Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Danno cagionato ad un minore durante l´allenamento in uno sport a contatto necessario (di Lorenzo Lucisano, Cultore della Materia di Diritto privato e di Diritto sportivo presso il Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Roma “Roma Tre”)


Questo contributo si incentra sui presupposti necessari affinché si configuri la responsabilità in capo alle diverse figure che avrebbero dovuto adottare ogni cautela per assicurare l’incolumità di un minore, che ha subito un infortunio nel corso di un allenamento di Taekwondo (Sport a contatto necessario). In particolare, si evidenziano i doveri dell’associazione sportiva in relazione al preventivo controllo del regolare tesseramento del minore che decide di partecipare alla lezione e, soprattutto, in merito alla scelta di un istruttore sportivo che, dovendosi occupare dell’insegnamento di un’arte marziale a giovani atleti, sia in grado di farli allenare in sicurezza (dando atto che, qualora tale scelta di riveli inadeguata, l’associazione è chiamata a rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c.).

A minor suffers an injury during a combat sport training session

This contribution focuses on the elements required for liability of those who should have implemented all procedures necessary for securing the health and safety of a minor who has suffered an injury during a Taekwondo (a combat sport) training session. In particular, the duties of the sports association are emphasized in relation to the preventive control of regular participating minors’ membership and, above all, to the process for recruiting sports instructors who are to teach martial arts to young athletes and should therefore be able to train them safely (intending that, if hired instructors prove unfit, the association is liable under art. 2049 of the Italian Civil Code).

Keywords: sport, liability of the sports association, failure to supervise, minor, compensation for damage.

SENTENZA nella causa iscritta a ruolo con il n. 3093/2013 di R.G. avente ad oggetto: domanda di risarcimento del danno alla persona ex artt. 2048 e 2049 c.c. derivante dall’esercizio di attività sportiva TRA AU.PI. (...) ED AN.PA. (...), nella qualità di genitori esercenti la relativa potestà sul minore Au.Ch., rappresentati e difesi dall’Avv. Fr.Co. giusto mandato a margine dell’atto di citazione, domiciliati come in atti; ATTORI E FE.IT., in persona del l.r.p.t., con sede in Roma, al Viale (...), rappresentata e difesa, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta con chiamata in causa di terzo, dall’Avv. An.Fi., domiciliata come in atti CONVENUTA E CI.GA. (...), nella qualità di l. r.p.t. dell’ASSOCIAZIONE SPORTIVA “CS.” (...), rappresentato e difeso dall’Avv. Ma.Ie. in forza di mandato a margine dell’originale della comparsa di intervento volontario, domiciliato come in atti INTERVENTORE VOLONTARIO NONCHÉ AI. (già CH. SA) (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Milano, alla Via (...), rappresentata e difesa, giusta procura alle liti apposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione per chiamata in causa di terzo dall’Avv. Gi.Ma., domiciliata come in atti CHIAMATA IN CAUSA RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Va preliminarmente evidenziato che la presente sentenza viene redatta secondo quanto prescritto dagli artt. 132 e 118 disp. att. c.p.c. come novellati dalla Legge del 18 giugno 2009 n. 69, le cui disposizioni transitorie espressamente prevedono che “ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano gli articoli 132,345 e 616 del codice di procedura civile e l’articolo 118 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, come modificati dalla presente legge”. Gli odierni attori, nella qualità di genitori esercenti la relativa potestà sul proprio figlio minore Au.Ch., con il libello introduttivo, convenivano in giudizio il Centro Sportivo “Sa.” di Pomigliano D’Arco (NA), rivelatosi poi soggetto giuridico non esistente, quale organizzazione sportiva avente sede presso la palestra sita nel predetto comune in Via (...), nonché la Fe.Sp. al fine di ottenere la declaratoria di responsabilità e la condanna dei medesimi convenuti al risarcimento del danno alla salute subito dal proprio figlio minore per il sinistro occorso il pomeriggio del 22.04.2011. In tale circostanza il bambino, non accompagnato dai genitori, si recava presso la predetta palestra, frequentata in passato prima di trasferirsi a Como con la famiglia, e, dopo aver salutato il proprio maestro ed i suoi ex compagni di corso, chiedeva ed otteneva di svolgere con essi l’allenamento pomeridiano, rimediando, tuttavia, diverse lesioni al volto ed [continua..]
SOMMARIO:

1. Il fatto - 2. La questione giuridica: i limiti all’agonismo sportivo in sede di allenamento in uno sport a contatto necessario - 3. Il coinvolgimento degli atleti minori di età in uno sport a contatto necessario: accorgimenti e cautele - 4. Esclusione della responsabilità genitoriale e imputazione del danno all’associazione sportiva - 5. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Il fatto

