Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Rassegna della giurisprudenza più recente del Collegio di Garanzia dello sport gennaio 2020-dicembre 2021 (di Eleonora Jacovitti, Dottore di Ricerca in Diritto Privato nell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Lo scopo del presente lavoro è quello di analizzare gli orientamenti più importanti del Collegio di Garanzia dello Sport degli ultimi due anni. Dalla rassegna svolta emergono importanti principi sia di diritto sostanziale che procedurale.

Parole chiave: Giustizia Sportiva, Ordinamento Sportivo, Collegio di Garanzia dello Sport, Codice di Giustizia Sportiva.

Review of the most recent jurisprudence of the sports guarantee committee january 2020-december 2021

The aim of this work is to analyse the most important orientations of the Sports Guarantee Committee of the last two years. Important principles concerning both substantive and procedural law emerge from the review.

Keywords: Sports Justice, Sports Legal System, Sports Guarantee Committee, Sports Justice Code.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Decisioni del Collegio attinenti a profili di natura procedurale - 2.1. Natura del termine per l’esercizio dell’azione disciplinare - 2.2. Filtro all’accesso ex art. 54, comma 1, CGS del CONI e ipotesi di c.d. “doppia conforme” - 2.3. Legittimazione attiva - 2.4. Validità degli atti e notificazioni - 2.5. Contrasto tra dispositivo e motivazione - 2.6. Violazione del giudicato - 2.7. Sospensione feriale dei termini processuali - 2.8. Carenza di legittimazione in capo agli organi di giustizia sportiva a sollevare questioni di legittimità costituzionale - 3. Decisioni del Collegio su questioni di natura sostanziale - 3.1. Illecito sportivo - 3.2. Applicabilità del principio del favor rei al processo sportivo - 3.3. Protocolli sanitari FIGC e obblighi gravanti sui medici sociali e sul presidente e legale rappresentante della società - 3.4. Disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audio­visivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse in ossequio al principio di mutualità generale - 3.5. Responsabilità degli amministratori ex art. 21, commi 2 e 3, NOIF della FIGC - 3.6. Riapertura del procedimento disciplinare dopo il provvedimento di archiviazione - 3.7. Premi - 3.8. Agenti sportivi - 3.9. Requisiti per l’iscrizione nel Registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche e nozione di attività sportiva e didattica - 3.10. L’interpretazione della legge n. 8/2010 in tema di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del CONI, delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate - 3.11. Applicabilità alle Federazioni Sportive Nazionali aventi natura pubblicistica delle disposizioni relative agli enti pubblici - 3.12. Cause di ineleggibilità ex art. 7.4, comma 7 dei Principi Fondamentali delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive As­sociate - NOTE


1. Premessa

Sin dall’inizio della sua attività, il Collegio di Garanzia dello Sport ha avuto occasione di affrontare e decidere questioni particolarmente complesse in diversi ambiti sportivi, fissando una serie di principi di diritto che, pur non essendo vincolanti, costituiscono un punto di riferimento fondamentale per l’interpretazione delle regole giuridiche, andando così a formare il “diritto sportivo vivente” [1].

Prima di passare in rassegna la giurisprudenza più recente, si osserva, dati alla mano, che il 2021 è l’anno che ha registrato il maggior numero di ricorsi presentati al Collegio a far data dalla sua istituzione (n. 134,), immediatamente seguito dal 2020 (n. 120) [2].

Il 2021 raggiunge altresì il primato assoluto di decisioni emesse, pari a 117; 66, invece, sono quelle riferibili all’anno 2020 [3]. Relativamente ai pareri, il numero (n. 6 nell’anno 2021, e altrettanti nel 2020) è abbastanza in linea con gli anni precedenti.

L’ultimo biennio, nel complesso, risulta quindi caratterizzato da una notevole mole giurisprudenziale; notevole, beninteso, non solo per la quantità, ma altresì per il carattere significativo delle questioni sulle quali il massimo organo della giustizia sportiva è stato chiamato a pronunciarsi.

Giova rilevare, inoltre, che nel contesto emergenziale di questi ultimi due anni è stata attribuita una nuova competenza al Collegio, in unico grado e con cognizione estesa al merito, relativa alle controversie derivanti dai provvedimenti relativi ai campionati adottati dalle Federazioni per contrastare la diffusione del Covid-19, in virtù dell’art. 218 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77. Precisamente, la disposizione richiamata, in considerazione del­l’eccezionale situazione determinatasi a causa della emergenza epidemiologica da Covid-19, ha attribuito alle federazioni sportive nazionali il potere di adottare, anche in deroga alle vigenti disposizioni dell’ordinamento sportivo, provvedimenti relativi al­l’annullamento, alla prosecuzione e alla conclusione delle competizioni e dei campionati, professionistici e dilettantistici, ivi compresa la definizione delle classifiche finali, per la stagione sportiva 2019/2020, nonché i conseguenti provvedimenti relativi al­l’organizzazione, alla composizione e alle modalità di svolgimento delle competizioni e dei campionati, professionistici e dilettantistici, per la successiva stagione sportiva 2020/2021.

In virtù della nuova competenza attribuitagli, il Collegio si è ritrovato a decidere sull’impugnazione spiegata nei confronti dei provvedimenti emergenziali emanati dalla FIGC, con riguardo ai campionati di Serie B, Lega Pro, LND e della Divisione Calcio Femminile, affermando un principio importante: le scelte operate dalla federazione nei provvedimenti impugnati sono espressione di una discrezionalità tecnica che può essere sindacata solo allorché sia “macchiata” da manifesta irragionevolezza ed illogicità [4].

Ebbene, nel caso specifico, le Sezioni Unite hanno ritenuto che la discrezionalità della Federazione nell’utilizzo del potere derogatorio attribuitole dal legislatore statale fosse stata esercitata in modo non irragionevole, nello spazio che la norma di legge consentiva, secondo criteri razionali che salvaguardassero al massimo il risultato conseguito precedentemente sul campo, nel bilanciamento con le esigenze di salute pubblica; senza contare che le prescrizioni ivi contenute si collocavano esattamente nel solco delle linee di indirizzo della UEFA.

A una soluzione differente, invece, è approdata la I Sezione, che nel decidere su provvedimenti emessi dalla FIGB, in applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite ha reputato che, nel caso di specie, la Federazione avesse travalicato lo spazio che la norma di legge consentiva, fuori dai criteri razionali che salvaguardassero il c.d. merito sportivo, nel bilanciamento con le esigenze di salute pubblica [5].

È opportuno rilevare che nel contesto emergenziale – tuttora, purtroppo, in corso – il Collegio di Garanzia dello Sport si è ritrovato a dirimere questioni piuttosto delicate anche nell’ambito della sua competenza generale quale giudice di ultimo grado e di legittimità, come nel caso di squadre non presentatesi alle partite da disputare a seguito di provvedimenti restrittivi delle ASL per via dei contagi riscontrati. In tali occasioni – ben note alla cronaca – le Sezioni Unite hanno affermato che un provvedimento di legge o di carattere amministrativo emesso dalle competenti autorità sanitarie che, per tutelare l’interesse pubblico a cui sono preposte, impone prescrizioni comportamentali o divieti, configura il c.d. factum principis rilevante nelle ipotesi di forza maggiore ex art. 55 delle Norme Organizzative Interne della FIGC (NOIF); invero, si tratta di atti di fonte superiore rispetto alle norme federali ed ai relativi protocolli i quali cedono di fronte ai medesimi, rendendo impossibile la prestazione dell’obbligato indipendentemente dalla sua volontà [6].


2. Decisioni del Collegio attinenti a profili di natura procedurale

Passando all’esame della più significativa giurisprudenza recente del Collegio di Garanzia dello Sport, si comincerà dalle questioni attinenti ai profili di ordine procedurale. Precisamente, esse attengono a: la natura del termine per l’esercizio dell’azione disciplinare; il filtro all’accesso ex art. 54, comma 1, CGS del CONI, con particolare riguardo all’ipotesi di c.d. “doppia conforme”; la legittimazione attiva; la validità degli atti e le notificazioni; l’ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione; la violazione del giudicato; la sospensione feriale dei termini processuali; la carenza di legittimazione in capo agli organi di giustizia sportiva a sollevare questioni di legittimità costituzionale.


2.1. Natura del termine per l’esercizio dell’azione disciplinare

Si rammenta che la questione circa la natura del termine previsto per l’azione disciplinare di cui all’art. 32 ter del previgente Codice di Giustizia Sportiva della FIGC [7], la cui disciplina è stata poi trasposta nell’art. 125 del Codice vigente (30 giorni, decorrenti dal deposito della memoria difensiva predibattimentale o dall’audizione del soggetto indagato) è stata più volte affrontata in passato dal Collegio, senza tuttavia che si sia formato un orientamento consolidato.

Secondo un primo orientamento enunciato dalle Sezioni Unite, il suddetto termine non avrebbe natura perentoria; secondo tale linea interpretativa, l’art. 38, comma 6 del Codice previgente, nella parte in cui dispone che «tutti i termini previsti nel presente codice sono perentori», è infatti inserito all’interno del Titolo IV, rubricato «Norme generali del procedimento» e, pertanto, è applicabile limitatamente alla fase decisoria. Inoltre, non contenendo l’art. 32 ter, comma 4, CGS della FIGC (norma integralmente mutuata dall’art. 44, comma 4, CGS del CONI) un’esplicita previsione di perentorietà dei termini per l’apertura e la conclusione del procedimento disciplinare, questi non potrebbero considerarsi perentori, anche sulla scorta del richiamo alle norme processual-civilistiche (cfr. art. 152 c.p.c.) operato dall’art. 2, comma 6, CGS del CONI. Infine, la natura perentoria del termine rischierebbe di compromettere il contemperamento delle esigenze di accertamento della responsabilità dell’indagato e di garanzia dell’indagato stesso dal resistere ad un processo manifestamente infondato, specie nei procedimenti particolarmente complessi [8].

A favore della perentorietà del termine in esame, invece, si è espressa la Sezione Consultiva [9] in un parere avente ad oggetto la natura dei termini previsti dal Regolamento di Giustizia FIT (precisamente, gli artt. 98, commi 4 e 5, 99, comma 1, e 101, comma 3), i quali recano sostanzialmente la medesima disciplina prevista dal CGS della FIGC.

Secondo la Consultiva, l’omessa previsione del carattere perentorio dei suddetti termini non è sufficiente ad escluderne la perentorietà, considerato che il fine è quello di garantire l’esercizio di difesa dell’indagato, di evitare che resti assoggettato per un tempo indefinito alle indagini della Procura Federale e di consentire la definizione degli addebiti in tempi contenuti; in assenza di una eccezionale diversa previsione, dunque, l’inosservanza degli stessi determinerebbe la decadenza dal potere di esercizio del potere disciplinare della Procura Federale e l’inefficacia degli atti compiuti tardivamente.

Peraltro, riconoscendo le ragioni di giustizia sostanziale che potrebbero imporre un temperamento al rigore dei termini decadenziali in casi di particolare complessità delle indagini, la Consultiva ha precisato che «per questo, la decorrenza del termine di trenta giorni (…) è fatta dipendere dalla scadenza di altro termine, non fissato una volta per tutte (…) ma variabile e definito, in base alle concrete esigenze, dal Procuratore, che “entro venti giorni dalla conclusione delle indagini” assegna all’interessato un termine per la presentazione di memorie o per chiedere di essere sentito (art. 98, c. 4). Parimenti, l’art. 101, c. 3, sullo svolgimento delle indagini, dispone un sistema di proroghe, motivate e in casi eccezionali, del quale fruire quando la complessità del caso e le eventuali difficoltà nei rilievi probatori lo necessitino».

Di recente, la II Sezione del Collegio di Garanzia è tornata a pronunciarsi sulla questione [10].

Il Collegio abbraccia la tesi della perentorietà del termine sulla base di una serie di considerazioni che sembrano fare chiarezza una volta per tutte.

Anzitutto, se è vero che l’art. 32 CGS della FIGC non qualifica espressamente i termini in esso previsti, esso andrebbe letto in combinato disposto con l’art. 38, comma 6, CGS della FIGC, secondo cui: «Tutti i termini previsti dal presente Codice sono perentori»; non si comprende, infatti, perché quest’ultima disposizione debba ritenersi applicabile solo alla fase contenziosa, dato che si riferisce a tutti i termini del “presente Codice” e non del “presente Titolo”.

Al di là del dato meramente letterale, argomenti in senso contrario non sembrano potersi desumere neppure sotto il profilo sistematico: l’art. 32 ter è collocato all’inter­no del Titolo III, dedicato agli “Organi della giustizia sportiva”, quindi ai giudici sportivi territoriali e nazionali, al Tribunale Federale, alla Corte Federale, ecc.; l’art. 38, nel Titolo IV, rubricato “Norme generali del procedimento” [11].

A sostegno della perentorietà del termine, militano altresì ragioni di ordine logico e funzionale: la funzione perseguita dalla norma, di celerità del procedimento di giustizia sportiva, ma soprattutto di garanzia dell’esigenza di una rapida definizione della posizione dell’incolpato e del suo diritto di difesa, induce a considerazioni che possono anche prescindere dalla espressa qualificazione del termine in questione.

Il termine in esame non ammette dilazioni neppure in considerazione di eventuali ragioni di complessità del caso concreto, delle quali ha già tenuto conto il legislatore, offrendo al Procuratore una serie di strumenti per modulare la durata delle indagini [12]. Ponendosi in continuità con l’indirizzo ermeneutico espresso dalla Consultiva, la II Sezione precisa che le ragioni di complessità del caso concreto operano, invero, in una fase precedente (quella che si dipana dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante fino alla conclusione delle indagini), e non possono comportare, ex post (ossia dopo l’ormai avvenuta conclusione delle indagini), una deroga alla cadenza procedimentale di cui all’art. 32 ter.

