Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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La riforma delle società sportive (di Alberto M. Gambino, rispettivamente Professore ordinario di Diritto privato nell’Università Europea di Roma e Vittorio Occorsio, Professore ordinario di Diritto privato nel­l’Università di Roma “Mercatorum”)


Il presente saggio affronta il tema delle società sportive. Il settore si è profondamente innovato con il d.lgs. 28 febbraio 2021 n. 36, che ha riscritto l’intera disciplina del diritto sportivo, compresa la disciplina delle società sportive professionistiche e dilettantistiche.

Parole chiave: società sportive, sport amatoriale, federazione.

The reform of sports clubs

The essay is dedicated to sports clubs. The sector was profoundly innovated with the legislative decree February 28, 2021 n. 36, which rewrote the entire legislation of sports law, including the discipline of professional and amateur sports clubs.

Keywords: sports clubs, amateur sport, federation.

SOMMARIO:

1. La riforma delle società sportive del 2021 - 1.1. Le società sportive professionistiche - 1.1.2. Statuto e organi speciali - 1.2. Le società sportive dilettantistiche - 1.2.2. Statuto - 1.2.3. L’assenza dello scopo di lucro - 1.2.4. Il Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche - 2. Un antico problema: dilettantismo sportivo e finalità di lucro - 2.1. La precedente ‘apparizione’ e successiva ‘scomparsa’ della società dilettantistica lucrativa (Legge di Bilancio 2018) - 3. La trasformazione da enti non lucrativi a società lucrative: sorte dei contributi pubblici ricevuti - 4. Un settore molto “speciale”. Le Norme interne di Federazione - 4.1. La tutela del titolo sportivo - 4.2. Società sportive e operazioni straordinarie - NOTE


1. La riforma delle società sportive del 2021

Il diritto sportivo è stato profondamente innovato dal d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36 (Attuazione dell’art. 5, legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo) che ha riscritto l’intero sistema normativo di questo settore. Con esso, sono mutate anche le norme che regolavano le società sportive.

Il decreto in parola – che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2023, ad esclusione delle disposizioni di cui agli artt. 10, 39 e 40 e del Titolo VI che si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2022 – regola compiutamente i requisiti e la disciplina delle società sportive.


1.1. Le società sportive professionistiche

1.1.1. Costituzione

Le società sportive professionistiche come già nella normativa precedente, possono optare per la forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata.

In entrambi i casi, e dunque anche al di fuori dei requisiti codicistici, è obbligatoria la nomina del collegio sindacale (art. 13, comma 2, d.lgs. n. 36/2021).

L’oggetto della società deve essere esclusivo, salvo lo svolgimento di attività connesse o strumentali a quella sportiva professionistica (ad esempio, svolgimento di scuole; attività di merchandising; sponsorship; attività di gestione di circoli sportivi, e così via).

L’atto costitutivo deve prevedere altresì che una quota parte degli utili, non inferiore al 10%, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-spor­tiva.

Prima di procedere al deposito dell’atto costitutivo presso il Registro delle Imprese, è necessario che la società ottenga l’affiliazione da una o da più Federazioni Sportive Nazionali riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano, dal Comitato Italiano Paralimpico se svolge attività sportiva paralimpica (art. 13, comma 4, d.lgs. n. 36/2021, cit.).

A loro volta, gli effetti derivanti dall’affiliazione restano sospesi fino al completamento del deposito, previsto dall’art. 14, d.lgs. n. 36/2021, dell’atto costitutivo della società, presso la Federazione Sportiva Nazionale alla quale sono affiliate.

Coerentemente, anche gli effetti delle delibere dell’assemblea straordinaria di modifica dello Statuto, nonché le modificazioni concernenti gli amministratori ed i revisori dei conti, sono sospesi finché sia eseguito il predetto deposito.

L’affiliazione rappresenta dunque un elemento determinante ai fini dell’avvio e della prosecuzione dell’attività: una volta ottenuta, l’affiliazione può essere revocata dalla Federazione Sportiva Nazionale solo per gravi infrazioni all’ordinamento sportivo, e la revoca dell’affiliazione determina l’inibizione dello svolgimento dell’attività sportiva (art. 13, commi 8 e 9, d.lgs. n. 36/2021), con conseguente insorgenza di una causa di scioglimento della società per impossibilità di perseguire l’oggetto sociale (art. 2484, comma 1, n. 2, c.c.) e necessità di procedere alla liquidazione della stessa.

Avverso le decisioni della Federazione Sportiva Nazionale è ammesso ricorso alla Giunta del CONI, che si pronuncia entro sessanta giorni dal ricevimento del ricorso.


1.1.2. Statuto e organi speciali

Per quanto riguarda gli statuti delle società professionistiche, la norma (in linea, peraltro, con la disciplina generale) prevede la possibilità di inserirvi vincoli o condizioni per l’alienazione delle azioni o delle quote.

Una previsione meritevole di nota è invece quella sull’obbligatoria costituzione di un organo consultivo che provveda, con pareri obbligatori ma non vincolanti, alla tutela degli «interessi specifici dei tifosi» (art. 13, comma 7, d.lgs. n. 36/2021). Tale organo va inserito, insieme agli altri organi societari, nello statuto sociale.

L’organo in questione si deve formare da non meno di tre e non più di cinque membri, eletti ogni tre anni dagli abbonati alla società sportiva, con sistema elettronico, secondo le disposizioni di un apposito regolamento approvato dal consiglio di amministrazione della stessa società, che deve stabilire regole in materia di riservatezza e indicare le cause di ineleggibilità e di decadenza, tra le quali, in ogni caso, l’emissione nei confronti del tifoso di uno dei provvedimenti previsti dall’art. 6, legge 13 dicembre 1989, n. 401 (c.d. DASPO: Divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive) o dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159) ovvero di un provvedimento di condanna, anche con sentenza non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Sono fatti salvi gli effetti dell’eventuale riabilitazione o della dichiarazione di cessazione degli effetti pregiudizievoli.

L’organo consultivo elegge tra i propri membri il presidente, che può assistere alle assemblee dei soci. Le società sportive professionistiche adeguano il proprio assetto so­cietario alle disposizioni del presente comma entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.


1.2. Le società sportive dilettantistiche

1.2.1. La forma giuridica

Gli enti sportivi dilettantistici possono, a seguito della riforma del 2021, costituirsi anche nella forma delle società di capitali. È, questa, una storica innovazione, giacché, come si dirà meglio nei prossimi paragrafi, prima d’ora l’attività sportiva dilettantistica non poteva essere a scopo di lucro. La precedente riforma, che nel 2018 aveva aperto alle società dilettantistiche lucrative, era stata abrogata, come infra si dirà, in meno di sei mesi.

Pertanto, con l’entrata in vigore della riforma, gli enti sportivi dilettantistici potran­no assumere una delle seguenti forme giuridiche:

a) associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli artt. 36 ss. c.c.;

b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato;

c) società di cui al Libro V, Titolo V, del codice civile.

Gli enti sportivi dilettantistici, ricorrendone i presupposti, possono inoltre assumere – naturalmente, se costituiti nella forma associativa – la qualifica di enti del Terzo Setto­re, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. t), d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (c.d. Codice del Ter­zo Settore), ovvero (anche se costituiti in forma societaria) di impresa sociale, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. u), d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112. È, questa, una importante pre­visione che allinea il settore sportivo all’ambito del Terzo Settore, ormai divenuto estre­mamente rilevante alla luce del nuovo Codice del Terzo Settore.

Anche gli enti sportivi dilettantistici si affiliano annualmente alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate e agli Enti di Promozione Sportiva. Essi possono affiliarsi contemporaneamente anche a più di un organismo sportivo affiliante.