Un minorenne, nel corso di un allenamento di Taekwondo con un altro allievo, an­ch’egli minore di età, riportava lesioni al volto e all’arcata dentaria a causa di un calcio inflitto dall’avversario. I genitori dell’allievo che aveva subito le lesioni proponevano azione di risarcimento del danno all’associazione sportiva e alla FITA (Federazione Italiana Taekwondo) [1]. La Federazione chiamava la compagnia assicurativa come garante per la responsabilità civile, declinando qualsiasi responsabilità, dal momento che il minore danneggiato, precedentemente tesserato [2], era iscritto ad una società sportiva diversa. Il legale rappresentante pro tempore dell’associazione sportiva negava ogni responsabilità, in quanto riteneva applicabile solamente la norma di cui all’art. 2048, comma 1, cc., e cioè la c.d. culpa in educando dei genitori. Dal momento che il minore non era più tesserato presso la suddetta associazione sportiva, l’istruttore sportivo avrebbe dovuto impedirgli di allenarsi senza il previo consenso dei genitori. Avendogli, comunque, consentito di allenarsi (violando, in tal modo, l’art. 41 dello Statuto federale FITA), l’istruttore sportivo e l’associazione sportiva assumevano l’onere di vigilare sul minore. Emerge dagli elementi fattuali che il minore, purtroppo, aveva riportato lesioni a causa del mancato utilizzo del paradenti, e ciò per asserita omessa (o almeno imperfetta) vigilanza proprio da parte dell’istruttore sportivo. Il giudice, in virtù del vincolo di dipendenza organica intercorrente tra l’istruttore sportivo e l’associazione sportiva, decideva dichiarando quale unico responsabile ex artt. 2048 e 2049 c.c., ai fini del risarcimento del danno, il legale rappresentante pro tempore della suddetta associazione sportiva.


2. La questione giuridica: i limiti all’agonismo sportivo in sede di allenamento in uno sport a contatto necessario

La questione posta all’attenzione del Tribunale può essere analizzata sotto molteplici punti di vista, con particolare riguardo, per un verso, alla responsabilità e, per l’altro, al delicato tema del risarcimento del danno nei confronti di un minore. Preliminarmente, occorre considerare il fatto che il Taekwondo è uno sport a contatto necessario [3] e, come tale, prevede che gli atleti si colpiscano a vicenda per conseguire «punti», nel rispetto delle regole tecniche [4]. Nello specifico, però, la vicenda induce a chiedersi se esistano dei limiti nel colpire l’avversario, in particolar modo quando si tratta di allenamenti tra minori, o se sia sufficiente rispettare le regole tecniche di gioco e di gara [5]. Alla luce della sentenza in commento, sembrerebbe superfluo parlare di «rischio consentito» (che può essere definito come quel rischio di cui l’ordinamento tollera la verificazione e, perciò, ne impedisce la traslazione su altri tramite lo strumento risarcitorio [6]) negli sport a contatto necessario, dal momento che parrebbe non essere consentito alcun tipo di rischio. Si tratta, difatti, di una disciplina olimpica, ma nella vicenda in esame non rilevano e non ne vengono rispettati alcuni pilastri: né l’agonismo [7], né il desiderio di competere per la vittoria [8], né la volontà di impegnarsi per perfezionare se stessi [9], né il fatto di gareggiare per superare gli altri e vincere [10]. D’altronde, è pure vero, come noto, che il fattore rischio è parte integrante della pratica sportiva [11], dal momento che possono esserci scontri anche violenti tra gli atleti, ed è per questo che si parla anche di «sport a violenza necessaria» [12]. Tuttavia, se la c.d. cattiveria agonistica è ciò che spinge l’atleta a vincere e va intesa in un’accezione positiva, come del resto anche l’espressione «aggressività efficace», in quanto strumentale a tentare di concludere l’incontro [13], chi intraprende un’arte marziale o uno sport da combattimento dovrebbe essere ben consapevole del necessario utilizzo della forza da parte dell’atleta. Le arti marziali, non a caso, affondano le loro radici in una tradizione di arte di combattimento e non possono essere completamente [continua ..]


3. Il coinvolgimento degli atleti minori di età in uno sport a contatto necessario: accorgimenti e cautele

Non dovrebbe aver rilievo, inoltre, il fatto che i due atleti coinvolti avessero un’età diversa, dal momento che erano entrambi al di sotto dei sedici anni e avevano solo tre anni di differenza. Nel mondo delle arti marziali è perfettamente normale allenarsi con persone di età diversa, quindi non può essere un valido criterio ai fini del risarcimento del danno. Una possibile obiezione potrebbe risiedere, invece, nel fatto che, in gara, esistono diverse categorie in base all’età; a ciò potrebbe, tuttavia, contro-obiettarsi che esistono anche differenti categorie in base al peso, e che il minore danneggiato era ben più robusto rispetto al suo compagno più grande. Diversa sarebbe, poi, la rilevanza di una previa valutazione in concreto, da parte del maestro, della differenza di abilità e di età tra i due atleti, dovendosi appunto prevenire l’ipotesi in cui il più grande e abile potesse utilizzare un’irruenza, nell’esecu­zione delle tecniche proprie dello sport considerato, tale da cagionare danni permanenti ad un atleta più piccolo e molto meno abile [26]. Se quanto detto pare corretto, in realtà, le questioni più controverse della decisione che si commenta riguardano gli accorgimenti e le cautele che l’istruttore sportivo e l’associazione sportiva avrebbero dovuto usare nello specifico allenamento posto in essere.


