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Il regime fiscale della cessione del contratto dei calciatori senza corrispettivo e la deducibilità delle minusvalenze
Franco Paparella, Professore ordinario di Diritto tributario nell’Università degli Studi del Salento
A distanza di un anno, la Suprema Corte si pronuncia nuovamente sul regime fiscale della cessione del contratto di prestazione sportiva del calciatore in assenza di corrispettivo ai fini delle imposte sui redditi per affermare la deducibilità delle minusvalenze ai sensi degli artt. 86 e 101 TUIR. Il saggio esamina criticamente tale conclusione nel punto in cui indica che la vendita configuri un assetto a titolo oneroso per il solo fatto che il cedente beneficia del risparmio degli oneri futuri, a fronte della cessione dell’atleta, senza alcuna altra utilità o vantaggio.
A year later the Supreme Court again ruled on the tax regime of the transfer of player’s sports performance contract in the absence of payment for income tax purpose to affirm the deductibility of capital losses pursuant to artt. 86 e 101 TUIR. The article critically examines this conclusion at the point in which it indicates that the sale constitutes a structure for consideration for the sole fact that the transferor benefits from the savings of future expenses, against the sale of the athlete, without no other use or advantage.
Keywords: contract assignment, Player’s performance contract, Transfer without compensation, Capital losses, Instrumental goods, Payment or free of charge.
La cessione del contratto avente ad oggetto le prestazioni sportive di un calciatore professionista non assistita da un corrispettivo è un’operazione onerosa e non gratuita nel sistema del reddito d’impresa se determina vantaggi reciproci per le parti. Tale inquadramento determina la deducibilità delle eventuali minusvalenze, ai sensi del primo comma dell’art. 101 del T.U.I.R., a fronte del costo fiscalmente riconosciuto residuo dell’atleta.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 103/27/2012, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 17 settembre 2012, con cui erano stati annullati gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2004 e 2005, notificati alla Finanziaria d’Investimento Fininvest S.p.A., quale consolidante della società A.C. Milan. Ha rappresentato che l’Ufficio aveva recuperato ad imponibile minusvalenze dichiarate dalla contribuente a seguito della cessione a costo “zero” dei diritti alle prestazioni sportive dei giocatori D. e D., ritenendoli indeducibili ai fini Ires sul rilievo della inapplicabilità del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 101, comma 1, che richiede l’onerosità della cessione. Erano state inoltre recuperate a reddito imponibile le quote d’ammortamento relative ai predetti giocatori, sull’assunto che fossero state indebitamente rapportate ad un valore di immobilizzo superiore all’esborso finanziario effettivamente sopportato dalla società.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Milano, previa riunione dei ricorsi, con sentenza n. 128/19/2009 aveva annullato solo il primo recupero ad imponibile, confermando invece l’atto impositivo con riguardo alle quote d’ammortamento.
La pronuncia era stata appellata da entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che con la sentenza ora al vaglio della Corte aveva rigettato l’appello principale dell’Ufficio ed accolto quello incidentale della contribuente, annullando dunque integralmente gli avvisi di accertamento.
Il giudice regionale ha ricostruito la disciplina sui rapporti tra società e atleti professionisti, regolata dalla L. 23 marzo 1981, n. 91, ritenendo che l’operazione di cessione del contratto prevista dall’art. 5, pur formalmente a costo zero, non poteva essere compresa tra gli atti di liberalità. Essa, regolamentando interessi reciproci delle società calcistiche, mancava del requisito dell’impoverimento del cedente, così riconducendosi ai negozi a titolo oneroso. Conseguentemente, emergendo una minusvalenza, come nel caso di specie, all’atto di cessione ha ritenuto applicabile l’art. 101 TUIR. Con riguardo alla seconda contestazione dell’Amministrazione finanziaria ha considerato corretta l’iscrizione della quota d’ammortamento ricondotta al costo originario dei giocatori, avendo peraltro provveduto la società a iscrivere nell’attivo un importo pari alla differenza tra tale costo e quello di riacquisto, differenza che aveva concorso alla formazione del reddito d’impresa nel periodo d’imposta controllato.
Avverso la sentenza l’Amministrazione finanziaria ha formulato due motivi di censura:
con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 1406 c.c., della L. 23 marzo 1981, n. 91, art. 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 101, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente negato la natura gratuita della cessione a “zero” dei contratti aventi ad oggetto i diritti alle prestazioni sportive dei calciatori;
(Omissis)
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo, con cui l’Amministrazione finanziaria si duole del riconoscimento delle minusvalenze conseguite dalla contribuente, va rigettato.
La controversia trova origine nella cessione dei diritti alle prestazioni sportive di due calciatori, militanti nel campionato di calcio della massima serie nazionale, già tesserati presso l’A.C. Milan (società consolidata della Finanziaria d’Investimento Fininvest S.p.A., cui pertanto sono stati anche indirizzati gli atti impositivi opposti). Nel 2004 l’A.C. Milan aveva ceduto all’A.C. Piacenza, a costo zero, i diritti alle prestazioni sportive dei calciatori D. e D. (in precedenza acquistati rispettivamente al corrispettivo di Euro 4.000.000,00 e di Euro 260.000,00), sottoscrivendo poi – in forza di accordi pregressi – l’acquisizione del 50% in compartecipazione (e dunque di Euro 2.000.000,00 per il calciatore D. ed Euro 130.000,00 per il calciatore D.). Nel 2005 l’accordo di compartecipazione era stato risolto, con cessione definitiva dei giocatori al Milan (che ne aveva riacquistato l’altro 50% al diverso e minor prezzo di Euro 800.000,00 per il primo e di Euro 30.000,00 per il secondo).
Ebbene, secondo la prospettazione dell’Amministrazione finanziaria, illustrata nell’atto impositivo e nelle difese tenute durante il contenzioso, le minusvalenze sono deducibili ai sensi dell’art. 101 Tuir solo a fronte di cessioni a titolo oneroso. Nel caso di specie la cessione a costo zero dal Milan al Piacenza avvenuta nel 2004, collocando l’atto negoziale di trasferimento dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori tra quelli a titolo gratuito, impedirebbe la deducibilità delle minusvalenze.
Di contro, secondo le prospettazioni difensive della società contribuente, illustrate nel controricorso e nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.-1 c.p.c., la cessione avrebbe ad oggetto un contratto di lavoro, cioè un rapporto giuridico che, esulando dal concetto di trasferimento di beni, sarebbe escluso dalla applicabilità dell’art. 101 TUIR, comma 1. In ogni caso, prosegue la difesa della contribuente, quand’anche ritenuta applicabile questa norma, occorrerebbe valorizzare l’oggetto dell’operazione, che si concretizza nella cessione del contratto tra datori di lavoro, con conseguente venir meno in capo alla società cedente dell’obbligo del pagamento dell’ingaggio annuale in favore dell’atleta, e di contro l’assunzione del medesimo obbligo a carico della società cessionaria. Pertanto l’atto di cessione, ancorché formalmente a costo zero, rivelerebbe natura di cessione del contratto a titolo oneroso, rientrando nel cono applicativo dell’art. 101 TUIR, comma 1, con deducibilità delle eventuali minusvalenze.
La controversia trova i suoi riferimenti normativi nella L. 23 marzo 1981, n. 91. In particolare, per quanto qui d’interesse, nell’art. 3, comma 1, si prevede che “La prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalle norme contenute nella presente legge”; nell’art. 4 si afferma che “Il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate. La società ha l’obbligo di depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l’approvazione” (1 e 2 comma); in forza dell’art. 5 infine “il contratto di cui all’articolo precedente può contenere l’apposizione di un termine risolutivo, non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto. È ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un’altra, purché vi consenta l’altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali” (1 e 3 comma).
Quanto alle minusvalenze, occorre fare rinvio al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 1, secondo cui “le minusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati nell’art. 85, comma 1, e art. 87, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi dell’art. 86 TUIR, comma 1, lett. a) e b) e comma 2”. L’art. 86 TUIR, comma 1, lett. a) riconosce le plusvalenze quando realizzate mediante cessione a titolo oneroso.
Ciò chiarito, le censure proposte con il primo motivo di ricorso e le difese della controricorrente richiedono l’esame di due questioni.
La prima è se il trasferimento da una società ad altra del rapporto giuridico con cui un atleta si obbliga in via esclusiva a prestazioni sportive verso una società (dietro corrispettivo) configuri una cessione del contratto, inquadrabile nell’art. 1406 c.c. come sostiene l’Amministrazione –, oppure l’insorgenza di un rapporto negoziale complesso, distinto in almeno tre atti – come innanzitutto prospettato dalla contribuente – (accordo tra società sportive e atleta per il trasferimento; accordo tra le società per la risoluzione del contratto in essere; stipulazione di un nuovo contratto tra l’atleta e la nuova società).
La scelta dell’opzione interpretativa non è indifferente ai fini delle regole sul trattamento fiscale del prezzo concordato tra le società per liberare anticipatamente l’atleta professionista dal contratto di esclusiva con la cedente. In particolare solo con la prima opzione, che implica che il negozio si traduca nella cessione di diritti ed obblighi, e dunque nella cessione di un bene immateriale strumentale all’esercizio dell’impresa, possono generarsi plusvalenze (o minusvalenze). Con la seconda opzione invece il negozio di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro del calciatore con la società cedente, quale fase di una fattispecie negoziale frazionata, non evidenzierebbe di per sé alcuna autonoma funzione produttiva.
