Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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La responsabilità della società di calcio per fatto dei tesserati e dei tifosi: regole e modelli di allocazione del rischio nella giustizia sportiva (di Tommaso Sica, Dottorando di ricerca in Diritto privato nell’Università degli Studi di Roma “Roma Tre”)


Il saggio analizza il problema della responsabilità oggettiva delle società calcistiche per fatto dei propri tesserati e tifosi. In primo luogo, l’articolo, tenuto conto dell’autonomia dell’ordina­mento sportivo all’interno dell’ordinamento italiano, si sofferma sia sulla nozione di fatto illecito sia sulla regola di responsabilità oggettiva sancita dal Codice di Giustizia Sportiva della Federcalcio italiana ante riforma. Nella seconda parte, l’autore analizza nel dettaglio le caratteristiche della regola di responsabilità oggettiva, con uno specifico approfondimento sugli obiettivi perseguiti dalla norma, sui modelli di allocazione del rischio e sul risarcimento del danno. Il contributo esamina, inoltre, l’evoluzione giurisprudenziale e normativa sul tema e fornisce un confronto con i più importanti Codici di giustizia sportiva europei.

Parole chiave: responsabilità oggettiva, risarcimento del danno, allocazione del rischio, illecito civile.

The strict liability of football clubs for the behaviour of their members and supporters: rules and risk allocation models within the sports justice system

The essay analyzes the problem of the strict liability of football clubs that derives from the be­haviour of their members and supporters. First of all, the article, taking into account the autonomy of the sports law system within the Italian legal system, dwells both on the notion of tort and on the strict liability rule stated by the previous Sports Justice Code of the Italian Football Federation. In the second part, the author focuses on the features of the strict liability rule, with a specific core on the preminent objectives the rule aims at, on the risk allocation models and on the compensation for damages. Furthermore, the paper examines the case law and regulatory evolution as well as the comparison with the most relevant European Sports Justice Codes.

Keywords: strict liability, compensation for damages, risk allocation, tort.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Considerazioni introduttive. L’autonomia dell’ordinamento sportivo tra diritto penale e diritto civile - 3. La nozione di illecito sportivo e la regola di responsabilità delle società nel Codice di Giustizia Sportiva ante riforma - 4. Segue: la responsabilità oggettiva delle società calcistiche per fatto dei tesserati. Funzioni della responsabilità civile e trasposizione nell’ordinamento sportivo - 5. Le responsabilità per fatto dei tifosi - 6. L’evoluzione giurisprudenziale. Responsabilità ed illecito sportivo tra «atto preparatorio» ed «atto idoneo». Il rischio di overdeterrence e il caso Napoli del 2012 - 7. Criteri di imputazione degli illeciti e responsabilità disciplinare delle società sportive per fatto dei tesserati e dei tifosi. Breve analisi comparatistica - 8. La responsabilità delle società di calcio tra allocazione del rischio, «giusta» perseguibilità degli illeciti sportivi e obiettivi di prevenzione. L’evoluzione normativa italiana e i nuovi articoli 6 e 7 del Co­dice di Giustizia Sportiva - NOTE


1. Premessa

Discutere di «responsabilità» delle società di calcio e di «illecito» sportivo oggi non significa soltanto svolgere un’indagine di carattere tecnico-giuridico sulla funzionalità e l’efficienza del sistema rimediale adottato dall’ordinamento sportivo al fine di prevenire e sanzionare comportamenti non conformi e dannosi [1], ma, piuttosto, obbliga l’interprete ad addentrarsi in una materia che abbraccia una pluralità di valori e interessi meritevoli di tutela.

Si pensi alla rilevanza educativo-sociale di regole etiche e morali quali il rispetto dell’altro (la lealtà), il sano agonismo (la correttezza), il mantenimento di una condotta non moralmente deprecabile (l’onestà) [2] e alla connessa questione del difficile equilibrio tra tali principî fondamentali dell’ordinamento sportivo e gli interessi patrimoniali dei tesserati, delle società e di tutto l’indotto che ruota intorno alle manifestazioni sportive [3].

In particolare, il dibattito sul fenomeno calcistico – soprattutto con riferimento al sistema «giustizia» cui esso dovrebbe far riferimento – valica sovente i limiti dell’or­dinario con casi e scandali spesso senza eguali in Europa, dimostrando come esso incarni appieno i problemi e le contraddizioni socio-politiche di un’intera nazione [4]. Le dimensioni raggiunte dal calcio in Italia in termini di partecipazione (soprattutto ove si ponga mente all’espansione del settore professionistico), rilevano sotto un profilo mar­catamente economico, in primis connesso alle attività che gravitano attorno alle società, ma anche indirettamente riconducibile alle stesse federazioni: il corretto svolgimento della manifestazione, da una parte, risulta strumentale alla tutela ed alla promozione del sostrato valoriale di riferimento; dall’altra, non può sottacersi che esso sia divenuto condizione imprescindibile per la positiva conclusione del complesso delle operazioni economiche che ruotano attorno all’evento stesso.

La presente analisi prende le mosse dal peculiare rapporto sussistente tra il modello di giustizia sportiva in ambito calcistico e il sistema della responsabilità civile, con lo scopo di descrivere l’evoluzione della controversa regola di responsabilità delle società sportive e di analizzare le funzioni che essa svolge nel complesso delle relazioni intercorrenti tra società, tesserati e tifosi.


2. Considerazioni introduttive. L’autonomia dell’ordinamento sportivo tra diritto penale e diritto civile

L’ordinamento sportivo può essere definito come l’insieme dei soggetti che praticano un’attività sportiva organizzandosi entro una forma giuridica compiuta (il c.d. libero associazionismo), trovando un comune denominatore nelle federazioni sportive e una propria regolamentazione nel quadro normativo che legittima e garantisce l’in­tero sistema [5]. In tal senso, lo sport si pone quale apparato autonomo promosso dallo Stato, connotandosi per struttura e funzioni proprie, seppur armoniosamente giustificate e contestualizzate entro l’orbita delle norme costituzionali [6]. Il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo irradia i propri effetti in maniera eterogenea e ramificata, incidendo su ogni singolo aspetto dell’attività istituzionale, amministrativa, organizzativa e regolamentare che in esso si svolge: lo sport è dotato di uno specifico sistema normativo e giudiziario che, prendendo le mosse dalla forma embrionale della mera regola ludica, si è evoluto sino a conformarsi in un complesso modello multilivello.

Prendendo in considerazione l’ambito delle c.d. società sportive professionistiche [7], è possibile discernere tra: a) un comparto di giustizia tecnica, che opera durante lo svol­gimento della competizione agonistica; b) la c.d. giustizia economica, rivolta a sanare i conflitti patrimoniali sussistenti tra tesserati e società; c) la c.d. giustizia amministrativa, che interviene de residuo in caso di impugnativa di deliberazioni dell’organo amministrativo federale e, infine, d) il comparto di giustizia disciplinare che persegue gli atleti tesserati sotto il profilo comportamentale, inquadrato in un ampio contesto attinente alle generali regole e agli scopi su cui poggia l’intero ambito sportivo [8].

Sebbene la giustizia sportiva operi in un ambito di indipendenza, essa risente del­l’influenza del sistema ordinario di tutele, configurando un fenomeno di trasposizione mediata dell’architettura giurisdizionale (nonché dei comuni valori di giustizia ad essa collegati) entro un quadro di natura eccezionale e speciale. Il risultato è uno schema ibrido e multidirezionale, che proclama in piena autonomia la regola «sportiva», attingendo sovente all’ampio bacino di norme ordinarie, da cui spesso mutua lessico e caratteri tecnici, combinandone e conformandone al contempo le funzioni rispetto alla specifica materia oggetto di intervento e regolamentazione [9].

Ove si prenda in esame il caso della c.d. giustizia disciplinare, una prima analogia emerge con riferimento al diritto penale, in special modo rispetto alla funzione sanzionatoria e di perseguimento della condotta del singolo tesserato. In particolare, l’aporia di specifiche regole di condotta (e quindi la scarsità di ben definite fattispecie reatuali), giustificata dal ricorso alle clausole generali (per prima, quella del rispetto dei valori sportivi [10]), unitamente all’affermata natura privatistica dei regolamenti settoriali di ogni federazione (in primis dei Codici di giustizia sportiva [11]), mette al contrario in luce un diverso profilo del diritto sportivo, parallelo e contrapposto, marcatamente di stampo giusprivatistico [12].

Ciò considerato, risulta opportuno svolgere talune riflessioni preliminari di tipo terminologico e funzionale, nel tentativo di individuare quali significati (e quali scopi) il legislatore abbia voluto fissare e perseguire nell’ambito della c.d. giustizia sportiva.

L’individuazione di una fattispecie di reato (e della sanzione ad essa connessa) da parte dell’ordinamento penale o, ancora, l’operatività di una regola di responsabilità ri­sarcitoria in ambito civile, presuppone finalità distinte, ma in certa misura comuni ad entrambe le esperienze. Da una parte, infatti, l’ordinamento interviene a posteriori sulla ricorrenza di un evento dannoso, garantendo al soggetto che ne ha subìto le conseguenze: a) un ristoro in termini economici (effetto compensativo) e b) la tutela indiretta dell’interesse leso (effetto punitivo sanzionatorio); dall’altra, c) la previsione di una norma positiva concorre sempre ad agire ex ante sul comportamento dei consociati, con­formandone l’agire rispetto a determinati precetti (funzione deterrente) [13]. In una prospettiva più generale, d) l’intervento dell’ordinamento è connesso un effetto promozionale, nel senso del perseguimento di obiettivi e finalità cui armoniosamente deve es­sere subordinata l’intera materia [14].

Come è noto, il risarcimento pecuniario rappresenta in primo luogo lo strumento con cui gli ordinamenti giuridici contemporanei sanzionano (il danneggiante) e compensano (il danneggiato) con riferimento alla ricorrenza di pregiudizi che abbracciano la violazione di un ampio e sempre più esteso elenco di interessi e situazioni soggettive meritevoli di tutela [15]. Cambiando prospettiva, la responsabilità civile può essere parimenti descritta come un meccanismo di incentivo e garanzia della fluidità dei traffici e delle attività umane, che si concreta nella scelta di riparare in via successiva (e quindi in generale di tollerare) alcune categorie di danni immanenti al progresso tecnico, al fine di preservarne i benefici sociali [16].

Sia il richiamo alla natura sanzionatoria/compensativa, sia la tesi funzionalistica di matrice giuseconomica possono essere vestiti di innumerevoli gradazioni che si compenetrano vicendevolmente, a seconda dei motivi giustificatori e delle modalità con cui si gestiscono ed applicano in concreto i criteri relativi all’imputazione del fatto illecito, alla somministrazione della misura sanzionatoria e alla computazione della som­ma pecuniaria riconosciuta al danneggiato. Nell’esercizio di sintesi proposto dall’art. 2043 c.c., per lungo tempo considerato come una clausola di carattere generale, è racchiusa l’essenza del sistema italiano, basato su una regola generale che collega la nascita di un’obbligazione pecuniaria (art. 1173 c.c.) alla sussistenza dell’illecito civile, ovvero di un fatto, causato con colpa o dolo, che invade la sfera di un altro consociato provocando un danno particolarmente rilevante sul piano giuridico, economico e sociale e con ciò ritenuto ingiusto e meritevole di essere perseguito [17]. Il rapporto tra fatto (o atto) e danno nella prospettiva della selezione delle situazioni giuridicamente rilevanti e quindi ai fini dell’ammissibilità della domanda risarcitoria, si estrinseca nella formula di bilanciamento con cui la norma collega causalmente la ricorrenza di qualunque «fatto doloso o colposo» alla circostanza che esso possa configurare un danno ingiusto.

Sotto un profilo soggettivo, la ricostruzione della figura dell’illecito in campo civilistico e penale [18] presuppone l’esistenza di due soggetti, l’uno in posizione passiva (il danneggiato) e l’altro detentore di una posizione attiva, nel senso che viene ritenuto imputabile dall’ordinamento, poiché destinatario della sanzione [19], avente natura detentiva, pecuniaria, o ancora consistente in un obbligo di fare o di non fare. Secondo il principio della personalità della pena, il soggetto imputabile deve coincidere con l’au­tore materiale dell’illecito: «La responsabilità penale è personale» (art. 27, comma 1, Cost.). L’ordinamento civilistico opera invece l’individuazione del destinatario della regola di responsabilità, in via concorrente o esclusiva, anche con riguardo ad un terzo soggetto, diverso dal danneggiato. Al sistema aperto della responsabilità civile per col­pa del danneggiante di cui all’art. 2043 c.c., si accostano così le autonome ipotesi c.d. speciali di responsabilità (artt. 2047-2054 c.c.), in cui, a seconda della particolare attività, situazione di fatto o del rapporto cui si riconduce l’evento dannoso, il legislatore introduce regole diversificate rispetto allo svolgimento di specifiche attività umane.


3. La nozione di illecito sportivo e la regola di responsabilità delle società nel Codice di Giustizia Sportiva ante riforma

La natura ibrida della materia sportiva, modellata al fine di garantire una commistione efficace tra norme prescrittive, misure sanzionatorie e funzione promozionale del diritto [20], trova conferma soprattutto con riferimento alle regole di responsabilità gravanti sulle società calcistiche per fatto dei propri tesserati e tifosi [21].

Ai fini di una completa disamina dell’esperienza italiana, risulta imprescindibile, in via preliminare, ricostruire il quadro normativo previgente alla riforma del Codice di Giustizia Sportiva (d’ora in poi CGS) attuato dalla Giunta Nazionale CONI, ai sensi del­l’art. 7, comma 5, lett. l) dello Statuto con deliberazione n. 258 dell’11 giugno 2019 [22].

Nell’ambito delle norme disciplinari previste dal Codice di Giustizia Sportiva previgente, era possibile distinguere tra: a) un sistema di imputazione ai fini disciplinari di tutti i comportamenti dei tesserati rientranti nella nozione di illecito sportivo [23], nonché dell’operato e del comportamento degli addetti ai servizi e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo sia sul campo della squadra ospitante [24]; b) un insieme di nor­me atte a perseguire comportamenti discriminatori di tesserati e sostenitori [25] e a prevenire il ricorrere di fatti violenti commessi da questi ultimi, in quest’ultimo caso temperate dalla previsione di alcune esimenti [26]; c) le sanzioni rivolte alla società in ipotesi di fatto violento dei propri sostenitori [27].

In tutte le menzionate ipotesi, il CGS affermava in via generale una forma di responsabilità indiretta o vicaria, poiché indirizzata verso un soggetto terzo (appunto la società calcistica): in particolare, l’art. 4 CGS operava l’espresso riferimento alla forma oggettiva dell’applicazione della sanzione in capo alla società, con ciò escludendo qualsivoglia sindacato sull’elemento soggettivo dell’illecito (dolo o colpa dell’agente). Ancora, con riguardo alle ipotesi di cui alle supra menzionate lett. b) e c), il CGS contemplava la facoltà, posta in capo al soggetto ritenuto imputabile dell’illecito, di lenire la forza sanzionatoria della regola di responsabilità fornendo la prova della ricorrenza di precise circostanze, potendosi così discutere di una forma di c.d. responsabilità presunta.

L’art. 7, comma 1, CGS previgente riconduceva la nozione di illecito sportivo al «compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica». La lettera della norma indirizzava l’interprete verso definizioni ampie (da cui un generico riferimento alla valenza di clausole) e granitiche nella loro chiara e sintetica proprietà espressiva. La nozione di illecito conchiusa nella formula del «com­pimento di un atto diretto all’alterazione di una gara» non si limitava infatti a indicare la mera realizzazione di un atto che determini (discorrendo in termini naturalistici) un evento dannoso, ma si estendeva ad abbracciare il compimento di atti in generale rivolti al perseguimento di un preciso disegno di illecito, ovvero diretti verso l’obiettivo di alterare il normale corso di una gara.

