Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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L´accompagnamento in montagna. Disciplina ed abuso (di Riccardo Crucioli, Giudice penale del Tribunale di Genova)


L’articolo esamina le diverse tipologie di accompagnamento delle persone in montagna e approfondisce la disciplina normativa di riferimento e gli indirizzi giurisprudenziali sulla responsabilità penale per l’esercizio abusivo della professione di guida alpina.

Accompaniment in the mountains. Discipline and abuse

The article examines the different types of support for people in the mountains and examines the relevant legislation and the jurisprudential guidelines on criminal liability for the abusive exercise of the profession of alpine guide.

SOMMARIO:

Premessa - 1. Chi sono le guide alpine, l’Accompagnatore di Media Montagna, le Guide Ambientali Escursionistiche, gli accompagnatori non professionali, gli accompagnatori di fatto: un po’ di chiarezza - 1.1. La guida alpina - 1.2. L’Accompagnatore di Media Montagna e la Guida Ambientale Escursionistica - 1.3. L’accompagnatore non professionale: gli istruttori del CAI e le guide di fatto - 2. Il reato di esercizio abusivo della professione. I tradizionali elementi costitutivi della fattispecie nell’impatto con la prassi - 3. La più significativa giurisprudenza costituzionale, amministrativa e penale sulla “guida abusiva” - 4. Profili problematici - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


Premessa

Ibis redibis, non morieris in bello. Partirai e tornerai, non morirai in guerra. Oppure: Ibis redibis non, morieris in bello. Partirai e non tornerai, morirai in guerra. Tema di stretta attualità, purtroppo; ma anche storia mai sopita degli equivoci che possono essere generati dalle parole, poco importa se pronunciate o scritte. Nelle pagine che seguiranno, si tenterà di procedere all’interno di un ambito assai peculiare, quello dell’esercizio abusivo della professione della guida alpina, ma che ha avuto, ha e, presumibilmente, avrà ricadute di non secondo momento sulla disciplina degli accompagnatori in montagna, latamente intesi. Si affronterà il tema ex professo, cercando cioè di non prendere posizione a favore o contro una delle categorie coinvolte, essendovi legittime, seppur in alcuni casi non condivisibili, ragioni che agitano i vari portatori di interessi. Sembra quasi di assistere alle diatribe intercorrenti tra i titolari di licenze per taxi, gli N.C.C. ed i conducenti di Uber, oppure tra i balneari e gli aspiranti concessionari o, ancora, per richiamare un caso “classico” di esercizio abusivo della professione, tra odontoiatri e odontotecnici o tra medici e categorie ad essi affini: tutti casi nei quali è spesso arduo sbrogliare la matassa di norme scritte male e pensate peggio. Per tale ragione, ed anche per cercare di far comprendere la norma a chi dovrà poi applicarla o anche solo cercare di non incorrere in sanzioni, si tenterà di chiarire quali sono le figure (professionali e non) coinvolte, quali le loro qualifiche ed i loro percorsi formativi; per poi passare ad una breve disamina della fattispecie astratta prevista dal­l’art. 348 c.p., valutandone anche le applicazioni giurisprudenziali (in primis, con la fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 459/2005); individuando i profili problematici e cercando, infine, di offrire maggiore chiarezza nella comprensione della materia, essendo pienamente consapevoli che il reale sfugge inesorabilmente a rigide classificazioni.


1. Chi sono le guide alpine, l’Accompagnatore di Media Montagna, le Guide Ambientali Escursionistiche, gli accompagnatori non professionali, gli accompagnatori di fatto: un po’ di chiarezza

