Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Un secolo di basket in Italia: i caratteri originali (1907-1921) (di Sergio Giuntini, Vicepresidente della Società italiana di storia dello sport)


Il contributo, nel secolo di vita del basket in Italia, ne analizza la genesi e le prime forme dinsediamento. Dapprima ritenuto più conforme al sesso femminile venne introdotto a Siena, nel 1907, dalla professoressa Ida Nomi Venerosi Pesciolini. A favorirne una diffusione maggiormente estesa nella penisola, e in soprattutto in Lombardia, fu la Grande Guerra, venendovi esportato dalle truppe americane e in specie dalla Ymca. In questo quadro ottenne un primo importante riconoscimento ai Giochi militari Interalleati di Parigi (1919), dove la squadra italiana finì seconda alle spalle dei maestri americani. Questo risultato agì da volano facendo sì che il giovane movimento cestistico, sociologicamente rappresentato principalmente da appartenenti alla borghesia delle professioni, si emancipasse dalla soffocante tutela della Federazione ginnastica, fondando a Milano, nellautunno 1921, la Federazione Italiana Basketball. Particolarmente significativo, per la crescita del settore femminile, fu invece la partecipazione di una rappresentativa della Pro Patria et Libertate di Busto Arsizio alle cosiddette Olimpiadi della Grazia, tenute a Montecarlo nel marzo 1921.

A century of basketball in Italy: the original features (1907-1921)

This article analyzes the genesis and the first forms of settlement in the first century of life of Italian basketball. At first considered more compliant with female gender it was introduced in Siena by Professor Ida Nomi Venerosi Pesciolini in 1907. The Great War fostered a wider spreading in the Peninsula, especially in Lombardy, as it was exported by the American Army and in particular be the YMCA. In this context it gained a first important recognition in the Military Inter-Allied Games in Paris (1919) where the Italian team placed second after the American masters. This result was a driving force in the emancipation from the suffocating protection of the Gymnastics Federation of the young basketball movement, sociologically represented by people mainly from middle-class professions. Hence the establishment of the Italian Basketball Federation in the autumn of 1921. The participation of a team representing the “Pro Patria et Libertate” of Busto Arsizio in the so-called Olympics of Grace, held in Monte Carlo in March 1921, was particularly meaningful for the growth of the female sector.

SOMMARIO:

1. Un gioco per signorine? - 2. L’apostolato della Ymca e la Grande Guerra - 3. I Giochi Interalleati di Parigi - 4. Storia e sociologia dei pionieri - 5. Birreria “Spaten”, 8 ottobre 1921 - 6. Le Olimpiadi della Grazia di Montecarlo - NOTE


1. Un gioco per signorine?

Non è di poco conto che in un sistema sportivo creato a immagine e somiglianza dell’uomo, il basket, unico fra i giochi sportivi insediatisi in Italia, abbia origini femminili [2]. Il sovvertimento rivoluzionario d’un ordine naturale del creato, con Eva capace di battere sul tempo Adamo. Ma quali concause determinarono una simile anomalia? La ragione di questo primato è innanzitutto riconducibile al ritardo organizzativo con cui il basket, nel 1921, s’insediò in Italia rispetto al contesto internazionale. A frenarne la diffusione nella penisola furono probabilmente, dapprima, le sue origini americane e protestantiche lontane dalla cultura del Paese e avversate dalle gerarchie ecclesiastiche. Da un lato, nel 1899 Leone XIII aveva decretato la condanna spirituale dell’“americanismo”; dall’altro, ancora nel dicembre 1920, una lettera della Segreteria vaticana condannava la Young Men’S Christian Association (Ymca) che tramite lo sport attuava «una forzata opera di evangelizzazione dei giovani» [3]. Così penalizzato da remore culturali, religiose ma anche ideologiche, consistendo una delle sue peculiarità normative nel vietare i contatti fisici violenti, si può ritenere che il basket d’an­teguerra avesse finito con l’assumere dei connotati scarsamente attraenti e virili, venendo maschilisticamente lasciato a disposizione del sesso femminile. Tant’è la sua comparsa sufficientemente certa ci rinvia a un nome di donna: quello di Ida Nomi Venerosi Pesciolini, nata a Siena il 1° agosto 1873. Figlia di quel Leopoldo, ginnasiarca diplomatosi alla Scuola torinese di Rudolf Obermann nel 1864 e dal 23 dicembre 1871 direttore dell’Associazione ginnastica senese, Ida, a far capo dal 1898, ricoprì la carica di responsabile tecnica della sezione muliebre dello stesso sodalizio. Donna dinamica e attenta alle novità, a lei si deve la prima traduzione italiana delle regole, in una forma ridotta e adattata (in specifiche circostanze prevedevano persino il ricorso ai piedi) [4], fissate da Naismith. Prova ne sia che il 27 aprile 1907, nella palestra di Sant’Agata, programmò una partita del gioco americano che non si tenne però «per mancanza di spazio a disposizione» [5].Si trattò dunque d’una iniziazione mancata che si concretizzò invece, il 12 maggio 1907, nell’ambito del Concorso nazionale ginnastico di Venezia. Qui la Nomi Venerosi Pesciolini (assistita dalla maestra Giulia Colombini) impiegò finalmente le sue allieve (Bozzini, Delle Piane, le sorelle FalbFatiniGabricciGiandalfoni Martini, Mini, Zalaffi) in un’esibizione cestistica nel corso della “produzione libera a squadre” [6] e, per l’occasione, fu pure distribuito al pubblico un opuscolo – già edito per il debutto del 27 aprile – che forniva le spiegazioni sommarie del gioco [7]. D’un tale paradigma femminile, che cifra storicamente gli esordi del basket italiano, è testimonianza un altro dei rari materiali cui potersi riferire. S’allude alla seconda edizione aggiornata, risalente al 1912, di un volume di Luisa Rebecca Faccio sui giochi scolastici femminili in cui trovava spazio anche la pallacanestro [8]. Alla luce di queste attestazioni è evidente quanto venissero precipuamente apprezzati i contenuti educativi e salutistici del gioco, particolarmente adatto alle fasce femminili giovanili. L’agonismo, tuttavia, era un’altra cosa: da maschi. E se giusto per la sua presunta scarsa virilità fino allo scoppio del primo conflitto mondiale era rimasto una pratica semiclandestina confinata esclusivamente tra le “signorine”, con la Grande Guerra la sua identità cambierà profondamente di segno. Esportato dalle truppe statunitensi in Europa assunse tutt’altra connotazione, divenne uno sport per “veri uomini” superando i pregiudizi che sin lì ne avevano impedito l’espansione.


