Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Arbitrato dello sport: una better alternative * (di Elena Zucconi Galli Fonseca, Professore ordinario nell’Università di Bologna.)


After a brief introduction about the current condition of the sport arbitration in Italy after the sport justice system’s reform, this article highlights the main problems related to the need of consensus (formal or substantial) in the arbitration. The analysis is realized also in an international perspective linked to the activity of the Court of Arbitration for Sport. In the sport sector there could be several imbalances between the parties, firstly between athletes and clubs. Moreover, public interests become prominent, so that it is crucial to guarantee an “arbitration technique” that can balance the parties’ interests and the public community’s ones. Indeed, the central thesis of this work is that arbitration can be considered not just one different option from the State’s justice system, but it can offer to all the legal subjects involved a “better alternative”. An alternative which could fully satisfy all the interests that come into play, but only if some conditions are respected, namely: the arbitrators’ independence and neutrality; access to justice also for disadvantaged parties; jurisdictional control on arbitrations; a detailed discipline of the procedure to follow.

SOMMARIO:

1. Sviluppo delle riflessioni - 2. Stato attuale dell’arbitrato in Italia dopo la riforma della giustizia sportiva - 3. Consenso all’arbitrato: formale o sostanziale? - 4. Le recenti vicende della Corte arbitrale di Losanna: tutela arbitrale e tecnica del processo - 5. L’arbitrato sportivo come «better alternative» - NOTE


1. Sviluppo delle riflessioni

La domanda che sta al fondo di queste brevi considerazioni è: l’arbitrato può svolgere un ruolo parimenti o più efficace, rispetto agli altri mezzi di soluzione dei conflitti, per assicurare i valori dello sport? Se sì, a quali condizioni? Non aspiro ad una risposta definitiva, ma spero in qualche spunto suscettibile di ulteriori riflessioni. È un periodo «caldo» per l’arbitrato sportivo: sul fronte internazionale è sul tappeto la sua stessa legittimità (v. infra); sul fronte italiano, il CONI, nel rivedere l’intero sistema di giustizia sportiva con il codice del 2014, sembra aver voluto ridimensionare il suo ruolo, anche per via dei risultati non del tutto soddisfacenti avuti con l’esperienza passata. Eppure questo strumento di soluzione delle liti ha grandi potenzialità, specie se visto nella sua dimensione internazionale: dimensione imprescindibile dato che il talento e la competizione non hanno nazionalità [1]. I valori che lo sport esprime hanno bisogno di un sistema di soluzione dei conflitti che assicuri decisioni uniformi, pronunciate in tempi rapidissimi da giudici altamente specializzati. L’arbitrato, se ben congegnato, è in grado di assicurare tutto questo. Quanto dirò si snoda in quattro passaggi. Dopo aver brevemente dato conto (par. 2) dello stato attuale in Italia – con una necessaria precisazione circa la differenza fra arbitrato e pregiudiziale sportiva, allo scopo di evitare fraintendimenti nella parte successiva del discorso – passo alla prima que­stione nodale, vale a dire il problema del consenso all’arbitrato (par. 3). Alla luce di un breve excursus sull’esperienza più significativa in campo internazionale, cioè la Corte arbitrale per lo sport di Losanna (CAS), giungo all’idea centrale (parr. 4-5). Nel settore dello sport possono darsi squilibri fra le parti e vengono in gioco valori di interesse pubblicistico: perciò, dev’essere assicurata, dalla legge o dalla volontà delle parti (preferibilmente tramite un arbitrato amministrato), una «tecnica arbitrale» in grado di assicurare un equo bilanciamento fra le parti e gli interessi della collettività. A queste condizioni, l’arbitrato sportivo può giocare un ruolo importante: non più soltanto un rimedio alternativo ai sistemi di giustizia statuale, ma [continua ..]