Spesso, sia nel corso di convegni specializzati, che all’interno di siti internet e nei vari blog dedicati alla montagna, è possibile rinvenire commenti che fanno riferimento, in modo assai impreciso, a soggetti che svolgono l’attività di accompagnamento; a coloro che conducono, cioè, altre persone in contesto montano. Dato il rilievo che le definizioni hanno per il prosieguo del ragionamento, si impone, in primo luogo, di perimetrare in modo rigoroso i concetti, affidando alle parole il senso corretto [1]. L’attività di accompagnamento può essere basata: – sul contratto di prestazione d’opera, oneroso o meno, e si avranno allora, da un lato, clienti e guide alpine e, dall’altro, clienti e Accompagnatori di Media Montagna (A.M.M.) o Guide Ambientali Escursionistiche (G.A.E.); – sul contratto associativo, come nel caso di istruttori e soci del CAI o di altri enti (vedi, ad esempio, quelli che si occupano di canyoning); – sull’attività materialmente posta in essere da amici, conoscenti o anche solo persone che si incontrano, e si avrà allora la controversa, ma non per questo meno rilevante, figura dell’accompagnatore di fatto. Sulla base di tali elementi è possibile, dunque, distinguere le seguenti categorie: – accompagnatori professionali: guide alpine, A.M.M. e G.A.E.; – accompagnatori non professionali: figure qualificate proprie delle associazioni; – accompagnatori di fatto: sostanzialmente “chiunque”. I primi sono caratterizzati – per quanto qui di interesse – dall’essere inseriti in ambiti professionali definiti da norme, nazionali e regionali, ma una sola tra le categorie richiamate costituisce una professione “riservata”, ossia “protetta” con tutele di diritto civile e con la previsione di sanzioni penali, come quelle indicate dall’art. 348 c.p., rubricato “Esercizio abusivo di una professione”. È proprio dalla necessità di comprendere in cosa consista davvero la tutela approntata dall’ordinamento che derivano i problemi che si intendono di seguito affrontare, con una preliminare disamina delle diverse tipologie di accompagnamento in montagna.


1.1. La guida alpina

La legge n. 6/1989 reca i principi fondamentali per la legislazione regionale in materia di ordinamento della professione di guida alpina; si è dunque in presenza di una legislazione concorrente tra Stato e Regioni, elemento di criticità di cui si dirà. L’art. 2 stabilisce che: «è guida alpina chi svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, le seguenti attività: a) accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio o in escursioni in montagna; b) accompagnamento di persone in ascensioni sci-alpinistiche o in escursioni sciistiche: c) insegnamento delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche con esclusione delle tecniche sciistiche su piste di discesa e di fondo. 2. Lo svolgimento a titolo professionale delle attività di cui al comma 1, su qualsiasi terreno e senza limiti di difficoltà e, per le escursioni sciistiche, fuori delle stazioni sciistiche attrezzate o delle piste di discesa o di fondo, e comunque laddove possa essere necessario l’uso di tecniche e di attrezzature alpinistiche, è riservato alle guide alpine abilitate all’esercizio professionale e iscritte nell’albo professionale delle guide alpine istituito dall’articolo 4, salvo quanto disposto dagli articoli 3 e 21». Come è stato autorevolmente notato [2], il legislatore ha introdotto una disciplina pubblicistica istituendo una figura che svolge un’attività professionale assai particolare. Si tratta, infatti, di un soggetto che pratica una libera professione in modo anche saltuario (tipico di chi lavora in montagna, in estate ed in inverno) e non esclusivo (ben potendo la guida svolgere anche altri lavori) e che è condizionato all’iscrizione nel relativo albo professionale [3]. Infatti, per potersi iscrivere all’albo, e poter non solo divenire guida alpina, ma anche esercitare l’attività, il professionista deve necessariamente ottenere la relativa abilitazione tecnica (ed essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 5) [4]. Tale abilitazione si ottiene accedendo, in primis, al corso di formazione per aspiranti guide alpine; solo chi ha un curriculum adeguato e capacità fisiche notevoli (da dimostrare sul campo durante una selezione di tre giorni con esercizi e prove su roccia, scialpinismo, ghiaccio e misto) potrà partecipare al percorso formativo [continua ..]