La questione è stata superata a seguito del parere n. 5285/2012 dell’11.12.2012, espresso dal Consiglio di Stato, investito dal Ministero dell’economia e delle finanze in materia di regime fiscale ai fini Irap delle cessioni dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori, che ha ritenuto corretta la prima interpretazione, affermando che “il contratto con cui è ceduto il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta verso corrispettivo ben può essere ricondotto allo schema tipico della cessione del contratto”. Conseguentemente ha ritenuto che le eventuali plusvalenze realizzate in occasione della cessione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori siano fiscalmente rilevanti ai fini Irap. L’interpretazione normativa resa dal Consiglio di Stato è stata condivisa dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., n. 24588/2015; da ultimo n. 9433/2019), senza che questo Collegio ravvisi ragioni o argomenti di segno contrario alla continuità di questo indirizzo.
Ne consegue che la cessione del contratto, nella quale sia concordato tra le società un corrispettivo per la risoluzione anticipata del rapporto di prestazioni sportive esclusive tra calciatore e società cedente, con trasferimento del primo alla cessionaria, è suscettibile di evidenziare plusvalenze o minusvalenze anche quando si tratti, come nel caso che ci occupa, di accertamenti ai fini Ires, con applicabilità tanto dell’art. 86 TUIR, comma 1, lett. a), quanto dell’art. 101 TUIR, comma 1.
Il superamento della prima questione consente di affrontare la seconda, ancora più pertinente alla controversia oggetto di causa. Con essa ci si chiede se, sulla premessa ormai acquisita che si tratti di fattispecie riconducibile nell’alveo dell’art. 1406 c.c., possano riconoscersi minusvalenze anche quando nell’operazione di cessione del contratto le società non abbiano previsto alcun corrispettivo per la risoluzione anticipata del rapporto tra società cedente e atleta professionista.
L’Agenzia, censurando la sentenza che ha annullato l’avviso di accertamento con cui erano state recuperate ad imponibile le minusvalenze riportate dalla contribuente, ha sostenuto che l’art. 101 TUIR, comma 1, rimandando all’art. 86 TUIR, comma 1, lett. a) e b), richiede che l’operazione si concretizzi in una cessione a titolo oneroso. Nel caso di specie la mancata previsione di un corrispettivo per la risoluzione anticipata dei contratti di esclusiva tra calciatori e cedente, al contrario di quanto affermato dal giudice d’appello, evidenzierebbe la gratuità del negozio e la conseguente indeducibilità delle minusvalenze.
Anche su questa questione questa Corte è già intervenuta, ma con due opposte soluzioni. Secondo una prima interpretazione la cessione, da una società sportiva all’altra, di un contratto di prestazioni calcistiche L. n. 91 del 1981, ex art. 5, ha ad oggetto un bene immateriale strumentale all’esercizio dell’impresa, idoneo a generare minusvalenze deducibili, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 1 (nel testo applicabile ratione temporis), solo se l’atto è a titolo oneroso, mentre ciò non avviene ove non sia previsto il pagamento di un corrispettivo per detta cessione, ipotesi nella quale la causa concreta del negozio risiede nell’interesse del cedente a privarsi del proprio diritto esclusivo a godere delle prestazioni sportive senza ricevere nulla in cambio, a nulla rilevando, quindi, che la cessionaria debba corrispondere al calciatore ceduto un compenso (Cass., n. 345/2019). Le conclusioni cui il precedente menzionato perviene valorizzano una nozione di causa gratuita quale interesse al conferimento di beni (o alla prestazione di servizi) senza una corrispondente prestazione principale a carico del beneficiario, escludendo ogni rilevanza al fatto che il cessionario possa sopportare costi riconducibili al bene ceduto. Sicché il limes tra gratuità e onerosità dell’operazione di cessione sarebbe segnato dalla constatazione che il cedente si sia privato del “diritto esclusivo a godere delle prestazioni sportive del calciatore senza ricevere nulla in cambio”. La convenienza o meno dell’operazione, se cioè con quella cessione il cedente si liberi di costi e prestazioni a sua volta conseguenti al godimento delle prestazioni dell’atleta, sarebbe riconducibile solo alla distinzione tra gratuità e liberalità dell’atto di cessione senza corrispettivo, cioè alla sussistenza o meno di una causa donandi, che evidentemente il precedente in esame ha ritenuto del tutto inconferente ai fini della disciplina fiscale delle minusvalenze.
Sennonché un intervento quasi contestuale della Corte sulla medesima materia ha raggiunto conclusioni esattamente opposte, partendo dal principio generale secondo cui “sono contratti a titolo oneroso quelli in cui i vantaggi sono reciproci al pari dei sacrifici, mentre sono atti a titolo gratuito quelli in cui il sacrificio è sopportato solo da un contraente, a vantaggio dell’altro”, per poi constatare come nel caso di cessione del contratto “a (costo) zero”, pur se la società cessionaria ha il vantaggio di acquistare senza versamento del corrispettivo, essa deve comunque corrispondere il compenso all’atleta, mentre la società cedente si libera del suddetto obbligo. Conclude che “pertanto i vantaggi sono reciproci per entrambi i contraenti, con la possibilità di dedurre le minusvalenze in quanto “realizzate” mediante cessione dei contratti a titolo oneroso” (così Cass., n. 2146/2019).
L’unicità dei rispettivi precedenti, che non consente di ravvisare ancora l’emersione di una vera difformità di decisioni sulla questione di diritto in seno alla giurisprudenza di legittimità, richiede, ai fini della soluzione della controversia, un approccio critico al concetto di onerosità del negozio.
Innanzitutto è utile rammentare che proprio in tema di vendita, pur essendo il prezzo un elemento essenziale del negozio, la dottrina ha da tempo evidenziato che la mancata previsione del corrispettivo della cessione di un bene non deve sempre ricondurre l’operazione fuori della vendita stessa. A tal fine si suole far riferimento alle alienazioni delle cd. discommodities (nel cui alveo sono addirittura introdotte le vendite a prezzo negativo, tanto più dunque quelle con corrispettivo pari a zero), per le quali, negandosi la causa donativa e più in generale la gratuità della cessione, si pone di contro attenzione sul “diverso” vantaggio che l’alienante consegue dalla cessione di un determinato bene (sia esso l’insostenibilità dei costi della sua gestione, sia esso lo specifico interesse a liberarsi di un bene, o ancora il vantaggio conseguito dalla cessione di una azienda per sé improduttiva e indebitata, ecc.). D’altronde anche la giurisprudenza, in occasione di alcune pronunce in materia di famiglia, ha da tempo avvertito che gli accordi di separazione personale fra i coniugi (come di quelli divorzili), che contengono attribuzioni patrimoniali di beni mobili o immobili di uno in favore dell’altro, senza collegamento necessario ad uno specifico corrispettivo o ai tratti propri della donazione, rispondendo invece all’intento di sistemazione dei rapporti, ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c., svelano di norma una loro “tipicità” propria, la quale, di caso in caso, può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità” “in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale” (cfr. Cass., n. 5473/2006; n. 27409/2019). Il che, pur con le cautele della materia e della sua specificità, induce ad evidenziare quanto meno come si avverta che il concetto di onerosità, in ipotesi di cessioni patrimoniali, non deve necessariamente accompagnarsi al concetto di corrispettivo.
Più nello specifico, nel ricondurre l’attenzione al caso di specie, la stessa giurisprudenza di legittimità, che nel solco del menzionato parere del Consiglio di Stato ha definitivamente riconosciuto che la vicenda del trasferimento del contratto di un atleta da una società ad un’altra va riconosciuta nella sua unitarietà, senza necessità di scomporre (tripartire) la cessione, richiede, sul piano logico-economico e su quello logico-giuridico, che l’operazione sia oggetto di considerazione complessiva dei costi e benefici che all’esito del trasferimento ognuna delle società avrà sopportato e avrà conseguito. Ed è indubbio che se, come dovuto, l’operazione viene in conclusione ricondotta nell’alveo della cessione del contratto di cui all’art. 1406 c.c. ciò che viene riconosciuto anche nella pronuncia che tuttavia esclude l’onerosità dell’operazione – i costi e i benefici, ossia la cessione dell’esclusiva fruizione delle prestazioni dell’atleta da parte della cedente, e di contro l’obbligazione del versamento del corrispettivo in favore del calciatore assunto dalla cessionaria – costituiscono i termini entro i quali si manifesta l’onerosità del contratto.
La circostanza che “l’esclusività” della prestazione non sia stata oggetto di uno specifico corrispettivo non esclude “il costo”, ossia il sacrificio, che a seguito di tale cessione dovrà sopportare la cessionaria, così liberando la cedente della medesima obbligazione. Al contrario essa vuol solo significare che, nella libertà di valutazione riservata ai contraenti sulla convenienza del negozio posto in essere, essi hanno ritenuto che il punto di equilibrio, il valore di scambio, sia appunto quello pattuito. D’altronde, ritenere che un atleta non abbia più una utilità rispetto al progetto di sviluppo e agli obiettivi prefissati da una società sportiva, sia pur per un limitato campionato, e la disponibilità a cederne le prestazioni in cambio del beneficio economico della liberazione dagli obblighi d’ingaggio, costituisce un dato fenomenico consueto, in sé rilevante sotto il profilo giuridico, e comunque sufficiente a collocare nell’alveo dell’onerosità l’operazione.