1.2.2. Statuto

Per quanto riguarda le prescrizioni che devono essere necessariamente recepite nel­l’atto costitutivo (i.e. nello Statuto) delle società sportive dilettantistiche, si annoverano le seguenti.

L’oggetto sociale deve avere specifico riferimento all’esercizio in via stabile e prin­cipale dell’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche, ivi comprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica.

Non è quindi più prescritta l’esclusività dell’oggetto sociale, diversamente da quanto sinora previsto e da quanto previsto tuttora per le società sportive professionistiche.

Le società sportive che assumono la forma societaria non devono inserire nello Statuto norme sull’ordinamento interno ispirate a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle cariche sociali, perché si applicano le disposizioni del codice civile.

In caso di scioglimento, è necessario devolvere ai fini sportivi il patrimonio (art. 7, d.lgs. n. 36/2021). Questa previsione rappresenta una novità nell’intero settore del diritto societario, in quanto applica a quest’ambito principi propri delle attività non lucrative. Una simile norma è prevista, ad esempio, per le associazioni e fondazioni: cfr. art. 32 c.c.

Per quanto riguarda il compimento di attività secondarie e strumentali, esse possono essere esercitate a condizione che l’atto costitutivo o lo Statuto lo consentano e che abbiano carattere secondario e strumentale rispetto alle attività istituzionali, secondo i criteri che saranno definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del­l’Autorità politica da esso delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro del­l’economia e delle finanze.

È da ritenersi che queste clausole configurino in realtà una vera e propria condizione per la costituzione della società, ai sensi dell’art. 2329, comma 1, n. 3), c.c., che prevede che per procedere alla costituzione della società è necessario «che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione della società». Non si tratta infatti di una ipotesi di nullità delle società, che come ben noto è limitata alle previsioni tassativamente indicate nell’art. 2332 c.c., che deve essere dichiarata con sentenza (art. 2332, comma 4, c.c.) e che, comunque, non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti dopo l’iscrizione al registro delle imprese (art. 2332, comma 2, c.c.), né esenta i soci dall’obbligo di effettuare i conferimenti dovuti (art. 2332, comma 3, c.c.), e che può essere eliminata (art. 2332, comma 5, c.c.). Non si tratta nemmeno di un onere al fine di godere di determinate agevolazioni: è una vera e propria ipotesi di inconfigurabilità del tipo, di talché, in mancanza, difettano requisiti ritenuti dal legislatore essenziali al fine della configurazione della fattispecie in esame, salvo potersi parlare di conversione in una società ordinaria, non sportiva, ex art. 1424 c.c.

Si tratta di una vera e propria condizione che deve essere presente ex ante rispetto all’iscrizione della società nel Registro delle Imprese, la cui mancanza non permette dunque l’acquisto della personalità giuridica (ai sensi dell’art. 2331 c.c.). Il notaio che riceve l’atto costitutivo non potrà procedere in mancanza dell’adozione di tali clausole, e si dovrà rifiutare di eliminarle laddove questa fosse la richiesta della società post iscrizione al Registro delle Imprese (dove peraltro non è prescritta una sezione speciale, dovendosi quindi iscrivere alla sezione ordinaria).

Sono poi previste (art. 11, d.lgs. n. 36/2021) alcune incompatibilità, di cui è opportuno dare conto anche negli statuti. Infatti, è vietato agli amministratori delle associazioni e società sportive dilettantistiche ricoprire qualsiasi carica in altre società o associazioni sportive dilettantistiche nell’ambito della medesima Federazione Sportiva Nazionale, disciplina sportiva associata o Ente di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI.

È previsto che gli atti costitutivi e di trasformazione delle associazioni e società sportive dilettantistiche, nonché delle Federazioni Sportive Nazionali e degli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI direttamente connessi allo svolgimento del­l’attività sportiva, siano soggetti all’imposta di registro in misura fissa (art. 12, d.lgs. n. 36/2021). Tale disposizione non è del tutto chiara, atteso che tali atti sono già soggetti ad imposta di registro in misura fissa. Applicando il criterio interpretativo che vuole assegnare un significato alle disposizioni che altrimenti non l’avrebbero, deve reputarsi che tale agevolazione si applichi anche a quei casi, che altrimenti sarebbero tassati con imposta proporzionale, e cioè l’atto costitutivo con conferimento di beni in natura (immobili o aziende).

Dal punto di vista fiscale, è infine previsto che il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni Sportive Nazionali o da Enti di Pro­mozione Sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’art. 108, comma 1, Testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.


1.2.3. L’assenza dello scopo di lucro

La possibilità che l’attività sportiva dilettantistica sia svolta con modalità lucrative è tuttavia calmierata dalle previsioni contenute nell’art. 8, d.lgs. n. 36/2021.

Tale norma prevede che sia le associazioni che le società sportive dilettantistiche destinino eventuali utili ed avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del proprio patrimonio.

Del pari, è vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominati, a soci o associati, lavoratori e collaboratori, am­ministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di qualsiasi altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto.

Se costituiti nelle forme societarie, gli enti dilettantistici possono destinare una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci, nei limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolate dall’ISTAT, per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio sociale in cui gli utili e gli avanzi di gestione sono stati prodotti, oppure alla distribuzione, anche mediante aumento gratuito del capitale sociale o l’emissione di strumenti finanziari, di dividendi ai soci, in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato (art. 8, comma 3, d.lgs. n. 36/2021).

Inoltre, è ammesso il rimborso al socio del capitale effettivamente versato ed eventualmente rivalutato o aumentato nei limiti di cui al comma 3.


1.2.4. Il Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche

L’art. 10 del d.lgs. n. 36/2021, che rientra tra le norme che entrano in vigore a partire dal 1° gennaio 2022 e non, come il resto del decreto, il 1° gennaio 2023, ha previsto l’istituzione del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, con la fina­lità di registrare il riconoscimento delle associazioni e le società sportive dilettantistiche dalle Federazioni Sportive Nazionali, dalle Discipline Sportive Associate, dagli Enti di Promozione Sportiva.

La pubblicità in questo Registro ha funzione costitutiva della certificazione della effettiva natura dilettantistica dell’attività svolta da società e associazioni sportive, ai fini delle norme che l’ordinamento ricollega a tale qualifica.

Il Registro è tenuto dal Dipartimento per lo sport, il quale trasmette annualmente al Ministero dell’Economia e delle Finanze – Agenzia delle Entrate l’elenco delle società e delle associazioni sportive ivi iscritte.

Le funzioni ispettive sono esercitate dal medesimo Dipartimento per lo sport, avvalendosi della società Sport e Salute S.p.A., partecipata al 100% dal Ministero dell’Eco­nomia e delle Finanze [1].

In caso di violazione di queste disposizioni, il Dipartimento per lo sport diffida gli organi di amministrazione degli enti dilettantistici a regolarizzare i comportamenti ille­gittimi entro un congruo termine, comunque non inferiore a venti giorni. Nel caso di ir­regolarità non sanabili o non sanate entro i termini prescritti il Dipartimento per lo sport revoca la qualifica di ente dilettantistico.


2. Un antico problema: dilettantismo sportivo e finalità di lucro

Con la riforma è caduta l’idea che lo sport dilettantistico non possa avere fine di lucro.

È, questo, un pensiero non nuovo, che ha percorso da sempre il legislatore. La finalità lucrativa era infatti preclusa, prima della Legge di Bilancio 2018, per le società sportive dilettantistiche, come appare evidente da una pur rapida illustrazione della normativa anteriore.