1.2. L’Accompagnatore di Media Montagna e la Guida Ambientale Escursionistica

L’art. 21 della legge n. 6/1989 autorizza le Regioni a prevedere la formazione e l’abilitazione di Accompagnatori di Media Montagna. Con tale qualifica, la legge nazionale si riferisce ad un soggetto che è abilitato a svolgere l’attività di accompagnamento “in una zona o regione determinata [...] e illustra alle persone accompagnate le caratteristiche dell’ambiente montano percorso”; con il termine “accompagnamento” la legge espressamente si riferisce alle attività di cui all’art. 2, comma 1, ma “con esclusione delle zone rocciose, dei ghiacciai, dei terreni innevati e di quelli che richiedono comunque, per la progressione, l’uso di corda, picozza e ramponi”. Si è in presenza, secondo la volontà del legislatore nazionale, di un soggetto notevolmente diverso rispetto alla guida alpina-maestro di alpinismo: il rapporto professionale non è più incentrato sull’attività di accompagnamento in ambiente montano e pericoloso (si vorrebbe dire un accompagnamento sportivo o “fine a sé stesso”), bensì sull’illustrazione delle bellezze e della natura presente in ambiti sostanzialmente privi di pericoli [7]. Il raffronto tra l’art. 21 e l’elencazione di cui all’art. 2, comma 1, legge n. 6/1989 consente di precisare che l’attività dell’A.M.M. può essere svolta in ascensioni ed escursioni unicamente in un territorio montano privo di significative insidie; è, infatti, espressamente vietato dall’art. 21 legge n. 6/1989 l’accompagnamento su zone rocciose, ghiacciai, terreni innevati, oltre che su quelli che, pur essendo privi di tali caratteristiche, richiedono per la progressione l’uso di corda, picozza e ramponi. La dizione della legge pare molto chiara nel prevedere l’uso degli strumenti da ultimo citati come elemento diverso ed ulteriore rispetto a quanto indicato nella prima parte: dunque l’A.M.M. non può accompagnare i clienti: – in zone rocciose, su ghiacciai e “su terreni innevati” – disposizione che deve essere letta unitamente alla successiva, che non è esplicativa, ma indicativa di ulteriori ambienti con pericoli naturali da superare mediante strumenti appositi (“e di quelli che richiedono comunque...”) –; – in altri percorsi (dunque anche non [continua ..]


1.3. L’accompagnatore non professionale: gli istruttori del CAI e le guide di fatto

Nell’accingersi ad affrontare quale è davvero l’attività concretamente riservata alle guide alpine, si impone una precisazione. Le guide alpine e gli A.M.M. (e, se si vuole, i G.A.E.) sono figure professionali; la loro attività lavorativa è rivolta a clienti che corrispondono un compenso per ottenere una controprestazione (di accompagnamento in zone pericolose, le guide, o di accompagnamento in zone non pericolose, ma con spiegazioni dell’ambiente circostante, gli altri accompagnatori). Del tutto differenti sono gli accompagnatori non professionali. Si tratta degli istruttori del CAI, espressamente menzionati dall’art.21 della legge n. 6/1989, che – all’interno di veri e propri corsi organizzati dal Club Alpino Italiano, ente disciplinato con la legge n. 91/1963 s.m.i. – possono essere addestrati a svolgere in modo non professionale attività sci alpinistiche. Gli istruttori, così formati, non possono ricevere alcuna retribuzione (si tratta di attività di volontariato), svolgono la loro opera a carattere non professionale ed unicamente nei confronti dei soci CAI. Ancora più specifica è la figura dell’accompagnatore di fatto, emersa dalla pratica giurisprudenziale, che si sostanza nel mero accompagnamento di amici o conoscenti nel corso di attività in territorio montano. In tali casi è assente non solo il carattere della professionalità, ma anche quello di una strutturata sovra ordinazione dell’accom­pagnatore di fatto sull’accompagnato. La figura in esame può, tuttavia, avere rilievo, in presenza di ben determinate circostanze, ai fini del riconoscimento della responsabilità civile extracontrattuale o penale [9]. Nel caso, poi, in cui un accompagnatore o un istruttore effettui prestazioni a pagamento nei confronti di clienti per attività riservate alle guide alpine, non si tratterà di accompagnatore di fatto o di istruttore del CAI, ma di soggetto che commette il reato di cui all’art. 348 c.p. (Esercizio abusivo di una professione).