2. L’apostolato della Ymca e la Grande Guerra

La funzione di levatrice assolta dalla Grande Guerra è incontestabile [9], e va relazionata al ruolo che nel tratto finale del conflitto recitò la Ymca. Dopo averlo inventato a Springfield nel 1892, questo organismo protestantico veicolò il basket nel vecchio continente all’interno del suo piano di attività ricreativo-assistenziali rivolte alle armate dell’Intesa. Con due campagne di finanziamento raccolse 175 milioni di dollari che le permisero d’inviare in Europa 21.000 volontari e, sotto la supervisione del segretario del War Office George C. Fischer, nel 1918 175.000 soldati dell’American force expeditionary(Aef) gareggiarono in incontri sportivi promossi sui fronti di guerra dal suo personale [10]. All’Italia destinò 227 funzionari e 1500 operatori, coordinati da John S. Nollen. Era strutturata come un piccolo “esercito civile” con distretti regionali, centri divisionali e i benefici morali e materiali che derivarono dal suo intervento furono notevoli. Tra il gennaio 1918 e il marzo 1919 la Ymca distribuì ai soldati italiani 15 milioni di pacchetti di sigarette; 500.000 scatole di biscotti e altrettante di caramelle; 50.000 confezioni di cioccolato; 15 milioni di carte da lettera e buste; 12 milioni di cartoline; 4,4 milioni di matite e penne; 400.000 libri e riviste; 18.000 dischi; 900 fonografi; 30.000 palloni da calcio, 2250 da volley e 1500 da basket. [11] Numeri che ne sancirono l’indubbia utilità e popolarità anche nel dopoguerra, nonostante la perdurante ostilità del mondo cattolico: durante il conflitto il barnabita Giovanni Semeria – cappellano militare di Luigi Cadorna – fece pressioni sullo Stato maggiore affinché il governo americano ne limitasse l’invadenza in seno ai nostri reparti [12]. Nella fase post-bellica l’impegno della Ymca si rafforzò in Italia tramite due strumenti: appoggiandosi all’associazionismo evangelico autoctono e facendo leva sul proprio apostolato educativo e sportivo. Agli inizi del 1920 la federazione italiana sports atletici (Fisa) assunse grazie alla Ymca il primo celebre istruttore statunitense nella storia dello sport italiano: Platts Adams, vincitore del salto in alto da fermo (m. 1,63) alle Olimpiadi di Stoccolma (1912). Un tecnico che fu anche il primo coach straniero del nostro basket essendo stato ingaggiato, nei medesimi anni, dalla Società Ginnastica Torino per allenare la sua sezione cestistica attiva dal 1919 [13]. In Lombardia la Ymca, saldamente impiantata tra Gallarate e Busto Arsizio, nel 1919 era presente in altre venti località e impartiva il proprio insegnamento sportivo a circa 5000 giovani. A Milano, con sede in via Cesare Correnti 11, il 12 gennaio 1919 tenne un importante convegno all’Hotel “Metropol”, su cui si diffusero “Il Corriere della Sera”, “La Perseveranza”, “La Sera”, al quale intervennero anche il Tenente colonnello George Patton (il futuro “Generale d’acciaio”, 5° classificato nel pentathlon all’Olimpiade del 1912) e amministratori comunali, medici, dirigenti scolastici e sportivi. La relazione introduttiva fu svolta dal professor Giovine dell’Università “Bocconi”, che incitò a inserire l’Italia nelle dinamiche dello sport moderno aprendosi ai giochi di matrice statunitense; venne accesa una sottoscrizione per l’acquisto d’un terreno dove poter svolgere questo tipo d’esercizi; si propose la creazione di un Milan Athletic Club, società tesa a divulgare le discipline nordamericane. [14] Sempre a Milano, il 19 gennaio 1919, ebbe luogo una seconda adunanza della Ymca. Riunione nel corso della quale si annunciò la nascita di una Società Atletica Wilsoniana, ospite in via Conservatorio del locale Veloce Club. La sua apparizione rientrava nell’euforia suscitata dalla visita europea di Woodrow Wilson. Il 3 gennaio 1919 il presidente americano fu a Roma ricevuto da Vittorio Emanuele III, e il 5 gennaio a Milano, dove il sindaco socialista Emilio Caldara gli consegnò le chiavi della città e i suoi sostenitori inaugurarono un Fascio wilsoniano d’azione. Di fatto quel viaggio all’apparenza trionfale nascondeva una profonda frattura fra “paese reale” e “legale”. Al successo popolare di Wilson non corrispondeva la fiducia della classe politica, e una tale diffidenza si sarebbe apertamente manifestata ai tavoli delle trattative di pace a Parigi. La capitale francese nella quale si decidevano i destini dell’Europa, e in cui, nei medesimi giorni, anche il basket italiano stava ponendo le basi del suo prossimo decollo.