Varcata la soglia dell’illecito compiuto, assumeva così analoga consistenza giuridica (e riceveva speculare trattamento sanzionatorio) l’illecito tentato. In tal senso, l’ille­cito sportivo doveva considerarsi consumato qualora il tesserato avesse materialmente posto in essere quegli atti, connotati da dolo specifico, idonei a raggiungere lo scopo delittuoso: l’attenzione si focalizzava non tanto sull’effetto dannoso collegato alla con­dotta del tesserato, ma proprio sull’agere di quest’ultimo.

In tale quadro, la prassi giurisprudenziale ha tracciato una scansione temporale trifasica che permetteva di discernere tra le azioni rilevanti ai fini dell’art. 7, comma 1, CGS previgente dagli atti non giuridicamente rilevanti, o al massimo riconducibili alla più generica violazione della clausola di lealtà sportiva di cui all’art. 1. Seguendo questa prospettiva, poteva distinguersi tra: a) una prima fase ideativa, riconducibile alla «nascita» di un «piano» delittuoso nella mente del presunto reo, ma non ancora percepibile in maniera tangibile all’esterno e quindi generalmente non sanzionabile [28]; b) un’altra fase preparatoria, ed intermedia, rilevante sul piano della slealtà, ma non su quella della piena sussistenza di un potere lesivo proprio dell’illecito sportivo per raggiungere, infine, c) la fase del compimento dei c.d. atti idonei, ovvero, genericamente di quegli riconducibili allo scopo illecito di cui al comma 7 CGS e pertanto sanzionabili.

In altre parole, il complesso delle attività collocabili in una fase antecedente alla commissione del primo atto reputato idoneo a falsare l’esito sportivo – e quindi tutte quelle condotte, implicitamente o esplicitamente riconducibili alle fasi dell’ideazione e della preparazione dell’atto illecito – rimaneva compreso nel novero dei comportamenti giuridicamente irrilevanti, al più valutabile in termini di slealtà sportiva. In tal senso emergevano due criteri discretivi, connessi da un rapporto di reciprocità: a) il tentativo di illecito non poteva che coincidere con un momento successivo a quello della ideazione e della fase preparatoria dell’illecito, poiché altrimenti graviteremmo pacificamente nell’ambito dell’irrilevanza in termini di illecito sportivo; b) ai fini del corretto svolgimento dell’indagine attinente al profilo della condotta del presunto reo, risultava fondamentale dimostrare «con ragionevole certezza» l’integrazione del requisito univoco del «compimento di atti idonei e diretti» all’alterazione della gara [29].

Il limite rappresentato dall’irrilevanza delle fasi ideatoria e preparatoria, unitamente all’affermato principio di ragionevole certezza da applicare nella fase di valutazione della condotta in termini di giudizio sul compimento o meno di un atto c.d. idoneo, lesinava pertanto una vaghezza e un’indeterminatezza concettuale propria dello scarno riferimento di cui all’art. 7, comma 1, CGS previgente, investendo le Corti, nella prassi operazionale, di un oneroso potere/dovere discrezionale volto alla selezione e alla valutazione degli elementi probatori attinenti alle condotte e alle posizioni interessate dal procedimento ai fini dell’applicazione delle regole di responsabilità oggettiva di cui all’art. 4, comma 2 [30].

Rapportati i descritti limiti nel contesto dell’illecito sportivo, inteso quale sottocategoria del più ampio insieme dei c.d. illeciti disciplinari [31], proprio il carattere «speciale» della norma di cui al menzionato art. 7 CGS suggeriva l’adozione di parametri più rigidi di valutazione della condotta dell’agente, soprattutto nel caso di una puntuale individuazione delle ipotesi di «atto idoneo», non rientrando tra i meri atti di carattere preparatorio/ideativo [32]. Inoltre, all’idoneità dell’atto avrebbe dovuto necessariamente accostarsi il concetto di univocità, inteso come imprescindibile parametro di valutazione, appunto, dell’idoneità della complessiva condotta dell’agente rispetto alla volontà di raggiungere in concreto uno scopo non lecito. Come affermato dalla giurisprudenza, la dimostrazione della sussistenza di un’ipotesi di illecito sportivo doveva concretarsi in un onere probatorio rigoroso, consistente nella prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, «che l’atto umano oggetto di incolpazione riveli (oltre che la sua idoneità al raggiungimento del risultato vietato) la volontà dell’agente di realizzare, con dolo specifico, l’illecito, in quanto il paradigma normativo, nell’utilizzare il termine “diretti” con riferimento agli atti, pone un rapporto di necessaria implicazione tra la natura dell’atto in sé ed il fine illecito che, tramite lo stesso, l’autore si propone» [33].

In tal senso, si è posto in rilievo un orientamento che, in un’ottica di attenuazione della norma in tema di illecito sportivo, ha applicato il canone di «ragionevole certezza» alle ipotesi di illecito «tentato ma non consumato», ovvero a quelle fattispecie a formazione progressiva, in cui era possibile isolare una molteplicità di «segmenti» al fine di valutare l’idoneità della condotta. In questa prospettiva, la «forbice» di discrezionalità applicabile nel corso della valutazione giudiziale della condotta del tesserato poteva ridursi rispetto all’ipotesi «generica» del mero illecito disciplinare, poiché ricompresa entro un parametro che prima facie non faceva riferimento in termini di rilevanza alla semplice «valutazione della probabilità». Essa mirava inoltre ad escludere «ogni ragionevole dubbio» in merito all’effettiva direzione del comportamento dell’a­gente al fine del perseguimento dell’alterazione proibita [34].


4. Segue: la responsabilità oggettiva delle società calcistiche per fatto dei tesserati. Funzioni della responsabilità civile e trasposizione nell’ordinamento sportivo

L’ampia estensione della nozione di illecito sportivo di cui all’art. 7 CGS previgente collegava indissolubilmente il proprio potere precettivo alla funzione sanzionatoria svolta dal principio di responsabilità oggettiva gravante sulla società sportiva di appartenenza del tesserato. Secondo l’art. 4, comma 2, CGS previgente, le società avrebbero dovuto rispondere «oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5» [35].

La nozione di illecito sportivo si poneva pertanto in un rapporto di diretta proporzionalità con la regola di responsabilità gravante sulla società calcistica, per cui il grado di ampiezza interpretativa riservata alla prima in sede di accertamento dei presupposti di perseguibilità della condotta estendeva inevitabilmente i propri effetti sul raggio d’azione della seconda. A ciò si aggiungeva il complesso di sanzioni previsto nei confronti del tesserato-reo [36] e dei compagni di squadra, nonché le ipotesi di c.d. omessa denuncia nei casi di violazione del divieto di scommesse (art. 6 CGS previgente), volte a colpire eventuali comportamenti «omertosi» nati all’interno dello spogliatoio, in una speculare ottica di repressione dei fenomeni di «tolleranza interna» delle condotte non conformi.

La responsabilità delle società di calcio era pertanto a ragione qualificata come marcatamente oggettiva, rileggendo in questa espressione un chiaro richiamo al lessico civilistico, poiché ricorrente in maniera automatica ogniqualvolta fosse posta in rilievo la sussistenza di un’ipotesi di azionabilità (nel caso di specie, l’illecito sportivo) e a prescindere di qualsivoglia elemento soggettivo (dolo o colpa) ascrivibile al soggetto previamente individuato dall’ordinamento [37].

Nel sistema del diritto privato vigente, tale criterio di imputazione dell’illecito civile è stato introdotto dal legislatore del 1942 con la volontà di uscire dall’impasse di un principio di responsabilità interamente basato sulla colpevolezza e per dare, di tal guisa, una risposta più efficace alle istanze di protezione correlate allo sviluppo industriale e al conseguente aumento dei danni da esso causati. In questi termini si è parlato infatti di respon­sabilità per il rischio, applicabile ad attività d’impresa [38]. In siffatto quadro, la disciplina codicistica individua la responsabilità dell’esercente attività pericolose (art. 2050 c.c.), dei padroni e dei committenti (art. 2049 c.c.), del custode (art. 2051 c.c.), del proprietario di edificio (art. 2053 c.c.), di autoveicolo (art. 2054, comma 4, c.c.).

La responsabilità oggettiva delle società per illecito sportivo era pertanto riconducibile entro la categoria generale della responsabilità c.d. indiretta, o da mera posizione, gravante su soggetti previamente individuati dal legislatore e in via generale detentori del controllo delle condizioni generali del rischio [39]. Secondo la pacifica opinione della giurisprudenza federale, la responsabilità oggettiva conseguiva infatti «in termini automatici e legali a quella materiale del responsabile fisico, e non poteva, quindi, essere elusa, ma solo graduata e misurata nei suoi limiti quantitativi sanzionatori» [40].

Nell’ambito dell’ordinamento sportivo, pertanto, la finalità dell’istituto non sarebbe stata meramente connessa ad una funzione afflittiva, bensì protesa a garantire la più generale esigenza di imporre forme di controllo alle società sui propri tesserati, secondo la logica del brocardo ubi commoda, ibi incommoda [41] e, ancora, in conformità ad una logica promozionale del rimedio adottato, rivolto cioè all’innalzamento degli standard di armonizzazione e autoregolamentazione delle condotte dei tesserati. Tale assunto ge­nerale trovava conferma nella circostanza per cui la regola di cui all’art. 4, comma 2, CGS era correlata alla sussistenza di «necessità operative ed organizzative, trattandosi di strumento di semplificazione utile a venire a capo, in tempi celeri e compatibili con il prosieguo dell’attività sportiva e quindi con la regolarità delle competizioni e dei campionati, di situazioni di fatto che altrimenti avrebbero richiesto, anche al fine di definire le varie posizioni giuridicamente rilevanti in campo, lunghe procedure e complessi, oltre che costosi, accertamenti» [42].

La responsabilità oggettiva della società calcistica per illecito sportivo si collocava quindi entro il generale scopo di preservare il prosieguo e la regolarità dell’attività sportiva (principio di conservazione), nonché di sottrarre nel complesso il sistema-giustizia ad onerose e lunghe procedure (principio di economicità). In altre parole, l’esigenza di prevenire pericoli derivanti da illeciti in forza del c.d. principio di precauzione risultava così forte che «il criterio di imputazione della responsabilità, a carico della società calcistica, è talmente severo e rigoroso da consentire di irrogare sanzioni oltre e al di là di ogni individuazione di colpevolezza» [43].

Posta l’ineludibilità dell’applicazione del vincolo di responsabilità sulle società sportive e stante la fondamentale azione di controllo ed indirizzo delle condotte dei propri tesserati svolta dalle stesse, soltanto il quantum della misura punitiva risultava in astratto oggetto di temperamento per via giudiziale, attraverso un approccio casistico. Sul piano operazionale, pertanto, una volta superata la fase della valutazione della condotta ai fini della perseguibilità in termini di illecito sportivo, alle Corti residuava il compito (eventuale) di vagliare l’incidenza in termini di effettività della regola di responsabilità oggettiva sul complesso quadro patrimoniale, reputazionale e agonistico della società destinataria della sanzione.


5. Le responsabilità per fatto dei tifosi

Come si è avuto modo di evidenziare, l’art. 4 CGS ante riforma contemplava un rigido schema di regole di condotta e responsabilità a carico delle società calcistiche nel­l’ottica del perseguimento degli obiettivi di sicurezza, prevenzione di eventuali comportamenti violenti o offensivi da parte delle tifoserie e corretto e leale svolgimento delle manifestazioni sportive [44].

A tali disposizioni si aggiungevano le ipotesi di responsabilità di cui agli artt. 11 e 12 CGS, che punivano la società per i comportamenti discriminatori e incitanti la violenza posti in essere da tesserati e propri sostenitori [45] e, ancora, l’art. 14, riferito ai fatti violenti commessi in occasione della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti, nel caso in cui fossero «direttamente collegati ad altri comportamenti posti in essere all’interno dell’impianto sportivo, da uno o più dei propri sostenitori se dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica o un danno grave all’incolumità fisica di una o più persone».

In tal senso, il Codice affermava un principio generale di responsabilità della società per fatto dei propri sostenitori (art. 4, comma 3, CGS previgente) connesso ad un’ob­bligazione di ordine e sicurezza (comma 4) e a fattispecie speciali, relative a precise condotte e sottoposte a un particolare onere probatorio a carico delle società.

La responsabilità poteva quindi definirsi presunta, poiché a temperare l’automatica applicazione della sanzione connessa alla regola generale di imputazione oggettiva della condotta soccorrevano le cinque circostanze esimenti o attenuanti elencate nell’art. 13 [46]: la ricorrenza di un numero non inferiore a tre delle ipotesi tassativamente previste avrebbe comportato il venir meno ovvero una più tenue graduazione delle conseguenze disciplinari [47].

Tenute ferme queste ipotesi di responsabilità semi-oggettiva, poiché temperate dalla (seppur onerosa [48]) facoltà posta in capo alla società di provare alcune circostanze esimenti o attenuanti preventivamente individuate dal Codice, la regola generale ed assorbente delle altre ipotesi andava ricondotta nel contesto di regole ancora una volta di stampo oggettivo (la società è «in ogni caso responsabile») [49].

Lo schema innanzi tracciato non appare dissimile alle regole di responsabilità indiretta (vicarious liability) sviluppatesi in seno al sistema di common law, rivolgendosi sotto il profilo soggettivo contro chiunque abbia contribuito a porre in essere un illecito [50]. Nella vicarious liability, il plaintiff deve ad esempio dimostrare che il convenuto esercita un qualsiasi tipo di controllo sull’attività che ha condotto alla violazione e che ne tragga un diretto beneficio economico. Il rapporto che lega il terzo alla violazione è riconducibile alla generale dottrina della agency – respondeat superior [51]: analogamente a quanto avvenuto nel periodo feudale tra landlords e tennants, il proprietario di un’at­tività (employer) risponde dei danni causati dai suoi dipendenti (employees) nell’e­sercizio di un’attività riconducibile al proprio beneficio ed interesse economico [52]. In tal senso, la vicarious liability declina in chiave privatistica funzioni di compensazione del danno combinate ad una regola di allocazione del rischio orientata in maggior misura ad obiettivi di prevenzione (l’employer è chiamato a controllare le attività svolte dai suoi subordinati e innalzare gli standard di sicurezza) [53]. Oltre alla sussistenza di un rapporto qualificato tra le due parti, riconducibile all’esercizio del «right and ability to supervise» da parte dell’employer, essenziale risulta l’imputabilità di un beneficio eco­nomico diretto (direct financial interest). Sul punto, la giurisprudenza si è espressa in maniera non sempre uniforme: talvolta, si è ritenuto che il landord percipiente una quota fissa mensile per la locazione di un appartamento non potesse trarre alcun vantaggio economico dalle possibili attività illecite del conduttore [54], talaltra si è affermato come il proprietario di un’attività commerciale, concessa in gestione al terzo in base ad un accordo a quota fissa più un’altra variabile sugli incassi di ogni spettacolo, ottenesse un beneficio dall’illecito, anche se in misura non facilmente quantificabile [55].

Il raffronto con il sistema di responsabilità vicaria diffusosi nella giurisprudenza di common law suggerisce alcuni spunti di riflessione. Non essendo i tifosi ricomprendibili entro la categoria dei tesserati o, comunque riconducibili nell’alveo dei soggetti le­gati ex contractu alla società madre, essi non possono essere colpiti (dal punto di vista sportivo/disciplinare) da sanzioni dirette, così come previsto dall’art. 7 CGS previgente, in cui, in ogni caso, l’illecito sportivo era punito su un piano plurisoggettivo (tesserato/società). Inoltre, il rapporto tra società e tifoso spicca per una profonda opacità ove inquadrato sotto un profilo economico: se, da un lato, deve riconoscersi un generale ap­porto patrimoniale dei fans, spettatori delle manifestazioni sportive, all’attività del team sportivo (abbonamenti, biglietti), da cui dovrebbe scaturire un generale dovere della società di sovrintendere alla sicurezza di tutti gli ospiti dell’impianto, dall’altro lato risulta di difficile collocazione l’ambito del controllo del c.d. tifo estremo degli ultras.