In primis, l’art. 32, legge 28 marzo 1986, n. 157 disponeva che «Le società, le associazioni e gli enti sportivi non hanno scopo di lucro e sono riconosciuti, ai fini sportivi, dal Consiglio nazionale del Comitato olimpico nazionale italiano o, per delega, dalle federazioni sportive nazionali. Il riconoscimento delle società polisportive è fatto per le singole specialità dello sport praticato» [corsivo aggiunto].

Il comma 1 dell’art. 90, legge 27 dicembre 2002, n. 289, ha previsto poi che «Le disposizioni della Legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le al­tre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro».

Inoltre, il comma 17 dello stesso art. 90, legge n. 289/2002 prevede che associazioni e società sportive dilettantistiche debbano indicare nella denominazione sociale la finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica e possono assumere le forme a) della associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli artt. 36 ss. c.c.; b) della associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del regolamento di cui al d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361; c) della società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro.

Il successivo comma 18 del medesimo articolo stabilisce che «Le società e le associazioni sportive dilettantistiche si costituiscono con atto scritto nel quale deve tra l’al­tro essere indicata la sede legale. Nello Statuto devono essere espressamente previsti: a) la denominazione; b) l’oggetto sociale con riferimento all’organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l’attività didattica; c) l’attribuzione della rappresentanza legale dell’associazione; d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli, associati, anche in forme indirette; e) le norme sull’ordinamento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle cariche sociali, fatte salve le società sportive dilettantistiche che assumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si applicano le disposizioni del Codice civile; f) l’obbligo di redazione di rendiconti economico-finanziari, nonché le modalità di approvazione degli stessi da parte degli organi statutari; g) le modalità di scioglimento dell’associazione; h) l’obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle società e delle associazioni» [corsivo aggiunto].

A queste disposizioni si accompagnano inoltre norme delle singole federazioni le quali, nell’esercizio del loro potere regolatorio, hanno ulteriormente affermato e normato il principio per cui l’attività lucrativa deve essere solo marginale in questo tipo di attività. È il caso, ad esempio, delle previsioni contenute nel regolamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio, quali quelle degli artt. 31 e 34, d.P.R. 2 agosto 1974, n. 530 che stabiliscono, rispettivamente, che le società sportive non abbiano scopi di lucro e che l’atleta non professionista deve praticare lo sport senza trarne profitto materiale [2].

L’enunciata peculiarità di questo settore ha attratto l’attenzione di eminenti studiosi, che si sono occupati ad esempio di stabilire quando un’organizzazione sportiva possa considerarsi impresa sulla base della nozione generale dell’art. 2082 c.c. [3]. In quest’ot­tica, si è richiamato l’insegnamento di illustre dottrina, secondo cui ai fini di qualificare un comportamento come imprenditoriale non basta, secondo l’art. 2082 c.c., l’eco­nomicità del risultato se esso non viene conseguito con un metodo, qualificabile come economico: il che significa programmare quantomeno il pareggio, cioè l’equilibrio tra costi e ricavi e, perciò, richiedere per i servizi forniti un corrispettivo astrattamente idoneo al conseguimento dell’obiettivo dell’autosufficienza [4].

In passato, vi fu un momento di passaggio tra associazioni non riconosciute e società di capitali quando le società calcistiche di serie A e B assunsero, sulla base di una delibera del CONI del 1966, la forma della società per azioni. Questa operazione incontrò non pochi ostacoli in sede di controllo giudiziario, poiché le società sportive dovevano essere, appunto, prive di fine di lucro e ciò le poneva in contrasto con l’art. 2247 c.c., che caratterizza le società di ogni tipo sulla base dello scopo di divisione degli utili fra i soci. Perciò qualche tribunale rifiutò l’omologazione dell’atto costitutivo di tali società [5].

Il problema era stato risolto, con riguardo alle «società» sportive maggiormente caratterizzate da connotati imprenditoriali (cioè da quelle che si avvalgono delle prestazioni di atleti professionisti), dalla legge n. 91/1981 che, derogando alla regola codicistica, ha imposto loro l’assunzione della forma di società di capitali (art. 10, comma 1; legge n. 91/1981) pur in assenza del fine di lucro soggettivo (artt. 10, comma 2; 13, comma 2; legge n. 91/1981). Anche quest’anomalia è stata però superata, sempre limitatamente alle società sportive professionistiche, dalla legge 16 novembre 1996, n. 586, che ha ripristinato la possibilità di distribuire gli utili tra i soci, al fine di favorire l’autofinanziamento delle società (art. 4, comma 1, lett. b), legge n. 586/1996).

Rimaneva però l’enorme quantità di società (e associazioni) sportive dilettantistiche che non potevano assumere la qualifica di società lucrativa, e quindi non potevano dividere gli utili tra i soci [6].


2.1. La precedente ‘apparizione’ e successiva ‘scomparsa’ della società dilettantistica lucrativa (Legge di Bilancio 2018)

I commi 353 ss. dell’art. 1, legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2017, n. 302, entrata in vigore il 1° gennaio 2018, avevano previsto che le attività sportive dilettantistiche potessero essere esercitate con scopo di lucro in una delle forme societarie di cui al titolo V del libro quinto del codice civile: «Le attività sportive dilettantistiche possono essere esercitate con scopo di lucro in una delle forme societarie di cui al titolo V del libro quinto del codice civile» [7].

Il legislatore ha, tuttavia, ritenuto che una tale figura rappresentasse un caso di «straordinaria necessità e urgenza» richiedente l’emanazione di un decreto-legge ai sensi dell’art. 77 Cost. per sopprimerla.

Il d.l. 12 luglio 2018, n. 87 (in Gazzetta Ufficiale 13 luglio 2018, n. 161), recante «Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese» (c.d. Decreto Dignità), ha disposto all’art. 13 l’abrogazione dei precitati commi della legge n. 205/2017 e pertanto la possibilità di costituire una società sportiva dilettantistica lucrativa.

Vale la pena occuparsi dei requisiti e delle caratteristiche della s.s.d.l. secondo il paradigma offerto dalla Legge di Bilancio del 2018, la quale, sebbene allo stato risulti abrogata, ha costituito il riferimento per la successiva norma del 2021.

Il comma 354 della Finanziaria 2018 detta(va) i requisiti necessariamente presenti negli statuti delle società sportive dilettantistiche con scopo di lucro, a pena di nullità:

a) nella denominazione o ragione sociale, la dicitura «società sportiva dilettantistica lucrativa»;

b) nell’oggetto o scopo sociale, «lo svolgimento e l’organizzazione di attività sportive dilettantistiche»;

c) il «divieto per gli amministratori di ricoprire la medesima carica in altre società o associazioni sportive dilettantistiche affiliate alla medesima federazione sportiva o disciplina associata ovvero riconosciute da un ente di promozione sportiva nell’ambito della stessa disciplina».

Vi era inoltre l’obbligo di prevedere nelle strutture sportive, in occasione dell’a­pertura al pubblico dietro pagamento di corrispettivi a qualsiasi titolo, la presenza di un «direttore tecnico» in possesso del diploma ISEF o di laurea quadriennale in Scienze motorie o di laurea magistrale in Organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie (LM47) o in Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattate (LM67) o in Scienze e tecniche dello sport (LM68), ovvero in possesso della laurea triennale in Scienze motorie (art. 1, comma 354, lett. d), legge n. 207/2017). La mancanza di queste clausole era sanzionata con la nullità dell’atto costitutivo.