Appare chiara la scansione temporale: l’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante apre la fase delle indagini, durante la quale la Procura Federale ha a disposizione strumenti per modularne diversamente la durata in base alla complessità del caso concreto; terminate le indagini, il Procuratore può disporre l’archiviazione ovvero informare l’interessato (non ancora incolpato) della propria intenzione di procedere al deferimento, indicandone gli elementi a sostegno, e assegnando all’interessato un termine (non superiore a 15 gg., ex art. 123 del nuovo CGS della FIGC) per chiedere di essere sentito o per presentare una memoria; trascorso questo termine, il Procuratore ha trenta giorni per esercitare l’azione disciplinare. Una volta che inizia a decorrere il termine di trenta giorni per l’esercizio dell’azione disciplinare, l’unica esigenza è quella di evitare che l’incolpato rimanga, oltre quei trenta giorni e per un tempo indefinito, assoggettato alle determinazioni della Procura Federale, in una situazione di totale incertezza.


2.2. Filtro all’accesso ex art. 54, comma 1, CGS del CONI e ipotesi di c.d. “doppia conforme”

Altro tema importante sul quale il Collegio di Garanzia dello Sport è tornato ad occuparsi è quello filtro all’accesso [13], di cui all’art. 54, comma 1, CGS del CONI.

Si rammenta a tale proposito che la citata disposizione prevede che «Avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale ed emesse dai relativi organi di giustizia, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro, è proponibile ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, di cui all’art. 12 bis dello Statuto del Coni».

Il legislatore sportivo individua così la competenza del Collegio attraverso due criteri, uno per materia e uno per valore.

Con specifico riguardo a quello per valore, la prima questione che si è posta è se sussista la competenza del Collegio ogni qualvolta in primo grado sia stata irrogata una sanzione superiore ai minimi edittali di cui al citato art. 54 (e all’equivalente art. 12 bis Statuto del CONI), ma tale sanzione sia stata successivamente ridotta al di sotto dei limiti in grado di appello.

Sul punto, si rammenta che le Sezioni Unite [14] hanno chiarito che la possibilità di proporre ricorso non è legata al solo esito del giudizio di secondo grado, giacché la ratio della norma è quella di evitare che il Collegio di Garanzia si occupi di controversie c.d. bagatellari, consentendo il giudizio di legittimità solo allorché la controversia abbia il connotato della gravità e, in ambito endofederale, sia stata irrogata una sanzione superiore a novanta giorni.

Il principio, al quale il Collegio si è uniformato nelle sue pronunce successive, opera sia nell’ipotesi in cui in secondo grado sia stata ridotta la sanzione sotto il minimo, sia in quella in cui vi sia stata una decisione di proscioglimento dell’incolpato [15].

Per il caso in cui, invece, in nessuna delle fasi endofederali sia intervenuta sentenza di condanna ad una sanzione superiore ai minimi stabiliti dall’art. 54, le Sezioni Unite hanno escluso la cognizione del Collegio di Garanzia dello Sport, evidenziando tuttavia la infelice formulazione della disposizione che limita la possibilità di censura delle decisioni dei Giudici Federali, atteso che «tale limitazione, dovendo seguire con rigore la lettera della normativa, non appare in sintonia con i principi generali dettati in ordine alla tutela della situazione giuridica soggettiva dei soggetti operanti nell’ambi­to sportivo e con norme anche di rango costituzionale» [16].

Successivamente, si è assistito a una evoluzione interpretativa con riguardo alla specifica ipotesi in cui le fasi di merito si siano esaurite senza la irrogazione di una san­zione a carico dell’incolpato [17].

Le Sezioni Unite, dapprima soffermandosi sul parametro della “gravità”, hanno precisato che tale «criterio di selezione riposa (…) non tanto sulla misura delle sanzioni effettivamente irrogate in sede federale, quanto sulla gravità delle controversie, la quale dipende dalla gravità delle condotte censurate e, conseguentemente, dalla misura delle sanzioni previste per quelle violazioni».

Partendo da tale premessa, il Collegio evidenzia che occorre prendere in considerazione le ragioni che hanno condotto nei primi due gradi di giudizio alla mancata applicazione di sanzioni, distinguendo a seconda che la pronuncia sia il risultato di un accertamento di merito o, piuttosto, via sia stata una decisione su profili puramente processuali, senza alcuno scrutinio di merito, pur in presenza di condotte contestate gravemente censurabili, astrattamente idonee a motivare sanzioni ben superiori alla soglia minima prevista dagli artt. 12 bis e 54 citt.

Ad avviso del Collegio, se la ratio delle norme in esame è quella di evitare che le controversie bagatellari siano devolute alla cognizione del Collegio di Garanzia, esclu­dere l’ammissibilità del ricorso anche nel secondo caso significherebbe sostenere tout court la non ricorribilità di qualunque decisione di assoluzione, indipendentemente dai fatti contestati ed indipendentemente dal fatto che vi sia stata o meno un’indagi­ne sulla configurabilità delle violazioni ravvisate e sulla gravità di esse. Tale preclusione potrebbe, infatti, sottrarre alla cognizione del Collegio di Garanzia dello Sport – senza alcuna giustificazione logica – controversie aventi ad oggetto anche fatti oggettivamente gravi e idonei a suscitare una sanzione notevolmente superiore a quella minima stabilita dagli artt. 12 bis e 54 citt. Deve ritenersi, pertanto, che quando la doppia assoluzione in sede endofederale dipenda dall’accoglimento di motivi strettamente procedurali, non sussiste alcuna preclusione allo scrutinio del Collegio di Garanzia dello Sport in ordine alla verifica della legittimità della decisione degli organi endofederali.

Anche di recente, le Sezioni Unite hanno dato continuità a tale indirizzo interpretativo [18] – il quale può dirsi ormai consolidato – non mancando tuttavia di evidenziare ancora una volta l’infelice formulazione letterale delle disposizioni dettate dagli art. 12 bis dello Statuto CONI e 54 CGS del CONI e auspicando un intervento chiarificatore da parte dei competenti organi del CONI.


2.3. Legittimazione attiva

Meritano di essere segnalati alcuni interessanti indirizzi interpretativi del Collegio con riguardo al tema della legittimazione attiva.

Anzitutto, è stata riconosciuta la legittimazione ad agire di una società ad impugnare la sanzione di un suo ex tesserato. Chiarisce la II Sezione che, ove la società persegua un proprio interesse (nel caso di specie, quello all’annullamento della sanzione pecuniaria inflittale quale conseguenza della sanzione disciplinare irrogata all’ex tesserato) ed è titolare di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale ex art. 6, comma 2, CGS del CONI, non sussiste carenza di legittimazione ad agire [19].

Diverso è il caso – sottoposto alla I Sezione – in cui la società agisca in giudizio per impugnare una sanzione che spieghi la sua afflittività nella sola sfera dei diritti di un suo tesserato; qui non sussiste legittimazione attiva in capo alla società, posto che è il tesserato l’unico titolare della relativa azione in giudizio [20].

Altra questione portata all’attenzione del Collegio è quella concernente la legittimazione attiva alla proposizione dei mezzi di impugnazione dinanzi agli organi di Giustizia Sportiva da parte del soggetto incolpato e sanzionato in un procedimento disciplinare il cui tesseramento sia, tuttavia, venuto meno medio tempore [21].

Affermano le Sezioni Unite [22] – alle quali è stata rimessa la questione [23] – che il disconoscimento della legittimazione attiva del soggetto non più tesserato in ordine alla proposizione dei mezzi di impugnazione (e quindi anche della proposizione del ricorso davanti al Collegio di Garanzia) contrasta con il fatto che lo stesso ha sicuramente la legittimazione passiva a partecipare al giudizio disciplinare, potendo essere sanzionato per la condotta che ha tenuto quando era tesserato. Di conseguenza, non può disconoscersi la legittimazione di tale soggetto a reagire contro la decisione che ha disposto l’applicazione di una sanzione nei suoi confronti; tanto più se si considera che l’appli­cazione della sanzione ha specifiche conseguenze nella sfera del tesserato che non abbia rinnovato il tesseramento [24].


2.4. Validità degli atti e notificazioni

Di recente, in più di un’occasione, il Collegio di Garanzia dello Sport si è ritrovato a dirimere questioni attinenti alla validità degli atti processuali e delle relative notificazioni, e lo ha fatto applicando i principi e le norme generali del processo civile in virtù del rinvio di cui all’art. 2, comma 6, CGS del CONI.

In particolare, la I Sezione si è dovuta pronunciare sul singolare caso in cui il reclamo al giudice sportivo era stato proposto con un messaggio di posta elettronica certificata non come allegato ma come testo della pec stessa [25].

Il Collegio richiama, a tale proposito, l’art. 125 c.p.c. – il quale impone la sottoscrizione dell’atto a pena di nullità/inesistenza – rammentando che la sottoscrizione di un atto può essere apposta nelle forme ordinarie, con la firma della parte o del difensore, oppure digitalmente secondo le forme contemplate dal d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice delle Amministrazioni Digitali, CAD).

La I Sezione evidenzia la diversa finalità cui assolvono la firma digitale (prevista dall’art. 1, comma, lett. s), CAD) e la posta elettronica certificata (art. 1, comma 1, lett. v-bis, CAD). La prima, infatti, è un meccanismo riconosciuto dall’ordinamento per sottoscrivere, in formato elettronico, un documento informatico; essa è pienamente equi­parata, quanto agli effetti, alla sottoscrizione autografa, in forza dell’applicazione del CAD al processo civile, come normativamente previsto dall’art. 4 del d.l. n. 193/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 24/2010 (e consequenzialmente al processo sportivo per le ragioni anzidette).

Diversamente, la posta elettronica certificata è un mezzo di trasmissione in grado di identificare univocamente il mittente ed il destinatario di un messaggio di posta elettronica e di attestarne i momenti di invio e ricezione.

Ne consegue che, mentre la firma digitale è uno strumento idoneo a comprovare la provenienza e l’autenticità di un documento informatico, la posta elettronica certificata dimostra l’invio e la ricezione del messaggio, ma non garantisce, di regola, il contenuto del documento o dei documenti ivi presenti.

Alla luce di tali premesse, conclude il Collegio che la trasmissione via pec del documento certifica unicamente la provenienza e la consegna di un contenuto che, però, laddove si riferisca ad atti che debbono avere una valenza giuridica, debbono rispettare determinati requisiti. Precisamente, gli atti del processo sportivo trasmessi via pec, per avere valenza giuridica, devono rispettare i requisiti previsti dalla richiamata normativa che governa i processi della digitalizzazione e dei procedimenti giurisdizionali e giustiziali telematici, con la conseguenza che è nullo/inesistente l’atto di reclamo inserito come testo della pec con una mera sottoscrizione dattiloscritta della firma, che avrebbe potuto essere utile ai fini del precetto di cui all’art. 125 c.p.c. unicamente se soddisfacente i requisiti previsti dal d.lgs. n. 82/2005 in materia di sottoscrizione digitale come innanzi richiamato.

Altra recente decisione del Collegio da segnalare, con specifico riguardo al sistema delle notificazioni, è quella della IV Sezione in cui si sancisce l’applicabilità nell’ordi­namento sportivo del principio del “doppio binario” o di “postalizzazione”, per cui il perfezionamento della notifica si pone un doppio criterio: quello della spedizione, per il mittente, e quello della ricezione, per il destinatario [26].

Il Collegio si è attenuto all’insegnamento della Suprema Corte secondo cui tale principio è operativo per tutti gli atti processuali, sia che abbiano effetti processuali difensivi (perché incidenti sulla decadenza) sia che abbiano effetti sostanziali (perché incidenti sulla prescrizione), ma non anche per gli atti non aventi natura processuale, per lo meno quando questi siano volti a interrompere un termine di prescrizione e non anche ad evitare una decadenza [27].

Ebbene, nel caso specifico, l’analisi del Collegio si è incentrata sulla valutazione circa la tempestività della richiesta avanzata alla Commissione Premi da parte di una società, il cui diritto a percepire il premio si prescriveva al termine della stagione sportiva 2017-2018. Precisamente, si doveva stabilire se, ai fini della interruzione del termine di prescrizione, fosse stato sufficiente il tempestivo invio della raccomandata ov­vero si necessitasse anche un altrettanto tempestivo suo arrivo al domicilio del destinatario (e, cioè, nella sua sfera di astratta conoscibilità dell’atto).

Secondo il Collegio, la richiesta avanzata alla Commissione premi non deve essere intesa quale atto processuale – non essendo la stessa un organo di Giustizia Sportiva – bensì quale atto giuridico di natura sostanziale, con la conseguente inapplicabilità del principio di “postalizzazione” o “del doppio binario”. La richiesta di corresponsione del premio, trattandosi di atto unilaterale e recettizio di natura sostanziale, per produrre i suoi effetti (ivi compreso quello di interrompere la prescrizione cui è soggetto il diritto fatto valere, in virtù di quanto disposto dall’art. 25, comma 3, CGS della FIGC), deve necessariamente giungere al destinatario entro il temine prescrizionale, non risultando sufficiente che prima del termine l’autore dell’atto affidi lo stesso al servizio postale.

Sempre in tema di notifiche, si segnala, poi, la pronuncia della IV Sezione sulla questione circa l’individuazione degli atti di cui è necessaria la comunicazione o la notificazione. Secondo il Collegio, in applicazione dei “principi comuni a qualsiasi processo”, gli atti di parte, esclusi quelli introduttivi del giudizio, non vanno notificati dalla parte stessa, né comunicati dalla cancelleria o segreteria, ma devono essere depositati entro un termine prefissato: è onere dell’altra parte di acquisirne conoscenza nei modi previsti, mediante accesso diretto in cancelleria o segreteria, oppure con richiesta di trasmissione o con altre modalità [28].