Le frange più violente e indisciplinate delle tifoserie hanno infatti rappresentato un problema costante per tutti gli ordinamenti in cui il calcio rappresenta una delle discipline sportive più seguite e apprezzate dal pubblico. In Italia sono state introdotte numerose misure regolatorie volte a garantire un maggiore controllo e prevenzione dei casi di violenza negli stadi, in una prospettiva di integrazione e affiancamento della normativa di stampo puramente sportivo [56]. Bisogna inoltre ricordare che, a differenza della maggior parte dei paesi europei, gli impianti non sono interamente gestiti dalle società e rimangono sovente sotto un controllo di carattere pubblico. Si citano, solo in via esemplificativa, la c.d. tessera del tifoso (o fidelity card [57]), il DASPO [58] o, ancora la facoltà per le squadre di garantire un servizio di steward all’interno degli stadi, sulla falsariga dell’esperienza britannica. Tali misure alternative non hanno però sortito gli effetti desiderati: giunta al tramonto la tessera del tifoso, è cresciuta in maniera allarmante l’in­gerenza negativa delle tifoserie più violente sull’indipendenza e l’integrità delle società calcistiche [59].

Nella generale inefficienza delle misure di polizia c.d. antiviolenza, ulteriormente squilibrata su un piano operazionale si poneva pertanto la regola di cui all’art. 4 CGS, non sussistendo i presupposti oggettivi per assicurare alle società calcistiche l’eserci­zio di un corretto ed efficace controllo delle attività dei tifosi, contraddistinte dal crisma della pericolosità (e pertanto oggetto di una rigida regola di responsabilità). Un chiaro indizio sulla controversa natura del rapporto intercorrente tra società e tifosi era altresì fornito dall’art. 12 CGS previgente, con cui era fatto espresso divieto alle società «di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione e al mantenimento di gruppi, organizzati o meno, di propri sostenitori, salvo quanto previsto dalla legislazione statale vigente», al contempo obbligando le stesse «all’osservanza delle norme e delle disposizioni emanate dalle pubbliche autorità in materia di distribuzione al pubblico di biglietti di ingresso, nonché di ogni altra disposizione di pubblica sicurezza relativa alle gare da esse organizzate». Il tenore della norma poneva un espresso disincentivo alla sussistenza di qualsivoglia rapporto tra le società e la componente endoassociativa dei sostenitori che trova estrema espressione nel c.d. tifo organizzato [60].

La circostanza dell’effettivo controllo, infatti, risultava essenziale ai fini dell’azio­nabilità di una regola di responsabilità oggettiva, ancor di più considerando il fatto che il rapporto in questione era caratterizzato dall’assenza di un vincolo contrattuale tra tifoso e società (o comunque di un rapporto legalmente qualificato diverso da quello sussistente tra l’acquirente di un titolo d’ingresso alla manifestazione e la società erogatrice del servizio), giungendo a installarsi nell’alveo del c.d. contatto sociale qualificato [61]. Si pensi, inoltre, che la regola di cui all’art. 4, commi 3 e 4, cit. si estendeva alle condotte dei tifosi durante le trasferte e quindi al di fuori degli impianti casalinghi, fatte salve eventuali ipotesi di corresponsabilità della società ospitante [62].

La ratio della norma, pertanto, trascendeva qualsivoglia collegamento tra regola di responsabilità e funzioni di prevenzione poste in capo alla società, residuando in un mero automatismo, che puniva il fatto del tifoso colpendo la squadra in un’ottica di garanzia del conseguimento del risultato sportivo attraverso la regolarità della gara [63]. Tale visione si chiudeva ad una sterile prospettiva autonomica della regola: il perseguimento dell’obiettivo primario di regolarità della manifestazione sportiva veniva indissolubilmente legato alla valenza preventiva delle norme in commento, confermata dalla sussistenza degli obblighi di sicurezza gravanti sulle società.

L’effetto sortito in termini operazionali risultava pertanto doppiamente negativo: da un lato, erano innalzate a livelli elevatissimi le soglie di prevenzione imposte alle società (c.d. overdeterrence); dall’altro, tale ultima circostanza influiva negativamente sul conseguimento degli obiettivi di repressione degli atteggiamenti delle tifoserie più violente ed esagitate, spingendole indirettamente – attraverso un diabolico effetto di underdeterrence sul piano disciplinare – a non adottare alcuno standard di prevenzione [64]. Gli oneri (economici, reputazionali, sportivi) di tali condotte ricadevano potenzialmente per intero sulle società calcistiche, non rinvenendosi quindi in tale regola alcun effetto positivo sulla complessiva sicurezza della manifestazione sportiva e sulle condotte delle tifoserie.


6. L’evoluzione giurisprudenziale. Responsabilità ed illecito sportivo tra «atto preparatorio» ed «atto idoneo». Il rischio di overdeterrence e il caso Napoli del 2012

Il principio della responsabilità oggettiva, sebbene il dato testuale sia rimasto immutato nel susseguirsi degli aggiornamenti del CGS [65], è stato negli anni oggetto di un’attività di interpretazione di stampo evolutivo ad opera del formante giurisprudenziale [66]. La giustizia endofederale ha prima innescato una riflessione sulla rigidità della regola di responsabilità oggettiva, soprattutto con riferimento alla necessità di attuare un approccio casistico, sensibile alle peculiarità offerte dalla fattispecie concreta. Siffatte decisioni non si spingevano verso la completa disapplicazione della regola di responsabilità oggettiva, ma focalizzavano l’attenzione sul profilo della quantificazione della sanzione, riducendone al minimo la reale afflittività [67]: analogamente, in ambito privatistico un importante ed autonomo ruolo nella concreta graduazione dell’aspetto funzionale della regola di responsabilità è ricoperto dalla fase della c.d. liquidazione del danno [68].

Seguendo tale filone interpretativo, ci si è interrogati su come andasse effettivamente applicato il meccanismo della responsabilità oggettiva in capo ad una società sportiva, ad esempio in ipotesi di illecito tentato ma non completamente consumato, in cui l’illi­ceità della condotta ascrivibile ai tesserati fosse estremamente dubbia e, comunque, quand’anche configurabile, estranea a ogni potere di controllo in capo alla medesima società interessata e, addirittura, funzionale a penalizzare la stessa.

In tale prospettiva appare imprescindibile il riferimento alle teorie giuseconomiche: le ipotesi di responsabilità c.d. oggettiva «in senso lato» sono da sempre connesse al profilo della allocazione di un rischio in capo ad un determinato soggetto. La giustificazione di tali forme di responsabilità, come si è avuto modo di constatare, è collegata alla teoria economica della distribuzione di costi e profitti, ponendo in capo all’im­presa anche il costo del rischio che la stessa realizza nell’esercizio della propria attività. La fissazione di tale forma di responsabilità, tradotta in costo, induce l’impresa all’adozione di misure idonee per la minimizzazione, appunto, del rischio. Ecco perché la responsabilità oggettiva viene ad essere attribuita a chi detiene il controllo delle condizioni generali del rischio ed è in grado di tradurre il rischio in costo [69].

Nella trasposizione di tale prospettiva di analisi nell’alveo dell’ordinamento sportivo – e tenuta sempre a mente la singolarità che lo contraddistingue, pur tuttavia non potendosi ignorare quelli che sono principî innervanti l’intero contesto giuridico nel quale comunque lo sport si colloca [70] – le società si trovavano ad essere qualificate quali soggetti posti nella posizione migliore per ridurre il rischio del realizzarsi di illeciti, attraverso l’attuazione di idonee forme di controllo.

Tale impalcatura teorica, declinata in un’ottica di responsabilità oggettiva, ha mostrato le proprie ontologiche contraddizioni ed aporie logico-giuridiche a fronte di vicende-limite, in cui la condotta contestata risultava rilevante in termini di tentativo di illecito, seppur da ricomprendere entro la sfera meramente privata della condotta di un tesserato. Si pensi ad esempio al c.d. caso Napoli del 2012, avente ad oggetto la responsabilità della società calcistica campana (nonché di due tesserati) rispetto ad un presunto tentativo di illecito sportivo posto in essere dal terzo portiere nel campionato 2009-2010 e ancora con riferimento all’omessa denuncia di cui venivano accusati il capitano della compagine e un altro difensore [71].

L’automatica applicazione di una regola di responsabilità oggettiva in ipotesi dubbie di illecito sportivo, in cui il confine tra atto preparatorio ed atto idoneo si manifestava in tutta la propria incertezza e labilità, disvelava un profilo di criticità centrale, attinente al rischio di overdeterrence in cui incorreva l’applicazione della responsabilità a carico delle società in mancanza di un equo bilanciamento nella valutazione degli elementi di prova. A ciò andava ad aggiungersi la comminazione di sanzioni estremamente gravose, sia sul piano economico, sia sul piano sportivo.

La regola si rivelava tanto più ingiusta, allorché l’afflittività della sanzione sortiva un’incidenza estremamente penalizzante su un soggetto – la società – che non contribuiva in alcun modo al rischio oggetto di sanzione e stigmatizzazione giudiziaria.

Nel quadro dei palesati rischi di overdeterrence e degli imprescindibili margini operazionali entro cui la responsabilità oggettiva solitamente si muove, la Corte di Giustizia Federale, chiamata a pronunciarsi a Sezioni Unite sul ricorso presentato dalla società partenopea avverso la decisione della Commissione Disciplinare, intraprendeva un percorso virtuoso, teso ad integrare con un altro importante tassello il quadro di evoluzione interpretativa della normativa di settore [72]. Rilevata l’incongruenza delle molteplici dichiarazioni prestate dal tesserato del Napoli nel corso del lungo iter procedurale, la Corte sottolineava infatti l’inadeguatezza degli elementi probatori posti al vaglio delle autorità ai fini del collocamento della condotta del tesserato entro lo spettro dell’illecito sportivo [73]. Poste tali premesse, il ricorso della società partenopea veniva parzialmente accolto, degradando la condotta contestata da illecito sportivo a mera violazione dei principi di lealtà sportiva e del divieto di scommesse, con conseguente esclusione della sussistenza della fattispecie di omessa denuncia a carico dei tesserati [74].


7. Criteri di imputazione degli illeciti e responsabilità disciplinare delle società sportive per fatto dei tesserati e dei tifosi. Breve analisi comparatistica

Ricostruita in una prospettiva diacronica la regola di responsabilità oggettiva vigente per più di un ventennio nell’ambito dell’ordinamento italiano fino alla recente riforma del Codice di Giustizia Sportiva, l’esame di alcuni tra i maggiori ordinamenti sportivi europei (nello specifico, Francia e Spagna) evidenzia un approccio particolarmente eterogeneo nella disciplina della responsabilità gravante sulla società nel caso di illeciti posti in essere da tifosi e tesserati [75].

In primo luogo, l’art. 8 del Codice disciplinare FIFA [76] e gli artt. 8 e 16 del regolamento disciplinare della UEFA affermano la responsabilità oggettiva dei clubs per il fatto dei propri tesserati e sostenitori [77], nonché in relazione al mantenimento dell’ordi­ne e degli standard di sicurezza sia all’interno che intorno allo stadio prima, durante e dopo le partite, a meno che i clubs dimostrino di non essere stati in alcun modo negligenti nell’organizzazione dell’evento sportivo. A tale precetto generale, che si caratterizza per il temperamento della prova della man­cata negligenza, si aggiunge poi il comma 2 dell’art. 16 del regolamento disciplinare della UEFA, che individua alcune specifiche fattispecie in cui il club è reputato in qualunque caso responsabile, quali l’invasio­ne di campo, il lancio di oggetti, l’accensione di fuochi e l’utilizzo di puntatori laser, danneggiamenti e altri comportamenti che minano l’ordine pubblico dentro e fuori lo stadio [78].

In Francia, l’irrogazione delle sanzioni disciplinari è modulata principalmente sulle regole di stampo penalistico, ovvero sul principio di legalità e di personalità della pena [79] e, ancora, sul principio di colpa dell’agente. Il parametro della legalità è rintracciabile in special modo con riferimento alle ipotesi di reati in materia di doping, in cui i testi di legge individuano in maniera dettagliata i fatti che possono condurre a ipotesi di c.d. colpa disciplinare [80].

Scendendo nel dettaglio, il criterio di imputazione degli illeciti adottato dai regolamenti delle diverse federazioni sportive non trova una collocazione univoca [81]. In ambito calcistico, ad esempio, il perseguimento degli illeciti in conformità al Règlements Généraux de la FFF, è nella maggioranza dei casi rimesso all’applicazione di un parametro di tipo soggettivo, modulato sulla rilevanza dell’intento fraudolento nella condotta dell’agente [82]. Dall’altra parte, il regolamento prevede alcune deroghe alla stretta applicazione del principio di personalità della pena. In particolare, l’art. 129 individuava le società sportive quali responsabili in senso oggettivo per i fatti o i comportamenti sorti prima, durante o dopo la partita e posti in essere dal proprio pubblico, dai giocatori e dai dirigenti o a causa di problemi di carattere organizzativo. La norma, oggetto di numerose critiche, nonostante la conferma del Consiglio di Stato [83], è stata successivamente abrogata, ma è integralmente confluita nell’art. 2 del Règlement disciplinaire et barème disciplinaire de la FFF [84].

In tale ipotesi, la regola oggettiva si affianca a una disciplina regolamentare volta a garantire la massima autonomia organizzativa ai clubs, nonché a un poderoso apparato sanzionatorio di stampo penale, teso a perseguire ogni condotta non conforme del pub­blico [85].

Nell’ambito dell’ordinamento sportivo spagnolo, gli illeciti e le relative sanzioni sono suddivisi in uno schema tripartito (lievi, gravi, molto gravi), tassativamente elencati all’interno del Codigo disciplinario adottato in seno alla Real Federación Españo­la de Fútbol. Sono inoltre previsti tre distinti tipi di procedimenti (ordinario, straordinario ed urgente). I principî-cardine su cui viene svolto un procedimento ordinario sono quelli di estrazione penalistica della presunzione di innocenza e, in caso di dubbio, della scelta del trattamento favorevole al presunto reo, nonché del principio di uguaglianza [86].

L’art. 75 del Codigo sanziona l’illecito (rubricato come muy grave) di Predeterminacion de resultados, in cui, al comma 3 si prevede una ipotesi di responsabilità indiretta del club che benefici dell’alterazione del risultato di una partita, il quale potrà essere punito con la retrocessione nel caso in cui venga dimostrata una diretta connessione con i materiali autori della condotta illecita. In questo caso, sono perseguite le ipotesi caratterizzate da almeno due elementi: a) il diretto beneficio tratto dalla società sportiva dalla condotta fraudolenta; b) la prova della sussistenza di un vincolo tra la società e l’autore dell’illecito.

Differentemente da quanto rilevato nell’esperienza italiana, il sistema spagnolo discerne espressamente tra ipotesi di illecito compiuto e casi di mero tentativo di illecito (art. 50 c.c.), disponendo una consequenziale graduazione dell’entità della sanzione comminata [87]. Quanto alla generale regola di responsabilità, l’art. 15 del Codigo afferma il principio per cui la società è da ritenersi responsabile qualora essa non abbia adottato le misure necessarie alla prevenzione dei fatti contestati o ha svolto tali compiti con negligenza, ad esempio con riferimento ai servizi di sicurezza (assenti, insufficienti o di scarsa efficacia) [88].

In tale ipotesi, si delinea in maniera evidente la matrice presunta – o comunque semi-oggettiva – della regola di responsabilità, volta ad imporre un chiaro e adeguato standard di diligenza alla società sportiva, non sanzionandola in ogni caso, ma soltanto laddove essa non abbia posto in essere le misure prescritte, o lo abbia fatto in maniera negligente e non conforme [89]. Giova a tal uopo ricordare che in Spagna vige un sistema di gestione della sicurezza degli stadi interamente modellato sulla normativa britannica, per cui sono esclusivamente gli steward ad occuparsi della sicurezza degli impianti (nell’ottica di un ormai esteso fenomeno di privatizzazione degli stadi), mentre alle forze dell’ordine è demandato il compito di intervenire esclusivamente sui fatti avvenuti al di fuori delle strutture che ospitano le manifestazioni sportive [90].