3. La trasformazione da enti non lucrativi a società lucrative: sorte dei contributi pubblici ricevuti

Uno dei problemi di maggior rilievo a proposito delle ‘nuove’ società dilettantistiche lucrative è quello legato alla sorte dei contributi pubblici in caso di trasformazione da un ente costituito in forma non lucrativa.

Le maggiori criticità dell’operazione di trasformazione di una associazione (o di una società) sportiva dilettantistica non lucrativa, in una società di capitali (sportiva di­lettantistica ma pur sempre lucrativa) derivano, infatti, dalla previsione dell’art. 2500-octies, comma 3, c.c., secondo cui non è ammessa la trasformazione «per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico».

A tale norma si accompagna l’art. 223-octies disp. att. c.c., ai sensi del quale «la trasformazione prevista dall’articolo 2500-octies del codice civile è consentita alle associazioni e fondazioni costituite prima del 01/01/2004 soltanto quando non comporta distrazione, dalle originarie finalità, di fondi o valori creati con contributi di terzi o in virtù di particolari regimi fiscali di agevolazione. Nell’ipotesi di fondi creati in virtù di particolari regimi fiscali di agevolazione, la trasformazione è consentita nel caso in cui siano previamente versate le relative imposte».

È bene chiarire che le contribuzioni pubbliche si possono mostrare in forma diretta, come finanziamenti o sovvenzioni, ovvero anche in forma indiretta: anche la mera age­volazione fiscale è una forma di contribuzione pubblica che rientra nel novero dei presupposti impeditivi della trasformazione (quantomeno nella misura in cui e fino al momento in cui tale contribuzione, diretta o indiretta che sia, sia goduta dall’ente in questione).

Le finalità della norma in questione riposano sulla connotazione causale degli enti senza scopo di lucro, la quale preclude una destinazione egoistica dei proventi della gestione e quindi consente un regime di favore per ricevere contributi pubblici e donazioni private, principio che sarebbe agevolmente frodato laddove si consentisse a un soggetto di mutare la propria causa in lucrativa dopo aver percepito tali contribuzioni [8].

In passato si è ritenuto che nell’ipotesi di trasformazione di associazioni sportive in società sportive dilettantistiche (non lucrative) non si porrebbe un problema di violazione dei limiti legali di cui agli artt. 2500-octies, comma 3, c.c., 223-octies disp. att. e trans. c.c., atteso che detta operazione non determinerebbe alcuna “distrazione” delle agevolazioni ricevute dalle finalità originarie, in considerazione dell’identità dei fini perseguiti dall’ente sia prima che dopo la trasformazione [9]. Si avrebbe una mera modificazione strutturale dell’assetto organizzativo senza modificazione causale [10].

Di più, si è ritenuto che l’art. 2500-octies, comma 3, c.c., risulti derogato tutte le volte in cui la trasformazione in parola risulti «imposta, seppure alla stregua di un semplice onere per stipulare contratti con atleti professionisti, dalla legislazione speciale al vaglio» [11]: è il caso della legge n. 91/1981, che ha imposto la trasformazione in s.r.l. o s.p.a. lucrative per le società sportive professionistiche. Si ritiene, in tale specifico contesto, di non applicare la normativa che vieta la trasformazione in caso di contribuzioni o agevolazioni pubbliche.

Siffatto argomentare non sembra però replicabile nel caso di trasformazione ai sensi della nuova normativa: da un lato, essa non è imposta (neanche come onere) al fine dello svolgimento dell’attività sportiva in alcuna sua forma, e rimane quindi il fatto che la trasformazione tra associazione (o società) non lucrativa e società lucrativa comporta una diversità del fine perseguito, e con esso la possibilità di incappare nel divieto normativo.

Pertanto, la procedura di trasformazione dovrà tener conto della necessità di esaurire i contributi pubblici di cui l’ente di provenienza godeva, e di non godere di altre sovvenzioni pubbliche o private, oltreché dell’impossibilità di valersi delle agevolazioni fiscali previste per gli enti sportivi non lucrativi. In alternativa, ci sembra meritevole di adesione la posizione di chi – atteso che la distrazione dalle originarie finalità dei fondi o valori creati con contributi di terzi o in virtù di particolari regimi fiscali di agevolazione si realizzerebbe solo se gli effetti patrimoniali dei contributi dei terzi sussistano effettivamente nel patrimonio dell’ente – ha ritenuto che la norma «non troverebbe applicazione nei casi in cui gli amministratori, sulla base di una perizia giurata, certificassero un valore negativo della situazione patrimoniale; con la conseguenza che, per effetto della trasformazione, i soci sottoscriverebbero integralmente il capitale della società (contestualmente provvedendo, in caso di patrimonio cd. negativo, al ripiano dell’intero deficit risultante dalla predetta perizia)» [12].

Di tali circostanze sarà necessario che il presidente dell’assemblea dia atto al momento in cui si decide la trasformazione.


4. Un settore molto “speciale”. Le Norme interne di Federazione

Il settore del diritto sportivo ha assunto, specialmente negli ultimi anni, il valore di un settore a sé, che spazia tra il diritto privato, il diritto societario e il diritto amministrativo, in una dimensione spesso trans-nazionale, dove assumono grande rilievo, oltre alle norme primarie, norme internazionali, norme di natura secondaria e pattizia.

A ciò si aggiunge una frammentazione ulteriore all’interno delle varie discipline, presentando le diverse federazioni delle norme ulteriormente speciali, che peraltro sono riconosciute legislativamente come fonti del diritto: si pensi ad es. alle c.d. NOIF, Norme Organizzative Interne di Federazione, che disciplinano il settore calcistico [13].

Ne deriva un sistema estremamente frastagliato e ‘orizzontale’, in ossequio, peraltro, ad una generale tendenza dei vari settori del diritto per una specializzazione sempre più connessa all’ambito economico-sociale di appartenenza (diritto sportivo, diritto della navigazione, diritto immobiliare, e via seguitando), e sempre meno alle tradizionali partizioni cui sono legati gli studi in giurisprudenza (diritto privato, diritto commerciale, diritto amministrativo, ecc.).

Così delineato, appare chiaro che trattare delle società sportive richiederebbe in realtà ben più pagine di quelle consentite dall’economia dell’Opera, in quanto si dovrebbe approfondire la disciplina delle società sportive non solo e non tanto alla luce della normativa nazionale generalmente applicabile alle società sportive, bensì all’interno di ciascun ordinamento federale, nonché all’interno delle federazioni internazionali.

Un esempio può aiutare a comprendere.

Le NOIF della Federazione Italiana Giuoco Calcio (“FIGC”), prevedono una specifica disciplina per le operazioni (i) di fusione, (ii) di scissione e (iii) di conferimento in conto capitale dell’azienda sportiva in una società interamente posseduta dalla società conferente, che coinvolgano società sportive affiliate alla Federazione, che contengono regole ulteriori rispetto a quelle contenute nel codice civile, e precisamente agli artt. 2501-2505-quater c.c. (per le fusioni) e 2506-2506-quater c.c. (per le scissioni), 2555 ss. c.c. (per la cessione e l’affitto d’azienda).

Le norme di tale ambito, tuttavia, non sono applicabili alle società sportive di altra federazione, rendendo perciò lo sforzo di chiunque intenda analizzarle compiutamente una vera e propria fatica di Sisifo.


4.1. La tutela del titolo sportivo

Si possono tuttavia cercare di delineare alcune caratteristiche di tali normative, o meglio, alcune ratio legis, che rispondono a ragioni comuni alle varie Federazioni sportive.

Una di esse, forse la più rilevante, è quella legata al titolo sportivo.

È infatti di primario interesse per il legislatore federale assicurare continuità all’a­zienda sportiva e soprattutto al titolo sportivo, alla luce dei vantaggi che esso consente [14].