3. I Giochi Interalleati di Parigi

I primordi del basket in Lombardia, regione pioniera in Italia, che affondano tra il 1918 e il ’21, poggiano su quattro passaggi-chiave: 1) una prima attenzione/attrazione per il gioco mostrata dagli ambienti studenteschi e in specie dall’istituto d’istruzione superiore “Cavalli e Conti” e dall’Associazione sportiva studenti italiani (Assi), entrambe milanesi (1918-19); 2) il ciclo d’incontri militari disputati tra Gallarate, Monza, Milano nella primavera del 1919; 3) la partecipazione d’una selezione italiana, interamente composta da elementi lombardi, ai Giochi interalleati di Parigi dell’estate 1919; 4) la fondazione nell’autunno 1921, a Milano, della Federazione italiana basketball (Fib). Questi quattro tempi furono accompagnati e sostenuti, come s’è visto, innanzitutto dalla Ymca e da un’altra importante rete associativa: quella delle società ginnastiche. L’unico movimento sportivo, a cavallo tra Otto e Novecento, ramificato sull’intero territorio nazionale. Da questo quadro occorre quindi muovere, e più nello specifico da un’esperienza che a Milano ebbe un peso significativo nel favorire un primo approccio al basket. Ci si riferisce alla sua introduzione, tra la fine del 1918 e i primi mesi del 1919, all’interno d’un noto istituto scolastico. Più del vagheggiato Milan Athletic Club e della Società Atletica Wilsoniana, che si può pensare ne costituì l’effimera traduzione, fu la scuola privata medio-superiore “Cavalli e Conti” ad assolvere questa basilare missione genetica [15]. Con sede in via Piatti 4 e poi in via Santa Valeria 3, a fondarla nel 1897 erano stati i ragionieri Carlo Cavalli ed Emilio Conti rilevando il precedente istituto di ragioneria e commercio di Giovanni Maglione ed Eduardo Rossi. Due ragionatt, i soci Cavalli e Conti, che non stavano mai con le mani in mano, tanto che nell’aprile 1901 s’inventarono pure editori del mensile dell’Asso­ciazione per l’assistenza ai commercianti. Al “Cavalli e Conti”, appena laureato, nel 1908 insegnò l’insigne filosofo Antonio Banfi, e tra i suoi studenti, tra il 1916 e il ‘18, ebbe l’economista Pasquale Saraceno. Col “Carlo Cattaneo” – dove nel marzo 1897 era nato il calcio a Milano – [16] rappresentava allora, nella preparazione secondaria del ceto economico-amministrativo, la scuola cittadina più prestigiosa. E fu proprio al “Cavalli e Conti” che, tra gli sport proposti ai propri allievi, il basket vagì a Milano divenendone il primo bacillo di diffusione. A conferma di ciò, già il 10 maggio 1919 gli studenti di via Santa Valeria sfidarono a Gallarate la squadra Aviatori della Malpensa, soccombendo 35-3. Un passivo pesante ma simile (33-3) a quello che, sul proprio terreno, gli avieri avevano subito dal 2° Reggimento autieri Monza il 30 aprile 1919. Le due formazioni in uniforme scesero nuovamente in campo, presso il parco Reale di Monza, il 16 maggio 1919. Nel frangente la partita fu più equilibrata e terminò con la vittoria del reparto brianzolo per 13-11. Questa serie di incontri – non a caso, crediamo, il basket, simbolo di modernità, venne sperimentato tra i militari in due corpi “futuristi” che esaltavano l’automobile e l’aeroplano – culminò in una gara disputata all’Arena napoleonica di Milano, in attesa dell’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia, l’8 giugno 1919 [17]. Arbitro il pastore della Ymca Goldbold, gli Automobilisti schierarono Arrigo Paolo Muggiani (capitano), Marco Muggiani (sergente maggiore), Francesco Bullè (sergente), Giuseppe Sessa (caporalmaggiore), Domenico Durante (soldato), mentre gli Aeronauti risposero con Vito Baccarini (capitano), Guglielmo Bagnoli (tenente), Emilio Palestra (sottotenente), Gino Bianchi (sottotenente) e Battista Pecollo (sergente). Finì 11-11 e, come confessò più tardi Arrigo Muggiani, il risultato fu sostanzialmente concordato dalle due squadre giacché, trattandosi d’un match selettivo in vista dei prossimi Giochi Interalleati, nessuno intendeva mancarli. Il confronto dell’8 giugno 1919 si pone a mito fondativo del basket italiano, facendo da prologo a un suo ulteriore ed essenziale step: l’Olimpiade (22 giugno-6 luglio 1919) – riservata ai soldati delle nazioni vincitrici del recente conflitto – di Joinville-le-Pont alle porte di Parigi. La loro origine deve essere ricondotta all’azione sinergica della Ymca, che ne affidò il progetto a Elwood Brown, e dell’Aef col massimo sostegno del suo generale in capo John Joseph Pershing. Con essi si intendevano conseguire molteplici fini d’ordine militare, igienico, politico, sportivo, e più segnatamente si mirava a testare la bontà della preparazione fisico-sportiva impartita alle truppe e a sublimarne le energie sessuali. Nondimeno, rinsaldando l’alleanza fra i paesi usciti vittoriosi, si voleva cogliere un obiettivo politico meno esplicito ma essenziale. Ossia a propagare per mezzo della Ymca il modello americano, i suoi stili di vita. Una forma d’imperialismo culturale che trovava nello sport uno dei suoi punti di forza. In quest’ottica il basket occupò un rilievo assoluto nell’ambito d’una tale Olimpiade, tanto che per Jerry Healy, direttore della Hall of Fame del Basket a Springfield, il torneo di Joinville costituì «il primo atto ufficiale (sicuramente tra squadre nazionali) della pallacanestro in Europa» [18]. Un palcoscenico sul quale i nostri Baccarini, Bagnoli, Bianchi, Bullè, Durante, i fratelli Muggiani, Erminio Palestra, Pecollo, Sessa recitarono una parte tut­t’affatto minore, malgrado la carta stampata non mostrasse di nutrire, alla vigilia, grandi aspettative e scrivesse in proposito: «La partecipazione nostra al Basketball costituisce un bel gesto di jattanza sportiva che deve – se non altro – essere incoraggiato ed ammirato» ma «non illudiamoci […], ciò non è che l’inizio di una vasta e lunga e faticosissima carriera ascendente, nella quale potremo sperare di raggiungere una certa elevatezza solo che si diffonda davvero nelle masse» [19]. Smentendo gli scettici e superando 15-11 la Francia, in precedenza umiliata dagli americani 93-6, il quintetto militare non deluse nemmeno nella finale giocata contro i “maestri” d’Oltreoceano. Si arrese sì, 51-17, ma “La Gazzetta dello Sport” commentò con questo ben diverso e malcelato orgoglio la buona prestazione offerta: «Quasi per rifarsi di qualche beffa immeritata la nostra rappresentanza si è permessa il lusso di giungere seconda nel Torneo Internazionale, lasciando molto lontano quella Francia che aveva avuto la velleità di rinnovare la vittoria del calcio; e davanti a noi v’è stata la sola America, con la sua potentissima squa­dra di professionisti che, nel primo tempo, malgrado la grande scuola, non ha potuto arginare e debellare, come avrebbe voluto la compagine nostra. Gli americani quando hanno saputo l’anzianità della squadra italiana sono rimasti sbalorditi» [20].L’esito promettente e inatteso di Parigi ebbe un effetto trainante, e il basket entrò subito nei programmi dei campionati nazionali militari. Nell’edizione del 1919, tenuta a Roma nel mese di novembre, si impose per 19-2 il II Corpo d’Armata di Alessandria (ApràCilibiniDelmar, Orlandi, Pastorelli) sul I di Torino. Si trattò, avendovi preso parte anche gli altri di Firenze, Verona, Milano finiti nell’ordine alle spalle dei due finalisti, della più importante manifestazione cestistica tenuta sino ad allora in Italia. Un successo propagandistico salutato così dalla “rosea” milanese: «L’aggiunta ai campionati militari delle gare dei moderni giuochi americani in pratica si è dimostrata abbastanza interessante. Il basket ball specialmente ha acquistato fra noi una grandissima simpatia, si adatta infatti al nostro temperamento per lo spirito combattivo […]. Quando la tecnica di questo sport sarà maggiormente conosciuta dai nostri giovani con tutte le sue astuzie e le sue finezze richieste dalla virtuosità, non mancheremo di competere degnamente con qualsiasi formidabile rappresentativa, sia pure anglosassone» [21]. Nel 1920 la vittoria arrise al Corpo d’Armata di Torino davanti a quello di Firenze, e in gara risultarono inoltre le squadre militari di Roma, Verona, Trieste, la Legione allievi della Guardia di finanza e il Dipartimento marittimo di La Spezia [22]. E nel 1921, nel campionato organizzato nel capoluogo regionale lombardo dal 21 al 30 giugno, prevalse il 54° fanteria di Milano – agli ordini del tenente Padovani – sugli Allievi finanzieri e il 2° Bersaglieri di Roma [23].