2. Il reato di esercizio abusivo della professione. I tradizionali elementi costitutivi della fattispecie nell’impatto con la prassi

La descrizione della fattispecie di cui all’art. 348 c.p. si sostanzia in poche parole: “chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è prevista una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da €10.000 a € 50.000” [10]. Seguono due commi quasi sconosciuti alla pratica forense poiché introdotti con la legge 11 gennaio 2018, n. 3 [11]. Il primo riguarda le sanzioni accessorie (pubblicazione della sentenza, confisca delle cose usate per commettere il reato e trasmissione atti all’Ordine, albo o registro). Il secondo, che sarà certamente foriero di molte polemiche, riguarda l’aggravante per il professionista che ha determinato altri a commettere il reato o (“ovvero”, termine non propriamente corretto) ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo. Deve essere chiaro – per le implicazioni inevitabili – che il bene giuridico protetto è l’interesse al normale funzionamento della pubblica amministrazione: lo Stato tutela i cittadini imponendo che determinate professioni, ritenute di particolare interesse pubblico, siano esercitate unicamente da soggetti qualificati, id est titolari di una speciale abilitazione dello Stato [12]. Per tale ragione è del tutto irrilevante che il soggetto accompagnato presti il proprio consenso, scegliendo un soggetto non abilitato ad esercitare la professione di guida alpina. Non vi è spazio per l’esimente di cui all’art. 50 c.p., essendo l’interesse protetto ultra-individuale e riguardando diritti non disponibili dal singolo contraente [13]. In altri termini, il delitto in esame è volto a tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione, affinché sia garantito che l’esercizio di determinate attività professionali avvenga da parte di chi sia munito della necessaria competenza tecnica, verificata mediante il rilascio di una speciale attestazione di idoneità da parte dello Stato o l’iscrizione in un albo professionale. Si tratta di un delitto di pericolo presunto, integrato cioè a prescindere dal fatto che il soggetto non qualificato o non iscritto sia o meno munito della perizia necessaria per eseguire una determinata prestazione ed essendo sufficiente la realizzazione di una condotta che rientri nell’ambito [continua ..]


3. La più significativa giurisprudenza costituzionale, amministrativa e penale sulla “guida abusiva”

Per comprendere il significato di una sentenza o di un provvedimento giurisdizionale non è sufficiente limitarsi a leggere la massima (ancor più se non ufficiale), né studiarne una mera annotazione. È, invece, indispensabile leggere integralmente il provvedimento, compresa la descrizione del fatto sottoposto al giudicante. Non solo: spesso i richiami ai precedenti provvedimenti sono ritenuti, dal Giudice, sufficienti a chiarire la situazione giuridica, di talché il lettore può essere sviato da una non accorta attività di sintesi [32]. Un esempio di parziale comprensione del reale significato delle pronunce concerne i commenti alla sentenza n. 459 emessa dalla Corte costituzionale il 14 dicembre 2005 [33]. La Consulta era stata chiamata a decidere, dal TAR della Regione Emilia-Roma­gna, sulla costituzionalità di una legge regionale riguardante proprio la possibilità per “una nuova figura professionale, la guida ambientale-escursionistica” di svolgere l’attività “in ambienti montani”. Tralasciando le questioni di competenza legislativa concorrente [34], non rilevanti ai fini in esame, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione. A prima vista sembrerebbe, dunque, che la legge della regione Emilia-Romagna abbia consentito alle G.A.E. di svolgere l’attività riservata alle guide alpine. E così, effettivamente, è parso anche ad alcuni commentatori della sentenza, trascurando però di evidenziare la complessiva valutazione della Consulta, che ha affrontato in modo articolato l’attività riservata alla guida alpina. In particolare, leggendo la motivazione, peraltro non particolarmente lunga o complessa, si può comprendere che: 1) il vero problema da risolvere riguarda l’ampiezza non della potestà legislativa regionale, bensì delle attività professionali che la specifica normativa di cornice, contenuta nella legge n. 6/1989, riserva alle guide alpine; attività che, a motivo di tale riserva, non possono essere attribuite ad altre figure professionali operanti nell’ambito turistico. Da questo punto di vista, peraltro, ciò che distingue effettivamente la guida alpina è non già una generica attività di accompagnamento in aree montane, ma l’ac­compagnamento su qualsiasi terreno che comporti [continua ..]


