; poi, viene ricostruito il sistema di tutela (giustiziale e giurisdizionale) derivato al fine di valutarne la conformità con rimedi di tutela in forma specifica. Il che offre occasione per chiedersi se l'esigenza di salvaguardare l’autonomia dell’Ordinamento sportivo possa essere bilanciata con il principio di effettività della tutela al punto di individuare rimedi interni ulteriori per l'annullamento della sanzione sportiva illegittima.
Parole chiave: ordinamento sportivo, giustizia sportiva, riparto di giurisdizione, tutela giurisdizionale, tutela per equivalente, tutela giustiziale, tutela in forma specifica, revocazione, autotutela amministrativa, tutela effettiva, giusto processo sportivo.
The essay takes its cue from the latest civil trial reform and seeks to analyze the effectiveness of protection reserved for those within sporting legal Order. First, the delimitation of jurisdiction in sports matters, as examined by the Constitutional Court, is analyzed. Then, the derived system of (judicial and jurisdictional) protection is reconstructed to assess its compliance with remedies of protection in a specific format. This offers an opportunity to question whether the need to safeguard the autonomy of the sports legal Order can be balanced with the principle of effective protection, to the extent of identifying additional domestic remedies for the annulment of illegal sporting sanctions.
Keywords: sports law, sports justice, distribution of jurisdiction, judicial protection, protection for equivalent, judicial protection, protection in specific form, revocation, administrative self-protection, effective protection, fair sporting process.
1. Introduzione - 2. Le Q.L.C. dell’art. 2 del d.l. n. 220/2003 - 3. L’attività (giustiziale e disciplinare) del CONI e delle Federazioni sportive nazionali - 4. La diversificata modalità di tutela - 5. La tutela giurisdizionale - 6. L’effettività della tutela - 7. La tutela giustiziale (ulteriore) - 8. Considerazioni conclusive - NOTE
Il riparto di giurisdizione in materia sportiva, a vent’anni dall’intervento legislativo del 2003, costituisce un tema ancora dibattuto in giurisprudenza [1] che, unitamente alla recente riforma per l’efficienza del processo civile [2], diviene occasione per vagliare l’effettività del sistema della giustizia sportiva.
Nel tentativo di ricostruire preliminarmente le specificità degli strumenti e delle modalità di tutela riservati agli appartenenti all’Ordinamento settoriale, occorre ricordare che l’attuale sistema di giustizia sportiva muove da un’applicazione rigorosa dei criteri e dei principi affermati dal d.l. n. 220/2003, convertito con modificazioni nella legge n. 280/2003. Fonte legislativa che, nel dettare «Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva», ha proceduto a razionalizzare e riordinare regole già all’epoca elaborate in giurisprudenza ed in dottrina, al fine di operare il seguente riparto di tutele: a) riservare all’Ordinamento sportivo la cognizione esclusiva di determinate controversie, quali «l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni …; i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive» (art. 2, comma 1, d.l. n. 220/2003); b) consentire l’intervento dell’Autorità giudiziaria, laddove il contenzioso riguardi situazioni giuridiche soggettive connesse all’Ordinamento sportivo (art. 1, comma 2, d.l. n. 220/2003); c) porre una condizione di procedibilità ai ricorsi giurisdizionali in materia sportiva, attraverso la previsione dell’onere di adire pregiudizialmente gli organi della giustizia domestica (art. 3, d.l. n. 220/2003) [3].
Di tale riparto di tutele il Giudice amministrativo, nell’esercizio della sua competenza funzionale inderogabile [4], si è frequentemente occupato e, previa lettura combinata dell’art. 2 con l’art. 1 del d.l. n. 220/2003, ha ritenuto inapplicabile la riserva tutte le volte in cui la sanzione inflitta non esaurisce la sua rilevanza nell’ambito strettamente agonistico [5], come nelle ipotesi in cui la materia del contendere è costituita da valutazioni ed apprezzamenti personali che, a prescindere dalla qualifica professionale del destinatario della sanzione e dall’ambito nel quale egli svolge la sua attività, toccano diritti fondamentali della persona, con conseguenze lesive alla sua onorabilità e ai rapporti sociali [6]. Muovendo da tali ragionevoli considerazioni, la giustizia amministrativa è giunta a dubitare più volte della legittimità costituzionale della suddetta fonte primaria.
La sezione III-ter del TAR del Lazio, con l’ordinanza n. 241 dell’11 febbraio 2010 [7], ha sollevato un primo incidente di costituzionalità per sospetta violazione dell’art. 2, comma 1, lett. b), e, in parte qua, comma 2, del d.l. n. 220/2003, con gli artt. 24, 103 e 113 Cost., sul rilievo che la normativa, così come formulata, sottrarrebbe allo scrutinio del Giudice amministrativo le controversie riguardanti l’irrogazione di sanzioni disciplinari, non tecniche, anche quando incidono su diritti soggettivi e/o interessi legittimi degli associati, rilevanti per l’Ordinamento dello Stato.
La Corte costituzionale, intervenuta sulla questione con la sentenza n. 49 dell’11 febbraio 2011 [8], l’ha ritenuta infondata in ragione della cognizione spettante al Giudice amministrativo in materia: proprio alla luce della riserva espressa dal legislatore, «laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale», l’Autorità giudiziaria è chiamata a decidere non «la domanda volta ad ottenere … la caducazione dell’atto (per la quale appunto opera la riserva), ma (quella volta ad ottenere) il conseguente risarcimento del danno», in quanto «la esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari non consente che sia altresì esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno», riconoscendo (dunque) al G.A. una cognizione solo incidenter tantum sulla validità dell’atto sanzionatorio [9].
Per questa via il Giudice delle leggi chiarisce che dal sistema giustiziale ricavabile dal d.l. n. 220/2003 deriva all’appartenente all’Ordinamento sportivo, con riferimento alle sole conseguenze dannose di una sanzione disciplinare illegittima e/o ingiusta, «una forma di tutela, per equivalente, diversa rispetto a quella in via generale attribuita al giudice amministrativo (ed infatti si verte in materia di giurisdizione esclusiva)» [10].
La lettura offerta dalla Consulta, tuttavia, non convince il Giudice amministrativo che, con l’ordinanza n. 10171/2017, solleva un secondo incidente di costituzionalità dell’art. 2, comma 1, lett. b), e, in parte qua, comma 2, del d.l. n. 220/2003, con gli artt. 24, 103 e 113 Cost. [11], sebbene questa volta con una tecnica processuale senz’altro singolare, giacché le motivazioni addotte paiono censurare la decisione interpretativa della Corte costituzionale piuttosto che evidenziare (nuovamente) la paventata contrarietà tra norme [12].
Nello specifico, il Rimettente sostiene che «(c)iò che … non è stato oggetto della pronuncia del giudice costituzionale del 2011, è che indubbiamente l’irrogazione di sanzioni disciplinari è idonea a ledere anche posizioni di interesse legittimo», oltre che posizioni di diritto soggettivo, cui non può non essere riconosciuta la tutela giurisdizionale, «pena la violazione degli artt. 103 e 113 Cost.». Secondo il TAR del Lazio, la Corte costituzionale non avrebbe cioè considerato che «(i) provvedimenti disciplinari federali costituiscono esplicazione di attività amministrativa, così come le decisioni rese dal Collegio di Garanzia … istituito presso il CONI in posizione di autonomia, ma pur sempre partecipe della natura pubblicistica dell’ente entro cui è istituito. Le decisioni della giustizia federale e del Collegio di garanzia presso il CONI sono, dunque, provvedimenti amministrativi», frutto di attività oggettivamente amministrativa che non può non essere sindacata in sede giurisdizionale.
Il Giudice amministrativo fa proprio quell’orientamento giurisprudenziale per il quale «le Federazioni Nazionali Sportive sono soggetti giuridici non soltanto privati, ma altresì, pubblici, in virtù della natura dei poteri ad esse attribuiti, quale il potere di controllo sulle società sportive affiliate e sulla loro attività gestionale, secondo modalità approvate dal CONI nell’esercizio di una potestà amministrativa attribuita da una norma di legge statale e tendente alla realizzazione di interessi fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva. Di conseguenza gli atti posti in essere dalle Federazioni in qualità di organi del CONI, e da quest’ultimo ente, sono esplicazioni di poteri pubblici, partecipano alla natura pubblica dello stesso CONI, ed hanno natura di atti amministrativi» [13].
Questo orientamento, tuttavia, sembra porre sullo stesso piano l’attività (meramente) disciplinare degli organi federali con l’attività (invece) giustiziale del Collegio di Garanzia per lo Sport del CONI [14], considerando entrambe frutto di un’attività amministrativa svolta da soggetti, che nell’esercizio di tali poteri, partecipano della natura pubblica del CONI.
Il punto è che le Federazioni non sono organi del CONI e il controllo che su di esse esercita il CONI non fa sorgere un rapporto di immedesimazione organica delle prime al secondo, dal quale invece risultano autonome sia sul piano organizzativo che istituzionale [15].
Basti pensare che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 242/1999, così come modificato dal d.lgs. n. 15/2014, il CONI è la Confederazione delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate, alla quale l’art. 1 del medesimo decreto conferisce una personalità giuridica di diritto pubblico: il CONI è l’organismo al quale lo Stato ha demandato funzioni di controllo, di coordinamento e di indirizzo dell’intero movimento sportivo italiano. Cura l’organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale e costituisce, dunque, per legge l’ente pubblico sovraordinato a tutta l’organizzazione sportiva italiana [16].