4. Storia e sociologia dei pionieri

Superato brillantemente l’esame internazionale di Joinville e ritornando alla vita civile, il nucleo di cestisti-militari che avevano vissuto quello straordinario evento si trasformarono nei pionieri del basket lombardo e nazionale. Se ne fecero i principali vettori, trovando sponda nella creazione d’un altro sodalizio che seppe incanalarne la passione e gli entusiasmi. Al “Cavalli e Conti”, in questa tranche di maturazione e radicamento, subentrò nel 1919, con a capo il ragionier Bruno Bianchi, l’Assi. Associazione che stabilì la propria sede prima presso il caffè Alba in via Terraggio e in seguito al Caffè Bertolazzi di via Broletto. Per gli allenamenti si serviva viceversa della palestra delle scuole comunali di via Moscati e, nel 1921, annoverava già 500 soci impegnati nelle sezioni podismo, nuoto, boxe, ciclismo, alpinismo e soprattutto basket. Lo sport in cui, dal 1921 al 1927, eccelse quasi incontrastata in campo nazionale, aggiudicandosi sei scudetti tricolori, tranne quello del 1923, andato all’Internazionale Milano. Ma chi erano, tornando al punto, quei pionieri? A quale dimensione sociologico-spor­tiva appartenevano? A tali domande si può cercare di rispondere schizzandone qualche breve ritratto. Su tutti spicca Arrigo Paolo Muggiani, il padre-fondatore del basket italiano, che ricoprì la carica di primo presidente della Fib. Da cestista-soldato a cuore e anima d’una pressoché misconosciuta pallacanestro che doveva farsi spazio in un panorama sportivo già alquanto affollato. Nato a Milano il 2 gennaio 1889 e spentosi nella sua città il 12 settembre 1973, il genitore Umberto era un facoltoso commerciante e il fratello maggiore Giorgio (Milano, 1887-1938) recitò un ruolo rilevante nell’ambito delle professioni e degli sport milanesi. Segretario del Milan Foot-Ball and Cricket Club, il 9 marzo 1908, al ristorante “L’Orologio”, capeggiò la scissione da cui sorse quell’Internazionale Football Club presente e vincente pure nel basket. Vicino alla corrente artistico-culturale futurista, s’affermò come grafico e cartellonista di fama disegnando la testata di “Football” (1913) di Cesare Fanti, il primo settimanale del calcio italiano, e soprattutto del “Popolo d’Italia” di Benito Mussolini. A comporre questo peculiare quadro familiare concorse anche il terzo Muggiani, Giorgio (Milano, 1894-1963), con Arrigo in campo alle Olimpiadi con “le stellette” di Parigi, che da segretario della Fib seguì in quell’avventura il secondo fratello. Arrigo Paolo il quale, come Giorgio, in politica fu un fascista della prima ora. A confermarlo soccorre la campagna che nel 1923 sulle colonne del “Popolo d’Italia” lanciò il barone padovano Antonino Da Zara – intimo di Mussolini, Filippo Tommaso Marinetti, Giuseppe Bottai – al fine di censire le forze sportive fasciste conferendo un distintivo d’onore ai benemeriti [24]. E fra questi, venne assegnato ad Aldo Pontiggia, giocatore di pallacanestro campione d’Italia nel 1923 nonché iscritto al fascio di combattimento di Milano, e tra i dirigenti proprio ad Arrigo Muggiani che, ritenendo forse d’aver adempiuto alla propria “missione storica”, nel 1926 si trasferì negli Stati Uniti l’autentica “Mecca” del basket. I tre Muggiani esprimevano il dinamismo della borghesia di rito ambrosiano. Quello spirito d’impresa che, non solo le grandi dinastie dei Pirelli, dei Borletti, dei Falck, trasferivano dagli affari e dall’industria ai campi da gioco. Una voglia d’appro­priarsi del moderno, del nuovo, così ben espressi dalla velocità e dall’energia dello sport dei canestri. In questa tipologia s’inscrive anche l’altro milanese Guido Brocca, agente di cambio presso la Borsa valori e sei volte vincitore del titolo italiano con l’Assi. L’ennesimo prototipo di basket e pragmatismo, creatività e calcolo. Tanto è vero che nessun’altra disciplina sportiva, prima e dopo, ha saputo instillare in Italia quella cura per i numeri, le statistiche, che lega profondamente la pallacanestro ai codici dell’economia. Parimenti, un tratto distintivo – in comune con le coeve colleghe cestiste – dei primi campioni del basket lombardo e italiano consistette nell’ecletticità, alternandolo di sovente con rugby, football, atletica leggera.Una peculiarità determinata sia dalla scarsa specializzazione d’allora, sia dall’identità originaria della pallacanestro, pensata dai suoi ideatori