8. La responsabilità delle società di calcio tra allocazione del rischio, «giusta» perseguibilità degli illeciti sportivi e obiettivi di prevenzione. L’evoluzione normativa italiana e i nuovi articoli 6 e 7 del Co­dice di Giustizia Sportiva

Nel breve quadro comparatistico innanzi descritto e, soprattutto, alla luce delle criticità emerse in decenni di vigenza del CGS, il CONI ha intrapreso un percorso di rinnovamento del sistema di giustizia sportiva, orientato a promuovere con maggiore effettività i principî di equità e ragionevolezza. La funzionalità del principio di responsabilità oggettiva è stata infatti rivalutata alla luce della conclamata necessità di approntare un intervento normativo in grado di chiarire i parametri entro cui il potere discrezionale delle autorità giudicanti è tenuto a operare, nell’ottica della realizzazione di un equo bilanciamento degli interessi contrapposti [91].

In primo luogo, con riferimento alla responsabilità delle società per fatto dei tesserati, l’esperienza applicativa indicava la necessità di garantire un’uniforme gradualità normativa dell’apparato sanzionatorio, rispetto alle molteplici ipotesi di illecito e quasi-illecito che indirettamente investivano le società sportive nel comparto della responsabilità oggettiva e con riferimento ai rapporti che esso instaurava con le violazioni dei principî generali di lealtà sportiva o ancora con le prescrizioni in tema di illecito sportivo.

L’art. 6 del novellato Codice di Giustizia Sportiva, ai commi 3 e 4 ricostruisce i precetti di responsabilità precedentemente individuati all’art. 4 CGS, apprestando una declinazione che si discosta in maniera netta dalla figura tipizzata della responsabilità oggettiva – secondo cui la società era da ritenersi automaticamente responsabile pur in difetto di un elemento soggettivo ad essa imputabile – per condurre a un regime di responsabilità di tipo aggravato [92]. Al contempo, il comma 5 dell’art. 6 ricalca integralmente la previsione di cui al comma 4 dell’art. 4 CGS previgente [93], confermando la regola per cui la società, pur ritenuta presuntivamente responsabile per gli illeciti posti in essere a proprio vantaggio da soggetti ad essa estranei, può produrre in contraddittorio elementi di prova validi a dimostrare la propria totale estraneità ai fatti contestati, o comunque è esente da ogni addebito qualora vi sia «un ragionevole dubbio» rispetto al fatto che vi abbia preso parte o, ancora, che ne sia effettivamente venuta a conoscenza [94].

La nuova formulazione offerta dal Codice di Giustizia Sportiva elimina qualsivoglia riferimento testuale ai criteri oggettivi di imputazione dell’illecito, delineando al successivo art. 7 una norma dedicata integralmente alle regole generali di esclusione o di attenuazione delle eventuali responsabilità della società, per cui «al fine di escludere o attenuare la responsabilità della società di cui all’art. 6, così come anche prevista e richiamata nel Codice, il giudice valuta la adozione, l’idoneità, l’efficacia e l’ef­fettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al­l’art. 7, comma 5 dello Statuto».

Quanto alla nozione di illecito sportivo, l’art. 30 CGS, al comma 1, conferma il disposto dell’art. 7 previgente, declinando in maniera più armoniosa il sistema di sanzioni in rapporto all’applicazione degli artt. 6 e 7 CGS [95]. Conforme alla precedente versione del Codice risulta inoltre la previsione del divieto di scommesse connesso a un obbligo di denuncia, trasfuso nell’art. 24 CGS, come le norme relative alla responsabilità per fatto dei tifosi: l’art. 25 CGS (in tema di mancata prevenzione) e il successivo art. 26 (in materia di repressione di fatti violenti dei tifosi) confermano la previsione di responsabilità presunta di cui all’art. 13 CGS, trasponendo altresì il novero delle esimenti ed attenuanti nell’art. 29 CGS [96].

Nell’ottica di un intervento di armonizzazione e uniformazione delle regole di responsabilità, volto a caducare gli effetti di una disciplina rigida e oltremodo vincolante per le società, il legislatore ha introdotto un regime maggiormente flessibile, inquadrabile complessivamente entro uno standard di tipo semi-oggettivo o di colpa presunta. In modo non dissimile dall’esperienza spagnola, la responsabilità della società ruota intorno a uno standard di diligenza chiaro e predeterminato, valutabile caso per caso e fondato sull’effettivo e totale controllo delle attività di sicurezza e vigilanza richieste alla società sportive, con ciò garantendo alla società la possibilità di andare esente o attenuare la propria responsabilità attraverso la prova di precise circostanze.

In ambito operazionale, il sistema di responsabilità presunte introdotto in vece di una rigida regola di responsabilità oggettiva (come si è visto temperata sovente nella sola fase della comminazione della sanzione), è stato applicato in maniera uniforme dalla giurisprudenza disciplinare, seppur in una fase fortemente influenzata dal perdurare dell’emergenza epidemiologica [97].

Ad esempio, le Sezioni Unite della Corte sportiva di appello FIGC hanno di recente affermato come l’art. 6 del Codice assurga a «referente di carattere generale per quanto concerne la responsabilità disciplinare dei sodalizi sportivi scaturente dalla inosservanza dei comportamenti imposti dalla normativa di settore per assicurare la salvaguardia e la conservazione dei valori fondamentali che informano lo sport e la sua pratica» [98].

Da una parte, la responsabilità di cui all’art. 6, commi 2, 3 CGS è sempre connessa all’accertamento delle condotte soggettive per: violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità (art. 4); dichiarazioni lesive rilasciate da un tesserato (art. 23); violazione del divieto di scommesse (art. 24); inosservanza degli obblighi inerenti alle misure di prevenzione di fatti violenti (art. 25); fatti violenti dei sostenitori (art. 26); comportamenti discriminatori (art. 28); illecito sportivo (art. 30, comma 4); inottemperanza all’obbligo di denuncia in materia d’illecito sportivo (art. 30, comma 7:); violazioni in materia gestionale ed economica (art. 31); violazioni in materia di tesseramento (art. 32). Dall’altra parte, il Codice amplia il ruolo esimente e attenuante del modello di organizzazione, gestione e controllo, consentendo di accertare un’assenza di colpa in capo alle società, attraverso la sua estensione a tutti i casi di responsabilità delle società previste dal menzionato art. 6.

Ci si trova pertanto di fronte a forme di responsabilità di tipo semi-oggettivo o aggravato «perché a “colpa presunta”», nell’ambito della quale la società è chiamata a fornire la prova di «aver attivato ed effettivamente, correttamente ed appropriatamente utilizzato un modello organizzativo ed un organismo di vigilanza, controllo e prevenzione tali da consentire da un esame concreto della fattispecie un esimente o attenuazione di responsabilità» [99].

L’espresso riferimento apprestato dall’art. 7 CGS ai c.d. modelli di organizzazione, gestione e controllo di cui all’art. 7, comma 5 dello Statuto FIGC [100], indirizza pertanto le Corti verso un preciso standard interpretativo nella valutazione caso per caso delle condotte illecite imputabili alle società di calcio. Tale impostazione evidenzia, in definitiva, l’emersione di una tendenza normativa in qualche modo riconducibile al novero delle fattispecie regolate dall’art. 2050 c.c. [101], ma che in un’ottica di accountability hanno subìto un’evoluzione con l’indicazione di precisi standard organizzativi che è propria di un maturo sistema di responsabilità basato sulla prevenzione del rischio [102]. In tal senso, il concetto di responsabilità risulta modellato intorno al concetto di c.d. colpa organizzativa: «Il modello, sottoposto al vaglio del giudice, dovrà essere esaminato da quest’ultimo al fine di verificare se vi sia stata un’incapacità della società nel prevenire l’illecito che si è verificato. L’accertamento circa un eventuale deficit organizzativo rispetto ad un “modello di diligenza esigibile” configurerà quella rimproverabilità posta a fondamento della fattispecie sanzionatoria, dovuta all’omissione delle doverose cautele organizzative e gestionali di fronte a circostanze ed eventi prevedibili» [103].

In conclusione, il nuovo Codice garantisce un sistema fluido di regole applicabili alle società sportive, che da un lato non pone nell’ombra il nucleo valoriale e giustificatore proprio del dovere di vigilanza e prevenzione, ma che dall’altro risulta idoneo a rimuovere i malfunzionamenti e le inefficienze del sistema sanzionatorio previgente, garantendo un approccio maggiormente sensibile alle peculiarità della fattispecie concreta. L’attività di impresa (o comunque l’organizzazione) che operi nell’ambito del­l’ordinamento calcistico si trova ad essere incentivata nell’adozione di procedure volte alla minimizzazione del rischio connesso allo svolgimento della manifestazione sportiva. Volendo adottare una prospettiva di carattere giuseconomico, la società sportiva è così chiamata ad adeguarsi preventivamente allo standard di diligenza fissato dalle linee guida di dettaglio sui modello di organizzazione, gestione e controllo: i maggiori costi di conformazione sostenuti, consistenti soprattutto in un adeguamento delle procedure organizzative (nel senso dunque di un generale innalzamento dello standard minimo di condotta previsto per via normativa) sono connessi all’obiettivo di minimizzazione dei costi sociali degli incidenti attesi, da cui si deduce la marcata riduzione dei costi esterni ad esso imputabili in termini di responsabilità [104].


NOTE

[1] Si pensi alla polisemia e alla molteplicità di funzioni del termine rispetto al compimento di un gesto atletico: dalla responsabilità civile a quella penale, sino a giungere all’autonomo apparato prescrittivo e san­zionatorio approntato dall’ordinamento sportivo. Per una visione d’insieme, cfr. P. Sandulli, La responsabilità di diritto comune delle società di calcio, in P. Sandulli, M. Sferrazza, Il giusto processo sportivo. Il sistema di giustizia sportiva della Federcalcio, Milano, 2015, p. 247 ss.; A. Scialoja, voce Responsabilità sportiva, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 410 ss.; A. Lepore, La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazione delle attività sportive, in AA.VV., Manuale di diritto dello sport, Napoli, 2021, p. 283 ss.; G. Liotta, Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore, Napoli, 2005, p. 71 ss.; S. Sica, Lesioni cagionate in attività sportive e sistema delle responsabilità, in Corr. giur., 2000, p. 737 ss.; B. Bertini, La responsabilità sportiva, Milano, 2002, pp. 120 ss.; R. Scognamiglio, In tema di responsabilità della società sportiva ex art. 2049 c.c. per illecito del calciatore, in Dir. giur., 1963, p. 81 ss.; M. Sferrazza, L’illecito sportivo nella giurisprudenza federale, in Riv. dir. ed econ. sport, 2011, p. 13 ss.; A. Flamini, Illeciti nello sport e ordinamento giuridico: osservazioni critiche e spunti di riflessione, in Rass. dir. econ. sport, 2015, p. 279 ss.; Id., La responsabilità per la lesione al­l’integrità fisica dei calciatori, ivi, 2013, p. 135 ss.; M. Pittalis, La responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatore di eventi sportivi, in Contr. e impr., 2011, p. 150 ss.; A. Maietta, La responsabilità civile delle società di calcio: osservazione a margine del caso “Giampà”, in Riv. dir. ed econ. sport, 2005, p. 41 ss.; C. Cupelli, Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, in Dir. pen. cont., 2013, p. 833 ss.; S. Benini Hemmeler, Corporate crime: applicabilità al settore sportivo e nuovi sistemi di prevenzione, in Studi urb., 2007, p. 163 ss.; R. Frau, La r.c. sportiva, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. La responsabilità civile, X, Torino, 1998, p. 71 ss.

[2] Cfr. l’art. 4, comma 1, CGS: «I soggetti di cui all’art. 2 sono tenuti all’osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva».

[3] Il calcio, insieme al c.d. calcio a cinque, è l’attività sportiva più praticata in Italia con 4.363.000 partecipanti (fonte: graduatoria LISPO-02-provv., elaborata congiuntamente nel 2002 da ISTAT, CONI e Università di Roma sulla base dei nomi di attività «sportive» citate nelle risposte all’indagine Istat 2000). Per una prima riflessione d’insieme cfr. A. Zoppini, I procuratori sportivi nella evoluzione del diritto dello sport, in Riv. dir. sport., 1999, p. 638 ss.; I. Demuro, T.E. Frosini, Calcio professionistico e diritto, Milano, 2009, passim.

[4] Paradigmatica di una quasi ossessiva attenzione che la nazione volge al fenomeno calcistico è stata la vicenda che ha condotto all’emanazione del c.d. decreto “Salva calcio”, con cui il governo italiano nel 2003 pose rimedio allo scandalo delle fideiussioni false che coinvolgeva numerose società di calcio professionistiche. Più in generale, v. J. Foot, Calcio. 1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia, Milano, 2010, p. 430 ss.; A. Papa, G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, 2002, p. 269 ss.; S. Kuper, Calcio e potere, Milano, 2008, p. 272 ss.

[5] Cfr. F.P. Luiso, La giustizia sportiva, Milano, 1975, passim; Id., voce Giustizia Sportiva, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 223 ss.; M. Sanino, voce Sport, in Enc. giur., XXX, Roma, 1993, pp. 1-6; G. Alpa, L’ordinamento sportivo, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, p. 321 ss.; G. Napolitano, voce Sport, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, V, Milano, 2006, p. 5678 ss.; C. Alvisi, Autonomia privata e autodisciplina sportiva. Il CONI e la regolamentazione dello sport, Milano, 2000, p. 5 ss.; L. Ferrara, voce Giustizia sportiva, in Enc. dir., Agg., 2010, III, p. 491 ss.; M. Colucci (a cura di), Lo sport e il diritto. Profili istituzionali e regolamentazione giuridica, Napoli, 2004, p. 15 ss.; G. Sciancalepore, Il diritto dello sport: una premessa metodologica, in G. Sciancalepore, P. Stanzione, S. Palazzi (a cura di), Lineamenti di giustizia sportiva, Torino, 2015, p. 1 ss.

[6] Il riferimento va in primo luogo agli artt. 2, 18, 32 e 117, comma 3, Cost. nonché, con riferimento alle c.d. società sportive professionistiche, all’art. 41 Cost.: sul tema v. G. Rossi, Enti pubblici associativi: aspetti del rapporto fra gruppi sociali e pubblico potere, Napoli, 1979, p. 114 ss.; G. Morbidelli, Gli enti dell’ordinamento sportivo, in Dir. amm., 1993, p. 321 ss.; A. Zoppini, F. Tassinari, Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive, in Contr. e impr., 2006, p. 90 ss.; A. Capotosti, Rapporti tra ordinamento giuridico generale e impresa sportiva, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Napoli, 2009, p. 699 ss.; T.E. Frosini, La dimensione costituzionale dello sport, in Federalismi.it, 2022.