Volendo ancora più circoscrivere il perimetro d’indagine, e concentrando l’attenzione sui principi tributari in un’ottica di attuazione dell’art. 53 Cost., se è vero che gli indici di capacità contributiva vanno ricercati in fatti o situazioni economicamente rilevanti, capaci di esprimere una potenzialità economica, l’operazione posta in essere dal contribuente deve essere interpretata alla luce della sua concretezza oggettiva, e ciò al fine di non cadere in pericolose tentazioni di attribuzione di un qualche rilievo a finalità interiori del contribuente, ad un tempo però assicurando una valutazione economica obiettiva del fatto o della situazione posta in essere. Ebbene, pur nel rispetto, sotto il profilo civilistico, dei canoni d’interpretazione applicabili all’operazione di cessione del diritto alla prestazione esclusiva dell’atleta professionista in favore del cessionario, che a sua volta si assume l’obbligo di corrispondere a quest’ultimo il corrispettivo delle prestazioni sportive, l’operazione stessa assume una inequivoca natura onerosa sotto il profilo fiscale, come tale riconducibile alla disciplina dell’art. 101 Tuir, ove, come nel caso di specie, ne sia scaturita una minusvalenza.
Ne consegue che la sentenza impugnata non ha errato nel riconoscere l’onerosità dell’operazione e l’applicabilità dell’art. 101 TUIR, comma 1, sicché va esente da censure in ordine al primo motivo, che va in conclusione rigettato.
(Omissis)
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Corte di Cassazione, Sez. V civ., sent. 8 ottobre 2020, n. 21701 – Pres. Cirillo, Rel. Federici
Sommario:
1. Considerazioni introduttive: la trama argomentativa privilegiata dalla Corte di Cassazione - 2. La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte - 3. Il quadro normativo di riferimento - 4. Cenni sull’onerosità e sulla gratuità degli atti nel sistema del reddito d’impresa - 5. Conclusioni - NOTE
1. Considerazioni introduttive: la trama argomentativa privilegiata dalla Corte di Cassazione
A distanza di poco più di un anno la Suprema Corte torna ad esaminare la questione della deducibilità delle minusvalenze derivanti dalla cessione dei contratti (non ancora scaduti) aventi ad oggetto le prestazioni sportive dei calciatori professionisti senza corrispettivo ovvero la fattispecie ormai generalmente definita «trasferimento a parametro zero» [1].
Com’è noto, si tratta di un problema risalente alla sentenza della Corte giust. 15 dicembre 1995, causa C-415/93, c.d. Bosman, in quanto l’eliminazione del «vincolo sportivo» ha favorito la diffusione di atti dispositivi nella fase precedente alla scadenza naturale del contratto. In particolare, le società calcistiche professionistiche hanno manifestato una spiccata creatività nel ricorrere a formule negoziali più sofisticate rispetto alle canoniche cessioni dei calciatori a titolo oneroso, spesso articolate in formule miste, complesse o collegate (ad esempio, le permute o «scambi», gli atti dispositivi di varia natura preceduti dalla risoluzione o dal prolungamento del contratto, il prestito reciproco con o senza accollo dei relativi oneri e conguagli in denaro, ecc.) [2], dando luogo a questioni fiscali (ai fini IRES ed IRAP) sconosciute nel passato e non assistite da riferimenti normativi specifici.
Per certi versi, quindi, è comprensibile che anche la sentenza in esame, come le precedenti, ha favorito commenti di diverso tenore [3] sebbene provi a dipanare una matassa che la stessa Corte di Cassazione aveva contribuito ad aggrovigliare con due recenti pronunce ravvicinate di segno diametralmente opposto. Detto tentativo è stato esperito utilizzando tre argomenti e cioè:
- a) la qualificazione del contratto dal punto di vista sostanziale, ai sensi dell’art. 1406 c.c. e dell’art. 5 della legge 23 marzo 1981, n. 91[4];
- b) la natura onerosa o gratuita del rapporto;
- c) i vincoli derivanti dall’art. 53 Cost. sul piano della «concretezza oggettiva».
La prima questione si può esaurire in poche battute perché è stata risolta in forza del parere del Consiglio di Stato, n. 5285 del 11 dicembre 2012 [5], con il quale è stato affermato che «il contratto con cui è ceduto il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta verso corrispettivo ben può essere ricondotto allo schema tipico della cessione del contratto» in contrasto con l’orientamento, dottrinale e giurisprudenziale, che aveva sostenuto la possibilità di ravvisare una fattispecie complessa e destrutturabile in più assetti negoziali meritevoli di essere apprezzati autonomamente [6] e di coloro che avevano ritenuto che l’oggetto del negozio giuridico non fosse la prestazione sportiva dell’atleta bensì la rinuncia al diritto di pretenderla in via esclusiva [7] (con la conseguente irrilevanza ai fini fiscali del corrispettivo ricevuto in quanto l’instaurazione del nuovo rapporto da parte del calciatore era considerato solo un effetto indiretto come risulta da diverse pronunce di merito [8]).
Peraltro, si tratta di una posizione che era stata già indicata dall’Amministrazione Finanziaria [9] e che in seguito si è affermata anche in giurisprudenza [10].
In ogni caso, a parere della Corte di Cassazione, «la scelta dell’opzione interpretativa non è indifferente» in quanto l’inquadramento nello schema della cessione del contratto ai sensi dell’art. 1406 del c.c. favorisce la considerazione, sul piano civilistico e fiscale, quale bene immateriale «atipico», con la inevitabile conseguenza che medio tempore possano intervenire minusvalenze (e plusvalenze) delle quali occorre chiarire il regime impositivo.
Invece, alla luce delle notevoli implicazioni di razionalità impositiva nel sistema del reddito d’impresa più interessante è la seconda questione perché produce conseguenze che vanno ben oltre la fattispecie presa in considerazione dal momento che il carattere oneroso o gratuito dell’operazione è alla base di diverse fattispecie normative che non è possibile esaurire in questa sede [11]. In via introduttiva, tuttavia, è doveroso anticipare che la Corte di Cassazione si è mossa su un crinale strettamente civilistico, trascurando le esigenze sistematiche e di coerenza impositiva che permeano il sistema del reddito d’impresa, come, ad esempio, i vincoli derivanti dal regime dei beni dell’impresa, l’osservanza del ciclo fiscale dei beni, gli effetti del principio della continuità dei valori fiscalmente riconosciuti ed, in definitiva, il rispetto delle regole che esprimono lo statuto fiscale dell’impresa come abbiamo precisato in altra sede [12].
Su questo versante intendiamo sviluppare talune considerazioni critiche rispetto alla conclusione della Suprema Corte in quanto il terzo filone argomentativo – ovvero la possibilità di desumere dall’art. 53 della Cost. una generica e persino ovvia «concretezza oggettiva» [13] – è stato utilizzato ad adiuvandum ed è stato già oggetto di puntuali critiche da parte di un autorevole studioso della materia sotto il profilo dei limiti all’utilizzo del criterio di valutazione dei fatti secondo il principio della «sostanza economica» [14].
E passiamo ai fatti.
2. La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte
La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione riguarda le cessioni a costo «zero» di due calciatori – acquistati nel passato a titolo oneroso – che hanno dato luogo al recupero a tassazione delle relative minusvalenze da parte dell’Amministrazione Finanziaria nel presupposto che il trasferimento degli atleti sia avvenuto a titolo gratuito in assenza del corrispettivo. In realtà, non si trattava di una cessione isolata perché all’inizio la società cedente si era impegnata a riacquistare il 50% del «cartellino» degli atleti e, poiché l’accordo di compartecipazione è stato risolto, ha dovuto riacquistare anche l’altro 50%, a titolo definitivo, ad un corrispettivo inferiore non solo al costo originario ma anche all’acquisto della prima metà.
In sintesi, al primo trasferimento gratuito sono seguite due operazioni di segno contrario ed a titolo oneroso tra le stesse parti, che sono state apprezzate autonomamente, sia dalla società cedente, che dall’Amministrazione Finanziaria, con valutazioni opposte [15]. Infatti:
- a) mentre la società cedente ha ritenuto che il primo trasferimento fosse configurabile come un’operazione a titolo oneroso, con l’effetto di considerare deducibile la minusvalenza ai sensi del comma 1 dell’art. 101 TUIR (che richiama espressamente le cessioni a titolo oneroso di cui alla lett. a) del comma 1 dell’art. 86),
- b) l’Amm. Fin. ha concluso che l’operazione fosse a titolo gratuito e che pertanto la minusvalenza fosse indeducibile in quanto l’art. 101 non richiama le operazioni di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 86.