Il titolo sportivo rappresenta il riconoscimento da parte della Federazione delle con­dizioni tecniche sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una società ad un determinato Campionato (e cfr., ad es., art. 52, comma 1, NOIF della FIGC) [15].

La sua natura giuridica è stata ricondotta – da parte della giurisprudenza amministrativa – allo status dell’affiliato, «non già come situazione giuridica di vantaggio riconosciuta dall’ordinamento generale, bensì solo qualità inerente alla posizione» che ciascun soggetto affiliato riveste nei confronti e nell’ambito dell’organizzazione di cui fa parte. Al di fuori di questo contesto, «non è possibile attribuire al titolo de quo significati autonomi e diversi; [esso] non ha senso se non nell’appartenenza al sodalizio e secondo le re­gole, le condizioni, i requisiti (tecnico-finanziari) previsti dall’ordinamento settoriale» [16].

Altri hanno invece ritenuto trattarsi di un diritto potestativo che «si manifesta completamente al termine di ciascun campionato» al ricorrere di determinati presupposti [17].

Ancora, si è rilevato che esso sarebbe un bene patrimoniale [18], ovvero rappresenterebbe l’avviamento dell’azienda sportiva [19].

È forse possibile accogliere una sorta di mediazione tra le varie teorie, e riconoscere che il titolo sportivo inerisce allo stesso tempo allo status dell’affiliato, riconoscendo a questi il diritto potestativo di partecipare ad uno specifico campionato, senza che possa da ciò argomentarsi una sua natura di bene in senso giuridico, tanto più che è possibile per la Federazione revocarlo [20]; parimenti, esso costituisce l’elemento di mag­gior valore dell’avviamento aziendale delle società sportive.

Questi brevi riferimenti appaiono sufficienti ad illustrare i motivi a fondamento dei ristretti confini che la Federazione, quale ente esponenziale dei soggetti affiliati ed a tutela degli interessi sottesi all’affiliazione ed allo svolgimento dei campionati, ha fissato per l’apprensione e la circolazione del titolo sportivo, tanto da stabilire espressamente il divieto dalla sua commercializzazione (art. 52, comma 2, NOIF), di talché un contratto di cessione del titolo dovrebbe essere dichiarato nullo – prim’ancora che per illiceità della causa – per impossibilità dell’oggetto in forza del combinato disposto degli artt. 1418, comma 2, e 1346 c.c. [21].

È solo consentita, entro i limiti suddetti, la successione nel titolo, purché sia assicurata la sostanziale continuità nell’imprenditore, e non solo nell’azienda.

Le ragioni di tale scelta di sistema sono legate alla tutela di molteplici interessi, quali, innanzitutto, l’interesse della FIGC alla regolarità dei campionati sportivi, poi l’interesse del territorio e della tifoseria locale, quindi l’interesse economico professionale degli atleti e dei collaboratori, e l’interesse dei creditori diversi dagli sportivi [22], che corroborano la necessità di un controllo ulteriore sul piano della legittimità e della meritevolezza delle operazioni di fusione, scissione, conferimento d’azienda.

La normativa sin qui esposta è imperniata intorno all’esigenza di far sì che il titolo sportivo sia acquisito “sul campo” e non costituisca oggetto di scambio: se fosse consentito cedere il titolo sportivo, si perverrebbe alla conclusione, anomala per il sistema federale, di vanificare il sistema dei controlli che la Federazione è tenuta ad effettuare ex legge n. 91/1981, poiché ogni qualvolta una società fosse in difficoltà, cederebbe il proprio titolo ad un altro soggetto [23].

L’elemento cardine delle disposizioni in esame è dunque, insieme con la necessità di mantenere l’interezza dell’azienda, anche la continuità aziendale; così come avviene, per fare un esempio in altri ambiti, nella disciplina dei bilanci (art. 2423-bis c.c., o lo IAS 1, § 23), ovvero delle soluzioni pre-concorsuali per la crisi d’impresa (concordato con continuità ex art. 186-quinquies legge fall.).

Per tale motivo la normativa interna di Federazione accomuna spesso in unica norma fattispecie tra loro eterogenee (quali le operazioni di fusione-scissione rispetto a quelle di conferimento d’azienda).

Le peculiarità della normativa speciale ruotano intorno all’approvazione presidenziale, che «è condizione di efficacia della fusione, della scissione o del conferimento d’azienda», e che deve risultare dalla relativa delibera; nonché agli effetti delle operazioni in parola sul piano dell’affiliazione sportiva delle società, e quindi sulla successione nel titolo sportivo. I requisiti richiesti al fine dell’ottenimento dell’approvazione sono, spesso, di due tipologie: alcuni investono caratteristiche “soggettive”, altri invece elementi “oggettivi”, tra cui quelli inerenti all’anzianità di affiliazione, alla localizzazione dell’attività, e alla frequenza delle operazioni rilevanti.

Si configura così la necessità di condizionare sospensivamente le relative delibere societarie all’approvazione del presidente federale, con tutto ciò che ne consegue in termini di redazione del verbale nonché di slittamento dei termini stabiliti dall’art. 2436 c.c. per il deposito del verbale al Registro delle Imprese competente (che «decorrono dal giorno in cui l’originale o la copia autentica del provvedimento è stato consegnato al notaio», art. 223-quater disp. att. c.c.).

Rimane da verificare quale sia la sorte della società sportiva che deliberi le predette operazioni in virtù della normativa codicistica, e senza però curare gli adempimenti richiesti dalle NOIF.

L’inosservanza delle menzionate procedure e condizioni fa’ sì che, sebbene sia in teoria invocabile unicamente l’inefficacia relativa dell’atto di fusione (o scissione o conferimento), che rimarrebbe valido ed efficace al di fuori dell’ordinamento federale [24], essa produca in realtà conseguenze ben più ampie. Alla società sportiva sarebbe infatti inibito l’esercizio della propria attività, in quanto essa perderebbe la propria affiliazione che non verrebbe rinnovata dalla Federazione [25]. Pertanto, sarebbe una società che – considerata la previsione che impone, per le società professionistiche, l’esclu­sività dell’oggetto sociale (art. 10, comma 2, legge n. 91/1981) – incorrerebbe in una causa di scioglimento per «sopravvenuta impossibilità» di conseguire l’oggetto sociale ex art. 2484, comma 1, n. 2, c.c. Anche gli spazi per un’eventuale assemblea che deliberi, ai sensi del medesimo articolo, «opportune modifiche statutarie», appaiono limitati: l’unica scelta potrebbe essere di rimediare alle omissioni procedurali per chiedere l’approvazione presidenziale, oppure revocare del tutto l’operazione per evitare che la società versi in una causa di scioglimento [26].


4.2. Società sportive e operazioni straordinarie

L’impianto normativo che si è cercato di delineare non è peraltro privo di conseguenze.

La necessaria approvazione del Presidente federale comporta, ad esempio, che nel­l’ambito delle società sportive si ricorra più difficilmente alle operazioni straordinarie di fusione, scissione, trasformazione – proprio per il rischio di perdere il titolo sportivo –.

In caso di scissione, ad esempio, vi è il problema di evitare che tale operazione possa legittimare una “moltiplicazione” del titolo sportivo. Pertanto, rimanendo all’e­sempio delle NOIF della FIGC, si prevede rimanga affiliata alla Federazione unicamente la società cui, in sede di scissione, risulta trasferita l’intera azienda sportiva, e ad essa vengono attribuiti il titolo sportivo e l’anzianità di affiliazione della società scissa. Ciò comporta, in pratica, che tale operazione sarà ben poco attraente, in quanto comunque essa produrrebbe la sostanziale inattività della società scissa [27].