americani quale attività allenante e propedeutica ad altri sport. Giuseppe Sessa (Milano, 1895-1985), uno dei pionieri di Jonville-le-Pont, praticò basket e calcio giocandolo nella Juventus Italia sino al 1924, da rugbista dell’Ama­tori milanese vinse cinque campionati (dal 1930 al ’34) e, il 29 maggio 1930, a Milano vesti la maglia della nazionale contro la Spagna (3-0) [25]. Clemente Caccianiga, cestista della Società per l’Educazione (Sef) “Costanza” e dell’Ambrosiana di Milano, fu rugbista nella medesima Ambrosiana. Tra basket e rugby si divisero pure Dionigi Besozzi (Milano, 1907-1997) e Gustavo Laporte, tra gli animatori nella palla ovale allo Sport Club Italia di Milano e già nel 1910 partecipe dell’esperienza dell’Unione Sportiva Milanese [26], Luigi Binda, vincitore d’uno scudetto con l’Assi nel 1925, si distinse da portiere calcistico del Milan e del Novara (1920-25) e, cimentandosi nell’atletica leggera, riportò la vittoria nel campionato italiano di decathlon del 1923 (p. 5865,56) [27]. Carlo Andreoli, giocatore di pallacanestro della Sef “Costanza”, si laureò campione d’Italia di salto in alto nel 1913 (m. 1,675) e 1914 (m. 1,715) [28]. Un altro aspetto saliente del basket italiano d’antan riguarda i controversi legami intessuti con la Reale federazione ginnastica d’Italia (RfgI). Rapporto che, se inizialmente sembrò affine a quello “utilitaristico” instaurato con la Ymca, si rivelò presto un laccio da cui liberarsi. A Milano la più importante espressione del basket d’estrazione ginnica fu indubbiamente la “Costanza” (con campo in via Sondrio 4-8) del presidente Achille Cortese. Ma un’identica matrice ebbero anche le sezioni cestistiche, in seguito giunte ai vertici nazionali, della Ginnastica Roma (1921) e Triestina (1924), della “Costantino Reyer” di Venezia (1925), della “Virtus” di Bologna (1927), e un altro dei reduci di Joinville, Erminio Palestra, nel 1921 portò il basket all’interno della Società Ginnastica Pavese. Affiliata alla RfgI dal 23 marzo 1906, la Sef “Costanza” passerà alla storia del basket (con Andreoli, Angelo Bagnato, Poligono Longoni, Elvezio Perabò, Augusto Vitali) per la vittoria riportata nel Concorso ginnastico di Venezia del 26-30 maggio 1920. Torneo impropriamente considerato da alcuni come una sorta di primo campionato ante litteram. In realtà la RfgI nei primi decenni del ‘900 bandì numerosi campionati nazionali di giochi sportivi: dal 1904 di calcio e palla vibrata e, dal 1923 al 1926, anche di volley e basket. Nessuno di questi può tuttavia essere correttamente paragonato, per quantità e qualità dei partecipanti, a quelli indetti dalle rispettive federazioni. Semmai un tale proliferare di manifestazioni denuncia il tentativo esperito dalla Ginnastica di assumere, in ragione del suo capillare insediamento nella penisola, un ruolo di Superfederazione con ampio protettorato su svariate discipline sportive. Una volontà egemonica dettata, altresì, dalla consapevolezza che ormai, dopo la Grande Guerra, stava perdendo la leadership detenuta nel sistema sportivo italiano a vantaggio di altri fenomeni più moderni e spettacolari (calcio, ciclismo, pugilato ecc.). Da ciò la sua politica “annessionistica” fondata su tre principi: assorbire, assimilare e, nel caso di pratiche estere quali il basket, italianizzare. Lo si evince in modo emblematico dall’esperienza del ginnasiarca Manlio Pastorini (Pistoia, 1879-1942), il quale nel 1909 aveva sostituito Leopoldo Nomi Pesciolini alla “Mente Sana in Corpo Sano” di Siena ed era, ad esempio, fermamente convinto che football e volley fossero stati inventati in Italia e «poi trasmigrati in America, da dove erano ritornati a noi, modificati nelle regole e nella denominazione» [29]. Pastorini che, avendo con un gruppo di statunitensi residenti a Firenze (Philip Baldwin, Mc Millen, Miller, Allen, McGlelen) introdotto il basket nella città toscana, in un secondo momento cercò di avallare simili forzature anche rispetto al gioco di James Naismith. Vale a dire che nel 1920, per conto della Commissione tecnica della RfgI, pubblicò un volume dal seguente titolo: La palla al cerchio (Basket ball): la sua origine, la sua italianità, scopo, norme, regole. Una goffa manipolazione di gusto nazionalistico che, su vasta scala e con esiti linguistici talvolta paradossali e ridicoli, verrà più avanti ripresa e amplificata anche dallo sport fascista.