[7] Quanto all’autonomia dell’ordinamento sportivo, riferimento fondamentale è l’art. 1 della legge 19 agosto 2003, n. 220, a mente del quale «La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordina­mento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale. I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo». A seguito del già menzionato «caso Raciti» il governo adottò delle misure d’urgenza per mezzo di un articolato decreto in cui si poneva fine, tra l’altro, alla querelle sugli ambiti di ingerenza della giustizia ordinaria nel campo della giustizia sportiva. Sul tema del comparto di giurisdizione si è pronunciata, di recente, anche la Corte costituzionale, per cui «è infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, 1º comma, lett. b), e 2, d.l. 19 agosto 2003 n. 220, conv., con modif., in l. 17 ottobre 2003 n. 280, nella parte in cui riserva al giudice sportivo la competenza a decidere in via definitiva le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari non tecniche inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al giudice amministrativo, anche se i loro effetti superano l’ambito dell’ordina­mento sportivo, incidendo su diritti ed interessi legittimi, in riferimento agli art. 24, 103 e 113 Cost.». Così Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, in Foro it., 2011, I, c. 2602, con nota di A. Palmieri; v. anche Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5514, in Foro amm., 2013, 3164; Cass. civ., Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17929, in CED Cassazione, rv. 627216 (m). Sul tema, si rimanda in dottrina a C. Castronovo, Pluralità degli ordinamenti, autonomia sportiva e responsabilità civile, in Eur. dir. priv., 2008, p. 545 ss.; M. Piazza, Il sistema sportivo italiano e la pluralità egli ordinamenti giuridici, in Giur. cost., 2013, p. 5123; V.C. Romano, Ordinamento sportivo e risarcimento del danno: di giurisdizione azzoppate, monstra logici ed altre amenità dottrinali, in Riv. dir. sport., 2012, p. 117 ss.; A.E. Basilico, L’au­tonomia dell’ordinamento sportivo e il diritto ad agire in giudizio: una tutela dimezzata?, in Giorn. dir. amm., 2011, p. 733; S. Felicetti, M.R. San Giorgio, Ordinamento sportivo e giudice amministrativo, in Corr. giur., 2011, p. 696; I. Piazza, Ordinamento sportivo e tutela degli associati: limiti e prospettive del nuovo equilibrio individuato dalla Corte costituzionale, in Giur. it., 2011, p. 187 ss.; F. Goisis, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007; G. Manfredi, Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale. I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva, Torino, 2007; G. Guarino, Lo sport quale formazione sociale di carattere sovranazionale, in Scritti in memoria di Aldo Piras, Milano, 1996, p. 356 ss.

[8] Inquadrata la questione da una diversa prospettiva, i compiti dell’ordinamento sportivo consistono nel verificare ed indirizzare verso uno svolgimento corretto le attività sportive, sanzionare i comportamenti non conformi dal punto di vista disciplinare, gestire il sistema associativo e affiliativo di società ed atleti entro le rispettive federazioni, organizzare e svolgere attività agonistiche non programmate ed a programma illimitato: così V.C. Romano, Ordinamento sportivo, cit., p. 137 ss.

[9] Con riferimento agli esercizi di conoscenza e confronto della disciplina speciale sportiva e di quella ordinaria, alcuna dottrina sottolinea criticamente come anche il teorico raffronto con l’ordinamento statale «non implichi pregiudizialmente e necessariamente identità di soluzioni e sia indirizzato alla ricerca di un indispensabile parametro di giudizio sulla legittimità e ragionevolezza intrinseche della singola norma di diritto sportivo, secondo una prospettiva adeguatrice e di orientamento comune – questa volta nella cornice dei principi costituzionali – alle norme ordinarie». Così M. Serio, Il processo disciplinare sportivo. Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in Eur. dir. priv., 2009, p. 773 ss. Concordando sulla validità di questa considerazione generale, l’analisi che verrà svolta in queste pagine vuole porre in evidenza, accostando e confrontando le singole regole operazionali – e nelle accezioni proprie del rispettivo ambito di collocazione – non solo le analogie, ma anche e soprattutto le divergenze operazionali proprie di uno statuto autonomico come quello sportivo, nel tentativo di prospettare alcuni nuovi «itinerari interpretativi» della normativa vigente in tema di illecito sportivo, anche alla luce di alcuni recenti assestamenti della giurisprudenza di settore. Sul tema, si rimanda ai fondamentali studi di M.S. Giannini, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport., 1949, p. 10 ss.; Id., Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, p. 219 ss.; Id., Ancora sugli ordinamenti giuridici e sportivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, p. 671 ss.; A. Quaranta, Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. dir. sport., 1979, p. 29 ss., ma v. ancora in generale S. Romano, L’ordinamento giuridico, Pisa, 1918, passim. Auspica una visione non materialista, ma ispirata al pluralismo giuridico P. Grossi, Sui rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, in Dir. amm., 2012, p. 3 ss.

[10] Come si avrà modo di verificare infra, infatti, si discorre non tanto di illeciti sportivi (come categoria che abbraccia una molteplicità di ipotesi ben definite e graduate), ma, piuttosto, di illecito sportivo, come clausola aperta e collegata alla lesione dei generali principi di lealtà e buona fede sportiva.

[11] Cfr. altresì A.P. Benedetti, Responsabilità civile sportiva. Un esempio di diritto consuetudinario?, in L. Bruscuglia, R. Romboli, Sport e ordinamenti giuridici, Pisa, 2009, pp. 189-199; S. Sica, Lesioni cagionate in attività sportive e sistema delle responsabilità, cit., p. 737 ss.; L. Cantamessa, G.M. Riccio, G. Sciancalepore (a cura di), Lineamenti di diritto sportivo, Milano, 2008, spec. p. 226 ss.

[12] Sulla natura della sanzione disciplinare sportiva, una sintesi delle diverse opinioni dottrinali è proposta da V. Forti, Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, in Riv. dir. ed econ. sport, 2007, p. 11 s.; B. Manzella, La responsabilità oggettiva, in Riv. dir. spor., 1980, p. 153 ss.; ancora, sulla precisa scelta operata dal legislatore in tema di illecito disciplinare e sui rapporti intercorrenti tra il c.d. principio di legalità e la mancata completa «tipizzazione» dell’illecito disciplinare v. M. Grassani, Come cambia l’illecito sportivo: evoluzione giurisprudenziale del fenomeno più acuto della patologia sportiva, in Riv. dir. ed econ. sport, 2006, p. 14.

[13] La minaccia dell’obbligazione risarcitoria dovrebbe infatti indurre l’autore di condotte potenzialmente dannose ad astenervisi o, ancora, a porre in essere le massime misure di sicurezza atte ad evitare gli incidenti: tale visione, seppur semplicistica, mutua alcune nozioni offerte dalle analisi svolte da G. Bettiol, Diritto penale, Padova, 1973, p. 645 ss.; G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato, Bologna, 1992, p. 25 ss.; sulla polisemia e la multiformità delle tecniche di applicazione razionale sottese all’interpretazione in chiave di politica del diritto dell’istituto della responsabilità civile e delle sue tre tradizionali funzioni (sanzione, prevenzione, compensazione) v. P.G. Monateri, La natura del ‘politico’ e il ‘problema’ della responsabilità civile, in G. Alpa, V. Roppo, La vocazione civile del giurista, Roma-Bari, 2013, p. 243 ss., ma ancora R. Keeton, Creative Continuity in the Law of Torts, in 75 Harv. L. Rev. 473 (1962); S. Rodotà, Modelli e funzioni della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 596 ss.; F.D. Busnelli, La parabola della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1988, p. 643 ss., ora anche in versione ampliata in F.D. Busnelli, S. Patti, Danno e responsabilità civile, Torino, 2013, p. 147 ss.; G. Ponzanelli, Verso un diritto europeo della responsabilità civile, ivi, 1987, p. 3 ss., nonché F. Galgano, La commedia della responsabilità civile, ivi, 1987, p. 291 ss.; C. Salvi, Il paradosso della responsabilità civile, ivi, 1983, p. 123 ss.; S. Sica, Note in tema di sistema e funzioni della regola aquiliana, in Danno e resp., 2002, p. 911 ss.; G. Alpa, La responsabilità civile, Torino, 2010, p. 131 ss.; F.D. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Eur. dir. priv., 2009, p. 909 ss.

[14] Cfr. sul punto quanto sostenuto da V. Forti, Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo, in Riv. dir. ed econ. sport, 2007, p. 16 ss., per cui «dalla considerazione che il rapporto è preordinato ad un fine, discende come conseguenza che i doveri del soggetto passivo non siano rivolti alla soddisfazione di un diritto, bensì siano intesi all’attuazione del fine caratterizzante il rapporto. Detto fine non è altro che quello proprio dell’ordinamento cui il potere disciplinare inerisce».

Sulla funzione promozionale rispetto all’analisi rimediale delle c.d. tutele giudiziarie v. U. Mattei, I rimedi, in G. Alpa, M. Graziadei, A. Guarneri, U. Mattei, P.G. Monateri, R. Sacco, Il diritto soggettivo, in Tratt. dir. civ. Sacco, II, La parte generale del diritto civile, Torino, 2001, p. 107 s.; Id., Diritto e rimedio nellesperienza italiana ed in quella statunitense. Un primo approccio, in Quadr., 1987, p. 341 ss.

[15] Seguendo in questo senso l’insegnamento romanistico dell’alterum non ledere: cfr. S. Pugliatti, voce Alterum non laedere, in Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 99 ss.; B. Albanese, voce Illecito (storia), ivi, XX, 1970, p. 53 ss.

[16] Nell’ambito dell’analisi economica del diritto della responsabilità civile è possibile individuare due principali correnti di pensiero: una fa capo a Calabresi, che discute di general e specific deterrence (G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Milano, rist. 2015, p. 47 ss.), dall’altra parte si pone la visione di R. Posner, A Theory of Negligence, in 1 J. Leg. Stud. 29 (1979), il quale rimette l’efficienza allocativa alle regole del mercato, partendo però dall’assenza di costi transattivi; ma v. anche G. Ponzanelli, La responsabilità civile, cit., p. 25 ss.; P.G. Monateri, Le fonti delle obbligazioni. La responsabilità civile, in Tratt. dir. civ. Sacco, III, Torino, 1998, p. 19 ss.; C. Salvi, La responsabilità civile, 3a ed., Milano, 2019, p. 16 ss.

[17] Il danno, inteso pertanto non come un mero effetto giuridico, ma come causa di un effetto giuridico e dunque come fatto giuridico: per tutti v. C. Salvi, voce Responsabilità extracontrattuale (dir. vig.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 1235 ss., spec. par. 2.

[18] In tal proposito si veda P. Trimarchi, voce Illecito, in Enc. dir., XX, Milano 1970; B. Albanese, voce Illecito (storia), ivi, pp. 50-90; A. De Cupis, voce Danno, ivi, XI, 1962, p. 622 ss.; C. Maiorca, voce Responsabilità, ivi, XXXIX, 1988.

[19] Cfr. sul punto C.M. Bianca, G. Patti, S. Patti, Lessico di diritto civile, 3a ed., Milano, 2001, p. 681: «La sanzione è una conseguenza sfavorevole prevista per l’inosservanza della norma consistente nella privazione di un bene o di un effetto giuridicamente tutelato», ma v. anche N. Bobbio, voce Sanzione, in Noviss. Dig. it., XVI, Torino, 1969, pp. 530 540 e ora anche in Contributi ad un dizionario giuridico, Torino, 1994, pp. 307-333; R. Marra, voce Sanzione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, p. 153 ss.; S. Castignone, R. Guastini, R. Tarello, Introduzione teorica allo studio del diritto, Genova, 1994, spec. p. 145 ss.; V. Gavazzi, voce Sanzione (Teoria generale), in Enc. giur., XXVIII, Roma, 1992, p. 1 ss.; V. Zeno-Zencovich, voce Sanzioni civili conseguenti al reato, in Dig. disc. pen., IX, Torino, 1997, p. 153 ss.

[20] Sviluppando il concetto di funzione promozionale del diritto, Norberto Bobbio, prende le mosse dalle nozioni di “premio” e “ricompensa” attribuendo all’ordinamento giuridico l’obiettivo di incentivare direttamente o indirettamente il compimento di determinati atti considerati socialmente utili, perseguito attraverso l’efficacia propulsiva delle c.d. sanzioni positive. Cfr. N. Bobbio, Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 1313 ss.; Id., La funzione promozionale del diritto rivisitata, in Soc. dir., 1984, II, p. 7 ss., nonché Id., L’analisi funzionale del diritto: tendenze e problemi, in Id., Dalla struttura alla funzione, Roma-Bari, 2012, p. 71 ss., 96, in cui si aggiunge che «per giudicare se il diritto abbia funzione repressiva o promozionale basta prendere in considerazione il rimedio; per giudicare se abbia funzione di conservazione o d’innovazione bisogna prendere in considerazione i concreti provvedimenti che attraverso quei rimedi vengono imposti o sollecitati». Tale indagine non comporta quindi soltanto l’adozione di un approccio casistico, volto a verificare come un determinato precetto venga applicato in un dato contesto dal formante giurisprudenziale, ma impone altresì di verificare come si combinano le varie componenti che concorrono a formare il diritto di un ordinamento giuridico e come esse incidano realmente sulle posizioni giuridiche dei consociati e sul generale assetto di una data comunità. In argomento v. anche C.M. Bianca, Il principio di effettività come fondamento della norma di diritto positivo: un problema di metodo della dottrina privatistica, in Estudios de derecho civil en honor del professor Castàn Tobeñas, II, Pamplona, 1969, p. 52 ss.; Id., Ex facto oritur jus, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 787 ss., ora entrambi raccolti in C.M. Bianca, Realtà sociale ed effettività della norma. Scritti giuridici, Milano, 2002, p. 35 ss. e 201 ss., ma v. ancora il fondamentale contributo offerto da A. Falzea, voce Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, p. 484 ss.

[21] Sul tema v. M. Buoncristiano, La responsabilità oggettiva delle società sportive: problemi, limiti, prospettive, in Giur. it., 1989, p. 160 ss.; M. Sferrazza, La responsabilità oggettiva delle società di calcio, in Resp. civ. e prev., 2008, p. 2154 ss.; V.M. Costa, Premessa ad uno studio sulla responsabilità oggettiva delle società sportive, in Giust. sport., 2011, p. 33 s.

[22] A.M. Gambino, Giustizia sportiva e crisi della fattispecie, in Riv. dir. sport, 2018, p. 11 ss.

[23] Artt. 4, comma 2 e 7, CGS previgente.

[24] Art. 4, comma 3, CGS previgente.

[25] Art. 11 CGS previgente.

[26] Artt. 12 e 13 CGS previgente.

[27] Art. 14 CGS previgente.

[28] Cfr. Corte di Giustizia Federale FIGC, C.U. n. 43/CGF del 19 settembre 2011: «In ogni caso, per la violazione della disposizione di cui all’art. 7 C.G.S. occorre la messa in opera di atti, non essendo sufficiente la mera ideazione».

[29] Corte di Giustizia Federale FIGC, C.U. n. 115/CGF del 28 novembre 2013 e ancora TNAS, lodo 23 giugno 2009, Ambrosino c. FIGC; 26 agosto 2009, Fabiani c. FIGC; 3 marzo 2011, Donato c. FIGC; 31 gennaio 2012, Saverino c. FIGC; 24 aprile 2012, Spadavecchia c. FIGC; 26 aprile 2012, Signori c. FIGC; 10 ottobre 2012 Alessio c. FIGC; 27 marzo 2013, Job. c. FIGC.

[30] Un apporto interpretativo minimo era stato fornito dalla giurisprudenza di settore, la quale nel pronunciarsi sul tema della ricorrenza di ipotesi di illecito disciplinare, aveva affermato che discorrere di «ra­gionevole certezza» non poteva significare procedere conformemente al dogma dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» proprio della disciplina penalistica o ancora non avrebbe potuto comportare in concreto la prova di una certezza assoluta, «bensì la sussistenza di «indizi gravi, precisi e concordanti». Cfr. TNAS, lodo 2 aprile 2012, Amodio e S.S. Juve Stabia c. FIGC: «per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. Tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme anti-doping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione della probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (cfr. ad es. l’art. 4 delle Norme Sportive Antidoping del CONI, in vigore dal 1° gennaio 2009). A tale principio vigente nell’ordinamento deve assegnarsi una portata generale sicché deve ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito».

[31] In questi termini M. Grassani, Come cambia l’illecito sportivo, cit., p. 1 s.