Per quanto consti a chi scrive, ad esempio, rimanendo nel settore calcistico, quale unica ipotesi del genere, il conferimento di azienda dalla società Parma Calcio F.C. s.p.a. alla società Parma Calcio A.C. s.p.a., costituita appositamente nel 2004 [28].

Nelle (poche) altre volte, invece, risultati sostanzialmente identici alla fusione si sono avverati tramite operazioni di mutamento della denominazione e della sede sociale. Si potrebbe anche ritenere tale espediente come elusivo delle stringenti disposizioni dell’art. 20 NOIF, ma esse ricadono in altre discipline contemplate sempre dalle NOIF, e con discipline peraltro in molti aspetti affini (e cfr. gli artt. 17 e 18 NOIF [29]). È il caso della “fusione” (che tale non era) tra l’Albinese s.r.l. e la Leffe s.r.l., avvenuta nel 1998, ovvero quella che ha coinvolto le società Spal s.p.a. e Giacomense s.r.l. nel 2013: in entrambi i casi si era operato tramite il cambio di denominazione di una delle due società coinvolte, unitamente al trasferimento della sede nella città della cui squadra la società risultante dall’operazione avrebbe acquisito titolo sportivo e anzianità di affiliazione, nonché alla contestuale cessazione dell’attività sportiva dell’altra società, il tutto a fronte di accordi economici tra le parti aventi ad oggetto le partecipazioni sociali [30]-[31].


NOTE

[1] Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o dell’Autorità politica da esso delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono individuate le norme di co­ordinamento necessarie al fine di assicurare l’unicità, la completezza, la periodicità e l’efficacia dell’atti­vità ispettiva.

[2] E cfr., al riguardo, Cass. civ., Sez. II, 24 settembre 1994, n. 7856, in Nuova giur. civ. comm., 6, 1995, con nota di D. Chindemi, Validità di atti contrari all’ordinamento sportivo compiuti da estranei non tesserati, che ha stabilito che tali disposizioni non incidono sulla validità del contratto di mediazione concluso per il trasferimento di un calciatore dilettante da una società sportiva ad altra, in quanto intercorso tra soggetti estranei all’ordinamento sportivo, come tali non vincolati all’osservanza di dette norme, sicché i negozi posti in essere da dette parti ancorché aventi attinenza all’attività sportiva, restano disciplinati soltanto dalle norme civilistiche che ne regolano il contenuto e gli effetti.

[3] E cfr. G. Marasà, Associazionismo sportivo e impresa, in Nuova giur. civ. comm., 1, 1997. Vedi anche Id., Note in tema di fallimento delle società sportive, in Giur. comm., 1986, II, p. 352 ss.; e cfr. M.T. Cirenei, Società sportive, in Noviss. Dig. it., App., VII, Torino, 1987, p. 388 ss. spec. sub 3.

[4] V. per tutti, G. Oppo, Impresa e imprenditori. Diritto commerciale, in Enc. giur., XVI, Roma, 1989, p. 5. Secondo tale argomentare, risulta smentita quella posizione che subordina l’attribuzione alle associa­zioni della qualifica d’imprenditore (o, quantomeno, d’imprenditore commerciale) allo svolgimento dell’at­tività d’impresa come oggetto esclusivo o principale, finendo in tal modo per condizionare l’applicazione della disciplina dell’impresa alla destinazione dell’utile e quindi allo scopo dei partecipanti (e cfr. G. Marasa, Forme organizzative dell’attività d’impresa e destinazione dei risultati, nel volume Contratti associativi e impresa, Padova, 1995, p. 171 s. e nello stesso ordine di idee pure A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, p. 170).

[5] Sulla vicenda v. per tutti C. Macri, Associazione e società sportive. Diritto commerciale, in Enc. giur., III, Roma, 1988.

[6] In realtà in dottrina è discusso se il divieto di distribuzione degli utili fra i soci incida sull’applica­zione della disciplina dell’impresa e, specificamente, dell’impresa commerciale (tra i cui principali effetti vi è quello dell’assoggettabilità a fallimento). Il punto non è del tutto pacifico in dottrina, (e cfr. G. Marasa, op. loc. ult. cit.; in senso contrario v. G. Volpe Putzolu, Le società sportive, in Trattato Colombo-Portale, 8, Torino, 1992, p. 303 ss., p. 305 ss.); ma la giur. è ormai da tempo incline nel primo senso (dun­que, per la fallibilità delle società sportive: vedi, tra i primi casi, Trib. Savona, 18 gennaio 1982, in Foro it., 1982, I, c. 832).

[7] E cfr. per un primo commento alla norma: CNN Notizie dell’8 gennaio 2018.

[8] E cfr. ad es. F. Guerrera, Trasformazione, fusione e scissione, in AA.VV., Diritto delle società (Ma­nuale breve), Milano, 2004, p. 417.

[9] R. Guglielmo, Società sportive e profili di interesse notarile della nuova disciplina, studio n. 5271/I, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 17 settembre 2004 e pubblicato in Studi e Materiali, a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, 2, 2004, p. 779 ss.

[10] F. Tassinari, A. Zoppini, Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive, in Contr. e impr., 6, 2006, p. 911.

[11] F. Tassinari, A. Zoppini, op. cit., p. 913.

[12] Ivi, p. 916.

[13] Le NOIF sono fonti del diritto ai sensi dell’art. 16, comma 1, d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242 («Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate sono rette da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna, del principio di partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale») e dell’art. 34, d.P.R. 2 agosto 1974, n. 530, per come modificato dal d.P.R. 28 marzo 1986, n. 157 («Le società, le associazioni e gli enti sportivi sono soggetti all’ordinamento sportivo ed esercitano le loro attività secondo le norme e consuetudini sportive»).

[14] In base al combinato disposto degli artt. 52 e 20 NOIF, ad es., in caso di fusione, alla nuova società risultante dalla fusione o alla società incorporante viene attribuito il titolo sportivo superiore tra quelli riconosciuti alle società partecipanti, e ad essa è attribuita l’anzianità di affiliazione della società affilia-tasi per prima.

[15] Il valore normativo di tale previsione deriva dall’art. 2, legge 23 marzo 1981, n. 91, il quale richiama «la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse».

[16] Così TAR Lazio, Sez. III, 22 settembre 2004, n. 9668, in Foro amm. TAR, 2004, p. 2585. Variamente riportano alla figura dello status dell’affiliato anche TAR Lazio, Sez. III, 12 agosto 2005, n. 6174, in Foro amm. TAR, 7-8, 2005, p. 2462 e TAR Lazio, Sez. III-ter, 7 aprile 2005, n. 2571, in Foro amm. TAR, 4, 2005, p. 1073.

Sul concetto di status, d’obbligo il rimando ad A. Cicu, Il concetto di status, in Scritti minori di A. Cicu, I, 1, Milano, 1965, p. 181 ss. («il rapporto che nell’aggregato sociale assume l’individuo, entrando necessariamente a farne parte, diventandone membro»); la relativa nozione rileva sul piano della fattispecie (Irti N., Introduzione allo studio di diritto privato, 4a ed., Padova, 1990, p. 29 ss.), ovvero come presupposto di fatto cui sono collegate alcune conseguenze giuridiche (P. Rescigno, Situazione e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, I, p. 211 ss.). Lo status esprime, da un lato, l’effetto di una data fattispecie, e, dall’altro, la fattispecie di un’ulteriore serie di effetti, cioè di diritti e di obblighi che si ricollegano a quello specifico stato, e quindi rappresenta una figura giuridica intermedia, che si pone come effetto della prima e come causa della seconda (così N. Irti, Introduzione allo studio di diritto privato, cit., p. 31 s.).