Infine, merita attenzione una interessante decisione della III Sezione in tema sanatoria della nullità della notificazione.

Il Collegio, richiamando l’orientamento della Suprema Corte [29], coglie l’occasione per delineare anzitutto le differenze tra nullità e inesistenza della notificazione. La notificazione di un atto è nulla qualora vengano violate le regole del relativo procedimento, ovvero quando vi è incertezza assoluta sulla persona che ha ritirato la copia dell’atto, o anche sulla data; in ogni caso, la nullità non può essere dichiarata se l’atto ha comunque raggiunto il suo scopo. Diversamente, l’inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’at­tività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconducibile quell’atto.

Con specifico riguardo ai vizi relativi al luogo in cui la notificazione viene eseguita, il Collegio rammenta che la Suprema Corte ha chiarito che il luogo non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si rilevi privo di alcun collegamento con il destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, in quanto tale sanabile con efficacia ex tunc o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata.


2.5. Contrasto tra dispositivo e motivazione

Le norme generali e i principi del processo civile hanno guidato il Collegio di Garanzia dello Sport anche nell’affrontare la delicata questione del contrasto tra dispositivo e motivazione.

Invero, le Sezioni Unite [30] hanno applicato l’indirizzo della Suprema Corte per cui il contrasto tra dispositivo e motivazione che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è rav­visabile nel caso in cui detto contrasto sia chiaramente riconducibile a un semplice errore materiale, che è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepito e rilevato ictu oculi, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza [31].

Pertanto, se la divergenza è causata da un evidente errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo, il contrasto non può dirsi insanabile, anzi, è da ritenersi solo apparente, ed è legittimo il ricorso alla motivazione per chiarire l’effet­tiva portata del dispositivo.

Nel caso sottoposto alle Sezioni Unite, la divergenza afferiva alla sanzione irrogata al dirigente di una società: “squalifica” nel dispositivo, “inibizione” nella motivazione. L’errore materiale all’interno del dispositivo era dunque rilevabile ictu oculi considerato che il dirigente è un soggetto che, per definizione, non può essere soggetto a squalifica; chiara era, invece, l’enunciazione della condanna all’inibizione contenuta nella motivazione della Corte Federale di Appello, nonché il percorso argomentativo sostenuto prima dalla Procura Federale in sede di deferimento e poi enunciato (nella motivazione e nel dispositivo) dal Tribunale di prime cure.

Sul tema sembra opportuno richiamare anche una decisione della I Sezione [32]. Il caso, tuttavia, era molto diverso: il ricorrente eccepiva la nullità della decisione di secondo grado per omissione delle firme dei membri del Collegio della Corte Sportiva di Appello. Il Collegio di Garanzia dello Sport ha ritenuto la censura infondata, atteso che il resistente principale aveva depositato nei termini il dispositivo della sentenza gravata da cui risultavano tutte le firme dei componenti del Collegio.

Rifacendosi alla giurisprudenza di legittimità penale [33], la I Sezione rammenta il criterio della prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo, con il quale viene conferita portata principale e di valore al dispositivo della sentenza rispetto alla motivazione della stessa, di guisa che la eventuale divergenza si può eliminare con il ricorso alla semplice correzione materiale che, com’è noto, non implica alcuna nullità e/o inesistenza. Ne consegue che il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullità della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo, in quanto è il dispositivo letto in udienza che costituisce l’atto con cui il giudice estrinseca la volontà della legge nel caso concreto.

Giova specificare che le due pronunce sopra esaminate non si pongono in contrasto, posto che la diversità tra dispositivo e motivazione può presentarsi in termini volta per volta diversi, dunque va risolta con attenzione alla peculiarità del caso concreto. Il principio generale, richiamato dalla I Sezione, della prevalenza del dispositivo sulla motivazione, può infatti subire delle deroghe; è il caso del contrasto che, ictu oculi, palesi un errore materiale del dispositivo, come appunto nel caso sottoposto alle Sezioni Unite, le quali hanno conseguentemente fatto ricorso agli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione.


2.6. Violazione del giudicato

Merita attenzione una recente decisione delle Sezioni Unite [34], in cui il Collegio, soffermandosi sul tema della violazione del giudicato, ha avuto l’occasione di dare un importante chiarimento circa la portata applicativa dell’art. 102 CGS della FIGC, il quale dà facoltà al Presidente federale di «impugnare le decisioni adottate dal Giudice sportivo nazionale e dai Giudici sportivi territoriali, dalla Corte sportiva di appello a livello territoriale e dal Tribunale federale a livello nazionale e territoriale, quando ritenga che queste siano inadeguate o illegittime».

Il caso di specie era alquanto particolare, posto che avverso una decisione della Corte Sportiva di Appello erano state, di fatto, proposte due impugnazioni: in ordine temporale, la prima dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport; la seconda dinanzi alla Corte Federale di Appello FIGC, in virtù del citato art. 102 CGS della FIGC.

Il Collegio di Garanzia, I Sezione, affermava la sussistenza di una litispendenza e, in qualità di giudice preventivamente adito, dava seguito al processo incardinatosi dinanzi alla stessa. Il giudizio si concludeva col rigetto del ricorso [35].

Diversamente, la Corte Federale di Appello della FIGC, disattendeva l’eccezione di litispendenza formulata dal resistente accoglieva il reclamo del Presidente Federale e annullava la sentenza della Corte Sportiva di Appello [36].

Tale ultima decisione veniva impugnata dinanzi al Collegio di Garanzia, il quale ha ravvisato nella pronuncia gravata una violazione del giudicato del Collegio sia sotto il profilo della litispendenza, sia per quanto riguarda il merito della questione e, segnatamente, per essere arrivati in un secondo momento a conclusioni diverse, nonostante e in spregio al dictum del Collegio.

Osserva il Collegio che il giudicato è uno dei presidi essenziali della “ragionevole durata” del processo, in quanto preclude, mediante la sanzione della irrevocabilità della decisione, una inesausta ricerca della verità in un “processo senza fine”. Di più, nel giudicato si risolve la funzione primaria del processo, che è quella di stabilire la regola del caso concreto, eliminando – mediante la stabilità della decisione – l’incer­tezza riguardo all’applicazione di una norma di diritto ad una specifica fattispecie: sicché, proprio perché assolve a questa fondamentale esigenza dell’ordinamento, il giudicato non è patrimonio esclusivo dei diritti delle parti, ma risponde ad un preciso interesse pubblico. Il canone di “certezza”, assicurato dal giudicato, trova compiuta espressione nel superiore principio del ne bis in idem, cui è orientato un sistema specifico di mezzi processuali – quali sono, ad esempio, quelli predisposti dagli artt. 39 e 395 c.p.c., n. 5 – inteso ad evitare il formarsi (anche come semplice fattispecie di pericolo) di giudicati contrastanti. In questa prospettiva, sarebbe non solo assurdo sotto il profilo del comune buon senso, ma anche contrario ai criteri di logicità ed economia, cui deve essere costantemente orientata la vicenda processuale, imporre ad un giudice di pronunciare una sentenza che egli, nel momento della decisione, già sa essere in contrasto con il principio del ne bis in idem e potenzialmente destinata ad essere inutiliter data.

Nella decisione in commento, le Sezioni Unite colgono quindi l’occasione per evidenziare l’infelice formulazione dell’art. 102 CGS della FIGC, per cui il Presidente im­pugna allorché la decisione sia “inadeguata”, chiarendo che, seppure risulti evidente quale sia la finalità del citato art. 102, una lettura sistematicamente orientata dello stesso conduce ad affermare inequivocabilmente come tale strumento, pur sempre di carattere eccezionale, non possa mai essere utilizzato nel momento in cui si impinga su una pronuncia già resa dal Collegio di Garanzia. Ciò comporterebbe, come avvenuto da parte della Corte Federale di Appello nel caso di specie, una lettura della disposizione come contrastante con lo Statuto del CONI e, dunque, manifestamente illegittima.

A tal fine, le Sezioni Unite hanno trasmesso decisione alla Giunta Nazionale del CONI, anche in relazione alla possibile rimozione della discrasia dei termini di proposizione del ricorso tra l’articolo 54 CGS CONI e l’articolo 102 CGS della FIGC.


2.7. Sospensione feriale dei termini processuali

Riprendendo l’orientamento espresso in precedenza [37], le Sezioni Unite hanno ribadito il principio per cui, in forza del richiamato rinvio ai principi e alle norme generali del processo civile, il decorso dei termini processuali, relativo ai procedimenti che si tengono davanti alle giurisdizioni sportive, deve ritenersi sospeso nel periodo feriale – che va dal 1° al 31 agosto – a meno che non vi sia una espressa norma federale che disciplini in senso diverso la questione, in relazione all’urgenza delle questioni da trattare, e sempre che il procedimento non debba essere ritenuto, per sua natura intrinseca, urgente, e come tale non differibile [38].

Nel caso specifico, ove si applicava il CGS della FIGC, il Collegio, preso atto della mancanza di una specifica disciplina sulla sospensione feriale dei termini, ha reputato applicabile detta regola generale, salvo sempre l’assenza di evidenti e riscontrabili ragioni di urgenza [39].


2.8. Carenza di legittimazione in capo agli organi di giustizia sportiva a sollevare questioni di legittimità costituzionale

È opportuno segnalare l’indirizzo interpretativo del Collegio in ordine alla impossibilità per gli organi di giustizia sportiva di sollevare questioni di legittimità costituzionale, posto che, ai sensi dell’art. 39, comma 7, CGS del CONI, l’unica ipotesi di sospensione del giudizio è quella che ha come presupposto la risoluzione di una questione pregiudiziale di merito e solo a condizione che su questa sia già stata proposta causa dinanzi all’Autorità giudiziaria [40].

Con particolare riguardo al Collegio di Garanzia dello Sport, sia la I Sezione che la III precisano che tale organo, operando all’interno dell’ordinamento sportivo e quindi in regime di autonomia rispetto a quello statale, esercita una funzione giustiziale e non giurisdizionale; ne consegue che esso che non ha competenza a sollevare questioni di legittimità costituzionale di norme statali, che, in quanto tali, sono soggette al sindacato costituzionale di natura giurisdizionale e non giustiziale [41]. Tale conclusione è basata, da un lato, sul carattere di spiccata autonomia dell’ordinamento sportivo che ne costituisce una specifica peculiarità così come tratteggiato dalla legge 19 agosto 2003, n. 280, ed in particolare dall’art. 2; dall’altro, nel necessario bilanciamento di tale autonomia con il rispetto delle garanzie costituzionali che possono venire in rilievo, fra le quali vi sono, per quanto concerne la giustizia nell’ordinamento sportivo, il diritto di difesa e il principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale presidiati dagli artt. 24, 103 e 113 Cost.

Il Collegio osserva, altresì, che l’equilibrio tra la funzione giustiziale e la tutela giurisdizionale piena è comunque garantito dal fatto che il sistema attribuisce agli organi giurisdizionali della Giustizia amministrativa di primo grado e d’appello, dinanzi al quale possono essere impugnate le decisioni degli organi di Giustizia sportiva, la legittimazione a sollevare in via incidentale le questioni di legittimità costituzionale [42].


3. Decisioni del Collegio su questioni di natura sostanziale

Passando alle questioni attinenti a profili sostanziali, preme porre l’attenzione sull’orientamento espresso dal Collegio di Garanzia in ordine ad alcuni temi, segnatamente: l’illecito sportivo; l’applicabilità del principio del favor rei al processo sportivo; la portata dei protocolli sanitari FIGC con particolare riguardo agli obblighi gravanti sui medici sociali e sul presidente e legale rappresentante della società; la disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e la relativa ripartizione delle risorse; la responsabilità degli amministratori ex art. 21, commi 2 e 3, NOIF della FIGC; la riapertura del procedimento disciplinare dopo il provvedimento di archiviazione; la disciplina sui premi; gli agenti sportivi; i requisiti per l’iscrizione nel Registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche e la nozione di attività sportiva e didattica; l’interpretazione della legge n. 8/2010 in tema di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del CONI, delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate; l’applicabilità alle Federazioni Sportive Nazionali con natura pubblicistica delle norme relative agli enti pubblici; la portata dell’art. 7.4, comma 7 dei Principi Fondamentali delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate in ordine alle cause di ineleggibilità.


3.1. Illecito sportivo

In una recentissima pronuncia, le Sezioni Unite hanno avuto l’occasione di soffermarsi nuovamente sulla nozione di illecito sportivo di cui all’art. 7 CGS della FIGC in vigore fino al 16 giugno 2019 (applicato al caso specifico ratione temporis) all’art. 30 del Codice vigente [43].

Riprendendo la giurisprudenza ormai consolidata, il Collegio ribadisce che la fattispecie di illecito sportivo è connotata dal requisito della direzione della condotta tenuta dal soggetto agente, anche mediante atti distinti, che deve essere concretamente rivolta all’alterazione del risultato della competizione sportiva o al conseguimento di un vantaggio indebito nella classifica. Ed infatti, «l’illecito sportivo, come definito dal­l’art. 7, primo comma, CGS della FIGC, consiste nel compimento di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o ad assicurare un vantaggio in classifica; ne consegue che la pluralità di atti e condotte posta in essere da soggetti appartenenti al medesimo sodalizio non integra una pluralità di illeciti sportivi tutte le volte in cui uno soltanto sia il risultato della gara alterata e uno il conseguente vantaggio in classifica assicuratosi dalla società sportiva. Pertanto, poiché in caso di alterazione del risultato di una sola partita si è in presenza di un unico illecito e le ipotesi di responsabilità della società previste dai commi 2 e 4 non sono cumulative ma alternative con riferimento a un particolare illecito, non è possibile irrogare ad una medesima società più sanzioni a titolo diverso per il medesimo illecito sportivo» [44]. Il Collegio sottolinea, quindi, che l’evento illecito descritto dalla norma è unitario, pur a fronte della pluralità degli atti posti in essere per realizzarlo; pertanto, nonostante possano, nelle singole fattispecie, venire alla luce una pluralità di condotte lesive, laddove le stesse siano unitariamente dirette a produrre l’alterazione della competizione, si configura comunque un solo illecito sportivo e non anche un’ipotesi di concorso materiale tra illeciti distinti.