2. Stato attuale dell’arbitrato in Italia dopo la riforma della giustizia sportiva

È mia convinzione che l’arbitrato vada nettamente distinto, sia dal punto di vista concettuale che da quello applicativo, dal vincolo di giustizia. L’arbitrato è, secondo l’accezione che preferisco, un mezzo privato per accertare di­ritti soggettivi ed interessi legittimi compromettibili: esso sostituisce il rimedio giurisdizionale pubblico, assicurando una piena fungibilità con quest’ultimo. Per vincolo di giustizia, o pregiudiziale sportiva, intendo, invece, l’obbligo di rivol­gersi agli organi endosportivi (siano essi endo o esofederali), per tutti i conflitti inerenti la materia sportiva, a prescindere dalla loro natura [2]: proprio perché si tratta di una «pregiudiziale», non sostituisce il rimedio giurisdizionale, quando quest’ultimo sia accordato. Sottolineo l’ultimo inciso perché occorre tenere bene presente la distinzione, il cui fondamento si trova nella legge n. 280/2003, fra controversie sportive rilevanti e non rilevanti (tecniche e disciplinari, nei limiti di quanto stabilito dalla Corte costituzionale [3]) per l’ordinamento giuridico statuale [4]. Mentre l’arbitrato può afferire unicamente alle controversie sportive di primo tipo, il vincolo di giustizia può riguardare, potenzialmente, entrambe le categorie. Sgombrato dunque il campo dalle materie irrilevanti, quelle rilevanti riguardano a) liti patrimoniali altrimenti devolute all’autorità giurisdizionale ordinaria; b) liti aventi ad oggetto atti del CONI (a struttura pubblica) o delle federazioni (a struttura privata ex legge n. 242/1999), lesivi di diritti soggettivi o interessi legittimi. Ebbene, come si pone il vincolo di giustizia in rapporto all’arbitrato, in questi casi? Astrattamente si potrebbero imboccare tre vie: a)o si attua un concorso fra i due strumenti: dapprima il ricorso alla giustizia endosportiva e poi l’arbitrato, che impedisce di rivolgersi al giudice se non per la strada (stretta) dell’impugnazione del lodo; b) oppure si sceglie in via esclusiva l’arbitrato, saltando direttamente i gradi di giustizia sportiva; c)o, infine, si impone unicamente la pregiudiziale endosportiva, escludendo l’arbi­trato, sicché la controversia sarà sempre riesaminabile dal giudice ordinario o amministrativo, a seconda del criterio di giurisdizione. Mi sembra che [continua ..]


3. Consenso all’arbitrato: formale o sostanziale?

A questo punto è pregiudiziale chiedersi se l’arbitrato possa avere piena legittimazione nel contenzioso sportivo: tutto si incentra sulla questione del consenso. I soggetti potenzialmente coinvolti sono molti e variegati: gli atleti tesserati e i c.d. ausiliari sportivi (tecnici istruttori, allenatori, maestri, dirigenti, arbitri, procuratori spor­tivi ecc.); le società e le associazioni sportive, le federazioni, gli enti di promozione, il CONI; altre figure come i gestori degli impianti di risalita o degli impianti sportivi, gli allenatori di cavalli, ecc. Per ognuno di questi soggetti, l’assenso alle clausole compromissorie contenute ne­gli statuti e negli atti regolatori dei soggetti sportivi assume contorni diversi. Va subito detto che la questione è di limiti soggettivi e non oggettivi: quando un soggetto non ha espresso alcun consenso compromissorio, né in via esplicita, sottoscrivendo la clausola arbitrale, né con rinvio a documenti che la contengono, il solo fatto che la lite abbia natura «sportiva» non importa il vincolo all’arbitrato. Ciò posto, focalizzo l’attenzione sul caso più delicato, cioè il consenso arbitrale dell’atleta (o di altri soggetti individuali come tecnici, ecc.): caso che desta ampio dibattito fra gli interpreti, per via delle vicende riguardanti la Corte arbitrale per lo sport di Losanna. Per tutte le altre ipotesi, varranno gli stessi principi, pur suscettibili di applicazioni pratiche diverse, a seconda delle diverse fattispecie che si presentano [16]. Il problema sta nel fatto che l’atleta presta il proprio consenso all’arbitrato quando, all’atto del tesseramento, accetta le regole contenute nello statuto della federazione, ivi compresa la clausola compromissoria. L’approccio al suddetto problema può essere di tipo formale-strutturale [17], oppure di tipo sostanziale-funzionale. Dal punto di vista formale, le questioni che si pongono dalla prospettiva dell’ordi­namento italiano sono le seguenti. a) Occorre la doppia sottoscrizione ex 1341 c.c.? La sua operatività è giustamente esclusa dalla giurisprudenza italiana, secondo cui non si tratta di aderire a contratti in serie o predisposti da un solo contraente, bensì di accettare le regole del gruppo, da parte di un soggetto che aspira a farvi parte [18]. b) Il [continua ..]