I primi due gradi di giudizio sono stati favorevoli alla società in quanto anche il collegio di appello ha ritenuto che la cessione del contratto fosse da ricondurre ai negozi a titolo oneroso. La stessa conclusione è stata accolta dalla Corte di Cassazione completando un percorso di smentite e contro-smentite, in poco più di un anno, non privo di incoerenza. Infatti:
- a) con il trittico di sentenze del 2019 è stata riconosciuta per la prima volta la deducibilità delle minusvalenze da cessione dei calciatori senza corrispettivo; in particolare, muovendo dalla premessa «sono contratti a titolo oneroso quelli in cui i vantaggi sono reciproci al pari dei sacrifici, mentre sono atti a titolo gratuito quelli in cui il sacrificio è sopportato solo da un contraente, a vantaggio dell’altro», è stato precisato che, «nella specie, trattandosi di cessione di contratto «a zero», è vero che la società cessionaria ha il vantaggio di acquistare senza versare il corrispettivo, ma è anche vero che la cessionaria deve corrispondere il compenso all’atleta, mentre la società cedente non dovrà più pagare tale compenso. Pertanto, i vantaggi sono reciproci per entrambi i contraenti, con la possibilità di dedurre le minusvalenze in quanto «realizzate» mediante cessione dei contratti a titolo oneroso»;
- b) con la sentenza n. 345/2019 la Corte di Cassazione ha rettificato la propria impostazione ed ha negato la deducibilità delle minusvalenze ritenendo che «la causa concreta del negozio risiede nell’interesse del cedente a privarsi del proprio diritto esclusivo a godere delle prestazioni sportive senza ricevere nulla in cambio, a nulla rilevando, quindi, che la cessionaria debba corrispondere al calciatore ceduto un compenso … Sicché il limes tra gratuità e onerosità dell’operazione di cessione sarebbe segnato dalla constatazione che il cedente si sia privato del “diritto esclusivo a godere delle prestazioni sportive del calciatore senza ricevere nulla in cambio”»;
- c) infine, con la pronuncia in esame – avente ad oggetto la stessa fattispecie esaminata dalla sentenza n. 345 del 2019 – la Suprema Corte ripropone la tesi della deducibilità delle minusvalenze muovendo dall’avvertenza secondo la quale «pur con le cautele della materia e della sua specificità, … il concetto di onerosità, in ipotesi di cessioni patrimoniali, non deve necessariamente accompagnarsi al concetto di corrispettivo»[16]. In base a tale premessa, infatti, è stata enunciata la seguente conclusione: «la circostanza che “l’esclusività” della prestazione non sia stata oggetto di uno specifico corrispettivo non esclude “il costo”, ossia il sacrificio, che a seguito di tale cessione dovrà sopportare la cessionaria, così liberando la cedente della medesima obbligazione. Al contrario essa vuol solo significare che, nella libertà di valutazione riservata ai contraenti sulla convenienza del negozio posto in essere, essi hanno ritenuto che il punto di equilibrio, il valore di scambio, sia appunto quello pattuito. D’altronde, ritenere che un atleta non abbia più una utilità rispetto al progetto di sviluppo e agli obiettivi prefissati da una società sportiva, sia pur per un limitato campionato, e la disponibilità a cederne le prestazioni in cambio del beneficio economico della liberazione dagli obblighi d’ingaggio, costituisce un dato fenomenico consueto, in sé rilevante sotto il profilo giuridico, e comunque sufficiente a collocare nell’alveo dell’onerosità l’operazione».
Si tratta, dunque, di un esempio limpido di orientamento circolare, in spregio alla funzione nomofilattica ed al principio della certezza del diritto, e duole rilevare che la Corte ha avuto anche l’ardire di precisare che «l’unicità dei rispettivi precedenti … non consente di ravvisare ancora l’emersione di una vera difformità di decisioni sulla questione di diritto in seno alla giurisprudenza di legittimità» richiamando solo le pronunce nn. 345 e 2146 del 2019!
In ogni caso, per il lettore sarà agevole rilevare che in entrambi casi in cui è stata riconosciuta la deducibilità delle minusvalenze l’impianto argomentativo si fonda, oltre che sulla rilevanza o meno del corrispettivo, esclusivamente sulla possibilità di apprezzare gli effetti economici sul lato del cedente in ragione degli impegni futuri assunti dal cessionario (rectius: la liberazione da un onere futuro). Su questo suggestivo versante si colloca l’inquadramento tra i contratti a titolo oneroso ma è agevole rilevare che non è stata effettuata alcuna verifica di natura fiscale, inclusa quella fondata sul binomio atto gratuito-indeducibilità della minusvalenza.
Infatti, al solo scopo di evidenziare gli effetti potenziali della pronuncia in esame rispetto ai principi generali del reddito d’impresa, dovrebbe essere agevole concludere che, se fosse razionale in assoluto la tesi che l’onerosità del contratto per il cedente può ravvisarsi a prescindere dal depauperamento della propria sfera patrimoniale e per il solo fatto che viene meno un costo futuro, anche il trasferimento a titolo gratuito dell’immobile gravato da mutuo oppure la cessione del contratto di leasing a titolo gratuito dovrebbero determinare minusvalenze (o altre componenti negative del reddito) fiscalmente deducibili semplicemente perché il cedente è liberato dalla rate di mutuo o dai canoni di leasing futuri nonostante la fuoriuscita di un bene dal patrimonio dell’impresa.
Per tale ragione occorre procedere oltre nell’indagine delimitando anzitutto l’ambito normativo di riferimento.
3. Il quadro normativo di riferimento
In primo luogo, è da tempo pacifico che i contratti in esame appartengono al patrimonio fiscale dell’impresa in qualità di beni immateriali [17]. Peraltro, come osservato da un’attenta dottrina [18], non è irragionevole distinguere se essi facciano parte dei beni-merce (con l’effetto di generare un ricavo in occasione della cessione [19]) oppure dei beni strumentali (generando così plusvalenze o minusvalenze) anche in ragione della durata del contratto e, dunque, della possibilità di configurare un investimento durevole e stabile.
Il legame funzionale dei beni con l’esercizio dell’attività dell’impresa e la relativa natura (di bene-merce o strumentale) non sono specificazioni superflue [20] perché implicano un particolare regime giuridico (definito appunto «regime fiscale dei beni») che tende, da un lato, a distinguere quelli che concorrono alla determinazione del reddito d’impresa (a fronte della irrilevanza impositiva dei beni esclusi o estranei) nonché le modalità di detta partecipazione (tramite le quote di ammortamento oppure con il regime dei costi, ricavi e rimanenze) e, dall’altro, richiede l’osservanza di un complesso di regole di coerenza e di razionalità impositiva (ad esempio, la continuità dei criteri di valutazione e dei valori fiscalmente riconosciuti) che impongono di determinare il valore fiscale d’ingresso, gli effetti delle vicende successive fino alla estromissione del bene dal patrimonio in ragione di fatti ed atti della più diversa natura (la distruzione, gli atti dispositivi, le vicende straordinarie, ecc.) [21].
Negli stessi termini la differenza tra la natura strumentale o quella di bene merce non è irrilevante nel sistema delle imposte sui redditi se il bene è distolto dalla destinazione originaria, anche a seguito di un atto di dismissione, in quanto mentre nel caso di vendita profittevole la realizzazione di un ricavo o di una plusvalenza determina effetti tendenzialmente equivalenti sul piano impositivo – trattandosi entrambi di componenti tassabili – nella situazione opposta gli effetti possono essere penalizzanti a causa della disciplina riservata alle minusvalenze patrimoniali a seguito dell’art. 36 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito con la legge 4 agosto 2006, n. 248). Infatti, la modifica legislativa ha consacrato un’asimmetria impositiva tra plusvalenze e minusvalenze nelle ipotesi dell’assegnazione dei beni ai soci [22] e, soprattutto, della loro destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa [23] dal momento che le prime sono tassabili mentre le seconde sono indeducibili in ragione di una scelta che soddisfa un’esigenza antielusiva almeno secondo l’opinione prevalente.
In linea di principio, quindi, è giustificabile il passo della sentenza che, in base all’inquadramento del contratto tra i beni strumentali, precisa «non parrebbero esservi ragioni per non ritenere tale operazione negoziale suscettibile di generare plusvalenze o minusvalenze» ma il punto di fondo è un altro perché la questione controversa non è detta (pacifica) attitudine bensì l’eventuale deducibilità della minusvalenza nel caso in cui la cessione non possa configurarsi alla stregua di un atto oneroso.
In questo senso la deducibilità delle minusvalenze è sostenuta in base al carattere oneroso della cessione ma detta prospettiva impone di precisare se l’onerosità nel sistema del reddito d’impresa debba essere valutata in base all’esperienza giuridica desumibile dal diritto comune, secondo il percorso privilegiato dalla Suprema Corte, oppure se è necessario apprezzare le esigenze sistematiche che assistono tale particolare categoria reddituale anche in base al regime fiscale dei beni.
A nostro avviso questo profilo è essenziale e merita di essere precisato.
4. Cenni sull’onerosità e sulla gratuità degli atti nel sistema del reddito d’impresa
Gli effetti nel reddito d’impresa dovuti alla natura onerosa o gratuita degli atti è un tema di origine risalente e di notevole complessità teorica anche perché è assistito da un sistema di diritto positivo contaminato da finalità diverse dalla razionalità e dalla simmetria impositiva (ad esempio, le esigenze antielusive). Per quel che riguarda le plusvalenze e le minusvalenze la norma di riferimento è la lett. a) del comma 1 dell’art. 86 TUIR (alla quale rinvia il comma 1 dell’art. 101) – ove è espressamente richiamata la «cessione a titolo oneroso» nell’ipotesi di realizzo di beni strumentali ed analoga formulazione è ribadita al comma 2 per le cessioni di aziende – ma non può trascurarsi che:
- a) per dette operazioni la determinazione della plusvalenza è ancorata al «corrispettivo»;
- b) nelle cinque fattispecie (dalla lett. a) alla lett. e)) indicate dall’art. 85, che disciplinano le cessioni dei beni-merce, non è richiamata la categoria degli atti a titolo oneroso bensì i «corrispettivi»[24].
Peraltro, sempre nel caso delle plusvalenze, la categoria degli atti onerosi (insieme alla fattispecie di cui alla lett. b) riguardante i risarcimenti per la perdita o il danneggiamento dei beni) è precisata con il concetto di «realizzo», il quale ha ugualmente favorito un ampio dibattito teorico nel tentativo di precisarne la dimensione concettuale sulla base di presupposti, ideologici e sistematici, diversi [25].