Le Sezioni Unite delineano, poi, la differenza tra la fattispecie in esame rispetto all’ipotesi di frode in competizione sportiva di cui all’art. 1, legge 13 dicembre 1989, n. 401, osservando che quest’ultima è norma a più fattispecie, che prevede in primis una forma di corruzione in ambito sportivo costituita dall’offerta o dalla promessa di denaro o altra utilità al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione (condotta a forma vincolata) e, al contempo, una seconda forma (libera) costituita dal compimento di altri “atti fraudolenti” volti al medesimo scopo.

Diversamente, nell’illecito sportivo si conferisce rilievo a qualunque atto diretto ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica, che sia compiuto con qualsiasi mezzo, ma non connotando di particolari ulteriori qualità (tantomeno di fraudolenza) l’azione meritevole di sanzione e anticipando ulteriormente la soglia di punibilità.

Il Collegio ribadisce la natura dell’illecito sportivo quale illecito di pericolo, da considerarsi realizzato nel momento in cui si siano concretizzati “atti idonei” a cambiare il naturale svolgimento di una competizione, e ciò a prescindere dal conseguimento effettivo del risultato o del vantaggio auspicato; infatti, la forma di manifestazione dell’illecito sportivo è basata sulla direzione della condotta posta in essere, includendo così anche ipotesi di attentato [45].

Giova evidenziare che nella decisione in esame, richiedendosi “l’idoneità” degli atti, si conferma l’indirizzo interpretativo – già espresso in precedenza dalle Sezioni Unite – che ritiene necessario il suddetto requisito [46]; impostazione diversa rispetto a un primo orientamento, il quale reputava tale requisito irrilevante, richiedendo solo quello della direzione della condotta [47].

Nell’evidenziare le caratteristiche proprie dell’illecito di pericolo, il Collegio di Garanzia, peraltro, osserva che l’atto preso in considerazione, per rientrare nell’ambito della disposizione sanzionatoria, deve comunque assumere un certo rilievo ed avere un minimo di concretezza [48].

Quanto al valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione dell’illecito, nella pronuncia si ribadisce come questo debba attestarsi ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio [49].

La decisione offre al Collegio anche l’occasione di ribadire il discrimen tra le fattispecie di illecito sportivo e di omessa denuncia dello stesso: la distinzione si fonda sul fatto che, nel primo caso, il soggetto responsabile del comportamento volto ad alterare il risultato della gara è parte attiva della condotta e ne risponde a titolo principale; nel secondo caso, invece, egli è a conoscenza dell’azione commessa e della sua antigiuridicità, ma ne rimane estraneo [50].

Con specifico riguardo all’omessa denuncia, il Collegio, in continuità con la linea ermeneutica già affermata in passato [51], sottolinea che, pur essendo configurabile l’ille­cito anche ove la notizia sia stata appresa de relato, è in ogni caso necessario che la notizia stessa abbia ad oggetto un fatto preciso, determinato e circostanziato. A tale pro­posito, le Sezioni Unite precisano che colui che raccoglie una mera suggestione, non seguita dalla rappresentazione di un evento storicamente accaduto o di un progetto illecito concretamente prospettato, non può essere tenuto a denunciare un illecito, che appunto, almeno nella sua prospettiva, non si è mai realizzato o a denunciare un progetto che non ha ancora assunto alcuna concretezza.


3.2. Applicabilità del principio del favor rei al processo sportivo

La II Sezione del Collegio di Garanzia dello Sport ha affermato che in tema di sanzioni disciplinari, avendo le stesse natura afflittiva, in quanto comportanti eventuali conseguenze che vanno ad incidere, ad esempio, sul percorso professionale del tesserato, è applicabile anche in sede sportiva il principio del favor rei [52].

Secondo il Collegio, non può non tenersi conto che il principio del favor rei, cristallizzato nel codice penale (art. 2, comma 2: «nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; se vi è stata condanna, ne ces­sano l’esecuzione e gli effetti penali…»), è stato nel passato ritenuto applicabile anche al di fuori del mero ambito penalistico in un caso relativo all’irrogazione di sanzioni deontologiche nei confronti di un avvocato, così dettando una linea di pensiero tesa al superamento del mero formalismo in favore della giustizia sostanziale [53]. A ciò, il Collegio aggiunge che la giurisprudenza di legittimità della Suprema Corte ha, altresì, stabilito che «in tema di successioni di leggi nel tempo, la Corte di Cassazione può, anche d’ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l’imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell’art. 609 c.p.p., l’annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative in melius» (Cass. pen., n. 46653/2015).

Nel caso di specie, il Collegio, constatando che il CGS della FIGC, all’art. 35, ha ricondotto lo “sputo” nell’alveo delle “condotte violente nei confronti degli ufficiali di gara”, punibile con la diversa sanzione minima di cinque giornate rispetto al precedente art. 11 bis CGS della FIGC, ha emendato la sanzione inflitta al ricorrente.


3.3. Protocolli sanitari FIGC e obblighi gravanti sui medici sociali e sul presidente e legale rappresentante della società

Tra le questioni interpretative più delicate portate all’attenzione del Collegio nel contesto emergenziale, merita una particolare attenzione – considerata l’assoluta novità della disciplina dettata dalla Federazione e la conseguente difficoltà di farne esatta applicazione – quella attinente alla portata dei Protocolli sanitari FIGC con specifico riguardo agli obblighi gravanti su medico sociale e sul presidente e legale rappresentante della società sportiva [54].

Fermo restando l’obbligo in capo al medico sociale di comunicare alle ASL competenti la riscontrata positività dei tamponi effettuati, il Collegio di Garanzia – diversamente da quanto sostenuto dalla Corte Federale d’Appello – non reputa che rientri tra le competenze di detto soggetto la procedura di ricerca dei contatti (contact tracing) dei casi di Covid-19, la quale spetterebbe all’autorità di sanità pubblica.

Tale conclusione muove da quanto disposto dalla Circolare del Ministero della Salute del 18 giugno 2020, prot. n. 21463 – espressamente richiamata nei Protocolli sanitari FIGC – la quale stabilisce che il «Dipartimento di Prevenzione territorialmente competente (...) per quanto riguarda l’attività agonistica di squadra professionistica, nel caso in cui risulti positivo un giocatore, ne dispone l’isolamento ed applica la quarantena dei componenti del gruppo squadra che hanno avuto contatti stretti con un caso confermato».

Osservano le Sezioni Unite che, del resto, non potrebbe essere altrimenti, giacché l’identificazione dei contatti stretti incide sul piano della privacy, e la prescrizione della quarantena sulle libertà personali.

Nell’ambito delle responsabilità del medico sociale rientra certamente, invece, la scelta di far accedere nei locali della società sportiva e di far scendere in campo un giocatore risultato positivo.

Passando agli obblighi sussistenti in capo al presidente e legale rappresentante, le Sezioni Unite escludono che possano configurarsi delle responsabilità in capo al medesimo per mancata segnalazione alle ASL competenti dei giocatori positivi, per mancata prescrizione della quarantena o mancata comunicazione alla ASL dei nominativi dei contatti stretti.

Il Collegio muove dal dettato dell’art. 44 NOIF, il quale dispone che «Ogni società ha l’obbligo di tesserare un Medico sociale responsabile sanitario, specialista in medicina dello sport, che in tale veste deve essere iscritto in apposito elenco presso il Settore Tecnico della F.I.G.C. Tale sanitario assume la responsabilità della tutela della salute dei professionisti di cui al comma 1, ed assicura l’assolvimento degli adempimenti sanitari previsti dalle leggi, dai regolamenti e dalla normativa federale». Tale disposizione è da sola sufficiente per il trasferimento di una serie funzioni e responsabilità dal vertice aziendale al medico sociale, rendendo superflua qualunque delega, orale o scritta, da parte del legale rappresentante della società.

Si osserva che, nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno altresì escluso la configurabilità di una responsabilità in capo al presidente a titolo di culpa in eligendo per la scelta dei propri collaboratori e di culpa in vigilando per non essersi attivato di fronte all’inerzia di detti professionisti: invero, la culpa in eligendo è configurabile solo qualora l’incarico venga affidato a soggetti palesemente privi delle competenze tecniche per svolgere l’incarico in questione (diversamente dal caso in esame, dove è stato ritenuto che la società si sia affidata a professionisti qualificati – medici sportivi – muniti di determinate competenze e di un alto grado di specializzazione); relativamente alla culpa in vigilando, essa va necessariamente ad attenuarsi nel momento in cui l’impegno dovuto dal preposto diventa altamente tecnico e specialistico, come appunto nel caso di specie, ove i mancati adempimenti contestati al presidente consistevano – in gran parte – in attività che presentano aspetti tecnici (e richiedono professionalità) di specifica competenza dello staff medico.

A detta del Collegio, a carico del presidente e legale rappresentante può invece assumere rilevanza una negligenza consistente nell’avere consentito a un giocatore risultato positivo di accedere nei locali della società sportiva e di scendere in campo, in virtù di un principio di precauzione esigibile anche da parte di chi non abbia una specifica competenza medica [55].


3.4. Disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audio­visivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse in ossequio al principio di mutualità generale

Altra questione meritevole di attenzione sulla quale il Collegio si è recentemente pronunciato è quella relativa al ricorso promosso da alcune società di Lega Pro, avverso la modifica dell’articolo riguardante la “Ripartizione risorse e criteri di calcolo del minutaggio” contenuto nel “Regolamento Minutaggio Giovani Stagione Sportiva 2020/2021” della Lega Pro.

Originariamente, l’art. 4.2 di detto Regolamento prevedeva che «Gli importi che verranno destinati all’impiego dei giovani calciatori, tesserati con status 04 e 09, saranno distribuiti tra tutte le società sportive, indipendentemente dal girone in cui sono rispettivamente inserite, secondo il seguente criterio ...”, poi sostituito con la seguente disposizione: «Gli importi che verranno destinati all’impiego dei giovani calciatori, tesserati con status 04 e 09, saranno distribuiti tra tutte le società sportive, previa suddivisione in uguale misura tra i tre gironi, secondo il seguente criterio ...». Secondo le ricorrenti, il precedente sistema recepiva a pieno i principi della normativa statale e consentiva una parità di trattamento che, ad oggi, con la preventiva suddivisione della quota di mutualità tra i tre gironi, non sarebbe più garantita.

Le Sezioni Unite, ripercorrendo la disciplina regolamentare sportiva e la normativa statale relativa agli introiti in favore delle società di calcio derivanti dalla commercializzazione dei diritti audiovisivi, rammenta che, in virtù di quanto previsto in tema di mutualità generale dagli artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 9/2008 (c.d. “Decreto Melandri”), come modificati dalla legge n. 225/2016, la FIGC determina i criteri e le modalità di erogazione del relativo fondo (pari al 10% delle risorse economiche e finanziarie derivanti dalla commercializzazione dei c.d. diritti audiovisivi, di cui il 6 %, è destinato alla Lega di Serie B, il 2 % alla Lega Pro, l’1 % alla Lega Nazionale Dilettanti e l’1 % alla FIGC). Con lo scopo di determinare i criteri e le modalità di erogazione del fondo messo a disposizione della Lega Serie A in virtù del predetto art. 22, la FIGC ha quindi approvato il Regolamento per l’erogazione e rendicontazione certificata della mutualità generale destinata alla Lega di Serie B, alla Lega Pro ed alla Lega Nazionale Di­lettanti, prevedendo che «Le somme ricevute dalle Leghe sono utilizzate in proprio o distribuite alle rispettive associate, secondo le modalità previste dagli accordi interni alle Leghe stesse».

Ne deriva, a detta del Collegio, che le singole Leghe sono del tutto autonome nel determinare i criteri e le modalità di erogazione delle somme tra le società associate; l’art. 22 del decreto n. 193 del 22 ottobre 2016 determina solo il limite invalicabile della destinazione delle risorse economiche in esame alle finalità ivi indicate (tra le altre, lo sviluppo dei settori giovanili e l’utilizzo dei calciatori di categoria giovanile); ma ferme tali destinazioni, è attribuita alla insindacabile autonomia delle singole Leghe la scelta dei criteri e delle modalità di erogazione delle somme tra le società associate.

Tali determinazioni costituiscono espressione del potere discrezionale esercitato dalle Assemblee di Lega quale organo sovrano della volontà delle compagini ivi rappresentate secondo una libera valutazione che risulta insindacabile in sede giustiziale salvo che per ragioni legate alla eventuale (e soprattutto dimostrata), manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza [56].

Nel caso in esame, osservano le Sezioni Unite, la delibera di Assemblea di Lega ha stabilito modalità di riparto differenti, pur sempre in base ai dati sull’utilizzo di giocatori di categoria giovanile: mentre il precedente criterio prevedeva la distribuzione dell’intera dotazione finanziaria disponibile tra tutte le società esclusivamente in funzione dei minuti giocati da calciatori di categorie giovanili, con le modifiche approvate si è preventivamente deciso di suddividere le risorse totali in quote uguali tra i tre gironi in cui è articolato il Campionato di Serie C. Alla luce di tali considerazioni, la decisione di ripartire diversamente il fondo di mutualità, dividendo l’ammontare complessivo delle risorse distribuibili in tre panieri di uguale importo complessivo, anziché tra tutte le società, anche se può essere apprezzabile diversamente in punto di merito in base alle strategie e convenienze di ogni singola società, non risulta affetta da illegittimità.