Il decreto diversamente dispone, però, con riferimento alle Federazioni, che, sempre per espressa disposizione legislativa, hanno la natura di associazioni riconosciute con personalità giuridica di diritto privato; non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non previsto in decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 242/1999) [17]. Il che già rende manifesta la volontà del legislatore delegato di mantenere separate, quanto meno sul piano soggettivo, la natura giuridica ed il ruolo del CONI, posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri [18], e la natura giuridica ed il ruolo delle singole Federazioni sportive nazionali che, invece, operano (anche) sotto il controllo del CONI (art. 15, comma 1, d.lgs. n. 242/1999) [19].
Il richiamato art. 15 del d.lgs. n. 242/1999 costituisce, inoltre, un ulteriore riferimento normativo essenziale per verificare, questa volta sul piano oggettivo, l’esercizio di eventuali poteri autoritativi delle Federazioni, poiché subordina l’attività delle stesse agli indirizzi e alle delibere del C.I.O., delle Federazioni sportive internazionali e del CONI, «anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello Statuto del CONI». La norma implicitamente richiama l’art. 23, comma 1, dello Statuto CONI, secondo cui, «oltre quelle il cui carattere pubblico è espressamente previsto dalla legge, hanno valenza pubblicistica esclusivamente le attività delle Federazioni sportive nazionali relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione dei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello, alla formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi pubblici». Si tratta di attività a «valenza pubblicistica» che le Federazioni possono esercitare soltanto su delega dell’ente pubblico CONI. La dottrina, tuttavia, non considera, tale circostanza elemento sufficiente a conferire natura pubblica all’attività dei soggetti sottoposti [20] poiché, in mancanza di una norma primaria attributiva di poteri amministrativi, non vi è corrispondenza tra attività con valenza pubblicistica e natura autoritativa degli atti conseguenti [21], per cui le relative controversie non sono necessariamente sindacabili dal Giudice amministrativo.
Si consideri, inoltre, che le controversie in questione concernono situazioni interne all’organizzazione sportiva per cui, come rilevato da altra dottrina, in questi casi si dovrebbe guardare alla disciplina di un qualsiasi gruppo organizzato. «Questi gruppi hanno … il potere di espulsione o di sanzione del socio, ma, quando espellono o sanzionano un associato, non usano il potere autoritativo o la potestà di imperio; fanno valere un potere che è espressione dell’autonomia che ha reso possibile l’organizzazione» [22]. Il che dovrebbe portare ulteriormente a selezionare, tra le controversie aventi ad oggetto gli atti del CONI e delle Federazioni, quelle che si svolgono nei confronti di un soggetto che effettivamente agisce nell’esercizio di poteri pubblici, poiché soltanto queste avrebbero attitudine a produrre effetti su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’Ordinamento della Repubblica [23]. Per le altre controversie occorrerebbe verificare, di volta in volta, la connessione della questione sorta con la lesione di una posizione giuridica soggettiva tutelata dall’Ordinamento generale per legittimare l’intervento giurisdizionale in materia.
In breve, nel quadro normativo manca una norma primaria che conferisca (anche) alle Federazioni sportive nazionali poteri autoritativi, tanto più che l’art. 23, comma 1-bis, dello Statuto CONI prevede testualmente che la valenza pubblicistica dell’attività svolta dalle Federazioni non vale a modificare l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti compiuti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse.
Della mancanza di una norma attributiva del potere amministrativo in capo alle Federazioni e dell’esistenza del richiamato dato positivo di cui agli artt. 1 e 15 del d.lgs. n. 242/1999 non sembra, tuttavia, tenere conto la giustizia amministrativa che, all’opposto, riconosce alle Federazioni sportive nazionali la natura di soggetti pubblici [24], quando svolgono attività a valenza pubblicistica su delega del CONI, e ritiene, pertanto, imprescindibile il sindacato giurisdizionale anche sull’attività federale.
Le considerazioni fin qui svolte portano a dissentire dalle ragioni che hanno sospinto il Giudice amministrativo a sollevare anche la seconda questione di legittimità costituzionale e a concordare, piuttosto, con le conclusioni della Consulta del 2011, ribadite con il rigetto del secondo incidente di costituzionalità con la sentenza n. 160 del 2019.
La lettera dell’art. 2 del d.l. n. 220/2003, nella parte in cui individua la riserva, a ben vedere non esclude punti di tangenza tra l’Ordinamento sportivo e quello generale, rappresentati dai riflessi che le sanzioni inflitte possono riverberare sopra diritti soggettivi e/o interessi legittimi, rilevanti per lo Stato e al contempo connessi alle posizioni soggettive proprie dell’Ordinamento settoriale. In tali casi, il legislatore del 2003 ammette l’accesso alla tutela giurisdizionale, ma contempera tale diritto con l’esigenza di preservare l’autonomia dell’Ordinamento sportivo per cui, anzitutto, subordina l’eventuale azione giudiziaria all’assolvimento della pregiudiziale sportiva. Nei casi di connessione, dunque, la tutela giurisdizionale della posizione soggettiva rilevante consta dell’onere procedurale di adire prima gli organi interni alla giustizia sportiva e poi il Giudice dello Stato. «(E)ssendo comunque quello sportivo un ordinamento infra-statuale, la norma comporta che le sue peculiarità non possono sacrificare le posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale, perché inviolabili o comunque meritevoli di tutela rafforzata in quanto non disponibili» [25]; di qui l’individuazione da parte del legislatore delle specifiche modalità di accesso al necessario sindacato giurisdizionale.
La previsione normativa della pregiudiziale sportiva, in uno con le disposizioni federali disciplinanti il c.d. vincolo di giustizia, hanno proprio il fine di conservare l’autonomia riconosciuta all’Ordinamento sportivo [26]; autonomia che, all’opposto, sarebbe minata da un intervento sistematico della giustizia statale in materia sportiva, nonché da un ricorso diretto, da parte degli associati, ai giudici dello Stato [27].
Del resto, il giudice amministrativo non ha mai dubitato della legittimità della pregiudiziale sportiva, nemmeno nelle due ordinanze di rimessione nn. 241/2010 e 10171/2017, ove, invece, ha riconosciuto testualmente come sia «posta legittimamente a presidio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, dalla norma dell’art. 3, comma 1, d.l. n. 220 cit.» [28].
Appare, allora, condivisibile la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2, comma 1, lett. b), del d.l. n. 220/2003 offerta dalla Consulta che, riconoscendo sul piano giurisdizionale una «diversificata modalità di tutela» [29], al contempo tiene conto implicitamente dell’esistenza di una forma di tutela, inaccessibile in ambito generale, delle posizioni soggettive proprie dell’appartenente all’Ordinamento sportivo. Nello specifico, la Corte costituzionale, prima con la sentenza n. 49/2011 e poi con la sentenza n. 160/2019, è chiara nel ribadire che allo stesso spetti una triplice forma di tutela ed, in particolare, una prima forma di tutela relativa ai rapporti di carattere patrimoniale, rimessa alla cognizione del giudice ordinario; una seconda forma di tutela relativa alle materie di cui all’art. 2 del d.l. n. 220/2003, rimessa, quando irrilevanti per l’Ordinamento generale, alla cognizione dei soli organi interni all’Ordinamento sportivo; ed una terza forma di tutela, residuale, avverso tutti gli atti del CONI o delle Federazioni sportive, rimessa alla cognizione del Giudice amministrativo.
All’appartenente all’Ordinamento sportivo spetta, dunque, un «modello (di tutela) progressivo a giurisdizione condizionata, dove coesistono successivi livelli giustiziali, susseguitisi in ragione di oggetto e natura, più o meno specialistica, delle competenze dell’organo giudicante» [30], che non determina alcuna lesione al diritto alla tutela giurisdizionale, comunque assicurata.
D’altra parte, la stessa Corte costituzionale, in altre occasioni, ha avuto modo di precisare che l’art. 24 Cost. non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre allo stesso modo e con i medesimi effetti, ammettendo che la legge possa, in talune ipotesi, subordinare l’esercizio di diritti a controllo o condizioni, purché non vengano imposti oneri o prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale [31].
Fermo, allora, l’accesso condizionato al sindacato giurisdizionale in materia sportiva, occorre meglio circoscrivere l’oggetto della tutela ivi richiedibile.
La Corte costituzionale, tenuto conto del carattere solo residuale ed eventuale della tutela giurisdizionale in materia sportiva, con le pronunce nn. 49/2011 e 160/2019 ha provveduto, altresì, a tracciare le direttrici, avallate in sede applicativa dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione, lungo le quali può svolgersi il controllo del Giudice amministrativo, imprescindibilmente legato alla dimensione economica dello sport.
Non può non considerarsi, infatti, che l’obiettivo ultimo dell’Ordinamento sportivo e delle forme di tutela che vi afferiscono è il supporto all’attività sportiva, individuale, collettiva e nazionale: l’Ordinamento sportivo ha i fondamentali nello sport, inteso come attività di ricreazione umana (agonistica o professionale) e luogo di educazione alla cooperazione e alla sana e leale competizione, ma soprattutto luogo di formazione della personalità umana ed esplicazione della libertà associativa ex artt. 2 e 18 Cost. (art. 1, comma 2, Statuto CONI). Il che rende manifesto il nesso di strumentalità funzionale esistente tra l’attività sportiva ed il Sistema della giustizia sportiva, teso ad assicurare agli appartenenti all’Ordinamento interno una modalità di tutela a giurisdizione condizionata ed a formazione progressiva, ispirata ai principi di sussidiarietà ed economicità dei mezzi.
Corollario di tale sistema è che, «in rapporto al tipo di giudicante e ai suoi poteri, può mutare il formale petitum, cioè la “modalità di tutela giurisdizionale”. Non si può chiedere al livello successivo giustizia per una causa e per un bene della vita diversi da quelli invocati al livello necessariamente presupposto» [32], sebbene l’episodio di vita prospettato innanzi al Giudice sportivo ed al Giudice statale sia il medesimo.