5. Birreria “Spaten”, 8 ottobre 1921

Nel 1921 la RfgI assegnò la cura dei suoi secondi campionati tricolori di pallacanestro alla società ginnastica “Pro Lissone”, ma per varie disfunzioni l’evento venne soppresso e ciò preparò il terreno alla creazione della Fib. O meglio, il nucleo di società prevalentemente milanesi e lombarde già attive in questo sport trasse a pretesto l’annullamento di quelle gare per sottrarsi all’abbraccio sempre più soffocante della RfgI. Il 1921, con epicentro Milano, si tramutò quindi nell’”autunno caldo” della piena autonomia. Pose le basi al dispiegarsi, senza indesiderate tutele esterne, del basket italiano. Questo il succedersi serrato delle fondamentali tappe istitutive. A settembre, presso la sede dell’Internazionale di via Unione 5, s’incontrò una cerchia d’appassio­nati per discutere delle carenze organizzative che angustiavano il movimento. Il 1° ottobre 1921 Arrigo Muggiani, dal proprio domicilio milanese di via Dante 16, inviò la convocazione di una “Assemblea costituente”. Tempo una settimana, e l’8 ottobre 1921, in via Ugo Foscolo, nei locali della Birreria “Spaten” di Natale Colombo, noto ritrovo frequentato da sportivi che ospitava anche la sede del Milan calcistico, si svolse una prima riunione che contemplava al quarto punto all’ordine del giorno: «Elezione di un Comitato Permanente ed eventuale costituzione di una Federazione autonoma» [30]. All’appuntamento, presieduto da Achille Cortese, affiancato dal vice-presidente della RfgI e presidente della “Pro Italia” Marco Cappelli, presenziarono una trentina di delegati (con in prima fila quelli delle milanesi Assi, Sef “Costanza”, Internazionale, “Pro Milano”, “Forza e Coraggio”, “Juvenilia” e dei gruppi sportivi aziendali “Pirelli” e “Marelli” di Sesto San Giovanni) che dibatterono a lungo se continuare ad affidarsi alle strutture della Federginnastica o cambiare “cavallo”, puntando sul sostegno della Fisa. Un’idea non del tutto balzana, poiché nel 1926 un’ipotesi analoga venne avanzata pure dalla Federazione internazionale di atletica leggera (Iaaf). Al momento si decise d’accantonare tale soluzione, dando invece mandato d’affrontare i problemi sul tappeto a un Comitato di saggi composto da Arrigo Muggiani (Internazionale, in qualità di presidente), Guido Brocca (Assi), Carlo Andreoli (“Costanza”), Carlo Grassi (“Forza e Coraggio”) e Lombardini. Sembrava ancora trattarsi d’una fase interlocutoria e viceversa, con una forte accelerazione, il 2 novembre 1921 l’Assemblea delle società convenute al nuovo appuntamento costituente approvò lo statuto di una Federazione italiana basketball che, all’articolo 1, dichiarava di occuparsi «in avvenire anche di altri giochi sportivi» [31]. Non se ne fece nulla, tuttavia, il progetto di riunire sotto un unico ente l’intera gamma dei giochi di palla da palestra in quella temperie risultava dunque qualcosa di più d’una semplice suggestione. Contestualmente la Fib lanciò, a partire dall’8 novembre 1921, il suo primo torneo federale: questo sì, il vero e proprio campionato numero 1 della pallacanestro italiana, che sarebbe stato vinto dal quintetto dell’Assi Armagni, Guido Brocca, Carlo Canevini, Alberto Valera, Giannino Valli. Come ultimo atto istituzionale, nella prima Assemblea elettiva del 21 dicembre 1921 i rappresentanti dei dieci club presenti (Assi – Guido Brocca; Internazionale – Marco MuggianiSef “Costanza” – Angelo Vitali; Unione Sportiva Milanese – Mario De Simoni; “Forza e Coraggio” Milano – Beniamino Giussani; Ricreatori laici Milano – Aroldo Mazzola; Gruppo sportivo “Marelli” Sesto San Giovanni – Armani; “Juvenilia” Milano – Angelo Bagnato; “Sempre Uniti” Milano – Luigi Massa; Veloce Club Milano – Mutterlini) convogliarono i loro voti (9) su Arrigo Muggiani, che divenne il primo presidente della Fib, coadiuvato da Mazzola (vicepresidente); Marco Muggiani (segretario, fissando gli uffici federali nella sua abitazione di via Disciplini 15); Vitali (cassiere); Bagnato, Brocca, De Simoni, Mutterlini e Confalonieri consiglieri. La lunga gestazione della nostra pallacanestro, che aveva preso le mosse nelle retrovie della Grande Guerra, si concludeva così con un voto espresso tra i fumi e i boccali di una birreria alla moda. Era nato il basket italiano, ma l’idioma parlato era praticamente solo quello lombardo. Una caratteristica, questa, avvalorata anche da un altro snodo fondamentale del memorabile 1921 cestistico.