Ora, nel nostro caso, status sicuramente è quello di affiliato alla FIGC. All’affiliato spetterà – al ricorrere di condizioni tecniche sportive riconosciute dalla Federazione – il titolo (o merito) sportivo, che lo qualifica ai fini della partecipazione ad un campionato. Il titolo sportivo, dunque, appare come uno status dello status di affiliato. L’affiliazione è un effetto di alcuni presupposti, e consente alcuni diritti e obblighi; il titolo sportivo, a sua volta effetto di ulteriori presupposti.

[17] Così C. Esposito, nota a Trib. Napoli, 2 agosto 2004, in Dir. fall., 2004, II, p. 180 ss., e F. Fimmanò, La crisi delle società di calcio professionistico a dieci anni dal caso Napoli, in www.ilcaso.it, 12 marzo 2015, p. 19.

[18] Come affermato anche da Trib. Napoli, 2 agosto 2004, cit.

[19] Così Cass. civ., Sez. trib., 27 settembre 2000, n. 12817, in Giur. it., 2001, p. 630, secondo cui il titolo sportivo è «quella particolare attività produttiva dell’impresa operante nel settore dello sport professionistico, ossia l’attitudine che consente al relativo complesso aziendale di conseguire, fintanto che permane il vincolo d’iscrizione e d’affiliazione che è la fonte del titolo stesso, successi sportivi e, perciò, risultati economici diversi e maggiori di quelli raggiungibili mercé l’utilizzazione isolata dei singoli cespiti, o in un differente contesto di mercato (p.es., un Campionato di rango inferiore o dilettantistico)».

L’avviamento consiste, come messo in luce dalla migliore dottrina commercialistica, in «una qualità indissolubilmente inerente all’azienda, derivante dall’organizzazione degli elementi di cui è costituita e su cui si fonda la speranza e la possibilità di lucri futuri» (M. Rotondi, Trattato di diritto dell’industria, Padova, 1935, p. 159); esso è – secondo una fortunata metafora di un maestro del Novecento – la «forza di inerzia dell’azienda […], qualcosa di simile alla carica dell’orologio» (F. Carnelutti, Valore giuridico della nozione della azienda commerciale, in Riv. dir. comm., 1924, I, p. 166), e a comporlo contribuiscono diversi elementi patrimoniali e non patrimoniali. Di essi, il titolo sportivo è certamente un fattore di grande importanza, tanto che, com’è stato giustamente osservato «se si trasferisse un’azienda calcistica senza il diritto al riconoscimento delle condizioni di partecipazione al campionato, l’oggetto del trasferimento sarebbe in realtà una mera sommatoria di beni» (F. Fimmanò, La crisi delle società di calcio professionistico a dieci anni dal caso Napoli, cit., p. 25 s.).

[20] Così anche L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini, Trattato delle procedure concorsuali, Torino, 2012, IV, p. 174; e cfr. anche M. Sferrazza, C. Malvagna, L’efficacia della fusione delle società di calcio, in Riv. dir. econ. dello sport, 2012, p. 31.

[21] Così l’unico precedente giurisprudenziale in merito: Trib. Spoleto, 20 febbraio 1997, in Rass. giur. umbra, 1997, p. 417.

[22] Cfr. L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini, op. loc. ult. cit.

[23] Vedi L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini, Trattato delle procedure concorsuali, cit., p. 155 s.

[24] Ciò consentirebbe anche di risolvere eventuali dubbi di costituzionalità della normativa de qua (M. Sferrazza, C. Malvagna, op. cit., p. 28 s.).

[25] Si consideri che l’art. 10, comma 4, legge 23 marzo 1981, n. 91, prevede che l’affiliazione è una condizione per l’esistenza stessa della società («Prima di procedere al deposito dell’atto costitutivo, a norma dell’articolo 2330 del codice civile, la società deve ottenere l’affiliazione da una o da più federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI»). E vedi I. Demuro, La disciplina “speciale” delle società di calcio professionistico, in Atti del Convegno. Olbia, 7-8-9 giugno 2007 “Calcio professionistico e diritto”, a cura di I. Demuro, T.E. Frosini, Milano, 2009, p. 88.

[26] Questa posizione appare trovare una implicita conferma in una pronuncia di legittimità, in cui, a proposito di un contratto di cessione di un giocatore al di fuori delle regole ordinamentali sportive, è stato affermato che «[…] questa Corte ha ritenuto che l’inosservanza di prescrizioni tassative dettate dai regolamenti federali non costituisce ragione di nullità per violazione di legge a norma dell’art. 1418 c.c., tenuto conto del fatto che la potestà regolamentare conferita all’ordinamento sportivo ai sensi della normativa di riferimento riguarda l’ambito amministrativo interno e non quello dei rapporti intersoggettivi privati, e comporta l’invalidità dei contratti stipulati in violazione di quella potestà solo ai sensi dell’art. 1322 c.c., in quanto sebbene leciti per l’ordinamento statale, sono tuttavia inidonei a realizzare i loro effetti mancando un interesse meritevole di tutela, non potendo essi svolgere alcuna funzione nel campo dell’attività sportiva (n. 4845 del 1981 e n. 75 del 1994)» (Cass. civ., Sez. lav., 4 marzo 1999, n. 1855, in Giust. civ. Mass., 1999, p. 495; conformi le richiamate Cass. civ., Sez. I, 28 luglio 1981, n. 4845, in Giust. civ. Mass., 1981, fasc. 7; e Cass. civ., Sez. I, 5 gennaio 1994, n. 75, in Rass. dir. civ. 1996, p. 185, con nota di Vitale).

[27] L’unica eccezione si ha in ambito dilettantistico – unico luogo dove infatti le scissioni hanno effettivamente corso – ai sensi dell’art. 20, comma 6, NOIF, il quale prevede che «al solo fine di consentire la separazione tra settori di-versi dell’attività sportiva, quali il calcio maschile, il calcio femminile ed il calcio a cinque», è consentita la scissione mediante trasferimento dei singoli rami dell’azienda sportiva comprensivi del titolo sportivo, in più società, delle quali però soltanto una conserva l’anzianità di affiliazione. In altre parole, il titolo sportivo, in questi settori particolari, può anch’esso “scindersi” e consentire a più società scisse di giovarsi del medesimo titolo, ossia di partecipare tutte allo stesso campionato. L’unica qualità che non può essere assegnata a tutte le società derivanti dalla scissione, neanche in ambito dilettantistico, è l’anzianità di affiliazione, che resta in capo alla scissa (in caso di scissione parziale) ovvero passa in capo ad una beneficiaria (in caso di scissione totale).

[28] La società la Parma A.C. s.p.a. era stata posta in amministrazione straordinaria ai sensi del d.Ll. 23 dicembre 2003, n. 347; il conferimento di azienda, comprensivo dei rapporti con tutti i calciatori ed altri tesserati e di tutto quanto indicato nella perizia di stima agli atti del procedimento, è stato effettuato il 29 giugno 2004 in sede di delibera di aumento capitale della neo-costituita Parma F.C. s.p.a., dalla prima interamente posseduta; l’operazione era stata autorizzata, per quanto di rispettiva competenza, dagli organi di vigilanza dell’Amministrazione straordinaria della società e, più precisamente, dal dott. Enrico Bondi, Commissario Straordinario della Parma A.C. s.p.a., a sua volta autorizzato al riguardo con atto del Ministro delle Attività Produttive in data 24 giugno 2004 nonché con provvedimento del G.D. del Tribunale di Parma, in data 26 giugno 2004. Quale conseguenza di detta operazione, il Presidente FIGC, acquisito il parere favorevole della Covisoc e della commissione ad hoc, ha disposto l’attribuzione in capo alla affiliata società Parma F.C. s.p.a del titolo sportivo già detenuto dalla società conferente Parma A.C. s.p.a., nonché il riconoscimento alla Parma F.C. s.p.a. della anzianità di affiliazione vantata dalla società conferente, dando atto del conseguente automatico trasferimento, in capo alla Parma F.C. s.p.a, di tutti i soggetti tesserati con la Parma A.C. s.p.a. in a.s. (cfr. Comunicato Ufficiale FIGC n. 6/A dell’8 luglio 2004).