3.5. Responsabilità degli amministratori ex art. 21, commi 2 e 3, NOIF della FIGC

Tra gli indirizzi interpretativi recenti del Collegio di Garanzia dello Sport, va rilevato l’orientamento espresso in merito alla portata della responsabilità di cui all’art. 21 delle NOIF della FIGC, il quale prevede, al comma 2, che «Non possono essere “dirigenti” né avere responsabilità e rapporti nell’ambito delle attività sportive organizzate dalla F.I.G.C. gli amministratori che siano o siano stati componenti di organo direttivo di società cui sia stata revocata l’affiliazione a termini dell’art. 16» ed aggiunge, al comma 3, che «Possono essere colpiti dalla preclusione di cui al precedente comma gli amministratori in carica al momento della deliberazione di revoca o della sentenza dichiarativa di fallimento e quelli in carica nel precedente biennio».

Precisano le Sezioni Unite che tale responsabilità disciplinare non è una responsabilità di tipo oggettivo, legata solo all’esercizio di determinate funzioni nella società sportiva poi dichiarata fallita, ma è una responsabilità legata a determinati comportamenti, an­che omissivi, tenuti dai soggetti che hanno rivestito determinate funzioni nella società nel biennio che ha preceduto il fallimento e che sono stati causa del fallimento [57].

In altri termini, la disposizione dettata dall’art. 21 delle NOIF della FIGC prevede una responsabilità che non è oggettiva, legata quindi solo alla posizione di amministratore che è stata rivestita negli ultimi due anni della società fallita, bensì legata alla condotta (anche eventualmente omissiva) che il singolo amministratore ha avuto o avrebbe dovuto avere, usando la necessaria diligenza, perché la società non fallisse.

Sul punto, il Collegio richiama, a maggior suffragio di tali considerazioni, un parere interpretativo della Corte Federale di Appello della FIGC secondo cui «La preclusione di cui al terzo comma dell’articolo 21 delle NOIF presuppone l’accertamento di profili di colpa dell’amministratore in carica al momento della dichiarazione di fallimento, accertamento con riferimento al quale non vi è motivo per derogare ai comuni criteri in materia di onere della prova: ciò con la precisazione che la colpa in questione non necessariamente deve riguardarsi sotto il profilo della sua influenza nella determinazione del dissesto della società, ma può più ampiamente concernere anche la scorrettezza di comportamenti (pure in particolare sotto il profilo sportivo) della società» [58].

È, dunque, evidente che la responsabilità degli amministratori nell’ultimo biennio della società fallita e di cui è stata revocata la affiliazione, non può essere meramente correlata a generici obblighi di posizioni, ma ai comportamenti che gli amministratori hanno avuto o agli interventi che avrebbero dovuto prendere in una situazione di crisi economica – finanziaria della società poi fallita [59].


3.6. Riapertura del procedimento disciplinare dopo il provvedimento di archiviazione

È opportuno segnalare anche una recente pronuncia delle Sezioni Unite sul tema della riapertura del procedimento disciplinare dopo il provvedimento di archiviazione, ove si è precisato che l’acquisizione della relazione del Curatore ex art. 33 legge fall. in un momento successivo all’archiviazione di un procedimento disciplinare per condotte riguardanti la gestione economica e finanziaria di una società e le operazioni da essa compiute, costituisce circostanza rilevante e idonea a giustificare la riapertura delle indagini d’ufficio ai sensi dell’art. 122, comma 4, CGS della FIGC [60].

Osserva il Collegio che tale relazione ha proprio la funzione di fornire una analisi particolareggiata sulle cause e sulle circostanze del fallimento, sulla diligenza e sulle re­sponsabilità del fallito; dunque, non vi è dubbio che la stessa sia idonea a fornire al Giudice, come al Procuratore Federale, un quadro più dettagliato e preciso delle condotte del fallito, evidenziando i suoi inadempimenti, le sue negligenze e responsabilità, costituendo dunque una circostanza rilevante idonea a giustificare la riapertura del procedimento, ai sensi dell’art. 122, comma 4, CGS della FIGC, secondo il quale “Dopo il provvedimento di archiviazione, la riapertura delle indagini può essere disposta d’uf­ficio nel caso in cui emergano nuovi fatti o circostanze rilevanti di cui il Procuratore federale non era a conoscenza e che, anche unitamente a quanto già raccolto, si ritengano idonei a provare la colpevolezza dell’incolpato”.


3.7. Premi

Con riguardo ai premi, si segnalano due pronunce del Collegio. La prima [61] attiene all’interpretazione dell’art. 96 delle NOIF della FIGC, sul c.d. premio di preparazione.

Detto articolo, oggetto di modifica, con delibera del Consiglio Federale della FIGC del 30 maggio 2019, entrata in vigore il 1° luglio 2019 [62], prevedeva, al tempo dei fatti in causa, al comma 1, che: «Le società che richiedono per la prima volta il tesseramento come “giovane di serie”, “giovane dilettante” o “non professionista” di calcia­tori/calciatrici che nella precedente stagione sportiva siano stati tesserati come “giovani”, con vincolo annuale, sono tenute a versare alla o alle società per le quali il calciatore/calciatrice è stato precedentemente tesserato un “premio di preparazione” sulla base di un parametro – raddoppiato in caso di tesseramento per società delle Leghe professionistiche – aggiornato al termine di ogni stagione sportiva in base agli indici ISTAT per il costo della vita, salvo diverse determinazioni del Consiglio Federale e per i coefficienti di seguito indicati» (differenti a seconda del campionato di riferimento e della tipologia di atleta interessato, ovvero se trattasi di calciatore dilettante, professionista, calciatrice o calciatore di calcio a 5).

Al comma 2, si stabiliva poi che, «Agli effetti del “premio di preparazione” vengono prese in considerazione le ultime due Società titolari del vincolo annuale nel­l’arco degli ultimi tre anni. Nel caso di unica società titolare del vincolo, alla stessa compete il premio per intero».

L’intervenuta modifica è stata nel segno, da un lato, del restringimento dell’ambito di applicazione della normativa de qua alla sola platea delle società della LND e di Lega PRO, e, dall’altro, dell’ampliamento dei soggetti beneficiari all’interno di dette Leghe. Si è previsto, infatti, che il premio di preparazione sia dovuto nelle ipotesi in cui il tesseramento pluriennale segua ad un tesseramento come giovane con vincolo annuale soltanto presso società della LND o della Lega PRO, mentre vengono prese in considerazione non più «le ultime due Società titolari del vincolo annuale nell’arco degli ultimi tre anni», bensì «le ultime tre Società […] titolari del vincolo annuale nel­l’arco degli ultimi cinque anni». Con riguardo a queste ultime, in particolare, si specifica che il diritto al premio di preparazione sorga «nel caso di primo tesseramento quale “giovane di serie” da parte di società delle leghe professionistiche di propri calciatori che nella/e precedente/i stagione/i sportiva/e siano stati tesserati con vincolo annuale».

Sul punto la IV Sezione del Collegio di Garanzia, in continuità con la linea ermeneutica già espressa in passato [63], precisa, con riguardo all’ipotesi in cui la società tenuta al pagamento del premio sia stata anche titolare del tesseramento annuale del calciatore nella stagione o nelle stagioni sportive immediatamente precedenti, che tali tesseramenti rilevano ai fini dell’individuazione delle società aventi diritto al premio di preparazione. Invero, l’interpretazione dell’art. 96 delle NOIF della FIGC non consente di ritenere, in assenza di una specifica previsione in tal senso, che della formazione impartita da una società sportiva ad un giovane calciatore non debba tenersi conto, là dove lo stesso calciatore, nella successiva stagione sportiva, acconsenta al tesseramento, con vincolo pluriennale, con la stessa società. Questo perché il vincolo annuale non dà alcuna garanzia alla società sportiva, presso la quale un giovane atleta è tesserato, che al termine della stagione sportiva lo stesso procederà al rinnovo del tesseramento e non decida, invece, di tesserarsi presso un’altra società; fintantoché, infatti, l’atleta non abbia raggiunto l’età in cui necessariamente al tesseramento consegue il vincolo sportivo (che propriamente è il vincolo pluriennale sino al venticinquesimo anno d’età), non v’è alcuna ‘assicurazione’ in favore della società che ha formato il gio­vane calciatore di ‘usufruire’ di tale formazione [64].

La seconda questione sulla quale il Collegio si è pronunciato attiene alla rinunciabilità al premio alla carriera previsto dall’art. 99 bis delle NOIF della FIGC [65].

Osserva la I Sezione che il citato art. 99 bis, rubricato “premio alla carriera”, non sembra lasciare spazio ad interpretazioni laddove sancisce che «alla società della Lega Nazionale Dilettanti e/o di puro settore giovanile sia dovuto un compenso forfettario pari a 18.000,00 euro per ogni anno di formazione impartita ad un calciatore […]», con ciò volendo significare che l’ordinamento sportivo premia quella società che ha effettuato uno sforzo importante investendo su risorse giovanili, ristorando l’investi­mento compiuto in formazione e valorizzazione di un giovane con un riconoscimento economico che viene fissato in maniera forfettaria, ma ben determinata nel suo ammontare, a condizione che il calciatore disputi, “partecipandovi effettivamente, la sua prima gara nel Campionato di serie A; ovvero b) quando un calciatore disputa, partecipandovi effettivamente con lo status di professionista, la sua prima gara ufficiale nella Nazionale A o nella Under 21».

Secondo il Collegio, prescindendo dalla natura economica del premio, che, già di per sé, lo rende un diritto patrimoniale, non è possibile predicare che lo stesso abbia una funzione parapubblicistica e, come tale, irrinunziabile; ciò è evidente dalla stessa norma oggetto di scrutinio, laddove la stessa afferma che «nel caso la società dilettantistica o di puro Settore Giovanile abbia già percepito, in precedenza, da una società professionistica, il “premio di preparazione” (art. 96 N.O.I.F.) o il “premio di addestramento e formazione tecnica” (art. 99 N.O.I.F.) ovvero l’importo derivante da un trasferimento (art. 100 N.O.I.F.), tale somma sarà detratta dall’eventuale compenso spettante». Dal difetto di funzione parapubblicistica discende la rinunziabilità del premio.

Fa notare il Collegio che non si tratta di rinunzia a diritto futuro, posto che la validità del premio alla carriera è “condicio iuris” del diritto della società e non elemento della fattispecie costitutiva dello stesso. In definitiva, il diritto previsto nell’art. 99 bis è un diritto sotto condizione sospensiva di fatto, per la qual cosa si è in presenza di una aspettativa giuridicamente tutelata, ai sensi dell’art. 1357 c.c.


3.8. Agenti sportivi

Meritano attenzione anche alcune recenti pronunce in materia di agenti sportivi.

Si premette sin da subito che nel frattempo il quadro normativo ha subito alcune evoluzioni; tuttavia, anche alla luce delle novità che si sono susseguite, i principi enun­ciati dal Collegio nelle decisioni che seguono sono da ritenersi tuttora valevoli.

Con riguardo al tema dell’attività di agente esercitata in forma societaria e ai poteri della Commissione CONI degli Agenti Sportivi, la I Sezione ha chiarito che la predetta Commissione, quale «organo collegiale istituito (…) presso il CONI cui sono attribuiti poteri di controllo, di vigilanza e sanzionatori» (art. 2 del vecchio Regolamento Agenti Sportivi CONI, approvato con deliberazione n. 1630 del Consiglio Nazionale del 26 febbraio 2019, applicato ratione temporis) ha il potere di rilevare la violazione dell’art. 19, comma 2, lett. b), del Regolamento che impone il possesso della maggioranza assoluta del capitale in capo ai soci agenti persone fisiche allorché l’attività di agente sia esercitata in forma societaria, e quindi di negare – conseguentemente – l’i­scrizione al Registro Nazionale [66].

Meritano, poi, attenzione alcune pronunce che riguardano gli agenti sportivi stabiliti.

In particolare, si è posta all’attenzione del Collegio la questione se al CONI spetti un ‘vaglio finale’ ai fini della iscrizione nel Registro Nazionale con riguardo ai soggetti che abbiano conseguito un titolo abilitativo all’estero e per i quali la Federazione interessata abbia già provveduto alla iscrizione nel Registro Federale.

Sul punto, le Sezioni Unite chiariscono che una volta che la Federazione abbia eseguito l’iscrizione del richiedente nel Registro Federale (svolgendo – si suppone – il proprio doveroso accertamento in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti), la successiva iscrizione presso il Registro Nazionale si configura come automatica, senza alcun successivo sindacato da parte della Commissione Agenti Sportivi del CONI sulla sussistenza dei requisiti per il conseguimento del titolo abilitativo e sulle modalità con le quali quei requisiti sono stati conseguiti [67].

Si segnalano, poi, le plurime decisioni della I Sezione che forniscono chiarimenti sulla tabella di equipollenza e misure compensative, ove il Collegio precisa che, ai fini dell’iscrizione in Italia da parte di soggetto iscritto in una Federazione di un altro Stato membro, l’equipollenza non è data dalla mera iscrizione come agente sportivo in una federazione estera, ma dall’effettivo superamento, cui deve fornirsi prova alle competenti commissioni federali e del CONI, di prove d’esame equipollenti a quelle previste in Italia [68].


3.9. Requisiti per l’iscrizione nel Registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche e nozione di attività sportiva e didattica

Un’altra importante decisione resa recentemente è quella con cui le Sezioni Unite hanno precisato i requisiti richiesti agli enti sportivi dilettantistici per mantenere l’i­scrizione nel Registro CONI delle società ed associazioni sportive dilettantistiche [69]; con tale pronuncia, è stato chiarito che l’art. 3 del Regolamento di Funzionamento del Registro Nazionale delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche, il quale individua tra i requisiti che l’ente svolga “comprovata attività sportiva e didattica”, richiede espressamente la necessaria presenza di entrambe le attività.