In breve, il fenomeno sportivo ha caratteristiche che, inevitabilmente, si riflettono sul perimetro della tutela giurisdizionale che, poiché «rileva solo come tutela dell’eventuale lesione interna ad un ordinario e corretto sviluppo della “attività sportiva”» [33], è riconosciuta unicamente in funzione risarcitoria: «l’autonomia e la stabilità dei rapporti (interni) costituisce di regola dimensione prioritaria rispetto alla tutela reale in forma specifica, per il rilievo che i profili tecnici e disciplinari hanno nell’ambito del mondo sportivo» [34]. Tant’è che «(l)a tutela risarcitoria per equivalente monetario che può essere concessa dal giudice amministrativo non include voci per loro natura diverse da quelle estranee alle dette finalità eminentemente pubblicistiche dell’ordinamento sportivo, pena la contraddizione del vincolo di strumentalità funzionale proprio della giurisdizione condizionata, nonché di quello di stretta proporzionalità degli strumenti integrati di tutela» [35].
Tuttavia, affermare che questa «diversificata modalità di tutela» [36] si sostanzi (anche) nella possibilità di domandare al Giudice amministrativo la sola tutela risarcitoria, ammettendo una cognizione meramente incidentale ed indiretta del giudicante sulla legittimità della sanzione disciplinare, non deve indurre a ritenere (erroneamente) che all’associato spetti una tutela giurisdizionale soltanto parziale dei propri diritti soggettivi e/o interessi legittimi [37], poiché è proprio la natura della posizione sostanziale fatta valere dall’interessato ed il modo di conformare il diritto soggettivo o l’interesse legittimo a determinare la tutela giurisdizionale esigibile e la sua effettività.
Non è infrequente per l’Ordinamento giuridico generale accordare in ragione della posizione soggettiva fatta valere una tutela meramente risarcitoria [38]. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle forme di tutela del lavoratore illegittimamente licenziato, riconosciute per il tramite dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970), novellato dalla legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero) e dal d.lgs. n. 23 del 4 marzo 2015 che, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 7, della legge n. 183 del 10 dicembre 2014, integra, con il d.l. n. 34 del 20 marzo 2014, la riforma nota come Jobs Act, applicabile ai rapporti di lavoro costituiti successivamente alla sua entrata in vigore (7 marzo 2015). Ebbene, l’intero complesso normativo richiamato prevede un assetto a tutele crescenti per il lavoratore illegittimamente licenziato, in virtù del quale l’accertamento del vizio inficiante il recesso impugnato apre la strada a tutele differenziate e, talora, complementari, in forma specifica e/o per equivalente.
In particolare, sia l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che gli artt. da 2 a 4 del d.lgs. n. 23/2015, a fronte di una medesima pretesa del lavoratore ingiustamente licenziato, prevedono, in relazione alla gravità della violazione, una (prima) tutela reintegratoria piena, che riconosce al lavoratore il diritto alla reintegra nel posto di lavoro, il diritto al risarcimento del danno in conseguenza subito ed il diritto ad una indennità sostitutiva della reintegrazione [39]; una (seconda) tutela reintegratoria, ma attenuata, che riconosce al lavoratore il diritto alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno [40]; una (terza) tutela solo indennitaria, ma forte, che riconosce al lavoratore il diritto al risarcimento del danno [41]; ed, infine, una (quarta) tutela solo indennitaria, ma debole, che riconosce al lavoratore il diritto ad una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata in misura ridotta rispetto alla precedente [42].
Il legislatore, dunque, prima con la riforma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e poi con l’emanazione del d.lgs. n. 23/2015, tenuto conto del «bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4 e 41 Cost.» [43], ha proceduto, nell’esercizio della sua discrezionalità normativa, ad una scissione dell’originaria tutela unitaria del lavoratore ingiustamente licenziato, riconoscendo talora un rimedio solo risarcitorio avverso l’atto di recesso illegittimo o ingiustificato.
Come chiarito, in più occasioni, dalla Corte costituzionale, il legislatore, infatti, ben può «nell’esercizio della sua discrezionalità, … prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario …, purché un tale meccanismo si articoli nel rispetto del principio di ragionevolezza» [44]. Per cui, nel determinare forme di tutela giurisdizionale solo risarcitorie, deve muoversi nei limiti della ragionevolezza e dell’adeguatezza della misura e della forma della tutela con gli interessi in gioco. Il canone di ragionevolezza e di adeguatezza – che il legislatore è tenuto a rispettare finanche nella determinazione dei meccanismi di quantificazione dell’indennità risarcitoria che, specie ove riconosciuta come forma di tutela unica, deve essere sempre «tale da realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto» [45] – costituisce, pertanto, un limite esterno dell’attività legislativa e, al contempo, un criterio valutativo dell’effettività del rimedio predisposto.
Ebbene, il legislatore del 2003 non ha operato diversamente per la tutela dell’appartenente all’Ordinamento sportivo, la cui disciplina pure muove dal bilanciamento dei valori (costituzionali e non) sottesi al fenomeno sportivo; bilanciamento che lo ha spinto a conformare la protezione giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi con la tutela dell’autonomia dell’Ordinamento sportivo. Tant’è che la Corte costituzionale precisa che «(l)a regolamentazione statale del sistema sportivo deve … mantenersi nei limiti di quanto risulta necessario al bilanciamento dell’autonomia del suo ordinamento con il rispetto delle altre garanzie costituzionali che possono venire in rilievo, fra le quali vi sono – per quanto qui interessa trattando della giustizia nell’ordinamento sportivo – il diritto di difesa e il principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale presidiati dagli artt. 24, 103 e 113 Cost.» [46]. Anche se i principi costituzionali da ultimo richiamati devono essere applicati in maniera rigorosa nel nostro Ordinamento, come spiegato dal Giudice delle leggi, non vanno interpretati nel senso di «assicurare in ogni caso e incondizionatamente una tutela giurisdizionale illimitata e invariabile contro l’atto amministrativo», potendo il legislatore discostarsi dal modello generale dell’impugnazione degli atti amministrativi, a patto che la norma che vi provvede «sia improntata a ragionevolezza e adeguatezza» [47].
In breve, allora, il riconoscimento agli appartenenti all’Ordinamento sportivo di una tutela giurisdizionale solo risarcitoria dei danni conseguenti alla sanzione illegittima è «frutto … del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore fra il menzionato principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e le esigenze di salvaguardia dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – che trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost. – “bilanciamento che lo ha indotto [...] ad escludere la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente” su tale autonomia, mantenendo invece ferma la tutela per equivalente» [48].
L’esclusione della tutela giurisdizionale demolitoria dell’atto illegittimo non si pone, quindi, in contrasto con la nostra Carta costituzionale [49] e non determina di per sé lesione al principio di effettività della tutela giurisdizionale.
Le S.U. della Corte di cassazione, intervenute più volte in materia sportiva per statuire sopra i conflitti di giurisdizione talora sollevati dagli appartenenti all’Ordinamento interno, nel vano tentativo di accedere alla tutela piena del Giudice amministrativo, hanno affermato, in ragione della legittima riserva dell’art. 2 del d.l. n. 220/2003, il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore di quello amministrativo sulla domanda di tutela per equivalente ed il difetto assoluto di giurisdizione del Giudice amministrativo sulla domanda di tutela in forma specifica [50], acclarando anche per questa via l’orientamento secondo cui nell’Ordinamento generale «la mancata praticabilità della tutela (giurisdizionale) impugnatoria (intesa come demolitoria dell’atto) non toglie che le situazioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo siano adeguatamente tutelabili innanzi al giudice amministrativo mediante la tutela risarcitoria» [51].
Tuttavia, si consideri che, se la misura dell’effettività della tutela giurisdizionale, come si è visto, «può essere dispensa(ta) già dal diritto soggettivo, al quale talora spetta … di attribuire una forma (più specifica) di tutela o – eventualmente – una (diversa e in astratto minore) tutela surrogatoria del “tutto quello che proprio quello”» [52]; se dal principio di effettività della tutela giurisdizionale distinguiamo quello più generale dell’effettività della tutela, che pure realizza «quell’effettività esplicitamente protetta dalle fonti normative» e che con la prima si pone in un rapporto di «consequenziarietà» [53]; e se, infine, definiamo l’effettività della tutela come «l’idoneità, variabile in ragione del modo di essere della posizione soggettiva da tutelare, che il rimedio …. abbia o meno di (ri-)dare tutto quello e proprio quello che sarebbe spettato per il diritto sostantivo», viene naturale chiedersi se gli appartenenti all’Ordinamento interno possano ricevere una tutela più effettiva rispetto a quella accordata in via giurisdizionale proprio dagli organi della Giustizia domestica.