[29] L’art. 17 NOIF dispone che la denominazione sociale è «tutelata dalla FIGC secondo i principi della priorità e dell’ordinato andamento delle attività sportive. II mutamento di denominazione sociale delle società può essere autorizzato, sentito il parere della Lega competente o del Settore per l’Attività Giovanile e Scolastica, dal Presidente della F.I.G.C. su istanza da inoltrare improrogabilmente entro il 15 luglio di ciascun anno; per le società associate alla Lega Nazionale Dilettanti tale termine è anticipato al 5 luglio. All’istanza vanno allegati in copia autentica, il verbale dell’Assemblea che ha deliberato il mutamento di denominazione, l’atto costitutivo, lo Statuto sociale e l’elenco nominativo dei componenti l’organo o gli organi direttivi. Non è ammessa l’integrale sostituzione della denominazione sociale con altra avente esclusivo carattere propagandistico o pubblicitario. 3. Per la lega Professionisti Serie C è ammessa l’integrazione della denominazione sociale con il nome dell’eventuale sponsor nel rispetto delle condizioni previste al riguardo nel regolamento di detta Lega».

L’art. 18 NOIF contiene invece una più elaborata disciplina della sede sociale delle società calcistiche, il cui trasferimento nell’ambito di un diverso Comune, oltre a dover essere subordinato all’approva­zione del Presidente Federale, è subordinato a condizioni soggettive simili a quelle cui sono subordinate le operazioni di cui all’art. 20 NOIF, vale a dire: «a) la società deve essere affiliata alla F.I.G.C. da almeno due stagioni sportive; b) la società deve trasferirsi in Comune confinante, fatti salvi comprovati motivi di eccezionalità per società del settore professionistico; c) la società, nelle due stagioni sportive precedenti, non abbia trasferito la sede sociale in altro Comune e non sia stata oggetto di fusione, di scissione o di conferimento di azienda». Questo anche perché le società debbono svolgere la loro attività sportiva nel­l’impianto sportivo dichiarato disponibile all’atto della iscrizione al Campionato, il quale deve essere ubicato nel Comune in cui la società ha la propria sede sociale (art. 19, comma 1, NOIF).

[30] La società Albinese Calcio S.r.l., con assemblea in data 2 luglio 1998, deliberava la modifica della denominazione sociale in U.C. Albinoleffe S.r.l., nonché lo spostamento della sede da Albino, dove essa avrebbe mantenuto la sede amministrativa, a Leffe. Successivamente, la sede fu trasferita nuovamente a Leffe per indicazioni della FIGC. Parallelamente, la S.C. Leffe S.r.l. veniva posta in liquidazione volontaria con assemblea del 13 luglio 1998, per essere successivamente cancellata dal Registro Imprese nel 2001.

[31] La vicenda Spal-Giacomense si può sintetizzare come segue: il 13 luglio 2012 la società Spal 1907 S.p.a., storica squadra di Ferrara, veniva esclusa dal campionato professionistico 2012-13 poiché la Covisoc aveva riscontrato il mancato rispetto dei «criteri legali ed economico-finanziari» stabiliti per l’otteni­mento della Licenza Nazionale ai fini dell’ammissione al campionato professionistico di competenza 2012-2013 con Comunicato Ufficiale FIGC n. 146/A del 7 maggio 2012 (il quale ha forza normativa grazie al richiamo contenuto nell’art. 12, legge n. 91/1981, dove è stabilito: «Al solo scopo di garantire il re­golare svolgimento dei campionati sportivi, le società di cui all’articolo 10 sono sottoposte, al fine di verificarne l’equilibrio finanziario, ai controlli ed ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni sportive, per delega del CONI, secondo modalità e princìpi da questo approvati»). Segnatamente, tali irregolarità consistevano nel «mancato deposito della fideiussione bancaria a prima richiesta dell’importo di € 300.000,00, come certificato dalla Lega Italiana Calcio Professionistico; mancato ripianamento della carenza patrimoniale di € 174.619,00; mancato superamento della situazione prevista dall’art. 2447 del codice civile, come risultante dalla relazione semestrale al 31 dicembre 2011; mancato pagamento degli emolumenti dovuti, fino al mese di aprile 2012 compreso, ai tesserati, ai lavoratori dipendenti ed ai collaboratori addetti al settore sportivo; mancato pagamento delle ritenute Irpef e dei contributi Inps (già Enpals) riguardanti gli emolumenti dovuti, fino al mese di aprile 2012 compreso, ai tesserati, ai lavoratori dipendenti ed ai collaboratori addetti al settore sportivo; mancato pagamento del debito IVA relativo al periodo d’imposta 2010» (v. Comunicato Ufficiale FIGC n. 10/A del 19 luglio 2012).

A seguito dell’interessamento del Sindaco della città di Ferrara (si vedano le cronache dell’epoca, ad es. Il resto del Carlino del 10 luglio 2013), fallito un primo tentativo, nel maggio 2013, di procedere ad una “vera” fusione tra i due club, la condizione perché il matrimonio con la squadra Giacomense (avente sede in un Comune limitrofo) si potesse compiere era che una delle due società scomparisse, procedendo poi ad un cambio di denominazione sociale. Allora, esclusa la Spal dall’iscrizione al campionato, la A.C. Giacomense S.r.l., nell’assemblea del 12 luglio 2013, deliberava la variazione della denominazione sociale in “Spal 2013 S.r.l.”, nonché il trasferimento della sede nel Comune di Ferrara, subordinando l’efficacia della delibera (estesa per ministero notar Bissi da Ferrara), all’approvazione del Presidente Federale della FIGC, ai sensi degli artt. 17 e 18 NOIF. A quel punto, senza neanche adottare la procedura ex art. 52, comma 3, NOIF – che prevede che il titolo sportivo di una società cui venga revocata l’affilia­zione ai sensi dell’art. 16, comma 6, NOIF (ossia per fallimento), possa essere attribuito ad altra società purché questa abbia sede nello stesso comune e dimostri di aver rilevato l’intera azienda sportiva e di aver pagato tutti i debiti della società di cui è stata revocata l’affiliazione – il patron della Spal rinunciava ad iscrivere la Spal alla serie D, ed a quel punto la (ex) Giacomense ha iniziato a giocare a Ferrara – nello stadio “Paolo Mazza” – assumendo la storica denominazione SPAL – disputando il campionato 2013-2014 di Lega Pro Seconda Divisione.

Nel frattempo, il 31 marzo 2014 il Tribunale di Ferrara notificava la dichiarazione di fallimento (sent. n. 24/2014) e la messa in liquidazione della “vecchia” Spal, respingendo la richiesta di concordato avanzata dal proprietario dott. Buttelli, e la Spal 1907 S.p.a. veniva definitivamente radiata dalla FIGC, ai sensi dell’art. 16 NOIF che dispone la revoca dell’affiliazione in caso di fallimento, con Comunicato Ufficiale n. 176/A del 30 giugno 2014.