Osserva il Collegio che non vi è alcuna ragione che consenta di leggere la congiunzione “e” come un “e/o” reputando sufficiente lo svolgimento di una sola delle due attività (come sostenuto dalla ricorrente). Nello stesso senso depongono anche alcune di­sposizioni e principi: l’art. 90, comma 18, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (successivamente modificato ed abrogato) secondo il quale lo statuto delle associazioni sportive dilettantistiche deve prevedere nell’oggetto sociale la “organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l’attività didattica”; i “Principi fondamentali degli statuti degli enti di promozione sportiva” (di cui alla delibera del CONI n. 1623 del 18 dicembre 2018), secondo il quale «Gli Enti di Promozione Sportiva sono tenuti ad organizzare a favore dei soggetti sportivi ad essi affiliati e tesserati attività sportiva dilettantistica, compresa quella a carattere didattico e formativo». Nessuna di queste disposizioni consente di ritenere che l’associazione sportiva dilettantistica possa limitarsi allo svolgimento di un’attività di carattere esclusivamente didattico, senza alcuna attività sportiva.

Alla stregua di tali principi, considerato che, nel caso di specie, la Asd ricorrente aveva dimostrato di praticare solo l’insegnamento della ginnastica ai propri soci e tesserati e non di fare svolgere loro anche attività agonistica (es. gare o tornei), le Sezioni Unite hanno respinto il ricorso, confermando la nullità dell’iscrizione al Registro.


3.10. L’interpretazione della legge n. 8/2010 in tema di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del CONI, delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate

Si affronteranno ora una serie di delicate questioni interpretative sottoposte alla Sezione Consultiva, a partire da quelle relative alla legge n. 8/2010 in tema di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del CONI, delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate [70].

La prima questione concerne la possibilità o meno – fuori dai casi previsti dall’art. 6 della legge n. 82/2018 – per il Consigliere Federale eletto in rappresentanza degli atleti o dei tecnici, in carica alla data di entrata in vigore della legge e che abbia raggiunto e/o superato il limite dei tre mandati, di ricandidarsi ed essere rieletto, o di candidarsi ed essere eletto in altro tipo di rappresentanza (ad esempio come Consigliere Federale in qualità di rappresentante Affiliati) all’interno del medesimo Consiglio Federale dove ha già esercitato il numero massimo di mandati consentito dalla legge.

In linea con quanto già espresso in un precedente parere sul tema [71], osserva la Consultiva [72] che la preclusione alla ricandidatura o alla rielezione per il Consigliere Federale che, alla data dell’entrata in vigore della citata legge, abbia raggiunto e superato il numero di tre mandati, trova la sua giustificazione nell’art. 6, comma 4, della legge medesima, che così recita: «I presidenti e i membri degli organi direttivi nazionali e territoriali delle federazioni sportive nazionali … che sono in carica alla data di entrata in vigore della presente legge e che hanno già raggiunto il limite di cui all’art. 16, comma II, secondo periodo, del decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242, come sostituito dall’art. 2 della presente legge (tre mandati n.d.r.) possono svolgere, se eletti, un ulteriore mandato».

La norma, dunque, permette il superamento del limite dei tre mandati, ma solo nel­l’ipotesi di vigenza della carica alla data di entrata in vigore della legge, non ammettendosi, di contro, ulteriori ipotesi derogatorie al regime preclusorio.

Il Consigliere Federale nemmeno può ricandidarsi ed essere eletto in altro tipo di rappresentanza all’interno del medesimo Consiglio Federale dove ha già esercitato il numero massimo di mandati consentito dalla legge. Osserva la Consultiva, sempre in linea con l’orientamento seguito in passato [73], che milita a favore di un tale diniego il fatto che la norma non faccia alcuna distinzione sulle modalità di accesso alla carica di consigliere e non ha dunque alcun interesse su come il mandato venga ottenuto, limitandosi ad enfatizzare esclusivamente la specifica qualifica ricoperta; e ciò, in quanto la finalità che la norma intende perseguire è esclusivamente quella di assicurare l’applicazione del criterio di democraticità che viene a realizzarsi anche attraverso la rotazione degli incarichi.

Un’altra delle questioni posta all’attenzione del Collegio concerne la possibilità per il Consigliere Federale che abbia già espletato i tre mandati di ricoprire cariche diverse, quale, ad esempio, quella di Presidente Federale.

La questione, in linea con l’orientamento già espresso in passato, viene risolta positivamente.

La Consultiva evidenzia che, nel porre il limite dei tre mandati, la legge ha voluto dare rilevanza alla qualità dell’incarico ricoperto, differenziando, nello specifico, il ruolo del Presidente da quello del semplice Consigliere; ne deriva che nel computo dei mandati deve tenersi conto esclusivamente di quelli ricoperti nella funzione per la quale ci si candida, non potendosi sommare funzioni, anche analoghe, svolte in organi diversi o funzioni diverse (Presidente e membro) svolte nello stesso organo. A sostegno di una siffatta interpretazione, oltre al contenuto letterale dell’art. 1, comma 2, della legge n. 8/2018 che, mentre accomuna i componenti degli organi federali nella durata dell’incarico, li distingue chiaramente avuto riguardo ai ruoli e alle funzioni, vi è il fatto che un’interpretazione volta a negare la possibilità di ricoprire diversi incarichi oltre il limite dei tre mandati si risolverebbe in un depauperamento delle esperienze acquisite.

Una siffatta interpretazione, che appunto distingue nel computo complessivo dei mandati la qualifica ricoperta, non può che trovare ancor di più ragionevole applicazione allorquando dette funzioni siano state ricoperte in un Organo diverso da quello per il quale ci si candida [74].

Altra questione è poi quella della possibilità di candidatura, quali rappresentanti dei tecnici e degli atleti, di soggetti che seppur regolarmente tesserati, non appartengono ad associazioni aventi diritto al voto e della conseguenza che costoro, qualora eletti, possono regolarmente votare nell’assemblea nazionale elettiva, pur non avendo analogo diritto nelle assemblee regionali.

Anche qui la risposta del Collegio è stata affermativa, posto che le limitazioni al­l’elettorato passivo sono solo quelle tassativamente indicate negli artt. 57 (requisiti di eleggibilità) e 58 (incompatibilità), e tra queste non risulta l’essere il candidato atleta o tecnico affiliato ad un’associazione che conti un numero di soci superiore a 15 individui.

Infine, vi sono alcuni chiarimenti relativi ai quorum.

In particolare, si è chiesto al Collegio quale debba essere il quorum necessario per le assemblee territoriali elettive, in seconda convocazione, atteso che il comma 3 del­l’art. 18 dello Statuto federale prevede per le assemblee elettive nazionali la necessaria presenza di almeno un terzo degli aventi diritto al voto.

Il Collegio ritiene che tale quorum non possa applicarsi, in via analogica, anche alle assemblee elettive locali, in quanto il comma 4 dell’art. 18 dello Statuto introduce un elemento di eccezionalità rispetto alle ordinarie regole stabilite per le assemblee, eccezionalità che preclude il ricorso all’analogia. Alla luce di ciò, pertanto, anche per le assemblee elettive regionali deve applicarsi la previsione di cui al comma 2 dell’art. 18, che non prevede la necessità di un quorum per la validità delle assemblee in seconda convocazione [75].

Altra questione che si segnala è quella attinente alla portata applicativa dell’art. 6, comma 4, della legge n. 8/2018, il quale, nel prevedere la possibilità per i Presidenti e i membri degli Organi direttivi nazionali e territoriali delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e degli Enti di Promozione Sportiva che sono in carica alla data di entrata in vigore della legge e che abbiano già raggiunto il limite dei tre mandati, di svolgerne un ulteriore, aggiunge che per il solo Presidente è necessaria, per la sua conferma, una maggioranza qualificata pari al 55% dei votanti. È stato chiesto alla Consultiva se la necessità della maggioranza qualificata trovi applicazione per il solo Presidente nazionale ovvero si estenda anche per l’eleggibilità dei Presidenti territoriali.

Ad avviso del Collegio, la necessità di una maggioranza qualificata si deve ravvedere nell’elezione di tutti i Presidenti, a prescindere dalla natura dell’organo (sia esso nazionale che territoriale, osservando che il citato art. 6 della legge n. 8/2018, al n. 4, nel prevedere la necessità della maggioranza qualificata, premette: «Nel caso di cui al periodo precedente, …”, così richiamando, ma per la sola ipotesi di ricandidatura del Presidente, l’intera fattispecie descritta al precedente capoverso, che, appunto, considera sia i Presidenti degli Organi direttivi nazionali che territoriali [76].


3.11. Applicabilità alle Federazioni Sportive Nazionali aventi natura pubblicistica delle disposizioni relative agli enti pubblici

Significativo è altresì l’orientamento della Consultiva relativo al tema dell’applica­bilità o meno alle Federazioni Sportive Nazionali aventi natura pubblicistica (nel caso di specie, l’UITS) delle disposizioni relative agli enti pubblici, ed in particolare del­l’art. 5, comma 9, della legge n. 135/2012 e ss.mm.ii., che vieta il conferimento di incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo a soggetti, già dipendenti privati o pubblici, collocati in quiescenza, salvo che si tratti di incarichi a titolo gratuito e che abbiano, per gli incarichi dirigenziali e direttivi, una durata inferiore ad un anno [77].

Secondo il Collegio, è indubbio che siffatte Federazioni siano da ritenersi Enti pubblici rientranti nel novero degli Enti di cui all’art. 1, comma 2, del T.U. Pubblico im­piego, e che siano attratte, perciò stesso, alla relativa disciplina.

Un primo elemento in tale direzione si ricava dalla lettura degli Statuti di tali Federazioni: art. 1, comma 3, Statuto ACI; art. 1, comma 1, Statuto AeCI; art. 1, comma 1, Statuto UITS. L’art. 1, comma 3, Statuto ACI, invero, nel riconoscerne la natura di Ente Pubblico non economico, all’art. 6, comma 3, stabilisce espressamente (con ciò confermando la qualificazione offerta) che per le nomine agli organi dell’Ente restano ferme «le vigenti disposizioni di legge in materia di inconferibilità degli incarichi negli Organi della pubblica amministrazione».

La ratio che presidia questa qualificazione si rinviene nella esigenza di vigilare su Enti preposti a servizi di pubblico interesse (ad esempio, il ruolo di Ente pubblico dell’ACI viene definitivamente sancito con la legge 20 marzo 1975, n. 70 – c.d. legge del parastato) laddove è palese, appunto, il prevalere dell’interesse pubblico alla sicurezza dei cittadini sul contrapposto interesse ludico-sportivo.

Un discorso analogo – a detta dalla Consultiva – vale, a maggior ragione, per l’UITS, in considerazione dell’interesse a tutelare la pubblica incolumità e del potenziale offensivo connesso al possesso di armi, come si desume anche dal rigore che accompagna la disciplina per il rilascio del porto d’armi, perfino a fini sportivi, di cui al d.lgs. 10 agosto 2018, n. 1. La sua natura di Ente pubblico, poi, si evince dalla previsione dello Statuto approvato, il 21 febbraio 2018 (in proposito si rinvia, altresì, all’art. 1 del decreto interministeriale 15 novembre 2011), che discorre di «ente pubblico nazionale sottoposto alla vigilanza del Ministero della difesa», nonché dal complesso quadro normativo che, nel tempo, ne ha accompagnato e ne accompagna il funzionamento.

Dalla qualifica di Ente pubblico discende l’applicazione della normativa sugli Enti pubblici, ed in particolare delle norme stabilite in tema di “Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della PA”; sicché non solo è vietato – per espressa disposizione di legge – attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza, ma anche conferire ai medesimi soggetti (art. 17, comma 3, della legge n. 124/2015) «incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo in quelle amministrazioni che siano inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali».

Il quesito sottoposto alla Sezione Consultiva investe, altresì, la definizione dei poteri che spettano al Presidente: precisamente, ci si domanda se i poteri che questo esercita, a norma di legge e delle disposizioni dello Statuto, siano da reputarsi di natura politica ovvero sottendano anche l’esercizio di attività più squisitamente amministrative.

Secondo il Collegio, che il Presidente sia chiamato a funzioni organizzative-gestio­nali si desume, oltre che dal suo rispondere al Ministro della Difesa, dal fatto che l’art. 17, comma 2, dello Statuto intesta allo stesso una responsabilità che non è meramente politica, ma chiara espressione sintetica di quei poteri, al tempo stesso, di indirizzo e gestione di cui si è discorso; per elencarne alcuni, il potere di formulare l’Odg, ove lo ritenga opportuno, tenendo conto delle eventuali richieste dei consiglieri (lett. b); la possibilità di agire in esecuzione delle deleghe ricevute o di assumere tutti i provvedimenti straordinari che si rendessero necessari per il funzionamento dell’Ente, salva ov­viamente la ratifica (comma 5, lett. d-e); il potere di affidare singoli incarichi e chiedere lo svolgimento di indagini per presunti illeciti (lett. i e h), nonché il potere di voto in Consiglio Direttivo (art. 19 Statuto) che rende innegabile il suo esprimere funzioni di direzione, gestione, programmazione, amministrazione e controllo.


3.12. Cause di ineleggibilità ex art. 7.4, comma 7 dei Principi Fondamentali delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive As­sociate

Si segnala, infine, l’orientamento della Sezione Consultiva in merito alla portata del­l’art. 7.4, comma 7, dei Principi Fondamentali delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, laddove dispone che sono ineleggibili alle cariche federali quanti abbiano in essere controversie giudiziarie con il CONI, le Federazioni, le Discipline Sportive Associate o con altri organismi riconosciuti dal CONI [78].