4. Profili problematici

Appurato, dunque, che dal panorama giurisprudenziale, certamente vasto e variegato, si traggono importanti precisazioni sull’integrazione della fattispecie di esercizio abusivo della professione e che è possibile enucleare alcuni punti fermi, è, tuttavia, innegabile l’esistenza di profili problematici [46]. Senza velleità di completezza, è comunque possibile cercare di ricondurre ad unità anche tali aspetti controversi. Un primo profilo di interesse, esclusivamente tecnico, riguarda la qualificazione del reato come abituale o istantaneo e, dunque, la possibilità di unificare i vari reati sotto il vincolo della continuazione. Al riguardo, si è riscontrato un risalente contrasto di giurisprudenza. Secondo alcune pronunce, l’esercizio abusivo della professione è solo eventualmente abituale: la reiterazione degli atti tipici dà luogo ad un unico reato, il cui momento consumativo coincide con l’ultimo di essi, vale a dire con la cessazione della condotta. Quindi, laddove vengano posti in essere più atti riservati a chi sia in possesso della prescritta abilitazione, si risponde comunque di un unico reato e non di una pluralità di reati, avvinti dal vincolo della continuazione [47]. Secondo altre sentenze il reato è istantaneo: anche un solo atto tipico proprio della professione abusivamente esercitata è sanzionabile; ciò non priva di rilevanza penale le condotte successive integranti, ciascuna, autonomi atti di abusivo esercizio della professione, condotte il cui protrarsi determina la continuazione di altrettante ipotesi di reato in relazione alle quali è certamente ravvisabile la continuazione [48]. Il contrasto può trovare soluzione in esito alla decisione della Corte di cassazione a Sezioni Unite, n. 11545 del 15 dicembre 2011, più volte citata: l’esercizio abusivo di un “atto tipico” è di per sé reato e, dunque, ogni esercizio deve essere considerato come tale ai fini dell’eventuale continuazione ex art. 81 c.p.; l’esercizio abusivo di un “atto caratteristico”, invece, ha rilievo solo se esercitato in modo plurimo e dunque, si potrà avere il delitto solo nella misura in cui vi sia reiterazione, con la presenza di un unico reato. Un secondo profilo problematico riguarda, invece, la posizione dell’organizzatore del lavoro [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

Chiariti i presupposti per lo svolgimento lecito dell’attività di guida alpina, precisate le differenze con l’A.M.M. e con la G.A.E., perimetrata la fattispecie del delitto di cui all’art. 348 c.p., illustrati i principali arresti giurisprudenziali ed elencati, infine, alcuni profili problematici, è ora possibile trarre delle considerazioni conclusive. Sussistono alcuni punti fermi, sui quali vi è una ragionevole certezza giuridica. Il primo è che la professione di guida alpina è ancora protetta, nonostante numerose polemiche sorte negli ultimi anni abbiano posto in discussione il tema, e che le attività di cui alla legge n. 6/1989, art. 2, sono riservate. Il secondo è che la Guida Ambientale Escursionistica è una professione disciplinata da leggi o comunque da norme delle singole regioni, le quali sono, peraltro, legittimate a inquadrare tale professione sia nell’ambito dell’art. 21 della legge n. 6/1989 (Accompagnatore di Media Montagna) sia in altri ed innovativi settori (quale quello turistico alberghiero). Il terzo, che è in sostanza quello maggiormente rilevante, riguarda in concreto la tipologia di attività riservate. Per poter perimetrare in modo corretto l’attività che il legislatore affida in modo esclusivo alle guide, è necessario esaminare il combinato disposto degli articoli 2 e 21 della legge n. 6/1989. Da una lettura attenta di tali norme, non può sorgere alcun dubbio sul fatto che sono riservate le attività di accompagnamento su: – ghiaccio, roccia ed in ascensioni sci-alpinistiche o sciistiche; – qualunque terreno che richieda l’uso di tecniche sciistiche ed alpinistiche da intendersi come terreno che richieda per la progressione l’uso di corda, picozza e ramponi. Nessun dubbio, all’opposto, può sorgere sul fatto che l’attività di accompagnamento “in montagna” non è, di per sé, attività riservata. Nonostante il dettato dell’art. 2 legge n. 6/1989, lette. a) (“accompagnamento in escursioni in montagna”) si è già visto che la Corte costituzionale, con la sentenza 459/2005, ha chiaramente escluso che la generica attività di accompagnamento in aree montane costituisca attività esercitabile unicamente dalla guida alpina [56]. È “nel mezzo” di tali [continua ..]


NOTE