Trattandosi di riferimenti normativi ormai consolidati è dunque comprensibile che nel passato l’onerosità era abbinata agli assetti caratterizzati dalla conversione in denaro in base ad un criterio reale, ispirato al modello dell’«affare», che tendeva a relegare nelle altre previsioni normative gli atti privi di tale decisiva caratteristica (ad esempio, gli atti gratuiti, quelli di scambio oppure gli atti liberali e persino abdicativi [26]). Ma, limitandosi allo stretto essenziale e senza nemmeno sfiorare la sottile distinzione tra onerosità oggettiva o soggettiva [27] e la partizione tra assetti onerosi a prestazioni corrispettive o meno (ovvero, se si preferisce, tra onerosità e corrispettività [28]) anche nella logica dei contratti di scambio [29], è noto che tale concezione è stata profondamente discussa in dottrina perché ritenuta eccessivamente limitativa. Su questa esperienza ha preso consistenza la prospettiva più recente che è stata favorita dalla diffusione di atti ed assetti negoziali più sofisticati rispetto al passato, talvolta non assistiti da un corrispettivo in senso proprio ma da altre utilità patrimoniali o vantaggi economicamente apprezzabili a beneficio del cedente [30].
In via di principio, quindi, al di là della prudenza e della genericità dell’enunciato, anche in questo caso la sentenza in esame coglie nel segno nel punto ove si legge «pur con le cautele della materia e della sua specificità, … come si avverta che il concetto di onerosità, in ipotesi di cessioni patrimoniali, non deve necessariamente accompagnarsi al concetto di corrispettivo» ma resta da verificare in che termini possa essere ampliato il concetto de quo con riferimento alla sfera del cedente che si priva di un bene appartenente al patrimonio dell’impresa fino ad allora produttivo di costi deducibili [31].
Se la questione fosse risolvibile solo sul piano civilistico, in effetti, la giurisprudenza tende ad apprezzare in misura ampia le utilità diverse dal corrispettivo ai fini della natura onerosa dell’atto. In questo senso, infatti, si è orientata la nota sentenza della Suprema Corte, a Sezioni Unite, 18 marzo 2010, n. 6538 – avendo privilegiato un concetto di gratuità fondato sulla valutazione economica complessiva dell’operazione che ha favorito la seguente conclusione «pur in presenza del pagamento del debito di società collegate, può essere esclusa la gratuità del negozio, quando la società disponente abbia comunque realizzato un suo vantaggio economico in quanto, ancorché manchi il corrispettivo immediato in termini di diretta sinallagmaticità, tuttavia può verificarsi, da parte dell’impresa che svolga la sua attività economica a monte, a valle, o di quella del disponente, l’acquisizione di un’utilità economica in rapporto di causalità mediata e indiretta con la prestazione eseguita che tuttavia si traduca in un vantaggio patrimoniale concreto» – ed altre pronunce successive che riconducono i possibili vantaggi anche al solo venir meno di una spesa futura [32].
Pertanto, oltre alla tradizionale partizione atti onerosi/atti gratuiti, è ricorrente l’enucleazione di un tertium genus, assimilabile ai primi e distinti dagli atti liberali, costituiti dagli atti gratuiti economicamente rilevanti (o «interessati») ovvero quelli formalmente gratuiti ma intrinsecamente onerosi perché determinano per il cedente una situazione vantaggiosa, anche futura, e soddisfano un suo interesse rilevante per scopi della più diversa natura (familiari, sociali e persino imprenditoriali) [33]. Si tratta, dunque, di un criterio che tende ad ampliare la categoria degli atti onerosi – fino a comprendere le cessioni a «prezzo negativo», «sotto-costo» [34] o «a costo zero» se da esse deriva una qualsivoglia utilità – in base ad una valutazione degli effetti economici, diretti ed indiretti, non sempre agevole, la quale assume una connotazione più complessa in ambito fiscale a causa della difficoltà di apprezzare gli effetti del singolo atto rispetto al risultato economico del cedente (dell’esercizio ed in proiezione futura) e le conseguenze fiscali sul lato del cessionario in ossequio al principio della continuità dei valori fiscalmente riconosciuti.
Sono dunque comprensibili le perplessità che favorisce l’utilizzo di detto criterio nel sistema del reddito d’impresa [35] anche perché nelle imposte periodiche la valutazione delle fattispecie con effetti a carico degli esercizi futuri assume una dimensione più problematica rispetto ai tributi sui trasferimenti [36] a causa dei vincoli derivanti dal principio della competenza e della necessità di evitare che gli effetti economici possano essere arbitrariamente trasferiti da un esercizio all’altro.
Infatti, in linea di principio, i vantaggi e le utilità necessari per affermare il carattere oneroso possono collocarsi in un ambito estraneo al corrispettivo ma essi devono essere apprezzati e valutati in base all’oggettiva decurtazione che interviene nella sfera patrimoniale del cedente. In particolare, anche gli atti gratuiti (o, addirittura, rinunciativi [37]) possono determinare benefici concreti per il cedente o perseguire un interesse economicamente rilevante ed in questo senso un esempio recente di fonte giurisprudenziale nel sistema delle imposte sui redditi è la cessione gratuita delle aree al Comune a scomputo dei contributi di urbanizzazione o in esecuzione delle convenzioni di lottizzazione [38] mentre, su di un piano più generale, possono proficuamente richiamarsi gli atti di scambio tra beni di valore non equivalente (e privi di conguaglio), gli atti gratuiti assistiti da una funzione solutoria oppure gli atti che realizzano contemporaneamente incrementi e decrementi patrimoniali [39].
La conclusione cui è pervenuta la Corte di Cassazione non è dunque criticabile in assoluto ma lo può diventare nella prospettiva degli elementi considerati decisivi ai fini della valutazione dell’assetto realizzato dalle parti e dei rispettivi vantaggi e/o sacrifici. E sotto questo profilo l’idea che il contratto sia oneroso per il solo fatto che la società cedente trasferisce al cessionario l’onere dovuto al compenso futuro dell’atleta, senza alcun altro vantaggio a fronte del trasferimento del «cartellino», effettivamente non pare del tutto convincente.
In primo luogo, infatti, anche ammesso che sia corretto valutare economicamente un bene (non in base al valore intrinseco ma) in ragione degli oneri e delle spese future, alcuna considerazione è riservata alla possibile equivalenza tra la perdita patrimoniale ed il vantaggio futuro; pertanto, in linea di principio, potrebbe anche giustificarsi la cessione gratuita di un calciatore se, oltre alla decisione di non volersi più avvalere delle relative prestazioni, ad esempio, il costo residuo previsto dal contratto fosse tendenzialmente equivalente al valore dell’atleta (ed al valore fiscalmente riconosciuto), se l’onere diventasse medio tempore insostenibile oppure se la durata residua del rapporto fosse molto prolungata nel tempo.
Nel caso di specie, invece, queste ipotesi, sono smentite dalle vicende successive alla cessione gratuita del calciatore in quanto il repentino riacquisto a titolo oneroso (ad un corrispettivo inferiore a quello di acquisto) prova per tabulas che:
- a) la precedente vendita gratuita non era sostenuta dall’interesse a privarsi delle prestazioni dell’atleta[40];
- b) l’argomento decisivo del risparmio dovuto al compenso dell’atleta e della insostenibilità dei relativi oneri è stato ugualmente smentito di lì a breve[41].
Su tutto, il recepimento in ambito fiscale di un concetto di onerosità esteso agli atti gratuiti aventi il solo effetto di affrancare dalle spese future presta il fianco a discutibili soluzioni di favore. A nostro avviso, questo è il profilo più delicato della sentenza perché, da un lato, pone sullo stesso piano gli effetti economici futuri e quelli patrimoniali immediati e, dall’altro, trascura le vicende successive alla cessione gratuita che smentiscono il criterio giuridico prescelto per affermare l’onerosità della vendita.
Da un lato, infatti, è agevole evidenziare che al riacquisto dell’atleta è seguito inevitabilmente un nuovo contratto per stabilire il compenso, sicché non si comprende quale possa essere stato il risparmio futuro a prescindere dall’ammontare pattuito; dall’altro, che la considerazione onerosa della cessione è valsa per la cedente a dedurre la minusvalenza in occasione della cessione gratuita per poi acquisire il nuovo valore fiscale in occasione del riacquisto che ha consentito di dedurre nel futuro le ulteriori quote di ammortamento.
In definitiva, le considerazioni precedenti consentono di concludere che gli «atti gratuiti economicamente rilevanti» possono essere apprezzati nel sistema del reddito d’impresa non solo in base alla estromissione del bene dal patrimonio dell’impresa [42] ma l’assimilazione agli atti onerosi impone valutazioni più approfondite sugli interessi economici e sugli effetti di natura patrimoniale nonché giudizi meno sommari rispetto a quello fondato (esclusivamente) sul risparmio della spesa futura: in questa prospettiva le vicende successive del «bene» possono fornire indicazioni decisive ai fini del corretto inquadramento della fattispecie.
In proposito, sebbene sia stata richiamata indifferentemente a supporto o meno della deducibilità della minusvalenza, anche la stessa sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, n. 6538 del 2010 fornisce indicazioni proficue perché, da un lato, precisa «la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato, e non può quindi fondarsi sull’esistenza, o meno, di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma richiede necessariamente dall’apprezzamento dell’interesse sotteso all’intera operazione da parte del solvens, quale emerge dall’entità dell’attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento, collegato o meno ad un sia pur indiretto guadagno ovvero ad un risparmio di spesa»; dall’altro, indica che detto giudizio – e la coeva necessità di apprezzare la «sintesi degli interessi» [43] – deve considerare l’operazione «sia essa a struttura semplice perché esaurita in un unico atto, sia a struttura complessa, in quanto si componga di un collegamento di atti e negozi».