In effetti, non può negarsi che la tutela in forma specifica, sebbene inammissibile innanzi al Giudice amministrativo, «qualora sia in tutto o in parte (ancora) possibile» (art. 2058 c.c.), resti il rimedio naturale avverso l’illegittimità della sanzione subita, tanto più se si prova, in ragione della natura del rapporto controverso, a contestualizzare la suddetta tutela nella giusta dimensione. Da questo punto di vista va considerato, allora, che nel contesto del diritto civile, i.e. nella dimensione dei rapporti privatistici, la determinazione della tecnica di tutela non muove dal contenuto dell’oggetto, né dalla qualità delle parti, quanto piuttosto dall’esigenza di salvaguardare l’equilibrio economico sotteso al rapporto giuridico privato, che può essere velocemente ripristinato con la mera compensazione in denaro del pregiudizio sofferto [54]. Per tali rapporti, dunque, il ristoro monetario «per equivalente, anziché presentarsi come un minus, come un sostitutivo legale, come rimedio sussidiario della reintegrazione in forma specifica, è in realtà il modello funzionalmente più adatto ad eliminare gli effetti dell’evento dannoso» [55]. Ma nel contesto del diritto amministrativo, i.e. nella dimensione dei rapporti pubblicistici, nei quali rientrano pure quelli afferenti all’Ordinamento sportivo, per la determinazione della tecnica di tutela rileva sia l’oggetto, cioè il provvedimento assunto nel contemperamento di interessi pubblici, collettivi e privati, sia la qualità delle parti, per cui, ai fini della effettività della tutela, il rimedio per equivalente dovrebbe rappresentare una extrema ratio, piuttosto che la regola. Qualora, infatti, la domanda di annullamento della sanzione illegittima, ripristinatoria della situazione quo ante, non risulti tardiva per il ricorrente, sul piano sostanziale, riemerge quella connessione di tipo causale, esistente tra il rimedio caducatorio e l’azione risarcitoria, venuta meno solo sul piano processuale: si ricordi che con il d.lgs. n. 104/2010, introduttivo del codice del processo amministrativo, il legislatore se, da un lato, non ha recepito il modello della pregiudizialità processuale della domanda di annullamento rispetto a quella risarcitoria, rendendo autonoma la relativa azione di condanna, dall’altro, ha evidenziato il nesso causale che permane sul piano sostanziale tra le due domande e che in ogni caso rileva ai fini della risarcibilità dei danni (art. 30 c.p.a.).
Per cui, considerando che la tutela caducatoria è esclusa innanzi ai giudici dello Stato, in buona sostanza per salvaguardare l’autonomia dell’Ordinamento sportivo, allora, nel rispetto della riserva di cui all’art. 2 del d.l. n. 220/2003 e alla luce della detta connessione sostanziale, pare irragionevole che la tutela in forma specifica, ove ancora capace di garantire la restitutio in integrum, non possa essere domandata nemmeno nell’Ordinamento interno. L’impossibilità di richiedere l’annullamento della sanzione illegittima agli organi della Giustizia domestica rivela, altrimenti, una disarmonia interna al sistema della giustizia sportiva che si traduce, sul piano della effettività, in una irragionevolezza dei rimedi di tutela finora apprestati agli appartenenti all’Ordinamento interno. Per garantire a questi ultimi una tutela piena e più effettiva, allora, dovrebbe ammettersi che l’accoglimento della domanda risarcitoria davanti al G.A., che abbia incidentalmente accertato l’illegittimità della sanzione, legittimi il ricorrente a domandarne l’annullamento proprio agli organi della Giustizia domestica. Per questa via e senza violare il cristallizzato riparto giurisdizionale tra l’Ordinamento sportivo e quello generale, verrebbe altresì assicurato il coordinamento tra la decisione giurisdizionale e quella giustiziale interna, auspicato finanche dalla Corte costituzionale, là dove nella sentenza n. 160/2019 testualmente precisa che «anche gli organi dell’ordinamento sportivo non possono non tenere conto» dell’«accertamento incidentale condotto dal giudice amministrativo sulla legittimità dell’atto» [56].
A conferma, si consideri, inoltre, che le S.U. della Corte di cassazione, richiamando principi elaborati dalla giurisprudenza europea [57], hanno affermato che il sistema di tutela delineato dal legislatore del 2003 non determina un «diniego di giustizia rilevante ai fini dell’art. 6 CEDU, quale disposizione interposta alla norma costituzionale dell’art. 24, atteso che il diritto di accesso al giudice non è ostacolato dal ricorso a forme (di giustizia interna) …, purché il rimedio di giustizia sia effettivo e non illusorio» [58]; e che il Giudice amministrativo, adito per la domanda risarcitoria per equivalente, non solo può conoscere in via incidentale la legittimità della sanzione disciplinare, ma, nell’ambito della propria giurisdizione esclusiva, risulta competente a pronunciarsi finanche «sulla doglianza di ineffettività della tutela conformata dal sistema nazionale della giustizia sportiva, in comparazione con il diritto Eurounitario, anche utilizzando se del caso lo strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE» [59].
Dunque, il sistema della giustizia sportiva, attraverso il ricorso a rimedi interni (ulteriori), può senz’altro assicurare agli appartenenti all’Ordinamento sportivo una tutela piena e più effettiva.
In una prospettiva comparatistica e ai fini che qui competono, si rileva che un modello prossimo da cui trarre indicazioni utili a conformare le due decisioni e ad assicurare una maggiore effettività della tutela della giustizia sportiva può essere individuato nei rapporti tra la giurisdizione sovranazionale della Corte Europea dei diritti dell’uomo e le singole giurisdizioni nazionali degli Stati aderenti alla Convenzione istitutiva [60], specie alla luce della legge delega di riforma n. 206 del 26 novembre 2021, cui è stata data attuazione con i decreti legislativi nn. 149, 150 e 151 del 2022.
Nel sistema delineato dalla Convenzione EDU, come noto, le sentenze della Corte europea hanno efficacia vincolante per gli Stati aderenti, sui quali grava un generale obbligo di porre fine alla violazione accertata e, ove possibile, di «porre il ricorrente in una situazione analoga a quella in cui si troverebbe qualora la violazione non vi fosse stata» [61], assicurando la restitutio in integrum [62].
La giurisprudenza europea, con riferimento all’obbligo di conformazione degli Stati aderenti alle sentenze della Corte di Strasburgo, pur precisando che le misure ripristinatorie individuali diverse dall’indennizzo sono solo eventuali e vanno adottate unicamente quando necessarie a dare esecuzione alle sentenze della Corte europea, al contempo ha costantemente affermato l’importanza della riapertura del processo o del riesame del caso ai fini della effettività del sistema convenzionale.
Con riferimento allo Stato italiano, tale orientamento, vagliato più volte dalla Corte costituzionale [63], ha portato, dapprima, ad ammettere la revisione della decisione penale contrastante con la sentenza della Corte EDU [64] e, poi, con la legge delega n. 206/2021, alla riforma che ammette l’impugnazione per revocazione della sentenza civile passata in giudicato, il cui contenuto sia contrastante con la decisione della Corte europea. Nello specifico, la legge n. 206/2021 ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, attraverso un riassetto formale e sostanziale dello stesso. Con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, il legislatore ha dato attuazione alla delega disponendo, per quanto di pertinenza, l’inserimento nel codice del processo civile dell’art. 391-quater, rubricato Revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La norma, in ossequio ai principi e ai criteri direttivi della legge delega, consente, dunque, il rimedio impugnatorio avverso la sentenza passata in giudicato, il cui contenuto sia stato successivamente dichiarato dalla Corte EDU contrario in tutto o in parte alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ovvero a uno dei suoi Protocolli, e non sia possibile rimuovere la violazione accertata tramite la (sola) tutela risarcitoria per equivalente [65].
L’intervento legislativo dà attuazione a quell’orientamento, dottrinale e giurisprudenziale, per il quale il riesame del caso, che si realizza per il tramite dell’impugnazione per revocazione della decisione definitiva, rappresenta la soluzione maggiormente idonea a garantire la restitutio in integrum che, ai fini della effettività della tutela, resta comunque l’opzione preferenziale. L’elasticità di questo rimedio, capace non solo di includere nel novero dei motivi per cui è dato vicende non preventivamente individuate dal legislatore, lo rende, altresì, capace «di aumentare suo tramite l’attitudine del singolo processo a somministrare “tutto quello e proprio quello” che per diritto sostanziale è dovuto, anziché confidare sopra surrogazioni ab externo» [66].
Il che, con riferimento alla giustizia sportiva e ai rapporti tra l’Ordinamento statale e l’Ordinamento sportivo, porta a vagliare con maggiore convinzione i possibili rimedi interni, esperibili per la tutela demolitoria della sanzione illegittima.
Orbene, una prima strada percorribile per il riesame del caso potrebbe essere proprio quella della revocazione della decisione giustiziale pregiudicata dalla intervenuta decisione giurisdizionale, innanzi all’organo della giustizia interna, autore della decisione di merito, giacché rimedio impugnatorio previsto dal Codice di giustizia sportiva del CONI, dal cui ambito applicativo, tuttavia, esula questa specifica ipotesi. L’art. 63 del Codice di giustizia sportiva CONI, infatti, così come formulato, consente di proporre contro le «decisioni della Corte di appello federale per le quali sia scaduto il termine per il ricorso dell’incolpato al Collegio di Garanzia dello Sport ovvero qualora il ricorso non sia stato accolto» il giudizio di revisione, «quando la sanzione è stata applicata sulla base di prove successivamente giudicate false o in difetto di prove decisive successivamente formate o comunque divenute acquisibili», ovvero il giudizio di revocazione, «quando la decisione dipende esclusivamente da un errore di fatto risultante incontrovertibilmente da documenti acquisiti successivamente per causa non imputabile all’istante». In ogni caso, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 63 del Codice di giustizia sportiva CONI, la revisione o la revocazione non sono più ammesse «quando la parte interessata ha agito davanti all’autorità giudiziaria contro la decisione dell’organo di giustizia della Federazione o del Collegio di Garanzia dello Sport», il che rende ex se inammissibile qualsiasi domanda tesa a conformare (invece) la decisione giustiziale interna con quella intervenuta dell’Autorità giudiziaria.
Per cui, da questo punto di vista, si auspica un intervento correttivo al Codice di Giustizia Sportiva del CONI che ammetta, appunto, la revocazione della decisione definitiva della giustizia sportiva (anche) quando sia intervenuta una sentenza giurisdizionale, che abbia riconosciuto un risarcimento del danno, per aver accertato incidenter tantum l’illegittimità della sanzione disciplinare sportiva.