4. Le recenti vicende della Corte arbitrale di Losanna: tutela arbitrale e tecnica del processo

Mi pare che l’evoluzione della giurisprudenza internazionale, con riguardo all’arbi­trato davanti alla CAS, vada in questo senso, seppur con alti e bassi. Benché detta Corte non rappresenti l’unica forma di arbitrato sportivo internazionale [29], è probabilmente la più significativa. Il Tribunale federale svizzero ha sempre avuto un atteggiamento piuttosto liberale, in ordine alla natura volontaria dell’arbitrato: nei casi Nagel c. FEI [30] e Roberts c. FIBA [31] ha ritenuto che fosse sufficiente il mero rinvio allo statuto della federazione. In questo mare di tranquillità, appaiono le decisioni del Landesgericht München [32] e del giudice di secondo grado Oberlandesgericht München [33], sollecitate dal ricorso della pattinatrice Claudia Pechstein: il caso ha poi trovato una (provvisoria [34]) soluzione con la decisione del Bundesgerichtshof [35]. Il giudice tedesco di primo grado ha ritenuto che la clausola compromissoria, a cui l’atleta si è assoggettata al momento dell’entrata nella federazione, sia nulla «in ragione dello squilibrio strutturale dovuto alla posizione di monopolio delle federazioni spor­tive» [36]. L’atleta si troverebbe, infatti, nell’impossibilità di negoziare, pena l’esclusio­ne dalle competizioni sportive [37]. Particolarmente interessanti, ai nostri fini, sono le argomentazioni del giudice di se­condo grado. Pur partendo dal presupposto che la federazione internazionale è in posizione dominante, essendo monopolista nel mercato delle competizioni mondiali (nella specie, del pattinaggio di velocità), la Corte precisa che l’inserimento di una clausola compromissoria nel suo statuto non è di per sé atto di abuso di posizione dominante. Infatti, una competenza uniforme ed una procedura uguale per tutti impediscono che lo stesso caso sia deciso in modo difforme e «salvaguarda così le eguali opportunità degli atleti durante le competizioni». Non si può, dunque, ragionare in termini di assoluta mancanza di libertà nella scelta dell’arbitrato sportivo; va, invece, esaminato caso per caso, per verificare quando l’atleta non avrebbe accettato l’arbitrato, se fosse stata libera di farlo. Qui sta il passaggio interessante: se l’arbitrato garantisce un [continua ..]


5. L’arbitrato sportivo come «better alternative»

Lo sport ha bisogno di giurisprudenza uniforme, per garantire l’eguaglianza fra atleti, società, federazioni: è in gioco l’affermazione, in tutto il mondo, di quella che la dottrina denomina lex sportiva, espressione dei principi fondamentali di lealtà, eguaglianza e buona fede [54]. Per assicurare detti principi, occorre efficienza e rapidità: in alcuni casi addirittura un c.d. 24-hourprocess, che solo l’arbitrato può garantire, attesa la flessibilità del modello procedimentale; flessibilità che permette, altresì, di fare ricorso ad istituti a cui il giurista di civil law non è familiare, come l’amicus curiae, utile in un settore in cui vengono in gioco, indirettamente, interessi ultronei rispetto a quelli delle parti in lite (si pensi a soggetti terzi come una lega, un’associazione di atleti, ecc., che potrebbero subire potenziali ricadute dalla decisione assunta dagli arbitri). L’uniformità viene, altresì, garantita dalla massima pubblicità dei procedimenti e dalla specializzazione degli arbitri, perfettamente compatibile con la loro terzietà [55]; mentre l’esigenza di misure cautelari (che la legge italiana non permette agli arbitri, salvo le sospensioni delle delibere assembleari delle società), può essere soddisfatta attraverso prescrizioni comportamentali, dettate dagli arbitri alle parti ed assistite da sanzioni endogruppo [56]. Si tratta di vantaggi che, a ben vedere, possono andare a favore della parte più debole [57]. D’altro canto, però, in un sistema in cui, oltre a venire in gioco interessi che superano il singolo, possono darsi situazioni di squilibrio all’interno della comunità, il «giusto arbitrato sportivo» va assicurato con una tecnica arbitrale che permetta di realizzare appieno questi interessi [58]. In che modo? Provo a focalizzare qualche spunto, calandomi ora maggiormente nella prospettiva italiana. a) L’equidistanza degli arbitri e dell’ente amministratore. Si è visto come il requisito di equidistanza dell’organo arbitrale rispetto alle parti o, meglio, rispetto alle categorie alle quali appartengono i contendenti sia irrinunciabile. Significativo è il recente dibattito americano sull’idoneità del capo della National Football League a fungere da [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2016