Il Collegio chiarisce che detta ineleggibilità non è da ritenersi applicabile nelle ipotesi in cui il soggetto candidato ad organo direttivo centrale o territoriale di una Federazione Sportiva Nazionale o di una Disciplina Sportiva Associata abbia in essere controversie giudiziarie con altra Federazione o Disciplina Sportiva Associata diversa rispetto a quella per il cui organo direttivo il predetto soggetto presenta la propria candidatura”.

Una diversa conclusione contrasterebbe – a detta del Collegio – con il principio di democrazia interna posto alla base dell’Ordinamento Sportivo nazionale, con quanto previsto dalla Carta costituzionale in merito al riconoscimento ed alla garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, al diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, nonché all’accesso dei cittadini alle cariche elettive.


NOTE

[1] In questi termini, A. Piazza, A. Zimatore, Presentazione, in A. Piazza, A. Zimatore (a cura di), Repertorio Ragionato del Collegio di Garanzia dello Sport, Roma, 2019, p. XXI.

Gli autori richiamano poi l’importante pronuncia della Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, che ha fatto espresso e ripetuto riferimento proprio al diritto vivente in materia di diritto e di giustizia sportiva, decidendo le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, lett. b), e 2, del d.l. 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), e ritenendo nuovamente infondati i dubbi sollevati dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento agli artt. 24, 103 e 113 Cost. Tale decisione, confermando l’orientamento già̀ enunciato dalla Consulta, ha ribadito in termini generali l’autonomia dell’ordinamento sportivo e ha confermato che la scelta legislativa di distinguere le competenze e le funzioni del giudice ordinario da quelle del giudice sportivo non lede i principi costituzionali.

[2] Per un’accurata analisi dei dati quantitativi si rimanda a Relazione annuale sulla giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport, Anno 2020, a cura di E. Jacovitti, D. Martire, A.V. De Silva Vitolo, con il coordinamento di A. La Face, consultabile al seguente link https://www.coni.it/images/
rivistadirittosportivo/collegiogaranzia/Relazione_Annuale_Collegio_di_Garanzia_2020.pdf, e a Relazione annuale sulla giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport, Anno 2021, a cura di E. Jacovitti, D. Martire, A.V. De Silva Vitolo, con il coordinamento di A. La Face, consultabile al link https://
www.coni.it/images/rivistadirittosportivo/collegiogaranzia/Relazione_Annuale_Collegio_di_Garanzia_2021.pdf.

Le relazioni citate contengono altresì le massime e le sintesi delle decisioni e dei pareri del Collegio di Garanzia dello Sport più significativi dei rispettivi anni di riferimento.

[3] Tali numeri si riferiscono al dispositivo emesso completo di motivazioni.

[4] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 26 giugno 2020, n. 27; Collegio di Garanzia, Sez. Un., decisione 1° luglio 2020, n. 28.

A tale proposito, il Collegio ha richiamato l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa in tema di discrezionalità esercitata dalla commissione aggiudicatrice: «La discrezionalità tecnica esercitata dalla C.S.A. non implica una manifestazione di volontà, vale a dire un’attività di scelta e di ponderazione tra più interessi pubblici e privati, ma è una manifestazione di giudizio, consistente in un’attività diretta alla valutazione e all’accertamento di fatti. La Commissione, nell’effettuare le valutazioni e nell’attribui­re i punteggi, in linea di massima, applica concetti non esatti, ma opinabili, con la conseguenza che può ritenersi illegittima solo la valutazione che, con riguardo alla concreta situazione, è manifestamente illogica, vale a dire che non sia nemmeno plausibile, e non già una valutazione che, pur opinabile nel merito, sia da considerare comunque ragionevole» (TAR Lazio-Roma, Sez. I, 6 febbraio 2020, n. 1581). Ne deriva che la valutazione tecnico-discrezionale operata dalla Federazione risulta insindacabile in sede giustiziale sportiva, salvo che per ragioni legate alla eventuale (e soprattutto dimostrata) manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza del suo operato (in argomento, Cons. Stato, Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 8909 e Id., 26 novembre 2018, n. 6689).

[5] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 30 luglio 2021, n. 59.

[6] È quanto affermato dal Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 7 gennaio 2021, n. 1, avente ad oggetto il noto caso Juventus/Napoli. Per un commento alla decisione in esame, A. Azara, M.P. Pignalosa, Juve-Napoli: una fonte di problemi o soltanto un problema di fonti?, in questa Rivista, 2021, 1, p. 172 ss.

La medesima linea è stata seguita dal Collegio anche nella vicenda Lazio/Torino, con decisione 19 novembre 2021, n. 101.

Com’è evidente, le decisioni offrono l’occasione per riflettere ancora una volta sul complesso tema dei rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale. Qui la bibliografia è molto ampia; in questa sede, ci si limita a segnalare il recente contributo di D. Martire, Pluralità degli ordinamenti giuridici e costituzione repubblicana, Napoli, 2020, in particolare cap. III, L’ordinamento sportivo tra profili internazionalistici e relazioni con l’ordinamento statale, p. 131 ss., e la bibliografia ivi richiamata.

[7] Si richiama il codice previgente in quanto è quello applicato ratione temporis alle decisioni del Collegio che ad oggi si sono pronunciate sulla questione.

[8] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 7 aprile 2017, n. 25; conformi Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 8 marzo 2018, n. 11; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Consultiva, parere 2 marzo 2020, n. 1; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 26 aprile 2017, n. 28; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 8 maggio 2017, n. 36; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 10 luglio 2017, n. 50.

Nella decisione richiamata, le Sezioni Unite, con particolare riferimento alle attività inquirenti della fase istruttoria, escludono altresì che i termini siano “puramente ordinatori”. Il Collegio osserva che nel momento preprocessuale è opportuno che i tempi in cui si definiscono gli addebiti a carico degli indagati siano ragionevolmente brevi, in ossequio alle esigenze di celerità e speditezza poste a garanzia del procedimento di giustizia sportiva. Ne consegue che la durata delle indagini antecedente al deferimento non gode della discrezionalità del Procuratore Federale, ma deve rispettare un determinato percorso temporale che può essere adeguato in relazione alla complessità del caso e alle eventuali difficoltà nei rilievi probatori; infatti, se la Procura Federale dovesse disattendere sistematicamente il rispetto del termine di cui si tratta, la norma risulterebbe inadeguata alla funzione cui è deputata o l’attività investigativa si rivelerebbe inadatta alla tutela dell’ordinamento sportivo.

Si osserva che tale linea interpretativa è stata ripresa dalla IV Sezione nella decisione 21 luglio 2017, n. 55, che, nel ribadire la non perentorietà del termine in esame, al contempo ha rafforzato il concetto di non discrezionalità del lasso temporale a disposizione della Procura Federale per l’esercizio dell’azione disciplinare e la formulazione dell’atto di deferimento; secondo il Collegio, i termini in questione, pur non essendo scrutinabili secondo criteri di rigida perentorietà, debbono tuttavia essere sottoposti, di volta in volta, alla delibazione dell’Organo di Giustizia, per cogliere se, nel caso concreto, il tempo sia stato amministrato dalla Procura Federale cum grano salis, e cioè nel rispetto del delicato equilibro tra esigenze investigative e garanzie di difesa.

[9] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Consultiva, parere 29 novembre 2018, n. 7.

[10] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 10 febbraio 2021, n. 13.

[11] Evidenzia il Collegio che indicazioni in senso contrario non possono nemmeno desumersi dalla lettura e dalla collocazione delle norme all’interno del nuovo Codice di Giustizia FIGC: le norme che qui interessano sono, infatti, tutte collocate all’interno della Parte Seconda, dedicata al «Processo Sportivo». Segnatamente, l’art. 44, rubricato “Principi del processo sportivo”, dispone che «Tutti i termini previsti dal Codice, salvo che non sia diversamente indicato dal Codice stesso, sono perentori». La disposizione è collocata nel Capo I, «Principi del processo sportivo» del Titolo I, «Norme generali del processo sportivo». Seguono, poi (oltre al Titolo II, dedicato a «Revocazione e revisione», composto del solo art. 63), il Titolo III, dedicato ai «Giudici sportivi»; il Titolo IV, dedicato ai «Giudici Federali», per arrivare al Titolo V, dedicato alla «Procura Federale», ove, al Capo II, «Procedimento disciplinare», l’art. 125 fissa il termine di trenta giorni per l’atto di deferimento.

[12] A tale proposito, la II Sezione richiama l’art. 32 quinquies del Codice previgente il quale, al comma 3, dispone che «La durata delle indagini non può superare sessanta giorni dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante. Su istanza congruamente motivata del Procuratore federale, la Procura generale dello sport autorizza la proroga di tale termine per quaranta giorni. In casi eccezionali, la Procura generale dello sport può autorizzare una ulteriore proroga per una durata non superiore a venti giorni».

[13] Sul tema V. E. Jacovitti, Competenze del Collegio di Garanzia dello Sport, della Procura Generale dello Sport e degli altri organi di giustizia sportiva, in A. Piazza, A. Zimatore (a cura di), Repertorio Ragionato del Collegio di Garanzia dello Sport, Roma, 2019, p. 97 ss.

[14] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 18 gennaio 2016, n. 3.

[15] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 10 febbraio 2016, n. 6; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 27 luglio 2016, n. 29; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 5 luglio 2017, n. 49; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 4 gennaio 2017, n. 2; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 10 giugno 2016, n. 25; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 6 agosto 2019, n. 68.

[16] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 27 luglio 2016, n. 29.

[17] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 10 gennaio 2018, n. 2.

[18] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 13 marzo 2020, n. 16; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 23 settembre 2021, n. 76.

[19] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 13 marzo 2021, n. 9.

[20] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 30 agosto 2021, n. 69.

[21] A tale proposito, si rammenta che il CGS del CONI dispone, all’art. 54, comma 2, che «Hanno facoltà di proporre ricorso le parti nei confronti delle quali è stata pronunciata la decisione nonché la Procura Generale dello Sport», nonché, all’art. 6, comma 1, che «Spetta ai tesserati, agli affiliati e agli altri soggetti legittimati da ciascuna Federazione il diritto di agire innanzi agli organi di giustizia per la tutela dei diritti e degli interessi loro riconosciuti all’ordinamento sportivo».

[22] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 18 novembre 2021, n. 100.

[23] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 15 gennaio 2020, n. 6.

Nella sua decisione di rimessione, la IV Sezione reputa non coerente con i principi generali distinguere le due posizioni soggettive e riconoscere al soggetto non più tesserato la legittimazione a stare in giudizio nella qualità di soggetto incolpato o, eventualmente (in appello), di soggetto vittorioso che ha subito l’impugnazione proposta dall’organo requirente e, viceversa, negare la sua legittimazione a proporre mez­zi di impugnazione avverso una sanzione comminata all’esito di un giudizio disciplinare. L’asimmetria di posizioni che può derivare dall’accoglimento della tesi del difetto di legittimazione a proporre impugnazioni potrebbe risultare non in linea con i principi di parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo, solennemente richiamati dall’art. 2, comma 2, CGS del CONI. Alla luce di tali considerazioni, appare dubbio – ad avviso del Collegio – che possa disconoscersi la legittimazione del ricorrente a reagire contro la decisione che ha disposto l’applicazione di una sanzione nei suoi confronti.

[24] Nel caso specifico, avente ad oggetto la squalifica di 4 anni di un ex tesserato da qualsiasi attività dell’Ente di Promozione Sportiva denominato A.S.C. – Attività Sportive Confederate, viene invocato l’art. 5, comma 4, dell’ASC il quale dispone che «È sancito il divieto di far parte dell’ordinamento sportivo per un periodo di 10 anni per quanti si siano sottratti volontariamente con le dimissioni o il mancato rinnovo del tesseramento alle sanzioni irrogate nei loro confronti».

[25] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 5 febbraio 2021, n. 12.

[26] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 7 gennaio 2020, n. 2.

[27] Cass. civ., sent. 9 dicembre 2015, n. 24822.

[28] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 24 settembre 2021, n. 83.

[29] Cass. civ., 9 marzo 2018, n. 5663.

[30] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 6 settembre 2021, n. 7.

[31] Cass. civ., ord. 17 ottobre 2018, n. 26074, in cui si configura un errore materiale addirittura con riguardo al contrasto tra un dispositivo di rigetto della domanda e una pronuncia adottata in motivazione di accoglimento.

[32] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 5 febbraio 2021, n. 11.

[33] Cass. pen., sent. 7 luglio 2011, n. 35210; Cass. pen., sent. 29 gennaio 2020, n. 14173.

[34] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 12 novembre 2020, n. 55.

[35] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 10 giugno 2020, n. 25.

[36] Sezioni Unite, C.U. n. 082/CFA del 26 giugno 2020.

[37] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 22 dicembre 2015, n. 69; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 3 maggio 2017, n. 34.

[38] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 2 marzo 2020, n. 55.

[39] A conforto di tale conclusione, nota il Collegio che, a seguito delle precedenti citate decisioni, il Procuratore Generale dello Sport, con nota del 13 luglio 2017 indirizzata ai Procuratori Federali di tutte le Federazioni sportive e ai Procuratori Nazionali dello Sport, ha richiamato l’attenzione proprio sulla disciplina che regola la sospensione feriale dei termini, ritenuta applicabile alla giustizia sportiva.

[40] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. III, decisione 5 agosto 2021, n. 63.

[41] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. III, decisione 5 agosto 2021, n. 63; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 9 luglio 2020, n. 31.