In questa prospettiva va inquadrata l’iniziativa di riforma, che, però, allo stato tale è rimasta, contenuta nella delibera del Consiglio nazionale del CONI n. 1590 del 9 aprile 2018, che si proponeva di introdurre, tra i motivi di revisione e revocazione di cui all’art. 63 del Codice di giustizia Sportiva CONI, la ulteriore ipotesi in cui la sanzione sia stata applicata in difetto di prove decisive successivamente formatesi, intendendo per tali anche la sentenza dell’Autorità giudiziaria, passata in giudicato, che abbia accertato l’illegittimità della sanzione, sancendo al contempo l’obbligo per l’organo competente di conformarsi alla sentenza giurisdizionale ed a disporre l’eventuale reintegra in forma specifica.
Nell’Ordinamento sportivo, dunque, una prima strada percorribile per garantire una maggiore effettività al sistema di tutela della Giustizia sportiva potrebbe essere proprio quella dell’impugnazione per revocazione della decisione interna definitiva, il cui contenuto sia risultato successivamente contrario ad una sentenza dell’Autorità giudiziaria, in quanto rimedio capace di assicurare il coordinamento tra le due decisioni, auspicato dalla Corte costituzionale.
Per altra via, però, gli appartenenti all’Ordinamento sportivo potrebbero giungere ad una tutela più effettiva, richiedendo già in autotutela l’annullamento della sanzione illegittima al Consiglio federale ovvero al Presidente federale della Federazione sportiva di appartenenza, quali naturali destinatari di altre (ammissibili) istanze di «estinzione delle infrazioni e delle sanzioni» [67], quali sono le istanze di amnistia, di indulto o di grazia. L’Organo federale, in effetti, in tale situazione potrebbe essere compulsato a riesaminare la vicenda sanzionata e ad annullare la sanzione, in considerazione del fatto che (anche) il suo contegno costituisce un dato valutabile in sede giurisdizionale per escludere o, comunque, meglio quantificare il risarcimento del danno, evitando il rischio di duplicità di ristori.
Con riferimento all’azione risarcitoria, l’art. 30, comma 3, c.p.a. stabilisce, infatti, che, nel determinare l’an ed il quantum della liquidazione monetaria, «il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti». Questa disposizione, richiamando implicitamente il disposto dell’art. 1227, comma 2, c.c., considera l’omessa attivazione di altri strumenti di tutela un dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, per l’esclusione o la quantificazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. E come chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la norma valuta il comportamento complessivo delle parti facendo riferimento, non solo alla mancata impugnazione del provvedimento dannoso – alla quale potrebbe giungersi de iure condendo con la revocazione della decisione sportiva –, ma anche alla possibilità di esperire altri rimedi, potenzialmente idonei ad evitare il danno, come l’assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell’autotutela amministrativa, giacché l’esercizio di tali poteri è espressione del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali [68].
In conclusione, a chi scrive pare che sia il giudizio di revocazione che l’esercizio di poteri in autotutela aprano al ricorrente – istante la strada per la tutela demolitoria della sanzione illegittima, tutte le volte in cui tale risultato sia ancora possibile. Da questo punto di vista sarebbe irrazionale per l’Ordinamento sportivo negare una tutela più effettiva che, in ragione di rimedi esistenti, appare possibile. Tanto più se si considera che il CONI si propone di garantire giusti procedimenti per la soluzione delle controversie nell’Ordinamento sportivo (art. 2, comma 2, Statuto CONI) [69], da svolgersi nel rispetto dei principi del giusto processo sportivo di cui all’art. 2, comma 2, del Codice di giustizia sportiva del CONI e, più in generale, dei principi di giustizia sportiva approvati con Deliberazione n. 1519 del 15 luglio 2014 dal Consiglio nazionale del CONI; principi che, a sua volta, richiamano i principi del giusto processo civile. Salvo ritenere che la pienezza e l’effettività della tutela non siano per l’Ordinamento sportivo un valore irrinunciabile, che possano (dunque) essere sacrificati per ragioni non certamente riconducibili all’autonomia dell’Ordinamento sportivo [70], che il sistema derivato dall’art. 2 del d.l. n. 220/2003 all’opposto preserva. Tale sistema muove, infatti, da «due esigenze costituzionalmente rilevanti, quella dell’autonomia dell’ordinamento sportivo (appunto), cui ampia tutela è riconosciuta in riferimento agli artt. 2 e 18 Cost. e … quella a che non sia intaccata la pienezza della tutela delle situazioni giuridiche soggettive che, sebbene connesse con quell’ordinamento, siano rilevanti per l’ordinamento giuridico generale, grazie alle disposizioni dell’art. 2 del detto decreto legge» [71].
Per cui anche se l’Ordinamento interno è altro rispetto all’Ordinamento generale, «nessuna definitività può mai dirsi veramente tale per quei “casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”» [72], che giustificano un riesame della decisione domestica. L’Ordinamento sportivo, «pur nella sua autonomia, deve essere collegato all’ordinamento dello Stato, così come (è) collegato anche agli ordinamenti al di fuori o al di sopra del nostro Stato» [73]; di qui la necessità che assicuri agli appartenenti all’Ordinamento interno una tutela delle proprie posizioni soggettive ancor più piena ed effettiva, attraverso l’impugnazione per revocazione della decisione della giustizia sportiva, quando sia intervenuta una sentenza dell’Autorità giudiziaria che abbia accertato incidentalmente l’illegittimità della sanzione disciplinare sportiva, ovvero attraverso l’esercizio di poteri in autotutela amministrativa. Entrambi i rimedi, nel rispetto dell’autonomia dell’Ordinamento interno, possono assicurare il coordinamento tra le due decisioni, quella giustiziale, interna all’Ordinamento sportivo, e quella giurisdizionale, rilevante per l’Ordinamento generale, secondo una tecnica conforme al sistema di tutela, a giurisdizione condizionata ed a formazione progressiva, della giustizia sportiva ideato dal legislatore del 2003, e si palesano, dunque, capaci di rendere tale sistema integrato di tutele pienamente effettivo.
[1] Sul riparto di giurisdizione in materia sportiva, si vedano, a titolo esemplificativo, i recenti interventi delle Sezioni Unite: Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2022, n. 3057; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2021, n. 30714; Cass., Sez. Un., 7 maggio 2021, n. 12149; Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2021, n. 4850; Cass., Sez. Un., 28 dicembre 2020, n. 29654; Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2018, n. 33536.
[2] Il riferimento è al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata».
[3] V. l’art. 3 del d.l. n. 220/2003, così come novellato dall’art. 1, commi 647 e 650, della legge 30 dicembre 2018, n. 145. Cfr., G. Facci, La nuova responsabilità civile nello sport: l’illegittimo esercizio del potere disciplinare delle federazioni sportive, in Resp. civ. e prev., 2, 2017, p. 415 ss.; G. Verde, Sul difficile rapporto tra Ordinamento statale e Ordinamento sportivo, in AA.VV., Fenomeno Sportivo e Ordinamento giuridico, Atti del 3° Convegno Nazionale, 27-28-29 marzo 2008 Capri, Napoli, 2009, p. 675 ss.
[4] L’art. 3 del citato d.l. n. 220/2003 è stato, altresì, modificato dal d.lgs. n. 104/2010, che ne ha abrogato i commi 2, 3 e 4 e modificato il comma 1, operando un rinvio al codice del processo amministrativo per la determinazione della giurisdizione e della competenza: individuano la giurisdizione esclusiva del G.A. in materia con competenza funzionale inderogabile del TAR del Lazio gli artt. 133, comma 1, lett z) e lett. z-septies), 135, lett. g), nonché 119, lett. g), del c.p.a.
[5] F. Valerini, Quale giudice per gli sportivi? (a margine del d.l. 19 agosto 2003, n. 220), in Riv. dir. proc., 2004, p. 1205; M. Sanino, F. Verde, Il diritto sportivo, Milano, 2008, p. 40; M. Maione, In presenza di un reato commesso nell’ambito di attività sportiva opera il “vincolo di giustizia”?, in Riv. arb., 2009, p. 527. In giurisprudenza v. TAR Lazio, Sez. III-ter, 19 marzo 2008, n. 2472; Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5514, e Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 2013, n. 3368.
[6] In giurisprudenza, cfr., ex multis: TAR Lazio, Sez. III-ter, 19 marzo 2008, n. 2472; TAR Lazio, Sez. III-ter, 22 agosto 2006, n. 4666 (ordinanza); TAR Lazio, Sez. III-ter, 14 dicembre 2005, n. 13616; TAR Lazio, Sez. III-ter, 21 giugno 2007, n. 5645; TAR Lazio, Sez. III-ter, 22 agosto 2006, n. 7331; TAR Lazio, Sez. III-ter, 18 aprile 2005, n. 2801. In dottrina, cfr. G. Manfredi, Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale. I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva, Torino, 2007, p. 253; F. Valerini, La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport: natura del procedimento e regime degli atti, in Riv. arb., 2007, p. 97, in particolare nt. 15; L. Di Nella, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1999, p. 236 ss.; G. Facci, op. cit., p. 415 ss.
[7] Cfr. L. Marzano, La giurisdizione sulle sanzioni disciplinari sportive: il contrasto fra Tar e Consiglio di stato approda alla Corte costituzionale, in Giur. merito, 2010, p. 2567. Espressione dei contrapposti orientamenti giurisprudenziali all’epoca vigenti sono prevalentemente la pronuncia 8 novembre 2007, n. 1048, del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia e la pronuncia 25 novembre 2008, n. 5782, del Cons. Stato, Sez. VI, in Dir. proc. amm., 2010, p. 1409, con nota di F. Goisis, Verso l’arbitrabilità delle controversie pubblicistiche sportive?