4. Esclusione della responsabilità genitoriale e imputazione del danno all’associazione sportiva

Infine, va rilevato che, trattandosi di un minore non più tesserato presso l’associa­zione sportiva, il giovane atleta non avrebbe neppure dovuto allenarsi lì. Ciò, sotto due ordini di motivi. Il primo perché non aveva il consenso dei genitori, il secondo perché l’associazione sportiva deve adottare rigorose cautele nell’ammettere all’eser­cizio della pratica sportiva soggetti non tesserati (oltre che sanitariamente controllati, ecc.). Pertanto, nel momento in cui hanno deciso di farlo comunque allenare insieme agli altri allievi, senza riferirlo ai genitori (o meglio chiedere a loro l’autorizzazione), deve ritenersi insussistente il discarico di responsabilità dell’associazione sulla base del richiamo alla culpa in vigilando genitoriale di cui all’art. 2048, comma 2, c.c. [27], che la decisione in commento ha puntualmente escluso. Nel caso di specie, correttamente, quindi, il giudice ha ritenuto sussistere esclusivamente la responsabilità dell’associazione sportiva ex art. 2049 c.c. [28], sotto un duplice e connesso profilo: da un lato, per aver scelto un istruttore sportivo non adeguato alla mansione (culpa in eligendo); dall’altro lato, per tramite dell’istruttore stesso che deve non solo insegnare la disciplina sportiva, ma anche adoperarsi nel tutelare l’in­tegrità fisica degli allievi, tanto più se minori di età (culpa in vigilando) [29]. Nel caso oggetto della sentenza in commento, per i suddetti motivi, l’associazione sportiva bene avrebbe agito se avesse vigilato sul minore con un grado di attenzione elevato per l’età dell’atleta e adeguato al tipo di sport «da combattimento» (lo si ribadisce «a contatto necessario») [30]. Va comunque notato che l’esclusione della responsabilità dei genitori, in tal caso, configura un’eccezione [31], dal momento che, usualmente, si ritiene che, ai sensi del­l’art. 2048 c.c., dovrebbe configurarsi un’ipotesi di responsabilità solidale fra genitori e precettori, consentendo a questi ultimi altresì l’azione di regresso sui genitori del minore, in proporzione alle rispettive colpe [32]. Ciò precisato, rimane, certo, meritevole di ulteriore riflessione il come, in concreto, l’istruttore sportivo avrebbe potuto evitare il [continua ..]


5. Osservazioni conclusive

Alla luce di questa sentenza, le associazioni sportive dovrebbero scegliere con più cura [39] gli istruttori sportivi e assicurarsi che siano idonei all’insegnamento della disciplina di cui sono maestri, specialmente con allievi minori di età. Quest’ultimo aspetto assume un rilievo centrale nella vicenda in esame, alla luce della gravità rappresentata dall’aver consentito ad un minore (pur se «ex» tesserato) di allenarsi, tanto più in uno sport da combattimento «a contatto necessario» e – ulteriore aspetto ancor più grave – senza neanche l’autorizzazione dei genitori. Tutto ciò è sintomatico di una superficialità nell’approccio, in quanto la circostanza di trovarsi di fronte a un atleta minore di età non è stata – di fatto – tenuta nella benché minima considerazione; può ritenersi che con un maggiorenne si sarebbe verosimilmente tenuto lo stesso comportamento. L’ordinamento giuridico, invece, pretende che si presti una particolare attenzione e che si adottino le opportune cautele ogniqualvolta si abbia a che fare con un minore [40], che va protetto innanzitutto da sé stesso, alla luce della sua (entro certi limiti) fisiologica sottovalutazione dei rischi che assume. È, infatti, relativamente frequente che gli adolescenti, pur di fare qualcosa a cui tengono particolarmente, siano disposti ad accettare ogni possibile conseguenza, molto spesso nell’illusoria convinzione che a loro non capiti mai nulla. Lo sport è indubbiamente, per il minore, un fondamentale strumento di tutela e di sviluppo della salute, oltre che di formazione personale e sociale [41], ma vanno adeguatamente contenuti i rischi di danni sia fisici sia psichici [42]. In questa prospettiva, è fortemente auspicabile che le associazioni sportive, nella scelta degli istruttori, tengano nel debito conto la loro pregressa specifica esperienza con i minori e che, comunque, si accertino che venga attuata ogni dovuta cautela verso i minori stessi.


NOTE