[32] Un’interessante valenza interpretativa emergeva in tal senso dall’art. 56 c.p., allorché, nel codificare la figura del delitto tentato, essa discorre di «atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un de­litto» (comma 1). Pertanto, perché si configuri il tentativo, all’idoneità dell’atto, che è propria dell’illecito in sé, avrebbe dovuto accompagnarsi l’univocità degli atti diretti a porre in essere la condotta vietata. In sostanza, il tentativo avrebbe potuto configurarsi ricorrendo due presupposti: a) che gli atti siano diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, cioè l’univocità degli atti; b) che tali atti siano adatti allo scopo, vale a dire l’idoneità degli atti. Come affermato unanimemente da dottrina e giurisprudenza, quando si fa riferimento al concetto di univocità degli atti, si intende che l’azione deve rivelare l’intenzione dell’agente, cioè l’azione deve chiaramente dimostrare che il soggetto si accinge a commettere il delitto. Non si deve valutare isolatamente un singolo atto, che potrebbe assumere plurimi significati, bensì guardare all’interezza dell’agere del soggetto nel complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui si è svolta. Dunque, per discorrere di univocità oggettiva l’azione deve avere uno sviluppo tale da mettere in chiara evidenza il fine a cui è diretta. In merito alla idoneità degli atti, tale profilo va valutato secondo il criterio della “prognosi postuma”, ovvero in concreto ed ex ante, sicché non si deve considerare soltanto l’astratta adeguatezza dei mezzi preposti al compimento del delitto, bensì occorre una valutazione della reale e concreta situazione in cui gli stessi si inseriscono, secondo un giudizio calato al momento della commissione dell’ultimo atto che ha caratterizzato la condotta. Inoltre, il comma 3 dell’art. 56 c.p. fissa il principio secondo cui «se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso». Sul tema, ex multis, si rimanda a G. Azzali, Idoneità ed univocità degli atti. Offesa di pericolo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 1168 ss.; E. Morselli, Condotta ed evento nella disciplina del tentativo, ibidem, 1998, 1, p. 36 ss.; G. Vassalli, La disciplina del tentativo, in Atti del Convegno nazionale di studio su alcune fra le più urgenti riforme del diritto penale, Milano, 1961, p. 232 ss.

[33] Corte di Giustizia Federale FIGC, C.U. n. 2/CF del 4 agosto 2006, che puntualizza ancora: «gli atti alternativamente diretti alla realizzazione della triplice categoria di illeciti, prevista dall’art. 6, debbono rivelare una concreta idoneità causale ed attraversare tutta la serie di apporti necessari per il raggiungimento dello scopo».

[34] V. ancora, Corte di Giustizia Federale FIGC, 19 settembre 2011, cit., p. 39: «si deve necessariamente concludere che manca, comunque, la prova “al di là di ogni ragionevole dubbio” che l’illecito abbia superato sia la fase della ideazione, che quella così detta preparatoria». V., da ultimo, i contributi contenuti in E. Battelli (a cura di), Diritto privato dello sport, Torino, 2021, p. 193 ss.

[35] L’ambito di applicazione della norma si estendeva infatti non solo al «fatto» – o meglio all’«atto» compiuto da dirigenti e tesserati, ma ancora ai «soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’in­teresse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale». A carico delle società era poi previsto un vasto apparato di sanzioni disciplinari tra cui l’ammonizione, l’ammenda, a penalizzazione e l’esclusione (art. 18 CGS previgente).

[36] In caso di violazione dell’art. 7, comma 1, CGS (illecito sportivo) si applicano la sanzione non inferiore all’inibizione o alla squalifica per un periodo minimo di tre anni, con aggravamento in caso di pluralità di illeciti ovvero se lo svolgimento o il risultato della gara è stato alterato oppure se il vantaggio in classifica è stato conseguito.

[37] In una sconfinata bibliografia sul tema si rimanda a P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, spec. pp. 1-56; M. Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965; S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, spec. p. 164 ss.; M. Franzoni, La responsabilità oggettiva, Padova, 1995; P.G. Monateri, Le attività pericolose, in M. Bessone, Illecito e Responsabilità civile, II, Torino, 2002; L. Corsaro, voce Responsabilità per fatto altrui, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 388 ss.; F. Toppetti, La responsabilità presunta fino a prova contraria, Milano, 2008.

[38] Sul tema si rimanda all’ampia e articolata analisi svolta da C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, 3a ed., Milano, 2006, p. 275 ss.; sulle funzioni della responsabilità civile, v. ancora S. Sica, La responsabilità civile tra struttura, funzione e “valori”, in Resp. civ. e prev., 1994, p. 543 ss.; P. Perlingieri, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. dir. civ., 2011, p. 121 ss.

[39] Così P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, cit., p. 50.

[40] Corte di Giustizia Federale FIGC, C.U. n. 30/C del 18 giugno 1985.

[41] Cfr. Corte sportiva di appello, C.U. FIGC, 24 aprile 2018, n. 129/CSA. In questo quadro, si discorrerebbe pertanto di un principio di corrispondenza tra oneri e benefici, in base al quale chi trae vantaggio da una determinata situazione, deve conseguentemente sopportarne anche gli oneri connessi: sul punto V. D’Antonio, L’illecito civile. Principi generali, in P. Stanzione, B. Troisi, Principi generali del diritto civile, Torino, 2011.

[42] Corte di Giustizia Federale FIGC, C.U. n. 061/CGF del 12 ottobre 2011.

[43] Così Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., 8 settembre 2015, n. 42.

[44] Secondo il comma 3 dell’art. 4 CGS previgente, infatti, «le società rispondono oggettivamente anche dell’operato e del comportamento delle persone comunque addette a servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’eventuale campo neutro, sia su quello delle società ospitanti, fatti salvi i doveri di queste ultime». Il successivo comma invece imponeva un obbligo generale di sorveglianza e sicurezza sulla società, per cui «sono responsabili dell’ordine e della si­curezza prima, durante e dopo lo svolgimento della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti. La mancata richiesta della forza pubblica comporta, in ogni caso, un aggravamento delle sanzioni».

[45] Art. 11, comma 3, CGS previgente: «Le società sono responsabili per l’introduzione o l’esi­bizione negli impianti sportivi da parte dei propri sostenitori di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni di discriminazione. Esse sono altresì responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione che siano, per dimensione e percezione reale del fenomeno, espressione di discriminazione. In caso di prima violazione, si applica la sanzione minima di cui all’art. 18, comma 1 lett. e). Qualora alla prima violazione, si verifichino fatti particolarmente gravi e rilevanti, possono essere inflitte anche congiuntamente e disgiuntamente tra loro la sanzione della perdita della gara e le sanzioni di cui all’art. 18, comma 1, lettere d), f), g), i), m). In caso di violazione successiva alla prima, oltre all’ammenda di almeno euro 50.000,00 per le società professionistiche e di almeno euro 1.000,00 per le società dilettantistiche, si applicano congiuntamente o disgiuntamente tra loro, tenuto conto delle concrete circostanze dei fatti e della gravità e rilevanza degli stessi, le sanzioni di cui all’art. 18, comma 1 lettere d), e), f), g), i), m) e della perdita della gara»; Art. 12, comma 3, CGS previgente: «Le società rispondono per la introduzione o utilizzazione negli impianti sportivi di materiale pirotecnico di qualsiasi genere, di strumenti ed oggetti comunque idonei a offendere, di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose o incitanti alla violenza. Esse sono altresì responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione comunque oscena, oltraggiosa, minacciosa o incitante alla violenza».

[46] Nello specifico, le circostanze attenuanti o esimenti indicate dall’art. 13 CGS previgente concernevano: a) l’attuazione da parte della società di modelli di organizzazione volti alla prevenzione dei fatti contestati, b) la concreta cooperazione con le forze dell’ordine e le autorità competenti al fine di adottare misure di carattere preventivo, c) l’immediata attivazione al fine di rimuovere o interrompere i fatti discriminatori o violenti, d) l’espressa dissociazione di parte dei sostenitori dai comportamenti contestati, e) l’assenza di omessa o insufficiente vigilanza e prevenzione da parte della società.

[47] La prova di alcune tra le circostanze elencate poteva inoltre rappresentare fattore attenuante della responsabilità (art. 13, comma 2); ai sensi del comma 5 dell’art. 14 cit., era riconosciuto il medesimo potere esimente o attenuante alla prova di una delle circostanze di cui alle lett. a) e b) nelle ipotesi di responsabilità per fatti violenti dei sostenitori.

[48] Sul punto si rappresenta come il riferimento all’adozione di modelli organizzativi non fosse al tempo sostenuto da uniformi ed adeguate disposizioni normative, per cui residua in capo alle Corti il compito di interpretare rispetto al caso concreto l’effettiva idoneità delle misure adottate dalla società, avendo come uni­co parametro di raffronto le linee-guida emanate dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive.

[49] In primo luogo, gravava esclusivamente sulla società l’onere di prevenzione, controllo e responsabilità: nell’ambito calcistico, ad esempio, alcuni specifici standard di gestione imposti dall’art. 62 delle NOIF (Norme Organizzative Interne della FIGC). Cfr., ad. es., il comma 3 dell’art. 62 NOIF previgenti (Tutela dell’ordine pubblico in occasione delle gare): «Le società hanno l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti idonei ad impedire che lo svolgimento della gara sia disturbato dal suono di strumenti che comunque rechino molestia, dal lancio e dallo sparo di materiale pirotecnico di qualsiasi genere e che durante la gara si verifichino cori, grida ed ogni altra manifestazione espressiva di discriminazione per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine territoriale o etnica, ovvero configuranti propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori nonché di far rimuovere, prima che la gara abbia inizio, qualsiasi disegno o dicitura in qualunque modo esposti, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose, incitanti alla violenza o discriminatorie per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine territoriale o etnica, ovvero configuranti propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori».

[50] G. Ponzanelli, La responsabilità civile, cit., spec. p. 49 ss.; G.F. Ferrari, Atipicità dell’illecito civile. Una comparazione, Milano, 1992; Id., Tipicità ed atipicità del fatto illecito, in F. Galgano, Atlante di diritto privato comparato, cit., pp. 155-174; U. Mattei, Responsabilità per torts e contrapposizione tra diritto inglese e diritto nordamericano, in G. Autorino Stanzione, Le «responsabilità speciali»: modelli italiani e stranieri, Napoli, 1989, pp. 233-242; V. Zeno-Zencovich, La responsabilità civile, in AA.VV., Diritto privato comparato. Istituti e problemi, Bari-Roma, 2010, p. 371 ss.; S. Sica, V. D’Antonio, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato, in P. Stanzione (a cura di), Trattato della responsabilità civile, Padova, 2013, I, pp. 56-94; O.W. Holmes, The Common Law, 1881, rist., Toronto, 2011, p. 104 ss.; P.G. Monateri, voce Responsabilità civile in diritto comparato, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1988, p. 12 ss.

[51] Cui si ricollega ancora la massima fondamentale in tema di agency: «Qui facit per alium facit per se». Cfr. Stroman Motor Co. v. Brown, 116 Okla 36, 243 P 133 e in dottrina M. Graziadei, voce Agency, in Dig. disc. priv., sez. comm., V, Torino, 1988, p. 31 ss.

[52] Penn. Cent. Trans. Co. v. Reddick, 398 A.2d 27, 29 (D.C. 1979); Edgewater Motels, Inc. v. Gatzke, 277 NW2d 11, 15 (Minn. 1979); Miller v. Reyman-Wuerth Co., 598 P2d 20, 22 (D.C. Wyo 1979), in cui si afferma che il danno va ascritto al preponente: «if, at the time of the accident, the employee is engaged in furthering the employer’s business interests». Sullo sviluppo di tale sistema di responsabilità basato sull’assunzione del rischio come corollario della massima «volenti non fit iniuria» v. P.S. Atiyah, Vicarious Liability in the Law of Torts, London, 1967, p. 12 ss.

[53] Letta a contrario, la combinazione tra gli obiettivi di deterrenza propri del sistema di strict liability e i generali scopi di compensazione, investe la vicarious liability anche di funzioni di giustizia: cfr. G. Ponzanelli, La responsabilità civile, cit., p. 84 ss.; P.S. Atiyah, Accidents, Compensation and the Law, cit., p. 102; J.G. Fleming, The Law of Torts, cit., p. 339; S.M. Speiser, C.F. Krause, A.W. Gans, The American Law of Torts, cit., p. 532.

[54] Cfr. Deutsch v. Arnold, 98 F.2d 686 (2d Cir. 1938); Fonovisa v. Cherry Auction, 76 F. 3d 259 (9th Cir. 1996); Artists Music, Inc. v. Reed Publishing, Inc., 31 USPQ 2d 1623 (S.D.N.Y. 1994); Vernon Music Corp. v. First Development Corp., 1984 WL 8146 (D. Mass. 1984).

[55] Cfr. Polygram Int’l Publ’g, Inc. v. Nevada/TIG, Inc., 855 F. Supp. 1314 (D. Mass. 1994); Screen Gems-Columbia Music, Inc. v. Mark-Fi Records, Inc., 256 F. Supp. 399 (S.D.N.Y. 1966); Davis v. E.I. DuPont de Nemours & Co., 240 F. Supp. 612 (S.D.N.Y. 1965).

[56] Il riferimento primario è il d.l. 8 febbraio 2007, n. 8.

[57] Si tratta di una card rilasciata dalle società sportive attraverso il circuito bancario o delle scommesse, a fronte di un nulla osta della Questura competente, avente una validità di 5 anni assimilabile ad una carta di credito comprensiva di foro e nominativo del possessore.

[58] C.d. “Divieto di assistere a manifestazioni sportive”. Il DASPO, introdotto con la legge 13 dicembre 1989, n. 401 è una misura di prevenzione che viene applicata a determinate categorie di persone considerate “pericolose” per l’ordine e la sicurezza pubblica.

[59] Si pensi alle dichiarazioni rilasciate dal Procuratore Aggiunto di Napoli dott. Giovanni Melillo nel 2011, per cui “interi settori degli stadi sono sottratti all’autorità dello Stato e, di fatto, controllati da gruppi violenti che si nutrono di odio per lo Stato stesso e per la Polizia, mirano di fatto a condizionare la gestione delle società venendo tollerati, se non blanditi, da dirigenti e calciatori” (fonte La Repubblica, gennaio 2011).

[60] Secondo alcune stime, sarebbero circa 41mila gli ultras italiani, divisi tra 388 gruppi organizzati.

[61] Sul punto ex multis v. C. Castronovo, voce Obblighi di protezione e tutela del terzo, in Enc. giur., XXII, Roma, 1990, p. 1 ss.; nella giurisprudenza civile v. ad es. Trib. Nocera, sent. n. 416/2015, inedita, in cui nel riformare una decisione del giudice di pace il Tribunale ha esteso la responsabilità della società anche ai danni occorsi a un giornalista freelance aggredito dai tifosi della squadra di casa mentre stava per ritirare al botteghino un biglietto omaggio riservato alla stampa.

[62] A rimarcare in termini pratici i difficili rapporti tra il comma 4 e il comma 3 dell’art. 4 CGS previgente concorreva, inoltre, la controversa disciplina dei c.d. steward. Allo steward, infatti erano demandati «altri servizi ausiliari dell’attività di polizia, relativi ai controlli nell’ambito dell’impianto sportivo, per il cui espletamento non è richiesto l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego operativo di appartenenti alle Forze di Polizia» (così l’art. 2, legge n. 217/2010 di conversione del d.l. n. 187/2010 recante «Misure urgenti in materia di sicurezza»). La società inoltre era affermata quale responsabile «dell’intero servizio di steward e, in particolare, della direzione e del controllo degli stewards attraverso il Delegato alla Sicurezza, il quale, tra l’altro, deve provvedere al controllo ed alla pianificazione dell’attività degli stewards secondo il piano operativo approvato in sede di G.O.S.». In tal senso, gli steward godevano di una protezione di tipo normativo nelle ipotesi in cui subivano violenze da parte dei tifosi, ma la rigida disciplina in materia di selezione e formazione non trovava un equo bilanciamento nell’attribuzione a tali figure di un ruolo di pubblico ufficiale, né della contestuale autorizzazione a detenere armi. In tale contesto, le concrete facoltà di intervento degli steward – la cui presenza negli stati è prevista con un rapporto di 1 a 150 – avrebbero residuato nel mero richiamo e nell’identificazione dei tifosi, o, ancora nella richiesta dell’in­ter­vento delle forze dell’ordine.