5. Conclusioni
In conclusione, l’indicazione fornita dalla Suprema Corte con la sentenza in esame presenta luci ed ombre anche a prescindere dai recenti precedenti di segno contrario. Nel primo ambito è possibile collocare l’inquadramento del trasferimento del «cartellino» nello schema della cessione del contratto ai sensi dell’art. 1406 c.c. ed i relativi effetti fiscali sotto il profilo della attitudine a generare plusvalenze o minusvalenze.
Nel secondo, invece, a nostro avviso, si colloca la qualificazione del contratto nell’ambito degli assetti onerosi (con la conseguente deducibilità della minusvalenza) e ciò non tanto per l’assenza del corrispettivo – che pure potrebbe essere validamente surrogato da altri vantaggi ed utilità tangibili – quanto e soprattutto per il criterio giuridico prescelto riconducibile al mero risparmio delle spese future. Infatti, si tratta di un principio evanescente che rischia di dilatare a dismisura la categoria degli atti onerosi e che pare in contraddizione con la premessa di valutare l’«onerosità» in ragione della «considerazione complessiva dei costi e benefici che all’esito del trasferimento ognuna delle società avrà sopportato e avrà conseguito» se restano prive di considerazione, da un lato, le vicende successive alla cessione e, dall’altro, il giudizio comparativo tra l’estromissione del bene-atleta dal patrimonio dell’impresa e la dimensione economica del risparmio futuro.
Per questa ragione non può affatto escludersi che la Suprema Corte sarà costretta medio tempore a tornare sul tema nell’ambito del processo evolutivo che attraversa il concetto di onerosità nel sistema delle imposte sui redditi per contribuire ad una sistemazione più razionale di siffatti atti conforme ai principi generali che permeano lo statuto fiscale dell’impresa.
NOTE
* Contributo sottoposto alla procedura di double blind peer review ed approvato.
[1] Per conferma, si vedano le sentenze precedenti Cass., Sez. Trib., 9 gennaio 2019, n. 345, in Riv. giur. trib., 2019, 402, con commento adesivo di P. Boria, Irrilevanti le minusvalenze per cessioni senza corrispettivo del contratto di calciatori; Cass., Sez. trib., n. 9433 del 4 aprile 2019; Cass., Sez. trib., 25 gennaio 2019, nn. 2144, 2145 e 2146 ed il commento di S. Massarotto, M. Altomare, Revirement della Cassazione sulla (in)deducibilità delle minusvalenze da cessioni “a zero” di calciatori, in Riv. telematica di dir. trib., 19 aprile 2019. In dottrina, invece, oltre agli autori che saranno richiamati in seguito, si consulti F. Galgano, La compravendita dei calciatori, in Il Fisco, 2001, p. 311; P. Stizza, Profili fiscali della cessione di calciatori professionisti, in V. Uckmar (a cura di), Sport e Fisco, Padova, 2016, p. 336; G. Antico, Irrilevante fiscalmente la cessione del diritto all’utilizzo esclusivo del calciatore senza corrispettivo, in Il Fisco, 2019, p. 471.
[2] Per una ricognizione esaustiva, completa di riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, cfr. A. Contrino, Rilevazioni nel bilancio d’esercizio e ricadute sul reddito imponibile delle società sportive dei trasferimenti (onerosi, gratuiti e a parametro zero) di calciatori professionisti, in questa Rivista, 2019, 2, p. 278.
[3] Infatti, la sentenza è stata commentata in senso critico da A. Contrino, Spigolature in tema di deducibilità delle minusvalenze da cessione “senza corrispettivo” del diritto alla prestazione sportiva e la pericolosa riesumazione dell’art. 53 Cost. per far prevalere la “sostanza economica” nella nuova veste di “concretezza oggettiva”, in Riv. Telematica di dir. trib., 8 marzo 2021, con atteggiamento complessivo meno critico, ma ugualmente contrario, da D. Stefani, Profili fiscali della cessione del “cartellino” del calciatore: il concetto di onerosità nelle cessioni “a costo zero”, in Riv. trim. dir. trib., 2021, p. 423, mentre ha manifestato «apprezzamento» E. Rollino nella nota pubblicata su Il Fisco, 2020, p. 4266.
[4] Com’è noto, il comma 2 dell’art. 5 della legge n. 91/1983 consente alle parti (la società sportiva ed il calciatore) di cedere il contratto purché il trasferimento dell’atleta avvenga prima della scadenza naturale del contratto ma, ai fini della validità del negozio, occorre altresì osservare le indicazioni dettate dalle Norme di Organizzazione Interne della Federazione (cosiddette “NOIF”) e gli indirizzi interpretativi della FIGC.
[5] Si tratta del noto parere reso in relazione alla rilevanza ai fini Irap delle plusvalenze realizzate in occasione della cessione dei contratti dei calciatori. Al riguardo, cfr. A. Contrino, La rilevanza impositiva di “proventi” e “oneri” generati da operazioni di calciomercato, in Riv. dir. trib., 2020, I, p. 201; A. Giovannini, Irap e cessione di calciatori, in V. Uckmar (a cura di), Sport e Fisco, Padova, 2016, p. 213; G. Ingrao, L’imponibilità ai fini dell’Irap dei proventi, connessi alla cessione degli atleti da parte delle società sportive, in Riv. dir. trib., 2008, II, p. 527; G. Luschi, G. Stancati, Aspetti fiscali della “cessione dei calciatori”, con particolare riguardo al regime Irap, in Rass. trib., 1999, p. 1742; A. Procopio, Irap e società calcistiche professionistiche: la rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione dei diritti sportivi, in Dir. e prat. trib., 2011, II, p. 1217; C. Sottoriva, Considerazione in merito al trattamento fiscale ai fini Irap delle plusvalenze nell’ambito delle società di calcio professionistico, in Dir. e prat. trib., 2012, I, p. 637.
[6] Nel dettaglio l’accordo tra la società sportiva cedente e l’atleta ceduto, quello tra la società cedente e la cessionaria nonché il nuovo contratto tra l’atleta ceduto e la società cessionaria. Com’è agevole intuire, in questa prospettiva è stata anche sollevata una questione di meritevolezza della causa dei singoli schemi contrattuali – come risulta dalle limpide osservazioni di F. Galgano, La compravendita dei calciatori, in Contr. e impr., 2001, 1, che ha prospettato il vizio di nullità per mancanza di causa, ma sul tema si veda altresì G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, in Contr. e impr., 2013, p. 645; F. Sangermano, L’ineliminabile specificità del diritto sportivo nel quadro della teoria della pluralità, in Nuove leggi civ. comm., 2020, p. 466) – mentre in ambito fiscale è stato sostenuto che lo scopo perseguito dalle parti sia esclusivamente orientato ad ottenere un vantaggio fiscale (per conferma si veda G. Ingrao, L’imponibilità ai fini dell’Irap dei proventi, connessi alla cessione degli atleti da parte delle società sportive, cit., p. 527).
[7] Per approfondimenti di natura civilistica, si veda, senza alcuna pretesa di completezza, M.T. Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Torino, 2004, p. 211; B. Bertini, Il contratto di lavoro sportivo, in Contr. e imp., 1998, p. 743; G. Vidiri, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, in Riv. it. dir. lav., 2002, p. 65; L. Colantuoni, Il contratto sportivo professionistico, Torino, 2009, p. 146; R. Stincardini, La cessione del contratto: dalla disciplina codicistica alle peculiari ipotesi d’applicazione in ambito calcistico, in Riv. dir. ed econ. sport, 2008, p. 136; L. Cantamessa, Il contratto di lavoro sportivo professionistico, in L. Cantamessa, G.M. Riccio, G. Sciancalepore, Lineamenti di diritto sportivo, Milano, 2008, p. 147; F. Iozzo, Cessione di calciatori e rapporto fra ordinamento statuale e normativa sportiva, in Giur. it., 2004, p. 10.
[8] Ampi ed aggiornati riferimenti giurisprudenziali di merito sono richiamati da A. Contrino, Rilevazioni nel bilancio d’esercizio e ricadute sul reddito imponibile delle società sportive dei trasferimenti (onerosi, gratuiti e a parametro zero) di calciatori professionisti, in Riv. dir. sport., 2019, 2, p. 278, nt. 12.
[9] Per conferma, si veda Ris. Agenzia delle Entrate n. 231, 19 dicembre 2001 – ove si legge «con la cessione del contratto, ciò che viene ceduto è il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta dietro corrispettivo, che costituisce l’elemento essenziale del contratto. L’eventuale modifica di elementi accessori del contratto ceduto, quali la scadenza o la quantificazione del corrispettivo, non influisce sulla qualificazione giuridica della fattispecie» – ma in seguito l’indirizzo è stato ribadito dalla Circ. Agenzia delle Entrate n. 37/E del 23 dicembre 2013.
[10] Cfr. Cass., Sez. trib., 2 dicembre 2015, n. 2459, commentata da S. Trettel, Il contrasto della giurisprudenza sul trattamento IRAP delle cessioni di calciatori salva dalle sanzioni, in Il Fisco, 2016, p. 3763, che non è passata inosservata avendo riconosciuto le «obiettive condizioni di incertezza» e la conseguente disapplicazione delle sanzioni amministrative; Cass., Sez. VI, 25 gennaio 2019, nn. 2144, 2145, 2146, richiamata alla nt. 1; Cass., Sez. V, 4 aprile 2019, n. 9433.