[8] Commenti a Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, sono offerti da F.G. Scoca, I mezzi di tutela giurisdizionale sono soggetti alla discrezionalità del legislatore, in Corr. giur., 11/2011, p. 1548 ss.; F. Pavoni, La Corte costituzionale esclude il giudizio di annullamento sulle sanzioni disciplinari sportive, in Resp. civ. e prev., 2011, p. 2003 ss.; A.A. Di Todaro, La tutela effettiva degli interessi tra giurisdizione sportiva e statale: la strana «fuga» della Corte dal piano sostanziale a quello per equivalente, in Giur. cost., 2011, p. 697; Facci, op. cit., p. 415 ss.; G. Santagada, Le sanzioni disciplinari sportive: se non sono annullabili non sono «atti amministrativi», ma «fatti storici» non arbitrabili e la domanda risarcitoria si propone davanti al giudice ordinario, in Giust. civ., 2012, I, p. 2519.
[9] Cfr. G. Verde, Sul difficile rapporto tra Ordinamento statale e Ordinamento sportivo, cit., pp. 678-679, per il quale, «se lo Stato dà rilievo alla “connessione” tra la tutela erogabile dai suoi organi di giustizia e quella degli organi di giustizia sportiva, sembra che esso, implicitamente, ma inevitabilmente finisca col riconoscere che i primi non possano intervenire sulle sanzioni sportive, ma possano soltanto eliminare gli eventuali danni subiti per effetto di tali sanzioni a causa della violazione di beni comunque riconosciuti dall’ordinamento statale, in quanto la rilevanza per lo Stato della situazione protetta dall’ordinamento sportivo non si identifica con quest’ultima – che resta affidata alla riconosciuta autonomia degli organi sportivi –, ma ha per oggetto le conseguenze ulteriori, che solo (queste) possono dar vita a veri e propri diritti soggettivi».
[10] La Corte costituzionale nell’occasione richiama in parte il ragionamento seguito da Cons. Stato, Sez. VI, n. 5782/2008 (cfr., in particolare, il § 3.8 delle motivazioni della sent.), sebbene, nel caso specifico approdato ai Giudici di Palazzo Spada, un eventuale annullamento della sanzione inflitta alla società calcistica ricorrente non avrebbe restituito alla stessa il “bene della vita”, per cui la legittimità degli atti impugnati assumeva rilievo solo indiretto ai fini della domanda risarcitoria. Cfr. A. Palmieri, Sanzioni disciplinari sportive, ricadute su interessi giuridicamente rilevanti e tutela giurisdizionale: la Consulta crea un ibrido, in www.coni.it, p. 6.
[11] La Consulta, con la sent. n. 49/2011, sul punto precisa che, sebbene nell’ordinanza di rimessione TAR Lazio n. 241/2010 si faccia riferimento agli artt. 24, 103 e 113 Cost., «la censura ha un carattere unitario» poiché «si incentra su un unico profilo», qual è il rispetto dalla normativa censurata «al principio costituzionale del diritto ad ottenere la tutela della propria posizione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo dinanzi ad un giudice statale» ed il «rispetto del diritto di difesa», che «irrimediabilmente (sarebbe) leso proprio dalla preclusione del ricorso al giudice statale». Da questo punto di vista, la Corte non ravvisa dubbi di legittimità diversi da quello formulato con riferimento al solo art. 24 Cost.
[12] L’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito l’inammissibilità della q.l.c. proprio sul rilievo che il «rimettente si sarebbe limitato a criticare la sentenza n. 49 del 2011 senza sottoporre (alla) Corte nuovi elementi o argomentazioni rispetto a quelli già a suo tempo da essa esaminati». La Corte costituzionale, però, vagliata l’eccezione, si è pronunciata in senso non ostativo all’esame nel merito delle censure sollevate, precisando che la «riproposizione di questioni identiche a quelle già dichiarate non fondate … non comport(a) comunque, nemmeno in mancanza di nuovi argomenti che possano militare nel senso di una diversa soluzione, l’inammissibilità delle questioni stesse ma, in ipotesi, la loro manifesta infondatezza (ex plurimis, ordinanze n. 96 del 2018, n. 162, n. 138 e n. 91 del 2017, n. 290 del 2016)» (Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160).
[13] TAR Lazio, Sez. I-ter, 10 novembre 2016, n. 1146, e 23 gennaio 2017, n. 1163. Cfr., Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2022, n. 3057, cit.; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2021, n. 30714, cit.; Cass., Sez. Un., 7 maggio 2021, n. 12149, cit.
[14] Sulla funzione giustiziale del Collegio di Garanzia dello Sport concorda lo stesso organo del CONI: si vedano, in merito, le statuizioni del Collegio di Garanzia per lo Sport, Sez. III, n. 67/2021; Collegio di Garanzia per lo Sport, Sez. Un., n. 39/2019; Collegio di Garanzia per lo Sport, Sez. I, n. 41/2016; Collegio di Garanzia per lo Sport, Sez. I, n. 31/2020, secondo cui l’accettazione delle regole statutarie delle Federazioni comporta l’assoggettamento al vincolo di giustizia sportiva, per effetto del quale viene a «crearsi la dicotomia tra funzione giustiziale e funzione giurisdizionale», in Relazione annuale sulla giurisprudenza del Collegio di Garanzia per lo Sport, Anno 2021, in www.coni.it, p. 55.
[15] V. l’art. 20, comma 4, dello Statuto CONI. Per l’applicazione del principio di imputazione organica al CONI degli atti e dei fatti posti in essere da organi del CONI, si veda la decisione n. 24/2021, del Collegio di Garanzia dello Sport, in Relazione annuale sulla giurisprudenza del Collegio di Garanzia per lo Sport, Anno 2021, cit., secondo cui «(e)ssendo pacifica la natura di ente pubblico in capo al CONI […] allo stesso […] devono essere coerentemente applicati i risalenti principi in ordine al rapporto esistente tra ente pubblico ed organo dell’ente medesimo, improntati ai criteri gerarchico, di direzione e coordinamento. Ed infatti, l’organo altro non è che il principale strumento d’imputazione attraverso il quale l’ente agisce all’esterno. Il principio di imputazione organica che ne deriva consiste nell’integrale riconducibilità e, appunto, imputazione all’Ente sia degli atti che dei fatti, come degli effetti di tali ultimi, posti in essere dai suoi organismi e commissioni interne».
[16] L’attività strumentale all’attuazione dei compiti dell’ente pubblico CONI era svolta per il tramite della CONI Servizi s.p.a. (Statuto CONI Servizi S.p.a. approvato in Assemblea il 22 dicembre 2016, in www.coni.it), costituita ai sensi dell’art. 8 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, e che, con la legge n. 145 del 30 dicembre 2018, art. 1, comma 629, è divenuta Sport e Salute S.p.a., per cui ogni richiamo alla CONI Servizi s.p.a. contenuto in disposizioni normative vigenti deve intendersi riferito alla Sport e Salute S.p.a.
[17] Cfr. l’art. 20, comma 1, dello Statuto CONI con l’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 242/1999.
[18] Secondo l’art. 1 del d.lgs. n. 242/1999, «(i)l Comitato olimpico nazionale italiano … è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali». L’art. 2, comma 1, lett. g), del d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, ha attribuito al Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, una funzione di vigilanza sul CONI. La legge 17 luglio 2006, n. 233, ha trasferito alla Presidenza del Consiglio le funzioni di competenza statale attribuite al Ministero per i beni e le attività culturali che, con riferimento al CONI ed all’Ordinamento sportivo, per effetto del succitato art. 2, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 368/1998, si esauriscono nel solo esercizio della funzione di vigilanza sullo stesso ente CONI. L’art. 1, comma 2, dello Statuto CONI, – così come modificato dal Consiglio Nazionale il 23 febbraio 2021 con deliberazione n. 1684 ed approvato con d.P.C.M. dell’8 febbraio 2022 – pertanto prescrive: «Il CONI è posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri (d’ora innanzi “Autorità vigilante”)». Il CONI è tenuto, pertanto, a trasmettere all’Autorità vigilante gli atti e le delibere adottate dai propri organi e alcuni di essi, come lo Statuto, devono essere espressamente approvati dalla vigilante. Si tratta, tuttavia, di un controllo di sola legittimità, essendo tenuto il Ministero vigilante a rilevare la conformità alla legge degli atti adottati dallo stesso CONI senza intervenire nel merito delle scelte operate.
[19] Si veda, altresì, l’art. 20, comma 4, dello Statuto CONI Cfr. P. Sandulli, Costituzione e sport, in www.rivistadirittosportivo.coni.it, p. 7.
[20] F. Auletta, Sport, in G. Verde (a cura di), Giurisdizione. Dizionario del riparto, Bologna, 2010, p. 702 ss.
[21] F. Auletta, op. ult. cit., p. 702 ss.
[22] G. Verde, Sul difficile rapporto tra Ordinamento statale e Ordinamento sportivo, cit., p. 679.