[63] In questi termini M. Sferrazza, La responsabilità oggettiva, cit., con riferimento a F. Pagliara, Ordinamento giuridico sportivo e responsabilità oggettiva, in Riv. dir. sport., 1989, p. 158 e CAF, 27 gennaio 1972, ivi, 1972, p. 151.

[64] Imprescindibili riflessioni di carattere generale sulle funzioni di deterrence e prevenzione proprie delle regole di responsabilità (civile), ma agevolmente applicabili alle ipotesi di cui si discorre sono offerte da G. Ponzanelli, La responsabilità civile, cit., p. 30 ss.

[65] Nel ventennio precedente alla riforma del 2019, si sono ad esempio susseguite ben tre versioni del CGS, rispettivamente pubblicate nel 2001 (C.U. FIGC 9 agosto 2001, n. 28), 2007 (C.U. FIGC. del 21 giugno 2007, n. 19/A), 2014 (C.U. FIGC n. 36/A DEL 1° agosto 2014).

[66] Si pensi ancora alla recente (ma comunque ciclica) ipotesi delle frodi fiscali nella compravendita di calciatori. Un’espressione di tale tendenza emergeva in primo luogo dalla pronuncia del TNAS del 20 gennaio 2012, in cui il Collegio ha ritenuto che «la sanzione relativa alla responsabilità oggettiva della società calcistica non deve essere applicata in maniera acritica e meccanica, bensì sulla base di criteri di equità e di gradualità, tali da evitare risultati abnormi e non conformi a giustizia». TNAS, Lodo Benevento Calcio c. FIGC del 20 gennaio 2012; per un commento della vicenda si rimanda ad A. Canducci, La responsabilità oggettiva nella giustizia sportiva: un architrave su pilastri di argilla, in RDES, 2012.

[67] Si pensi, quale esempio emblematico, a C.U. n. 52/CDN del 27 gennaio 2010, ove si ipotizza espressamente le permutabilità della penalizzazione in classifica con l’irrogazione di un’ammenda.

[68] Sul punto v. G. Ponzanelli, La responsabilità civile, cit., p. 99; in prospettiva comparatistica v. anche H. Stoll, Consequences of Liability: Remedies, in A. Tunc (a cura di), Torts, Int. Enc. Comp. L., XI, cap. 8, Tübingen, 1986, p. 11 ss.

[69] La dottrina municipale si divide sulla collocazione sistematica di tale criterio di imputazione dell’il­lecito, da una parte richiamando il sistema di strict liability legato alle teorie sul rischio di impresa (P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, cit., p. 187 ss.), dall’altra evidenziandone l’autonomia (S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, cit., p. 148 ss.) e il carattere misto (P.G. Monateri, La responsabilità civile, cit., p. 979), comunque rimarcando la tendenza «ad assegnare i costi relativi alla produzione di effetti dannosi in capo a soggetti considerati idonei a sopportarli alla stregua di valutazioni sociali tipiche» (G. Ponzanelli, La responsabilità civile, cit., p. 212). Per una rassegna delle diverse prospettive cfr. altresì G. Autorino Stanzione, Le «responsabilità speciali»: modelli italiani e stranieri, cit., p. 27 ss.; oltre alla dottrina civilistica già citata, imprescindibile è ancora il riferimento all’indagine svolta da G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, cit., passim.

[70] Alcuna autorevole dottrina afferma la sussistenza di un’autonoma conformazione della responsabilità oggettiva, diversa dai principi in materia di personalità della pena del diritto penale, nonché alla responsabilità oggettiva di diritto civile, rilevando però come sussistano ovviamente «dei punti di contatto tra situazioni che rilevano nell’ordinamento collaterale autonomo non statuale e nell’ordinamento statuale, e ci sono dei momenti di collegamento che sono addirittura inevitabili per certi aspetti». Così C. Castronovo, Pluralità degli ordinamenti: autonomia sportiva e responsabilità civile, cit., p. 550.

[71] Nello specifico, secondo la Procura federale il terzo portiere del Napoli aveva «posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara suddetta al fine di effettuare scommesse sul risultato sicuro di vittoria della Sampdoria». In particolare, lo stesso portiere Gianello avrebbe contattato «i compagni di squadra Paolo Cannavaro e Gianluca Grava, dai quali riceveva un rifiuto». Con la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale FIGC di cui al C.U. n. 55/CDN del 18 dicembre 2012, la società sportiva partenopea veniva deferita a titolo di responsabilità oggettiva per le condotte dei propri tesserati: analizzate le prove confluite nel procedimento disciplinare, si osservava, con riferimento alla gara Sampdoria-Napoli del Maggio 2010, che la stessa era infatti stata oggetto «di un tentativo di alterazione del risultato a fini di scommesse per opera di Giusti, all’epoca dei fatti iscritto nell’albo dei tecnici e di Gianello, sempre a quel tempo tesserato per la Società Napoli». In particolare, su uno dei tesserati poi si concentravano le attenzioni della Commissione, la quale reputava veridiche le numerose (e sovente discordi) confessioni e dichiarazioni prodotte dal terzo portiere – dichiaratosi al contempo uno scommettitore abituale – pronunziate dinanzi agli organi di polizia giudiziaria e in sede di giudizio disciplinare. Quanto alle posizioni dei due difensori partenopei, le dichiarazioni difensive riguardanti una percezione di un tono meramente scherzoso delle proposte di Gianello congiuntamente alla proposizione «tardiva e stru­mentale» di querele da parte degli stessi, conducevano i giudicanti a valutare come consumata l’omissio­ne di denuncia, con conseguente affermazione di responsabilità degli incolpati. Rispetto alla posizione della Società sportiva calcio Napoli, la Commissione Disciplinare, in conformità al principio per cui «gli Organi della giustizia sportiva stabiliscono la specie e la misura delle sanzioni disciplinari, tenendo conto della natura e della gravità dei fatti commessi e valutate le circostanze aggravanti e attenuanti, nonché l’eventuale recidiva» applicava alla società sportiva la sanzione della penalizzazione di due punti da scontarsi nella stagione sportiva 2012/2013 nonché di un’ammenda pari ad euro settantamila.

[72] Corte di Giustizia Federale FIGC, Sez. Un., C.U. n. 151/CGF del 17 gennaio 2013 e 171 CGF del 6 febbraio 2013.

[73] «La convinzione della Corte, maturata a seguito della scrupolosa lettura delle dichiarazioni del­l’appellante, è che esse non possano costituire in alcun modo prova della commissione dell’illecito alterativo, a propria volta presupposto delle incolpazioni a Grava e Cannavaro ed alla Società Napoli, rispettivamente per omessa denuncia dell’illecito contestato ed a titolo di responsabilità oggettiva». «Ciò che la Corte senza esitazioni rileva non è solo l’oscillante, fragile impianto delle molteplici parole di Gianello ed il loro procedere in forma ondulatoria e, per ciò solo, non degna della solida, necessaria credibilità. Vi è, infatti, da osservare che nemmeno le più pungenti ed aspre dichiarazioni accusatorie raggiungono l’adeguato livello probatorio della posizione in essere, da parte dello stesso Gianello e degli ipotetici (dal numero e dall’identità incerti, come prima visto) interlocutori, di atti idonei allo scopo alterativo, anche tentato. Ed invero, la già sottolineata genericità dei discorsi di Gianello (ove mai effettivamente pronunciati: ciò di cui, per le ragioni prima indicate, non si è ottenuta alcuna appena sufficiente prova) su genesi, obiettivi, vantaggi della proposta illecita era di per sé sintomo certo della mancanza di attitudine a generare negli eventuali destinatari qualsiasi forma di consapevole adesione o di reale assunzione di impegno illecito. Non v’è alcuna prova – nemmeno a prestar fede alle più pesanti e compromettenti delle tante parole dell’appellante – che la sua condotta fosse tale da stimolare un’adesione perfezionativa dell’illecito o da rendere chiaro agli interlocutori il suo intendimento corruttivo». Così C.U. n. 171/CGF, cit., p. 7 e 10.

[74] «Assolve i calciatori Paolo Cannavaro e Gianluca Grava dall’accusa della violazione dell’art. 7, comma 7, CGS in relazione alla gara Sampdoria/Napoli perché il fatto non sussiste e conseguentemente esclude la responsabilità oggettiva della SSC Napoli S.p.A. a tale titolo contestata». La sanzione gravante sulla società calcistica veniva pertanto ridotta ad una misura di carattere meramente pecuniario, con conseguente reintegrazione dei due punti di squalifica comminati dalla Commissione disciplinare nella posizione di classifica attinente alla stagione 2012-2013.

[75] Un interessante indagine di stampo comparatistico è stata svolta da M. Colucci, International and comparative sport justice, Roma, 2013, passim.

[76] «1. Unless otherwise specified in this Code, infringements are punishable regardless of whether they have been committed deliberately or negligently. In particular, associations and clubs may be responsible for the behavior of their members, players, officials or supporters or any other person carrying out a function on their behalf even if the association or club concerned can prove the absence of any fault or negligence.

  1. Acts amounting to attempt are also punishable.
  2. Anyone who takes part in committing an infringement or induces someone to do so, whether as instigator or accomplice, may also be sanctioned».

[77] «A member association or club that is bound by a rule of conduct laid down in UEFA’s Statutes or regulations may be subject to disciplinary measures and directives if such a rule is violated as a result of the conduct of one of its members, players, officials or supporters and any other person exercising a function on behalf of the member association or club concerned, even if the member association or the club concerned can prove the absence of any fault or negligence».

[78] «However, all associations and clubs are liable for the following inappropriate behaviour on the part of their supporters and may be subject to disciplinary measures and directives even if they can prove the absence of any negligence in relation to the organisation of the match: a. the invasion of the field of play; b. the throwing of objects potentially endangering the physical integrity of others present at the match or impacting the orderly running of the match; c. the lighting of fireworks or any other objects; d. the use of laser pointers or similar electronic devices; e. the use of gestures, words, objects or any other means to transmit a provocative message that is not fit for a sports event, particularly provocative messages that are of a political, ideological, religious or offensive nature; f. acts of damage; g. causing a disturbance during national anthems; h. any other lack of order or discipline observed inside or around the stadium».

[79] In primis rinvenibili nell’art. 8 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e de cittadino del 1789.

[80] Sull’applicazione del principio di legalità in tema di doping cfr. Cour Administrative d’Appel de Nancy, 23 aprile 2012, n. 11NC00980.

[81] In questi termini si esprime J.-M. Marmayou, La giustizia sportiva in Francia, in G. Candela, S. Civale, M. Colucci, A. Frattini (a cura di), La giustizia sportiva, Roma, 2013, p. 543; v. amplius F. Rizzo, Droit du sport, Lamy, 2009, passim.

[82] Si veda, in proposito Conseil d’Etat, 15 luglio 2004, in legifrance.gouv.fr, in cui il Consiglio di Stato ha convalidato la classifica della stagione 2003-2004 considerando lecito il comportamento della squadra di calcio della città di Brest, la quale aveva fruito delle prestazioni sportive di un tesserato su cui gravava una precedente squalifica.

[83] In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato come l’art. 129 imponeva ai club un’obbligazione di risultato avente come oggetto la sicurezza dello svolgimento degli eventi sportivi, nell’ambito dei poteri di organizzazione demandati alle stesse società, per cui non avrebbe in alcun modo violato il principio di diritto penale che sancisce la personalità delle pene, applicabile anche in ipotesi di sanzioni amministrative e disciplinari. Conseil d’Etat, 29 ottobre 2007, n. 307736, in legifrance.gouv.fr: «Cet article impose aux clubs de football, qu’ils soient organisateurs d’une rencontre ou visiteurs, une obligation de résultat en ce qui concerne la sécurité dans le déroulement des rencontres. Le club organisateur est ainsi tenu d’assurer la police du terrain et de prendre toutes mesures permettant d’éviter les désordres pouvant résulter, tant avant, pendant qu’après le match, de l’attitude de ses dirigeants, des joueurs ou du public. Le club visiteur est, quant à lui, responsable de l’attitude de ses dirigeants, joueurs et supporters. Il est, en particulier, responsable des désordres imputables à ses supporters à l’occasion d’une rencontre. La méconnaissance de ces dispositions peut faire l’objet de sanctions disciplinaires de la part de la fédération, notamment de sanctions pécuniaires comme en l’espèce. Il appartient alors aux organes disciplinaires de la fédération, après avoir pris en considération les mesures de toute nature effectivement prises par le club pour prévenir les désordres, d’apprécier la gravité des fautes commises et de déterminer les sanctions adaptées à ces manquements. Les règlements en cause sanctionnent ainsi la méconnaissance par les clubs d’une obligation qui leur incombe et qui a été édictée par la fédération sportive dont ils sont adhérents, dans le cadre des pouvoirs d’organisation qui sont les siens et conformément aux objectifs qui lui sont assignés. Ils ne méconnaissent pas, par suite, eu égard au pouvoir d’appréciation ci-dessus rappelé, le principe constitutionnel de responsabilité personnelle en matière pénale, qui est applicable aux sanctions administratives et disciplinaires». La decisione (di senso contrario) oggetto di impugnazione innanzi al Consiglio di Stato è Tribunal Administratif de Paris, 16 marzo 2007, n. 0505016/6-3, in s.ucpf.fr/.

[84] «Chaque club est responsable des faits commis par un assujetti qui lui est rattaché. Les assujettis peuvent faire l’objet de poursuites disciplinaires et éventuellement être sanctionnés, dans le cas où ils ont été les auteurs d’une des fautes disciplinaires suivantes, au moins: a) Cas d’indiscipline. b) Faits relevant de la sécurité d’une rencontre survenus avant, pendant et après cette dernière ou susceptibles d’en impacter le bon déroulement, ainsi que tous désordres, incidents ou conduites incorrectes. Le club recevant est tenu d’assurer, en qualité d’organisateur de la rencontre, la sécurité et le bon déroulement de cette dernière. Il est à ce titre responsable des faits commis par des spectateurs. Néanmoins, le club visiteur ou jouant sur terrain neutre est responsable des faits commis par ses supporters. L’accès au stade de toute personne en possession d’objets susceptibles de servir de projectiles doit être interdit, comme est formellement proscrite l’utilisation de pointeurs laser et d’articles pyrotechniques tels que pétards, fusées ou feux de Bengale, dont l’allumage, la projection ou l’éclatement peuvent être générateurs d’accidents graves. Il appartient aux organisateurs responsables de donner toute publicité à l’intention du public pour que cette dernière prescription soit portée à sa connaissance. Les ventes à emporter, à l’intérieur du stade, de boissons ou autres produits sont autorisées seulement sous emballage carton ou plastique, d’une contenance inférieure ou égale à 50cl, sans bouchon. Les ventes de bouteilles en plastique d’une contenance supérieure à 50cl ou de bouteilles en verre ou boîtes métalliques sont interdites. En cas de manquement(s) à l’obligation de résultat en ce qui concerne la sécurité et le bon déroulement des rencontres qui pèse, dans les conditions précitées, sur tous les clubs de football, l’organe disciplinaire, après avoir pris en compte les mesures de toute nature effectivement mises en œuvre par le club poursuivi pour prévenir les désordres et pour les faire cesser ainsi que toutes démarches entreprises par ce dernier par la suite, apprécie la gravité des fautes commises par le club et détermine les sanctions proportionnées à ces manquements qu’il convient de lui infliger. Il revient ainsi à l’organe disciplinaire de déterminer la respon­sabilité du club au regard des obligations qui pesaient sur celui-ci le jour de la rencontre et qui dépen­dent du fait qu’il était organisateur du match, visiteur ou qu’il jouait sur terrain neutre, et d’apprécier la gravité des actes commis dans la mesure où elle est la conséquence des carences du club. c) Violation des Statuts et Règlements des instances du football français, qui ne relève pas du champ de compétence dévolu règlementairement à un autre organe, non-respect ou non-application d’une décision prononcée par lesdites instances. d) Tout comportement contraire à la morale, à l’éthique ou portant atteinte à l’honneur, à l’image ou à la considération de la F.F.F., de ses Ligues ou Districts, de la Ligue de Football Professionnel, d’un de leurs dirigeants, d’un assujetti ou d’un tiers, ou, plus généralement, du football français. La méconnaissance des principes fondamentaux énoncés dans la Charte d’Ethique et de Déontologie du Football peut donner lieu à l’engagement de poursuites disciplinaires. Tout assujetti, portant une accusation, est pénalisé s’il n’apporte, à l’appui, une présomption grave ou un commencement de preuve».