6. Le Olimpiadi della Grazia di Montecarlo

La città di Siena, dopo aver tenuto a battesimo il basket femminile, non proseguì nell’azione proselitistica e quindi il suo incipit agonistico si ebbe con la discesa nuovamente in campo del movimento sportivo espresso dalla Lombardia. L’autentica capitale storica e morale di tale sport declinato al femminile è, infatti, fuor d’ogni dubbio, Busto Arsizio, in provincia di Varese [32]. E nel ricercare una data-simbolo che certifichi questa primogenitura, essa non può essere indicata altro che nel 25 marzo 1921. Giorno in cui una formazione della Società Ginnastica “Pro Patria et Libertate” di Busto (Lina Banzi, Giuseppina Ferrè, Maria Piantanida, Sidonia Radice e Colombo), preparata dalla professoressa Matilde Candiani, prese parte a Montecarlo, nel Principato di Monaco, al torneo cestistico internazionale ospitato all’interno delle cosiddette Olimpiadi della Grazia. Una specie di corrispettivo, da un punto di vista fondativo, di quanto le Olimpiadi Interalleate del 1919 significarono per la pallacanestro maschile.Dandone conto riferiva “La Gazzetta dello Sport”: «Nel basket ball il nostro cinque ha disputato un match, che è stato il più interessante di quelli sinora svolti. Contrapposto alla miglior squadra francese (l’“Académia” A) ha ceduto per 4 punti a 0, dopo una partita vivace e qualche volta violenta. Disordinate un po’ le nostre e più leggere, hanno resistito fino alla fine bene ed hanno svolto un giuoco di passi, che ha mandato il pubblico in visibilio» [33]. Non molto esperto, Luigi Ferrario – forse più a suo agio col calcio – fornì ai lettori un risultato inesatto, in quanto la partita finì effettivamente 8 a 0 per le parigine (Charles, GeorgetGueryHuvèTourbier), ma comunque il “dado era tratto” e da lì in avanti si potè cominciare a parlare compiutamente anche di pallacanestro femminile italiana. Sul nostro suolo (escludendo una gara amichevole a Busto Arsizio, il 3 aprile 1921, conclusasi 6-0 per la “Pro Patria et Libertate” sulla sua seconda squadra), il primo incontro di rilievo si tenne il 24 aprile 1921, organizzato dalla Sef “Costanza” in via Sondrio, venendo vinto 12-0 dalle ragazze della Candiani sulle milanesi del Ricreatorio laico “Giuseppe Garibaldi”. Punteggio che la stampa addebitò «all’affiatamento delle bustesi», mentre le avversarie, ad avviso del cronista che assistette alla gara, si erano «preparate in poco tempo» [34]. Un deciso salto di qualità si ebbe a Busto, il 25 settembre 1921, sede di un ben più robusto quadrangolare. Nelle semifinali delle 15.30 vennero eliminate il Ricreatorio “Garibaldi” di Milano e l’Opai (Opera preventorio antitubercolare infantile) di Olgiate Olona, e nella finale alle 18.00, la “Pro Patria et Libertate” (Banzi, Ferrè, Piantanida, Radice, Travaini) sconfisse 8-2 l’Unione Sportiva Milanese (De Simoni, Gualdi, Pagani, Sappini, Mangiarotti). Un riscontro che il Ferrario, sul quotidiano sportivo milanese, commentò telegraficamente in questi termini: «Nel primo tempo superiorità netta della “Pro Patria”; l’USM ha un certo risveglio, ma poi le bustesi riprendono e vincono facilmente» [35]. Infine, nel dicembre 1921, “propatrine” e “unioniste” si trovarono nuovamente di fronte a Novara, laddove fu ribadita la superiorità delle bustesi affermatesi 12-6. Per giungere alla disputa del primo titolo nazionale femminile occorse attendere il 1924 allorché, il 10 febbraio, sul campo di via Colletta, s’impose nettamente per 54-4 il Club Atletico Torinese (Migliorina Gatti, Maria Montanara, Teresa Nardi, Ada Regis, Andreina Sacco, Marina Zanetti) sull’Unione Sportiva Milanese (Reginetta De Simoni, Emma Ghiringhelli, Bruna Nebuloni, Sappini, Gina Zacconi), penalizzata dalla sua “panchina corta”, anzi cortissima, per l’assenza totale di ricambi una volta infortunatasi la De Simoni [36]. L’anno precedente, il 6 maggio 1923, nella sede milanese della Società ginnastica “Forza e Coraggio”, era stata intanto fondata la Federazione italiana di atletica femminile (Fiaf), e giusto a un tale organismo venne dato in consegna lo stesso basket e l’organizzazione dei relativi campionati. Fiaf che, lo esplicitava il suo acronimo, s’occupava principalmente d’atletica leggera, e ciò spiega il motivo per cui il basket vi ebbe un ruolo minore d’appendice e, parimenti, perché quasi tutte le prime grandi cestiste italiane, all’incirca sino al chiudersi degli anni ’20, siano state contemporaneamente campionesse delle specialità della pista. Resta da chiedersi come mai, quando sorse la Fib, non accolse al proprio interno la componente femminile? In assenza di documenti archivistici, si possono soltanto avanzare delle ipotesi. Il 1921 risultò, come si è evidenziato, un anno fondamentale sia per il basket maschile che femminile e, alla sua nascita, la Fib avrebbe potuto acquistare maggior credibilità e autorevolezza integrandovi le agoniste dell’altro sesso. Al contrario, se ne disinteressò con una presunzione intrisa di maschilismo. Preferì concentrarsi sul consolidamento delle sue strutture, reputando il basket praticato dalle donne qualcosa di scarso valore che avrebbe unicamente distratto energie e risorse. Da qui, a lungo, la pallacanestro italiana ha vissuto una profonda separazione di genere, procedendo organizzativamente divisa, come si trattasse di due corpi distinti, a sé, privi di connessioni. La Fib si occupava degli uomini, la Fiaf delle donne. Un elemento d’intrinseca debolezza di cui a soffrire di più, è facile intuirlo, fu il settore femminile.