[23] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 agosto 2018, n. 5020, là dove rileva: «Gli organi della giustizia sportiva, infatti, ancorché non svolgenti funzioni giurisdizionali ma, al più, amministrative, devono per statuto porsi in posizione di terzietà ed indipendenza rispetto alle parti della vertenza (ossia gli atleti da una parte e le Federazioni affiliate al Coni dall’altra), il che impedisce di confondere il procedimento amministrativo volto all’adozione della sanzione disciplinare (che inizia con il deferimento dell’atleta da parte della Procura federale e si conclude con l’irrogazione o meno di una misura sanzionatoria) con quello, giustiziale, che prende il via con l’impugnazione di quest’ultima avanti al giudice sportivo e si conclude con la decisione di ultima istanza. Si tratta cioè di due procedimenti distinti per genesi e per ratio, non di momenti diversi di un’unica fattispecie a formazione progressiva». Cfr., Cons. Stato, Sez. V, 22 agosto 2018, n. 5019, che esclude l’applicazione agli organi della giustizia sportiva della Fgi la normativa in materia di responsabilità civile dei magistrati «in quanto gli organi di giustizia federale non hanno natura giurisdizionale». Sull’applicazione rigorosa della relativa disciplina ai soli esercenti funzioni giudiziarie, sia inquirenti che giudicanti, si veda Cass., Sez. III, 5 agosto 2010, n. 18170; TAR Lazio, Sez. I-ter, 23 gennaio 2017, n. 1163. Contra, in dottrina, A.A. Di Todaro, op. cit., p. 697 ss.; G. Santagada, op. cit., p. 2519 ss.
[24] V. TAR Lazio, Sez. I-ter, 23 gennaio 2017, n. 1163, cit., secondo cui «(l)e Federazioni sportive nazionali … appaiono partecipare, infatti, di una duplice natura privatistica e pubblicistica, a seconda dell’attività delle medesime espletata: se sorgono come associazioni con personalità giuridica di diritto privato, in quanto tali svolgenti attività regolata dai principi civilistici, nel momento in cui giungono ad operare in qualità di organi del CONI, svolgono altresì attività di valenza pubblicistica rispetto alla quale non può che essere loro riconosciuta natura pubblica».
[25] Cons. Stato, Sez. V, 22 giugno 2017, n. 3065; cfr., Cons. Stato, Sez. V, 22 agosto 2018, n. 5020, cit. Contra, TAR Lazio, 9 marzo 2016, n. 3055, e TAR Lazio, 23 gennaio 2017, n. 1163, cit.
[26] Cfr. P. Amato, Il vincolo di giustizia sportiva e la rilevanza delle sanzioni disciplinari per l’ordinamento statuale. Brevi riflessioni alla luce delle recenti pronunce del Tar Lazio, in Riv. dir. econ. sport., 2006, III, p. 41; F. Goisis, La natura del vincolo di giustizia sportiva nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione: alcune considerazioni critiche, in Dir. proc. amm., 2007, p. 261; A. Massera, Sport e ordinamenti giuridici: tensioni e tendenze del diritto vivente in una prospettiva multilaterale, in Dir. pubb., 2008, p. 113; E. Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato dello sport: una better alternative, in questa Rivista, edizione on line, www.rivistadirittosportivo.coni.it, p. 2. In giurisprudenza, si veda, contra, TAR Lazio, Sez. III-ter, 21 aprile 2005, n. 2244. Sull’applicazione del vincolo di giustizia alle sole materie riservate, si veda Cass., Sez. Un., 4 agosto 2010, n. 18052.
[27] «(L)a predisposizione di un apposito apparato per la decisione di controversie è strumento necessario e irrinunciabile di chiusura dell’ordinamento, che non può abdicare a tale funzione, pena la perdita dell’autonomia», così per V. Vigoriti, Giustizia statale e sport: fra ingerenza e garanzia, in Riv. arb., 2005, p. 435. Sul punto, si vedano, Id., L’arbitrato sportivo in materia economica, in Riv. arb., 2000, p. 13; F. Auletta, Un modello per la camera di conciliazione e arbitrato per lo Sport, in Riv. arb., 2007, p. 145, secondo il quale l’Ordinamento sportivo, per evitare che l’autonomia riconosciuta «non si riduca al monopolio delle fonti di produzione giuridica», ma renda le sue norme «effettivamente cogenti», ha istituito apposite «sedi di giustizia».
[28] Ord. TAR Lazio, Sez. I-ter, 11 ottobre 2017, n. 10171. Cfr., TAR Lazio, 17 aprile 2014, n. 4138.
[29] Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit. Cfr., Cons. Stato, Sez. V, 22 agosto 2018, n. 5020, cit.; Cons. Stato, Sez. VI, 14 novembre 2011, n. 6010; Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2018, n. 33536, cit.
[30] Cons. Stato, Sez. V, 22 agosto 2018, n. 5020, cit.
[31] V. Corte cost., 21 gennaio 1988, n. 73, e Corte cost., 20 aprile 1977, n. 63. Cfr., Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2018, n. 33536, cit., che, con riferimento alla degiuridificazione posta in essere dal legislatore nelle materie riservate alla Giustizia sportiva, esclude una forma di responsabilità civile dello Stato per esercizio della funzione legislativa in contrasto con il diritto dell’Unione Europea.
[32] Cons. Stato, Sez. V, 22 agosto 2018, nn. 5019 e 5020, cit.
[33] Cons. Stato, Sez. V, 22 agosto 2018, n. 5020, cit.; cfr., Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2022, n. 3057, cit.
[34] Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit.
[35] Cons. Stato, Sez. V, 22 agosto 2018, n. 5019, cit.
[36] Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit.
[37] Cfr. F.G. Scoca, op. cit., p. 1550.
[38] Cfr. V. Spada, La tutela meramente obbligatoria non è equiparabile a quella reale: riconoscere l’una al posto dell’altra è una scelta ideologica, in Foro amm., 3, 2020, p. 615 ss. In giurisprudenza, si vedano, Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2018, n. 32358; Cass., Sez. Un., 15 marzo 2016, n. 5072; Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2017, n. 30985, che offrono esempi di forme di tutela solo risarcitoria. La previsione di forme di tutela di tipo solo risarcitorio – monetario è tecnica conclamata nel nostro Ordinamento, che il legislatore può a sua discrezione disporre nei limiti della ragionevolezza ed adeguatezza della misura, talora per ragioni processuali. Si pensi alla previsione normativa contenuta nell’art. 2738 c.c. che, nel disciplinare l’efficacia probatoria del giuramento prestato nel processo civile, successivamente dichiarato falso, esclude alla parte che in conseguenza soccombe di chiedere su tale presupposto la revocazione ex art. 395 c.p.c. della sentenza derivata, perché deferire il giuramento è frutto di una scelta di autoresponsabilità, cui il legislatore ha dato prevalenza, facendone derivare la decisione (alternativa) della causa. E ciò nell’ottica di valorizzare il giuramento come «strumento alternativo di risoluzione della controversia», piuttosto che come mezzo di prova che avrebbe portato, ai sensi dell’art. 395, n. 2, c.p.c., alla revocazione della sentenza che lo presuppone (cfr. F. Auletta, Diritto giudiziario civile, I modelli del processo di cognizione (ordinaria e sommaria) e di esecuzione, Bologna, 2021, p. 191). «(L)a falsità del giuramento non costituisce ragione di riforma o di annullamento della sentenza che sia stata pronunciata sul suo fondamento», ma solo la fonte della tutela risarcitoria dei danni conseguenti (A. Ronco, Note minime sul coordinamento degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in Giur. it., 2011, p. 2114 ss., in commento a ord. Cass., Sez. VI, 21 dicembre 2010, n. 25822). Cfr. F.P. Luiso, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, Milano, 2007, p. 149.
[39] Si riferisce alle ipotesi di cui ai primi quattro commi dell’art. 18, Statuto dei lavoratori, e di cui all’art. 2, d.lgs. n. 23/2015. Si precisa che la tutela monetaria (risarcitoria e sostitutiva della reintegra) è determinabile in misura variabile secondo le indicazioni predeterminate per tali ipotesi dal legislatore, in ragione del vizio inficiante il licenziamento.
[40] Si riferisce all’ipotesi di cui all’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015.
[41] Si riferisce all’ipotesi di cui all’art. 18, comma 5, Statuto dei lavoratori, per la quale l’indennità è determinabile tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, nonché all’ipotesi di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, sulla quale, invece, si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 194 dell’8 novembre 2018, dichiarando l’incostituzionalità della norma limitatamente alle parole «di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio». Appare rilevante come il contrasto costituzionale non sia stato ravvisato «in ragione dell’eliminazione della tutela reintegratoria […] e quindi, dell’integrale monetizzazione della garanzia assicurata al lavoratore, ma in ragione della disciplina dell’indennità risarcitoria», che vincolando il quantum della stessa a parametri meramente matematici, eliminava la discrezionalità valutativa del giudice e finiva pertanto per disciplinare in modo uniforme casi molto dissimili tra loro, in violazione dell’art. 3 della Costituzione.
[42] Si riferisce all’ipotesi di cui all’art. 18, comma 6, Statuto dei lavoratori, per la quale l’indennità è determinabile tra un minimo di sei ed un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, salvo che il giudice accerti che vi sia stato anche un difetto di giustificazione del licenziamento, poiché, in tal caso, si applicano le tutele di cui ai commi 4, 5 o 7 del citato art. 18. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 59 del 1° aprile 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 7 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerta la manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha solo la facoltà e non il dovere di disporre la reintegra nel posto di lavoro. Giacché qualificare il licenziamento come determinato da giusta causa o da giustificato motivo oggettivo è frutto di una scelta insindacabile del datore di lavoro – motiva la Corte – e la mera facoltà di disporre la reintegra implica una disparità di trattamento tra situazioni identiche negli elementi costitutivi.
Si riferisce, altresì, all’ipotesi di cui all’art. 4, d.lgs. n. 23/2015. Sull’indennità onnicomprensiva qui prevista pure si è pronunciata la Corte Costituzionale, con la sentenza 16 luglio 2020, n. 150, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015 limitatamente alle parole «di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», evidenziando come il legislatore ben possa discrezionalmente modulare la tutela erogabile in chiave solo monetaria, purché non predisponga un meccanismo di determinazione dell’indennità risarcitoria fisso, parametrato su un unico fattore, poiché ai fini della quantificazione adeguata rileva la specificità del caso concreto.