La I Sezione richiama autorevole dottrina che rinviene proprio nell’interesse “alla sola giusta soluzione del conflitto” il proprium della decisione frutto dell’esercizio di un’attività giustiziale, attività cui deve inevitabilmente riconoscersi un carattere vincolato, nella misura in cui l’amministrazione non è chiamata a valutare in maniera imparziale i diversi interessi in gioco, sintetizzandoli attraverso il diaframma del­l’interesse pubblico prevalente. Il “giudicare” connesso all’esercizio della funzione giustiziale, dunque, si rivela un’attività priva di scopo, o, meglio, priva di uno scopo esterno, finendo per coincidere l’interes­se perseguito con la formazione del giudizio stesso (M. Calabrò, L’evoluzione della funzione giustiziale nella prospettiva delle appropriate dispute resolution, in Federalismi.it, 17 maggio 2017).

[42] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. III, decisione 5 agosto 2021, n. 63

[43] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 6 settembre 2021, n. 71.

[44] In tal senso, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 22 gennaio 2016, n. 4.

[45] A tale proposito, il Collegio richiama le varie decisioni a Sezione Unite che si sono espresse in tal senso, tra cui “L’illecito sportivo è classificabile come illecito di attentato e, dunque, si considera perfezionato quando si realizzano atti idonei a cambiare il naturale svolgimento di una competizione, indipendentemente dall’effettiva verificazione di un determinato evento dannoso, circostanza, quest’ultima, considerata come un’ipotesi aggravante” (Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione n. 93/2017); ed ancora, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 18 gennaio 2016, n. 3, per cui “l’illecito sportivo di cui all’art. 7 CGS della FIGC non è a formazione progressiva, bensì di pura condotta, a consumazione anticipata, che si realizza con il semplice compimento di atti diretti ad alterare la gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica che non sia il fisiologico risultato della gara stessa. Il vantaggio effettivo – cioè l’alterazione del risultato – non è elemento costitutivo del menzionato illecito, bensì mera circostanza aggravante ex art. 7, comma 6, CGS della FIGC”.

[46] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 19 novembre 2017, n. 93.

[47] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., 20 ottobre 2016, n. 52, ove si afferma che l’illecito sportivo in ambito disciplinare, ai sensi dell’art. 7, comma 1, CGS della FIGC, si realizza anche quando non sono individuati gli atti idonei a conseguire l’effettiva alterazione della gara. Tale fattispecie è classificabile come un illecito a consumazione anticipata, per il quale è accordata rilevanza giuridica soltanto alla proiezione soggettiva dell’atto finalizzato ad incidere sul risultato della gara, non assumendo alcun rilievo gli elementi della idoneità e della univocità degli atti”. In quest’ultima pronuncia, si specifica infatti la differenza significativa tra la figura dell’illecito a consumazione anticipata (o di attentato) in sede penale e quella propria dell’ambito sportivo sotto il profilo della rilevanza, nel primo ordinamento, e della irrilevanza, nel secondo, della idoneità ed univocità degli atti compiuti al perseguimento del risultato.

Sul punto, V. le osservazioni di V. Ceccarelli, Illecito sportivo, in A. Piazza, A. Zimatore (a cura di), Repertorio Ragionato del Collegio di Garanzia, Roma, 2019, p. 202 ss.

[48] A tale proposito, il Collegio richiama anche la giurisprudenza federale, la quale è concorde nel ritenere che nelle ipotesi in parola, pur prevedendo la fattispecie, come già chiarito, un’anticipazione della soglia di punibilità a “qualunque atto diretto” all’alterazione della gara o all’altra finalità previste, “sia comunque necessario che tali atti abbiano un “minimo di concretezza” (CAF 04 agosto 2006 C.U. n. 2/CF e, più recentemente, C.U. 48/TFN s.s. 2015/2016).

[49] Il Collegio richiama a tale proposito la decisione, sempre a Sez. Un., 19 novembre 2017, n. 93, ove si afferma che il grado di prova richiesto si deve individuare in un criterio che superi la semplice valutazione delle probabilità, ma che sia comunque inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio; e, più di recente, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 3 marzo 2021, n. 23, “il giudizio di colpevolezza nell’ordinamento sportivo non deve raggiungere il grado di certezza previsto dal noto principio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma deve essere comunque assistito da indizi che abbiano le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza, che conducano ad un univoco contesto dimostrativo”.

[50] È quanto già affermato dal Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 19 dicembre 2017, n. 93.

[51] Così anche Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 21 giugno 2019, n. 45.

[52] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 12 febbraio 2020, n. 8.

[53] Cass. civ., Sez. Un., sent. 29 luglio 2016, n. 15819.

[54] Rispettivamente, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 29 settembre 2021, n. 84 e Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 29 settembre 2021, n. 85.

Nel caso in esame – il noto “caso Tamponi” riguardante la Lazio – erano state imputate al presidente e ai medici sociali una serie di condotte, consistenti nel: non avere tempestivamente comunicato alle ASL competenti la positività dei tesserati riscontrata nell’esecuzione di tamponi in tre diverse date; non avere tempestivamente comunicato alle ASL competenti i nominativi dei contatti stretti dei tesserati positivi; non avere concordato con le ASL competenti le modalità di isolamento fiduciario dei tesserati del gruppo Squadra positivi, la quarantena dei tesserati del gruppo Squadra negativi e dei contatti stretti dei tesserati positivi; aver consentito l’allenamento con il gruppo squadra e, infine, aver fatto scendere in campo giocatori risultati positivi.

[55] Il procedimento è stato quindi rinviato alla Corte Federale d’Appello, la quale, con decisione del 29 ottobre 2021, n. 0030, ha rinnovato la sua valutazione dei fatti e proceduto alla conseguente rideterminazione delle sanzioni tenendo conto dei profili di responsabilità ritenuti insussistenti da parte delle Sezioni Unite.

[56] In argomento, il Collegio richiama Cons. Stato, Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 8909 e 26 novembre 2018, n. 6689.

[57] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 3 giugno 2021, n. 41, avente ad oggetto la delicata questione relativa ai deferimenti degli amministratori del Palermo Calcio a seguito del suo fallimento.

[58] C.U. n. 21/CF del 28 giugno 2007.

[59] Sempre in via generale, in relazione alla natura della responsabilità dettata dall’art. 21 delle NOIF, il Collegio, nel ribadire che tale responsabilità non può essere oggettiva, ma deve essere legata ai comportamenti personali, ritiene di dover evidenziare che, ai fini della valutazione sui comportamenti degli amministratori, occorre fare riferimento anche al principio secondo cui l’amministratore non operativo, con la riforma del diritto delle società, non ha più un obbligo di vigilanza generalizzata (art. 2392 c.c.), ma è responsabile secondo il principio dell’agire informato, di cui all’ultimo comma dell’art. 2381 c.c. Con la conseguenza che gli amministratori deleganti devono chiedere costantemente aggiornamenti agli amministratori delegati circa le attività svolte e la situazione della società, al fine di assumere poi decisioni ponderate, e rispondono delle loro scelte nei limiti delle informazioni ricevute e delle scelte prudenzialmente operate o se hanno omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire.

[60] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 29 marzo 2021, n. 28.

[61] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 7 gennaio 2020, n. 4.

[62] C.U. n. 152/A.

[63] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 23 ottobre 2019, n. 86; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 10 dicembre 2019, n. 93.

[64] A tale proposito, il Collegio evidenzia che la disciplina sul “premio di preparazione” assolve alla finalità, a carattere solidaristico, di incentivare la formazione dei giovani calciatori in linea con l’obiettivo della diffusione e dello sviluppo della pratica sportiva del calcio in età giovanile. La ‘solidarietà’, che connota l’istituto in parola, va riguardata non già sotto il profilo esclusivamente economico, in riferimento, dunque, all’interesse specifico della singola società cui spetta il versamento di una somma di denaro a titolo di premio di preparazione, bensì, prima di tutto, va intesa quale solidarietà sportiva, volta a realizzare l’interes­se generale del sistema calcistico a che i giovani calciatori vengano formati e, quindi, parallelamente, le società sportive investano mezzi e capitali per la loro formazione, senza di contro essere garantite dal vincolo sportivo oltre la stagione nella quale tale formazione si svolge.

[65] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 12 febbraio 2020, n. 9.

[66] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 4 marzo 2020, n. 15.

La pronuncia è stata emanata antecedentemente alle modifiche operate al d.P.C.M. del 23 marzo 2018 (di attuazione della legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 373) dal d.m. del 24 febbraio 2020 che ha condotto all’emanazione, da parte del CONI, del successivo Regolamento CONI Agenti Sportivi (deliberazione della Giunta Nazionale n. 127 del 14 maggio 2020), a cui è seguito l’adeguamento da parte della FIGC del proprio Regolamento Agenti Sportivi (Allegato A del C.U. n. 125 del 4 dicembre 2020). Gio­va segnalare che, di recente, è seguita l’emanazione del nuovo Regolamento CONI Agenti Sportivi del 20 luglio 2021.

È d’obbligo dare atto altresì dell’ulteriore modifica legislativa intervenuta con d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 37 – di attuazione dell’articolo 6 della legge 8 agosto 2019, n. 86 –, recante misure in materia di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive e di accesso ed esercizio della professione di agente sportivo.

[67] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 24 gennaio 2020 2020, n. 7.

Il Collegio osserva che in tal senso depone l’art. 11, comma 3, del d.P.C.M. del 23 marzo 2018, emanato in attuazione dell’art. 1, comma 373, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, ove si stabilisce che «Ciascuna federazione, accertato che il richiedente sia abilitato a operare nell’ambito della federazione sportiva del paese di provenienza, lo iscrive alla sezione speciale del registro federale dandone comunicazione al Coni entro trenta giorni per l’iscrizione in apposita sezione del Registro nazionale».

Anche tale decisione è stata emanata antecedentemente alle modifiche operate al suddetto d.P.C.M. dal d.m. del 24 febbraio 2020.

[68] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisioni: 12 febbraio 2021, n. 16; 12 febbraio 2021, n. 17; 15 febbraio 2021, n. 18; 15 febbraio 2021, n. 19; 23 febbraio 2021, n. 20; 23 febbraio 2021, n. 21; 3 marzo 2021, n. 24.

Il Collegio prende le mosse dall’art. 2, comma 1, lett. F) e J), del previgente Regolamento CONI Agenti Sportivi, ove si definisce il “titolo abilitativo unionale equipollente”, e l’art. 11 del Decreto del Ministro per le politiche giovanili e lo sport del 24 febbraio 2020 ove, nel riconoscere la possibilità di iscrizione in Italia da parte di soggetto iscritto in una Federazione di un altro Stato membro, si prevede espressamente come condizione il superamento di “prove equipollenti a quelle previste dal presente decreto”.

La decisione tiene conto delle modifiche operate al d.P.C.M. del 23 marzo 2018 (di attuazione della legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 373 dal d.m. del 24 febbraio 2020 che ha condotto all’e­manazione, da parte del CONI, del Regolamento CONI Agenti Sportivi approvato con deliberazione della Giunta Nazionale n. 127 del 14 maggio 2020, a cui è seguito l’adeguamento da parte della FIGC del proprio Regolamento Agenti Sportivi (Allegato A del C.U. n. 125 del 4 dicembre 2020).

La pronuncia, tuttavia, è antecedente, al Regolamento CONI Agenti Sportivi del 20 luglio 2021, nonché alla modifica legislativa intervenuta con d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 37 – di attuazione dell’articolo 6 della legge 8 agosto 2019, n. 86 –, recante misure in materia di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive e di accesso ed esercizio della professione di agente sportivo.

La recentissima evoluzione normativa, in ogni caso, non sembrerebbe intaccare il principio di diritto espresso nella decisione in esame. Invero, in attesa dei relativi decreti attuativi, il d.lgs. n. 37/2021 dispone all’art. 4, commi 5 e 6: «5. I cittadini dell’Unione europea, abilitati in altro Stato membro all’esercizio dell’attività di agente sportivo, sussistendo le condizioni del riconoscimento di cui all’articolo 13 della Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, possono essere iscritti nell’apposita sezione «Agenti sportivi stabiliti» del Registro nazionale del comma 1, secondo regole e procedure fissate dal decreto attuativo di cui all’articolo 12, comma 1. Il suddetto decreto disciplina anche le misure compensative richieste ai fini dell’iscrizione nel Registro ai sensi dell’articolo 14 della Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che possono consistere in una prova attitudinale o in un tirocinio di adattamento. Decorsi tre anni dall’iscrizione nella sezione speciale del Registro nazionale, l’agente sportivo stabilito, in regola con gli obblighi di aggiornamento e che abbia esercitato l’attività in Italia in modo effettivo e regolare, comprovato dal conferimento di almeno cinque incarichi all’anno per tre anni consecutivi nell’ambito della medesima Federazione Sportiva Nazionale, può richiedere l’iscrizione ordinaria al Registro nazionale di cui al comma 1, senza essere sottoposto all’esame di abilitazione. 6. Con il decreto di cui all’articolo 12, comma 1, da adottarsi di concerto con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sono fissati i criteri di ammissione di cittadini provenienti da Paesi esterni all’Unione europea all’attività di agente sportivo in Italia, nel rispetto della pertinente disciplina del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e dei relativi provvedimenti attuativi».

[69] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione del 29 marzo 2021, n. 29.

[70] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Consultiva, parere 5 giugno 2020, n. 2; Collegio di Garanzia, Sez. Consultiva, parere 16 dicembre 2020, n. 6.

[71] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Consultiva, parere 28 settembre 2018, n. 6.

[72] Parere n. 2/2020.

[73] Parere n. 6/2018.

[74] Parere n. 6/2018.

[75] Parere n. 2/2020.

[76] Parere n. 6/2020.

[77] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Consultiva, parere 10 marzo 2021, n. 1.

[78] Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Consultiva, parere 5 agosto 2021, n. 4.