[85] La disciplina francese prevede inoltre un divieto generale di scommesse speculare alla disciplina italiana (art. 124 reg. cit.), ma non contempla un’ipotesi di responsabilità oggettiva della società per fatto del tesserato, ad esempio con riferimento alle ipotesi di alterazione dello svolgimento o del risultato di una partita.

[86] Così, A. Canducci, La giustizia sportiva in Spagna, in La giustizia sportiva, cit., p. 616.

[87] «1. Son punibles la infracción consumada y la tentativa.

  1. Hay tentativa cuando el culpable da principio a la ejecución del hecho que constituye la infracción y no se produce el resultado por causa o accidente que no sea su propio y voluntario desistimiento.
  2. La tentativa se castigará con la sanción inferior a la prevista para la infracción consumada».

[88] «1. Cuando con ocasión de un partido se altere el orden, se menoscabe o ponga en peligro la integridad física de los árbitros, jugadores, técnicos o personas en general, se causen daños materiales o lesiones, se produzca invasión del terreno de juego, se exhiban símbolos o se profieran cánticos o insultos violentos, racistas, xenófobos o intolerantes, o se perturbe notoriamente el normal desarrollo del encuentro, incurrirá en responsabilidad el club organizador del mismo, salvo que acredite el cumplimiento diligente de sus obligaciones y la adopción de las medidas de prevención exigidas por la legislación deportiva para evitar tales hechos o mitigar su gravedad. El organizador del encuentro será también responsable cuando estos hechos se produzcan como consecuencia de un mal funcionamiento de los servicios de seguridad por causas imputables al mismo.

  1. Para determinar la gravedad de los hechos se tendrán en cuenta las circunstancias concurrentes, tales como la producción o no de lesiones; la apreciación de riesgo notorio de haberse podido originar, salvo si para su evitación hubiese mediado la diligencia del organizador; la influencia de los incidentes en el normal desarrollo del juego; la existencia o ausencia de antecedentes; el mayor o menor número de personas intervinientes; y, en general, todas las demás que el órgano disciplinario racionalmente pondere, cualificándose, además, de manera específica, como factores determinantes de la gravedad, la actitud pasiva o negligente del club organizador o su falta de presteza para identificar y poner a disposición de la autoridad competente a los protagonistas de los incidentes y, en suma, el grado de cumplimiento de las obligaciones legales y reglamentarias que incumben al organizador en materia de la prevención de la violencia en las instalaciones deportivas. Tratándose de supuestos en que resulte agredido alguno de los árbitros, precisando por ello asistencia médica, el ofendido deberá remitir el correspondiente parte facul­tativo».

[89] Sul tema v. nella giurisprudenza federale spagnola, Comitè de Competiciòn de la RFEF, Res. 7 ottobre 2008 (Espanyol c. Barcelona): «El principio de responsabilidad objetiva del organizador por los incidentes de publico es conocido por el club, per exige, segùn la doctrina recaìda, una mìnima base culpabilìstica, que en esta ocasiòn no es otra que la de haberse mostrado insuficientes las medidas cautelares adoptados» e ancora Res. 6 marzo 2009 (Athletic Club c. Sevilla F.C.): «Los avisos por la megafonìa aludidos, asì como el refuerzo de personal de segurdad privada, aparte de non ser acreditados, lo cierta se que fracasaron completamente y en este punto cabe exigir a los clubs, conforme es doctrina reiterada de este organo disciplinario, un control eficaz sobre los asistentes al evento».

[90] Il modello britannico, sviluppatosi a partire dagli anni ’90 con il c.d. Taylor Report, rappresenta senz’altro un concreto esempio di efficiente commistione tra misure repressive e preventive. Cfr. A. Prati, Il tifo violento e discriminatorio in Italia e Inghilterra: strategie di prevenzione e misure di repressione, in Riv. dir. ed econ. sport, 2013.

[91] Per alcuni spunti critici v. L. Ripa, La responsabilità oggettiva delle società calcistiche: meritevolezza, proporzionalità e prospettive di riforma delle regole del codice di giustizia sportiva, in Rass. dir. ec. sport, 2013, p. 167; R. Carmina, La responsabilità disciplinare oggettiva dei sodalizi sportivi, in Resp. civ. prev., 2015, p. 1692 ss.; V. Forti, Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, cit., p. 17 ss.; G. Giannone Codiglione, La responsabilità oggettiva delle società calcistiche per fatto dei tifosi: sanzione, prevenzione, promozione, in osservatoriosport.interno.gov.it, 2014. In una prospettiva più ampia, sul rapporto tra responsabilità civile e tutela degli interessi coinvolti, G. Carapezza Figlia, S. Sajeva, Responsabilità civile e tutela ragionevole ed effettiva degli interessi, in Arch. giur., 2017, p. 327 ss.

[92] I commi 3 e 4 del menzionato articolo dispongono infatti che «le società rispondono anche dell’o­perato e del comportamento dei propri dipendenti, delle persone comunque addette a servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’eventuale campo neutro, sia su quello della società ospitante, fatti salvi i doveri di queste ultime. La società risponde della violazione delle norme in materia di ordine e sicurezza per fatti accaduti prima, durante e dopo lo svolgimento della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti. La mancata richiesta dell’intervento della Forza pubblica comporta, in ogni caso, un aggravamento delle sanzioni». Per un’attenta ricostruzione del profilo evolutivo v. M. Angelone, M. Cozza, Sub art. 7 CGS, in A. Blandini, P. Del Vecchio, A. lepore, U. Maiello (a cura di), Codice di giustizia sportiva F.I.G.C., 2a ed., Napoli, 2021, p. 153 ss.; E. Iacovitti, La responsabilità oggettiva delle società di calcio nel nuovo codice di giustizia figc, in Riv. dir. spor., 2019, p. 354 ss.

[93] Art. 4, comma 4, CGS previgente: «Le società sono presunte responsabili degli illeciti sportivi commessi a loro vantaggio da persone a esse estranee. La responsabilità è esclusa quando risulti o vi sia un ragionevole dubbio che la società non abbia partecipato all’illecito o lo abbia ignorato».

[94] Così l’art. 6, comma 5, CGS oggi in vigore: «La società si presume responsabile degli illeciti sportivi commessi a suo vantaggio da persone che non rientrano tra i soggetti di cui all’art. 2 e che non hanno alcun rapporto con la società. La responsabilità è esclusa quando risulti o vi sia un ragionevole dubbio che la società non abbia partecipato all’illecito».

[95] «1. Costituisce illecito sportivo il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica.

  1. Le società e i soggetti di cui all’art. 2, commi 1 e 2, che commettono direttamente o che consentono che altri compiano, a loro nome o nel loro interesse, i fatti di cui al comma 1, ne sono responsabili.
  2. Se viene accertata la responsabilità diretta della società ai sensi dell’art. 6, comma 1 il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lettere h), i), l), salva l’applicazione di una maggiore sanzione in caso di insufficiente afflittività.
  3. Se viene accertata la responsabilità della società ai sensi dell’art. 6, commi 2 e 5, il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lettere g), h), i), l), m).
  4. I soggetti di cui all’art. 2 riconosciuti responsabili di illecito sportivo, sono puniti con la sanzione non inferiore alla inibizione o alla squalifica per un periodo minimo di quattro anni e con l’ammenda in misura non inferiore ad euro 50.000,00.
  5. Le sanzioni sono aggravate in caso di pluralità di illeciti ovvero se lo svolgimento o il risultato della gara è stato alterato oppure se il vantaggio in classifica è stato conseguito.
  6. I soggetti di cui all’art. 2 che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto in essere o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati dal presente articolo, hanno l’obbligo di informare, senza indugio, la Procura federale. Il mancato adempimento di tale obbligo comporta per i soggetti di cui all’art. 2 la sanzione della inibizione o della squalifica non inferiore a un anno e dell’ammenda in misura non inferiore ad euro 30.000,00».

[96] «1. La società non risponde dei comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli articoli 25, 26 e 28, se ricorrano congiuntamente tre delle seguenti circostanze: a) la società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo; b) la società ha concretamente cooperato con le Forze dell’ordine e le altre Autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori, ponendo in essere gli atti di prevenzione e vigilanza concordati e prescritti dalle norme di settore; c) la società ha concretamente cooperato con le Forze dell’ordine e le altre Autorità competenti per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni, anche mediante l’utilizzo a spese della società di tecnologie di video‐sorveglianza; d) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione; e) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti.

  1. La responsabilità della società per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli articoli 25, 26 e 28 è attenuata se la società prova la sussistenza di una o più circostanze di cui al comma 1».

[97] Si v. ad es. Corte sportiva appello FIGC, 7 aprile 2021, n. 144: «Per costante letteratura, nel combinato disposto degli artt. 6 e 7 C.G.S. citati si evidenzia una transizione del legislatore sportivo dalle ipotesi di responsabilità senza colpa (o oggettiva) a forme di responsabilità per colpa presunta (o aggravata), tendente ad eliminare, o, quantomeno, attenuare il carattere direttamente ‘oggettivo’ per l’attribu­zione della responsabilità delle società. Ampliando il raggio d’azione del previgente art. 13, comma 1, lett. a), C.G.S., si attribuisce al giudice sportivo la potestà di «escludere o attenuare» l’addebito disciplinare riferito alle società incolpate, che, comunque, si siano dotate di un assetto organizzativo interno adeguato a prevenire il rischio di illeciti, a meno che non sia provato il contrario. In dottrina si è correttamente evidenziato che tale scelta ricalca quanto avviene in ambito della responsabilità amministrativa delle società e degli enti, là dove l’adozione di modelli organizzativi atti a prevenire illeciti-presupposto (rectius, reati-presupposto) della specie di quello poi verificatosi, può essere impiegato per escludere o limitare la responsabilità delle figure apicali o delle persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza (artt. 6 e 7, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231). In questa direzione depongono già alcuni significativi precedenti giurisprudenziali di questa Corte, antecedenti alla riforma del Codice di giustizia FIGC del 2019 (cfr. Corte sportiva d’appello, in C.u. 24 aprile 2018, n. 129/CSA; nonché, Corte sportiva d’appello, in C.u. 20 marzo 2018, n. 107/CSA)».

[98] Corte federale appello FIGC, Sez. Un., 7 gennaio 2022, decisione/0058/CFA-2021-2022.

[99] Corte federale appello FIGC, 7 gennaio 2022, cit.: «In altri termini, la mancata adozione del modello organizzativo da parte della società, qualifica la sua responsabilità quale oggettiva in senso stretto, mentre laddove viene adottato se ne verifica un suo affievolimento, demandandosi agli organi di giustizia sportiva la verifica in concreto se il modello adottato e le relative cautele prese possano costituire un esimente o un’attenuazione della responsabilità ex art. 7 CGS. Ove tale accertamento risulti negativo, riespande anche in tal caso la responsabilità di tipo oggettivo».

[100] L’art. 7, comma 5 dello Statuto FIGC dispone che «il Consiglio federale, sentite le Leghe interessate, emana le norme o le linee guida necessarie e vigila affinché le società che partecipano a campionati nazionali adottino modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire il compimento di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto. I predetti modelli, tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui si colloca, devono prevedere: a) misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio; b) l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo; c) l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; d) la nomina di un organismo di garanzia, composto di persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento». Con delibera del 3 ottobre 2019, il Consiglio federale FIGC ha adottato le “linee guida” di cui all’art. 7, comma 5, dello Statuto federale, con lo scopo di rendere possibile per le società l’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo anche ai fini della applicazione dell’art. 7 del nuovo CGS. In questi termini, si guardi alla proposta della Lega Calcio di serie A, avanzata già in seno all’Assemblea del 20 aprile 2012, su “Il modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 e le misure di prevenzione per contrastare le frodi sportive”; sul punto, C. Cupelli, Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, in Soc., 2013, p. 833 ss.; S. Campoccia, R. Favella, Il decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 e la riforma del Codice di Giustizia Sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio, in Riv. dir. ed econ. sport, 2019, p. 51 ss.

[101] In argomento v. amplius M. Franzoni, Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, in G. Alpa, M. Bessone (diretto da), La responsabilità civile. Una rassegna di dottrina e giurisprudenza, II, Torino, 1987; Id., La responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, in Id., La responsabilità oggettiva II, Padova, 1995; Id., L’esercizio di attività pericolose, in Id., L’illecito, I, Milano, 2010; P. Recano, La Responsabilità civile da attività pericolose, Padova, 2001; M. Sella, Sub art. 2050. Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, in P. Cendon (a cura di), Commentario al codice civile. Artt. 2043-2053, Milano, 2008; F. Toppetti, La responsabilità presunta fino a prova contraria, Milano, 2008, passim. Secondo la giurisprudenza federale (Corte federale appello FIGC, 7 gennaio 2022, cit.), si tratterebbe «di un modello di responsabilità (che ha riscontri anche nell’ordinamento civile ex artt. 2047 e 2048 c.c. al pari della responsabilità della PA per atto illegittimo) in cui si presume la sussistenza dell’elemento soggettivo fino a prova contraria fornita dalla società. Si verifica, quindi, un’inversione dell’onere della prova, atteso che non è l’organo inquirente a dover provare la colpa della società, ma è quest’ultima, che per andare esente da responsabilità deve provare l’assenza di colpa. Se la colpa non sussiste, ma la società non riesce a fornire la prova della sua insussistenza, la responsabilità si configura comunque. Si tratta di una forma intermedia di responsabilità, tra quella soggettiva e quella oggettiva, definita anche in dottrina per colpa presunta ovvero semi-oggettiva o aggravata, in forza della quale è sufficiente che la colpa della società sia dimostrata solo attraverso la prova del danno e del nesso eziologico».

[102] Si pensi ad esempio alla materia della protezione dei dati personali nella prospettiva evolutiva in chiave uniformatrice tracciata dal regolamento UE n. 679/2016: v. A. Antikainen, Risk-Based Approach as a Solution to Secondary Use of Personal Data, Helsinki, 2014; R. Gellert, Data protection: a risk regulation? Between the risk management of everything and the precautionary alternative, in 5 International Data Privacy Law 3 (2015); D. Kloza, N. van Dijk, P. De Hert, Assessing the European Approach to Privacy and Data Protection in Smart Grids. Lessons for Emerging Technologies, in F. Skopik, P. Smith, Smart Grid Security, Amsterdam, 2015, p. 37 ss.; G. Giannone Codiglione, Risk-based approach e trattamento di dati personali, in S. Sica, V. D’Antonio, G.M. Riccio (a cura di), La nuova disciplina europea della privacy, Padova, 2016, p. 55 ss.

[103] Corte federale appello FIGC, 7 gennaio 2022, cit.

[104] In materia si veda la rilettura dell’istituto effettuata da P.G. Monateri, voce Responsabilità civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 90 ss. e AA.VV., Il mercato delle regole, I, Bologna, 1999, p. 204 ss.; ma anche W. Landes, R. Posner, The Economic Structure of Tort Law, Cambridge (Mass.)-London, 1987, p. 55 ss.; G. Ponzanelli, La responsabilità civile, cit., spec. p. 80 s.