[43] Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit.
[44] Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit. Cfr., Corte cost., 11 novembre 2011, n. 303, e Corte cost. 08 novembre 2018, n. 194.
[45] Cfr., le pronunce Corte cost., 8 novembre 2018, n. 194, cit., Corte cost., 16 luglio 2020, n. 150, cit.; Corte cost., 16 ottobre 2014, n. 235; Corte cost., 11 novembre 2011, n. 303, cit.; Corte cost., 9 dicembre 2000, n. 482; Corte cost., 6 maggio 1985, n. 132, e Cass., Sez. lavoro, 11 aprile 2022, n. 11665. Spiega, infatti, la Corte costituzionale che «la regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale» (Corte cost., 30 aprile 1999, n. 148) ed il risarcimento del danno, per essere riconosciuto quale rimedio effettivo di tutela, non deve proporsi la riparazione integrale del pregiudizio sofferto dal danneggiato, quanto piuttosto proporsi di essere equilibrato.
[46] Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit.
[47] Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit. Cfr., Corte cost., 3 aprile 1987, n. 100; Corte cost., 6 luglio 1971, n. 161; Corte cost., 7 luglio 1962, n. 87. Sull’esigenza di bilanciare il principio dell’autonomia dell’Ordinamento sportivo e la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, si veda G. Santagada, op. cit., p. 2519 ss.
[48] Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit., che richiama Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit.
[49] Cfr., G. Santagada, op. ult. cit., p. 2519 ss.
[50] Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2018, n. 33536, cit.; Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, n. 647; Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2018, n. 32358, cit. Le Sezioni Unite, di recente, hanno finanche affermato la giurisdizione del Giudice ordinario, a discapito di quello amministrativo, sull’azione promossa ex art. 44, d.lgs. n. 286/98, e art. 28, d.lgs. n. 150/2011, contro un atto di una Federazione sportiva che produce una discriminazione per motivi di nazionalità in relazione al tesseramento degli atleti, definendo ulteriormente i confini del riparto di giurisdizione tracciato a monte dal d.l. n. 220/2003, convertito, con modificazioni, nella l. n. 280/2003 (Cass., Sez. Un., 01 febbraio 2022, n. 3057, cit.).
[51] Cass., Sez. Un., 9 novembre 2018, n. 28652; cfr., Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2022, n. 3057, cit.; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2021, n. 30714, cit.; Cass., Sez. Un., 7 maggio 2021, n. 12149, cit.; Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2021, n. 4850, cit.; Cass., Sez. Un., 28 dicembre 2020, n. 29654, cit.; Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2018, n. 33536, cit. Cfr., tali pronunce con le sentenze Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, e 25 giugno 2019, n. 160, cit.
[52] F. Auletta, L’effettività nel processo, in G. Grisi (a cura di), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, Omaggio a Salvatore Mazzamuto a trent’anni dal convegno palermitano, Napoli, 2019, p. 44. Cfr., I. Pagni, L’effettività della tutela in materia di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2, 2016, p. 209 ss., secondo cui «(p)arlare di effettività della tutela oggi significa […] “un diritto ad un rimedio effettivo”: significa cioè valorizzare al massimo il principio chiovendiano, in virtù del quale il processo deve dare al titolare di una situazione soggettiva “tutto quello e proprio quello” che il diritto sostanziale riconosce».
[53] F. Auletta, op. ult. cit., p. 43.
[54] Cfr., TAR Puglia, Bari, Sez. II, 4 giugno 2021, n. 969.
[55] M. Franzoni, Dei fatti illeciti, Commentario del codice civile, Comm SB,1993, sub art. 2058, p. 1118 ss. Cfr., M. Magnani, Il terribile diritto. Riflessioni sull’attuale regime del licenziamento tra giurisprudenza e legislatore, in Riv. it. di dir. del lav., 2, 2021, p. 169; A. di Majo, Ascesa e declino dell’adempimento in forma specifica, in Eur. e dir. priv., 1, 2021, p. 117 ss.
[56] Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit.
[57] Corte EDU, 1 marzo 2016, Tabbane vs Svizzera, p. 23-26; 19 marzo 1997, Hornsby vs Grecia; 15 febbraio 2006, Androsov vs Russia; 27 dicembre 2005, Iza vs Georgia; 30 novembre 2005, Mykhaylenky vs Ucraina, p. 51; 24 febbraio 2005, Plotnikovy vs Russia, p. 22; 22.02-06 giugno 2005 Sharenok vs Ucraina, p. 25; 29 novembre 2016, Lupeni Greek Catholic Parish e altri vs Romania, p. 89; 26 ottobre 1998, Osman vs Regno Unito, p. 147; 18 febbraio 1999, Wait & Kennedy vs Germania, p. 59; 15 settembre 2009 Eiffage S.A. e altri vs Svizzera.
[58] Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2018, n. 32358, cit. Cfr., il commento a tale decisione di S. Messina, Indipendenza dell’ordinamento sportivo rispetto a quello ordinario, in GiustiziaCivile.com, 2019.
[59] Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2018, n. 33536, cit.
[60] F. Auletta, Un modello per la camera di conciliazione e arbitrato per lo Sport, cit., p. 148.
[61] Corte cost., 26 maggio 2017, n. 123, in Foro it., 2017, I, p. 2180, con nota di E. D’Alessandro, Il giudicato amministrativo (e quello civile) per ora non cedono all’impatto con la Corte europea dei diritti dell’uomo. Cfr. A. Travi, Pronunce della Corte di Strasburgo e revocazione delle sentenze: un punto fermo della Corte Costituzionale, in Giur. cost., 3, 2017, p. 1260; A. Police, Giudicato amministrativo e sentenze di Corti sovranazionali. Il rimedio della revocazione in un’analisi costi benefici, in Dir. proc. amm., 2, 2018, p. 646; I. Rossetti, Stabilità giuridica contro revocazione: la Corte Costituzionale chiude la partita, in Dir. proc. amm., 2, 2018, p. 665.
[62] In tema, si veda F. Auletta, Uno stress test per la revocazione, in Giusto proc. civ., 1, 2020, p. 84 ss.
[63] V. Corte cost., 7 aprile 2011, n. 113, in Foro it., 2013, I, p. 802, con nota di L. Calò, Il giudice nazionale dinanzi alla Giurisprudenza Cedu. La metafora dei «tre cappelli»; Corte cost., 26 maggio 2017, n. 123, cit., Corte cost., 27 aprile 2018, n. 93.
[64] Corte cost., 7 aprile 2011, n. 113, cit.
[65] La disposizione esplicita l’inidoneità del rimedio risarcitorio a rimuovere sempre le conseguenze della violazione. Onde evitare duplicità di ristori, in sede attuativa, l’impugnazione per revocazione è stata limitata all’ipotesi in cui la violazione accertata dalla Corte abbia pregiudicato un diritto di stato della persona e all’ipotesi in cui l’equa indennità, eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, non sia stata idonea a compensare le conseguenze della violazione, così come dispone testualmente l’art. 391-quater c.p.c.
[66] Cfr. F. Auletta, Uno stress test per la revocazione, cit., p. 86, là dove ravvisa un «punto di virtuale convergenza di tutte le esigenze di effettività della tutela nella postulazione del mezzo di impugnazione della revocazione», e p. 93.
[67] Si veda il capo V del titolo II del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.
[68] Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3. Il suddetto art. 30 c.p.c., per il tramite dell’art. 1227 c.c., opera una ricognizione dei principi civilistici in tema di causalità giuridica e di auto-responsabilità, e sancisce la regola generale, secondo la quale l’assunzione di una condotta contraria al principio di buona fede e al parametro della diligenza, che determini la produzione di danni, che altrimenti sarebbero stati evitati, recide il nesso causale che deve collegare la condotta antigiuridica alle conseguenze risarcibili (TAR Puglia, Bari, Sez. II, 4 giugno 2021, n. 969, cit.). In merito, si vedano anche TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II, 9 giugno 2021, n. 421; Cons. Stato, Sez. V, 2 febbraio 2021, n. 962; TAR Puglia, Sez. II, 23 ottobre 2013, n. 1447; TAR Puglia, Sez. I, 22 marzo 2011, nn. 442 e 444.
[69] Cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2010, n. 2946, che, richiamando la sent. n. 3218 del 3 aprile 1987 della I Sez. della Corte di cassazione, ribadisce come «(i) rapporti tra l’ordinamento giuridico statale e l’ordinamento sportivo non (siano) … di reciproca autonomia e totale indipendenza … l’ordinamento sportivo opera nell’ambito delle leggi dello Stato e può agire solo entro la sfera delle potestà che da queste ultime gli sono riconosciute, sfera che è limitata all’esercizio della predetta potestà regolamentare amministrativa nel settore sportivo il quale rientra fra gli interessi generali dello Stato e che è stato delegato ad un ente pubblico, appositamente creato e sottoposto alla vigilanza del competente organo amministrativo statale».
[70] Cfr. F.G. Scoca, op. cit., p. 1550; A. Palmieri, op. cit., p. 7 ss. che, in particolare, ravvisa nella decisione della Consulta uno sbarramento a richieste di tutela cautelare: in molti casi tale forma di tutela rappresenterebbe «l’unico strumento per ovviare alla tardività della tutela rispetto ai tempi serrati richiesti dal movimento sportivo».
[71] Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2017, n. 1173.
[72] F. Auletta, Un modello per la camera di conciliazione e arbitrato per lo Sport, cit., p. 147.
[73] G. Verde, Sul difficile rapporto tra Ordinamento statale e Ordinamento sportivo, cit., p. 677.