NOTE

[1] A. PAPA, Le domeniche di Clio. Origini e storie del football in Italia, in Belfagor, n. 2, 1988, p. 132.

[2] S. GIUNTINI, Le origini del basket femminile italiano, in AA.VV., Donna e sport, a cura di M. CANELLA, S. GIUNTINI, I. GRANATA, Milano, 2019, pp. 322-338.

[3] L. PAGLIAI, Unionismo fiorentino negli anni Venti. L’Associazione Cristiana dei Giovani, in Annali di Storia di Firenze, VIII, 2012, p. 197.

[4] S. BATTENTE, T. MENZIANI, Storia sociale della pallacanestro in Italia, Manduria-Bari-Roma, 2009, p. 11.

[5] A. ROMAGNOLI, Un nuovo gioco per giovinette, in La Vedetta Senese, 28 aprile 1907.

[6] Il ritorno delle squadre dell’Associazione Ginnastica, in La Vedetta Senese, 20 maggio 1907.

[7] Associazione Ginnastica Senese “Mente Sana in Corpo Sano” Sezione Femminile, Basket-Ball giuoco ginnastico per giovanette eseguito per la prima volta da una squadra di questa Sezione. VI concorso Ginnastico Nazionale Venezia 8-12 maggio 1907, Siena, 1907.

[8] L.R. FACCIO, Giuochi ginnastici, in uso presso la Società Ginnastica di Torino, adatti ai giardini d’infanzia, alle scuole femminili, Torino, 1912.

[9] S. BATTENTE, La Grande Guerra come volano di decollo del basket in Italia, in Quaderni della Società Italiana di Storia dello Sport, n. 4, 2015, pp. 55-63.

[10] T. TERRET,Les Jeux interalliés de 1919. Sport, guerre et relations internationales, Paris, 2003, p. 41.

[11] L. ROSSI, L’Ymca e la nuova concezione del tempo libero in trincea, in AA.VV., Over there in Italy. L’Italia e l’intervento americano nella grande guerra, Roma, 2017, p. 342.

[12] D. SARESELLA, Cattolicesimo italiano e sfida americana, Brescia, 2001, p. 192.

[13] R. GILODI, La Reale Società Ginnastica di Torino. Sport e cultura nel tempo, Torino, 1994, p. 96.

[14] S. GIUNTINI, Il baseball, gli sport americani e l’Italia, in AA.VV., ItaliAmerica. Il mondo dei media, a cura di E. SCARPELLINI, J. T. SCHNAPP, Milano, 2012, pp. 147-183.

[15] La Scuola Cavalli-Conti nel venticinquesimo anniversario della sua fondazione 1897-98,1922-23, Milano, 1923.

[16] S. GIUNTINI, Cento anni di calcio in Italia: caratteri e influenze del caso milanese (1895-1909), in Storia in Lombardia, n. 3, 1999, pp. 47-49.

[17] M. ARCERI, Il grande basket storie e personaggi. 75 anni di pallacanestro italiana, Roma, 1997, p. 88.

[18] Ivi, p. 60.

[19] L’esame delle “chances” della nostra rappresentanza atletica alle Olimpiadi Interalleate di Parigi che sono cominciate ieri, in La Gazzetta dello Sport, 24 giugno 1919.

[20] A. BORELLA, Un primo bilancio dei risultati italiani, in La Gazzetta dello Sport, 9 luglio 1919.

[21] Gli sports d’importazione ai campionati militari di Roma, in La Gazzetta dello Sport, 12 novembre 1919.

[22] I campionati militari. L’ultima giornata, in La Gazzetta dello Sport, 3 novembre 1920.

[23] Le ultime gare dei Campionati Militari, in La Gazzetta dello Sport, 29 giugno 1921.

[24] A. DA ZARA, Inquadriamo lo sport, in Il Lunedì del Popolo d’Italia, 21 maggio 1923.

[25] F. VOLPE, V. VECCHIARELLI, 2000 Italia in meta. Storia della Nazionale di rugby dagli albori al Sei Nazioni, Santhià, 2000, p. 27.

[26] E. LUCCHESE, Sport di combattimento. Gli esordi del rugby in Veneto 1927/1945, Treviso, 2017, p. 16.

[27] M. MARTINI, Da Bargossi a Mennea. Storia dell’atletica italiana maschile, Roma, 1995, p. 552.

[28] Ivi, pp. 357-358.

[29] P. ALLEGRETTI, A. CAPANNI, G. PALLICCA, Due canestri sull’Arno. Trent’anni (più uno) di storia della “Florence” Basket, Firenze, 2005, p. 14.

[30] M. ARCERI, Il grande basket storie e personaggi. 75 anni di pallacanestro italiana, cit., p. 82.

[31] Ivi, p. 84.

[32] A. BRAMBILLA, Donne nello sport a Busto Arsizio, Busto Arsizio, 1999, pp. 63-102.

[33] L. FERRARIO, La I “Olimpiade della Grazia”, in La Gazzetta dello Sport, 29 marzo 1921.

[34] M. MARTINI, Correre per essere. Origini dello sport femminile, Roma, 1996, p. 95.

[35] L. FERRARIO, Il successo della prima manifestazione atletica, in La Gazzetta dello Sport, 26 settembre 1921.

[36] Il campionato femminile di basket-ball vinto dal Club Atletico Torinese, in La Stampa, 11 febbraio 1924.