[11] Per tale ragione è doveroso il rinvio all’ampio e completo volume curato da V. Ficari, V. Mastroiacovo, Corrispettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, Torino, 2014, passim. D’altro canto, il diverso modo di intendere l’onerosità nel diritto tributario (e nel sistema delle imposte sui redditi in particolare) è una questione risalente alla nota polemica tra due autorevoli Maestri (Fantozzi e Falsitta) che ha preceduto la riforma tributaria degli anni Settanta del secolo scorso (per una sintesi e per gli aspetti evolutivi sia consentito di rinviare al nostro Il contributo di Augusto Fantozzi e di Andrea Fedele in tema di plusvalenze nel reddito d’impresa, in Dir. e prat. trib., 2019, I, p. 509).
[12] Si veda, se si vuole, A. Fantozzi, F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, 2a ed., Padova, 2019, pp. 80 e 180, ove ulteriori riferimenti dottrinali. Per acute considerazioni sul rapporto tra le esigenze di razionalità impositiva nel sistema del reddito d’impresa e le indicazioni civilistiche, tra i tanti, cfr. M. Nussi, Il regime dei beni dell’impresa tra esigenze di coerenza impositiva e referenti privatistici, in Riv. dir. trib., 1993, I, p. 1092.
[13] In particolare, la sentenza argomenta nei seguenti termini «concentrando l’attenzione sui principi tributari in un’ottica di attuazione dell’art. 53 Cost., se è vero che gli indici di capacità contributiva vanno ricercati in fatti o situazioni economicamente rilevanti, capaci di esprimere una potenzialità economica, l’operazione posta in essere dal contribuente deve essere interpretata alla luce della sua concretezza oggettiva, e ciò al fine di non cadere in pericolose attribuzioni di un qualche rilievo a finalità interiori del contribuente, ad un tempo però assicurando una valutazione economica obiettiva del fatto o della situazione posta in essere. Ebbene, pur nel rispetto, sotto il profilo civilistico, dei canoni di interpretazione applicabili all’operazione di cessione del diritto alla prestazione esclusiva dell’atleta professionista in favore del cessionario, che a sua volta si assume l’obbligo di corrispondere a quest’ultimo il corrispettivo delle prestazioni sportive, l’operazione stessa assume inequivoca natura onerosa sotto il profilo fiscale, come tale riconducibile alla disciplina dell’art. 101 Tuir, ove, come nel caso di specie, ne sia scaturita una minusvalenza».
[14] Trattasi di A. Contrino, Spigolature in tema di deducibilità delle minusvalenze da cessione “senza corrispettivo”, cit., p. 8.
[15] Tanto ciò è vero che la contestazione dell’Amministrazione Finanziaria ha riguardato anche l’ammontare delle quote di ammortamento a seguito dell’operazione di riacquisto «sull’assunto che fossero state indebitamente rapportate ad un valore di immobilizzo superiore all’esborso finanziario effettivamente sopportato dalla società» anche se la questione è stata risolta dal giudice di appello che ha ritenuto corretta l’iscrizione nell’attivo di «un importo pari alla differenza tra il costo originario dei giocatori e quello di riacquisto» nel solco della sentenza n. 345/2019 che aveva già indicato il seguente principio «nell’eventualità della cessione del diritto alle prestazioni sportive di un calciatore con accordo di compartecipazione al 50% risolto, in seguito, in favore di una delle società sportive coinvolte, deve essere inserito fra le immobilizzazioni immateriali un valore pari non al costo complessivo della cessione originaria, ma alla somma del valore della compartecipazione e dell’esborso per il riacquisto».
[16] In questo senso si richiama l’esperienza delle attribuzioni patrimoniali negli accordi di separazione fra coniugi (che avrebbero carattere oneroso) e delle cosiddette discommodities «nel cui alveo sono addirittura introdotte le vendite a prezzo negativo, tanto più dunque quelle con corrispettivo pari a zero» ed al riguardo si evidenzia che «negandosi la causa donativa e più in generale la gratuità della cessione, si pone di contro attenzione sul diverso vantaggio che l’alienante consegue dalla cessione di un determinato bene (sia esso l’insostenibilità dei costi della sua gestione, sia esso lo specifico interesse a liberarsi di un bene, o ancora il vantaggio conseguito dalla cessione di una azienda per sé improduttiva e indebitata, ecc.)».
[17] In questo senso si orienta la Raccomandazione contabile n. 1 della FIGC. In materia si veda A. Contrino, Rilevazioni nel bilancio d’esercizio e ricadute sul reddito imponibile delle società sportive dei trasferimenti (onerosi, gratuiti e a parametro zero) di calciatori professionisti, cit., p. 278; G. Pizzonia, Le immobilizzazioni immateriali nelle imposte dirette: il caso dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, in Rass. trib., 2011, p. 1217. Per indagini più indirizzate sugli aspetti contabili, tra i tanti, cfr. L. De Angelis, Osservazioni sul momento della rilevazione contabile delle plusvalenze realizzate dalla “cessione” dei calciatori professionisti, in Contr. e impr., 2002, p. 920; L. Gelmini, Le società di calcio professionistiche nella prospettiva dell’economia d’azienda, Milano, 2014, p. 145; G. Rusconi, Il bilancio d’esercizio nell’economia delle società di calcio, Bari, 1990, p. 165.
[18] Cfr. A. Contrino, La rilevanza impositiva di “proventi” e “oneri” generati da operazioni di calciomercato, cit., p. 213.
[19] Si tratta, tuttavia, di una soluzione limitata ad ipotesi marginali, tendenzialmente riconducibili ai casi in cui l’acquisto del calciatore è propedeutico ad una cessione immediata o ravvicinata per soddisfare le esigenze sorte nell’ambito di un’operazione più complessa (di scambio o di cessione).
[20] Sul piano dell’analisi giuridica, l’importanza decisiva dell’appartenenza al patrimonio dell’impresa è condivisa da P. Boria, Irrilevanti le minusvalenze per cessione senza corrispettivo del contratto di calciatori, cit., p. 407, ove ulteriori indicazioni di dottrina.
[21] In proposito, sia consentito di rinviare al nostro A. Fantozzi, F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, cit., 80 e 180, anche per riferimenti dottrinali e giurisprudenziali. Nello specifico, per riflessioni condivisibili sulla estromissione dei beni dal patrimonio dell’impresa si veda V. Ficari, Corrispettività, onerosità e gratuità nella fiscalità di impresa, in Riv. trim. dir. trib., 2018, p. 273; A. Garcea, Note sistematiche sulla fuoriuscita dei beni dell’impresa, in Riv. dir. trib., 2003, I, p. 441.
[22] Sul tema cfr. N. Fortunato, Profili tributari delle assegnazioni di beni ai soci, Torino, 2012, p. 104, mentre in giurisprudenza si consulti Cass., Sez. trib., 4 maggio 2018, n. 10635, in Giur. trib., 2018, p. 968, con nota di F. Menti, L’autoconsumo nell’imposizione sui redditi e nell’IVA.
[23] Com’è noto, si tratta della fattispecie di realizzo più problematica a partire dalla possibile natura residuale della norma in materia di destinazione dei beni «a finalità estranee all’esercizio dell’impresa» se ritenuta idonea ad attrarre ad imposizione qualsiasi loro estromissione dal patrimonio dell’impresa per ragioni diverse dalla cessione a titolo oneroso secondo l’indirizzo prevalente (in questo senso sia consentito di rinviare al nostro A. Fantozzi, F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, cit., 188, ove è stato evidenziato che la disposizione in esame «può essere considerata una norma di chiusura che impone di tassare qualsiasi incremento di ricchezza maturato nel periodo in cui i beni hanno fatto parte del patrimonio dell’impresa ed ogni ipotesi di sottrazione ovvero di eterodestinazione ad altra finalità (ad esempio, il consumo personale o familiare), escludendo che tali eventi possano essere privi di conseguenze impositive»). In materia, inoltre, tra i tanti, cfr. A. Fedele, Il regime fiscale della datio in solutum, in Riv. dir. trib., 2015, I, p. 194; M. Miccinesi, Le plusvalenze d’impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Milano, 1993, pp. 160 e 308; M. Versiglioni, Profili tributari della cessione gratuita dei beni relativi all’impresa, in Riv. dir. fin., 1992, I, p. 481; F. Paparella, Brevi note sul regime fiscale dei trasferimenti d’azienda a titolo gratuito, in Riv. dir. trib., 1995, II, p. 162; M. Nussi, Ancora sul regime dei beni d’impresa: trasferimenti gratuiti d’azienda e imposte sui redditi, in Riv. dir. trib., 1997, I, p. 603; A. Silvestri, Destinazione a finalità estranee all’impresa e principio di inerenza nelle imposte sui redditi, in Riv. dir. fin., 1998, I, p. 575; F. Pedrotti, Le cessioni gratuite di partecipazioni societarie nel reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2006, I, p. 403.
[24] Per quanto non pertinente rispetto alla fattispecie in esame, è noto che la disciplina dei ricavi tassabili è complementare a quella delle plusvalenze proprio per evitare che nessun bene (sia esso un «bene-merce» oppure «strumentale») possa essere distolto dalla sfera dell’impresa senza conseguenze impositive.
[25] Per una sintesi aggiornata sul concetto di «realizzo», sull’ampio dibattito che ha favorito quando era considerato una conseguenza causale tipica degli atti onerosi (essendo ritenuti quelli più idonei a produrre un incremento patrimoniale per il cedente) e sulle recenti tendenze evolutive si veda F. Paparella, Il contributo di Augusto Fantozzi e di Andrea Fedele in tema di plusvalenze nel reddito d’impresa, cit., p. 509, anche per i principali riferimenti dottrinali.
[26] In proposito cfr. V. Mastroiacovo, La rilevanza delle vicende abdicative nella disciplina sostanziale dei tributi, Torino, 2012, p. 45.
[27] Il merito di tale distinzione è di A. Fantozzi, Ancora in tema di realizzazione delle plusvalenze, in Riv. dir. fin., 1965, I, pp. 462 e 467, ove si legge «quanto precede giustifica l’affermazione secondo cui è al concetto di onerosità in senso soggettivo che deve aversi riguardo nel definire la realizzazione delle plusvalenze. Se infatti per realizzo si intende la conversione dell’apprezzamento attuale in una futura maggiore redditività dei cespiti in un’altra forma di ricchezza, è evidente che dovrà aversi riguardo al patrimonio del soggetto in capo al quale si compie questa conversione e non allo strumento giuridico mediante il quale essa si attua. Perché si abbia realizzo della plusvalenza è perciò sufficiente, a nostro parere, che un atto o un complesso di atti dia luogo ad una fattispecie onerosa».
[28] In materia, tra i più recenti, si veda V. Ficari, Le diverse dimensioni della corrispettività, onerosità, gratuita e liberalità nel diritto tributario dell’impresa, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 803, nonché Corrispettività, onerosità e gratuità nella fiscalità di impresa, cit., p. 275, che condivisibilmente critica le semplificazioni eccessive basate sul binomio onerosità-gratuita per affrontare le diverse categorie giuridiche della corrispettività, onerosità, liberalità e gratuità nel diritto tributario in forza delle corrispondenti indicazioni civilistiche anche al fine di evidenziare le differenze oltre all’utilizzo impreciso da parte del legislatore. In particolare, in merito al rapporto tra le prime due categorie giuridiche, l’Autore ha precisato che «corrispettività ed onerosità qualificano atti di disposizione negoziale di “beni” che originano incrementi e decrementi patrimoniali e soddisfano interessi economici delle parti del rapporto secondo diverse caratteristiche in ragione dell’atto dispositivo di cui ci si occupi».
[29] Anche su questi aspetti l’esperienza è risalente ed ha avuto come severo banco di prova il regime fiscale dei conferimenti in natura (si veda, se si vuole, F. Paparella, Il contributo di Augusto Fantozzi e di Andrea Fedele in tema di plusvalenze, cit., p. 509, ma la rilevanza e l’intensità del dibattito è stato richiamato da G. Falsitta nelle mirabili note introduttive al volume AA.VV., Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi, Pisa, 2020, p. XXX). Per parte nostra riteniamo solo necessario ribadire che «mentre l’onerosità o la gratuità dei singoli atti nel reddito d’impresa impongono di valutare anche l’intento o l’aspettativa del disponente di ricevere un vantaggio economico o di soddisfare un interesse, negli assetti tipicamente non corrispettivi, deve essere comunque apprezzato un elemento reale qual’è il decremento che interviene nel patrimonio dell’impresa» (così in A. Fantozzi, F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, cit., p. 188, ed in senso analogo si è espresso A. Fedele, Il regime fiscale della datio in solutum, cit., p. 194).
[30] Per un’indagine di carattere generale, corredata da ampi riferimenti dottrinali, cfr. V. Ficari, Le diverse dimensioni della corrispettività, onerosità, gratuità, liberalità, in V. Ficari, V. Mastroiacovo (a cura di), Corrispettività, onerosità e gratuità, cit., p. 4.
[31] In questa prospettiva è perentorio il precedente della Suprema Corte n. 345/2019 ove si legge che il limite funzionale tra la gratuità e l’onerosità sarebbe determinato dal fatto che «il cedente si sia privato del diritto esclusivo a godere delle prestazioni sportive del calciatore senza ricevere nulla in cambio».
[32] Sulla costituzione del diritto di usufrutto assistita dal trasferimento degli oneri di custodia, gestione e manutenzione prima a carico del concedente cfr. Cass., Sez. II, 18 giugno 2018, n. 15997.
[33] Tra i tanti, cfr. A. Gianola, Atto gratuito, atto liberale. Ai confini della donazione, Milano, 2002, p. 3; P. Morozzo della Rocca, Gratuità, liberalità, solidarietà, Milano, 1998, p. 168; E. Loffredo, Economicità nelle imprese individuali e societarie e atti onerosi, gratuiti e liberali, in V. Ficari, V. Mastroiacovo (a cura di), Corrispettività, onerosità e gratuità, cit., p. 201. Invece, sulle nozioni tradizionali di gratuità ed onerosità, si consulti A. Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. di dir. civ., diretto da R. Sacco, II, I singoli contratti, Torino, 2000; O. Scozzafava, La qualificazione di onerosità o gratuità del titolo, in Riv. dir. civ., 1980, II, p. 68; A. Cataudella, Bilateralità, corrispettività ed onerosità del contratto, in Studi in onore di Gioacchino Scaduto, I, Padova, 1970, p. 225; G. Biscontini, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti, Napoli, 1984, p. 29; F. Angeloni, Liberalità e solidarietà, Padova, 1994, p. 17.
[34] In proposito, si veda G. Niccolini, Le vendite sottocosto, Torino, 2001.
[35] Ad esempio A. Contrino, La rilevanza impositiva di “proventi” e “oneri” generati da operazioni di calciomercato, cit., 219, ritiene che «il giudizio di onerosità o gratuità del negozio va compiuto soltanto in ragione della causa concreta».
[36] In questo ambito è ricorrente il riferimento all’esperienza delle cessioni di azienda ad un prezzo negativo ai fini dell’imposta di registro a causa del badwill o del volume delle passività superiore alle attività comprese nell’azienda. In proposito, tra i contributi più recenti, cfr. M. Di Siena, Notazioni in tema di badwill e di tributo di registro. Quando la ragione (seppur a fatica) prevale, in Rass. trib., 2020, p. 765, e la postilla di G. Fransoni, E il “prezzo negativo”?,
[37] Si pensi, ad esempio, alla rinuncia parziale ad un credito nella genuina convinzione che grazie a questa soluzione la parte residua possa essere concretamente realizzabile.
[38] Cfr. Cass., n. 11344 del 31 maggio 2016, in Giur. trib., 2016, p. 850, con nota di M. Del Vaglio, Convenzioni urbanistiche: profili IVA e IRES, anche se la pronuncia ha assimilato la cessione gratuita dei terreni ad un «contributo (in natura) correlato all’acquisizione di utilità e vantaggi per l’impresa stessa (con riferimento al suo oggetto complessivamente considerato)», ai sensi del comma 2 dell’art. 85, piuttosto che un «atto dispositivo estraneo all’esercizio dell’impresa tassabile alla stregua del valore normale del bene ceduto (stante l’assenza del corrispettivo)». In materia, inoltre, si veda L. Del Federico, Trattamento fiscale delle aree cedute gratuitamente ai Comuni, in Il Fisco, 1998, p. 10368, nonché i due studi del Consiglio Nazionale del Notariato n. 307-bis del 19 maggio 1995 e n. 248 del 3 aprile 2014, che propendono per la natura gratuita dell’atto.
[39] In merito a tale complessa categoria di atti si veda A. Fedele, Il regime fiscale della datio in solutum, cit., p. 193.
[40] Per tale ragione è condivisibile la critica formulata da A. Contrino, Spigolature in tema di deducibilità delle minusvalenze da cessione “senza corrispettivo”, cit., p. 5, laddove evidenzia che la sentenza in esame «finisce col sovrapporre civilisticamente due piani nettamente distinti, che tali devono rimanere».
[41] In realtà, se si esamina l’operazione sul lato del cessionario, spesso si riscontra che l’acquisto gratuito è accompagnato da un contratto migliorativo per l’atleta (per invogliarlo al trasferimento) sicché, in assenza di informazioni specifiche, non si può nemmeno escludere che a seguito del ri-trasferimento l’originaria società cedente sia rimasta gravata da un contratto più oneroso di quello precedente. Per le implicazioni dell’acquisto del calciatore prive di corrispettivo sul lato del cessionario si veda A. Contrino, Rilevazioni nel bilancio d’esercizio e ricadute sul reddito imponibile delle società sportive dei trasferimenti (onerosi, gratuiti e a parametro zero) di calciatori professionisti, cit., p. 278, anche per completi riferimenti dottrinali.
[42] In proposito, infatti, ci pare doveroso ribadire la regola secondo la quale «la recisione del legame funzionale tra il bene e l’attività – esemplificabile con la formula del “realizzo” almeno per gli assetti onerosi – è tipicamente determinata da un atto che produce la sua conversione in denaro o in altre utilità (oppure da più atti collegati) ma analoga idoneità è da riconoscere ai fatti, agli assetti (onerosi ma) non corrispettivi e, più in generale, a qualsiasi vicenda, seppur di natura gratuita o liberale, che si risolve nella fuoriuscita del bene dal patrimonio dell’impresa» già proposta nel nostro saggio Il contributo di Augusto Fantozzi e di Andrea Fedele in tema di plusvalenze nel reddito d’impresa, cit., p. 509.
[43] In questo senso dovrebbe indirizzarsi anche P. Boria, Irrilevanti le minusvalenze per cessioni senza corrispettivo del contratto di calciatori, cit., p. 402, perché conclude il commento alla sentenza n. 345 del 2019 nei seguenti termini: «la Suprema Corte introduce … nel proprio ragionamento giuridico l’apprezzamento degli interessi concreti come “guida logica” per la ricostruzione delle fattispecie negoziali. L’effettivo interesse perseguito nel disegno negoziale vale a fornire un contributo decisivo per il riconoscimento della causa civilistica degli atti e, quindi, per la classificazione degli stessi anche ai fini tributari».