Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Riforma dell'ordinamento sportivo e protezione dell'interesse del minore (di Francesco Rende, Professore associato di Diritto privato e di Diritto sportivo nell’Università degli Studi di Messina)


La recente riforma dello sport ha inciso profondamente sulla condizione degli atleti minorenni. Sono stati, infatti, rimossi i vincoli che legavano anche gli atleti minorenni al proprio club (c.d. “vincolo sportivo”) impedendone il trasferimento senza il consenso della società. Si è, poi, stabilito che, a partire dal dodicesimo anno di età, il minore debba espressamente acconsentire al proprio tesseramento. Il saggio propone un'analisi di siffatte novità normative alla luce del noto principio del “best interests of the child”. Si evidenzia, in particolare, la necessità di una maggiore valorizzazione della capacità di discernimento in un ambito, quale quello della pratica sportiva, che si pone in stretta correlazione con la realizzazione della personalità del minore.

Children’s rights in the sport reform

The recent sport reform has profoundly affected the condition of under 18 athletes. The Legislative Decree n. 36/2021 removed the bonds that also linked underage athletes to their club preventing their transfer without the consent of the club (so-called sporting contracts). It was also established that, starting from the age of twelve, the minor must expressly give his / her consent to the membership. The essay proposes an analysis of the new regulation, in the light of the well-known principle of the «best interest of the child». In particular, is highlighted the need for an enhancement of the capacity of discernment in the field of sporting practice, which is closely related to the realization of the minor’s personality.

Keywords: sporting contracts, minor, membership, capacity of discernment, sports performance.

SOMMARIO:

1. Lo sport come interesse giuridicamente protetto del minore - 2. Dalla dimensione ludica all’ingresso nel mondo sportivo istituzionalizzato - 3. Prestazione dell’atleta e vincolo sportivo - 4. Segue: vincolo e minore età - 5. Il tesseramento degli atleti minorenni - 6. Segue: dopo la riforma - 7. Tesseramento e capacità di discernimento - 8. Pratica sportiva e interesse superiore del minore - NOTE


1. Lo sport come interesse giuridicamente protetto del minore

Per i minori l’esercizio dell’attività sportiva costituisce concretizzazione del più ampio diritto di dedicarsi al gioco e ad attività ricreative sancito dalla Convenzione per i diritti del fanciullo [1].

Lo sport svolge, peraltro, un ruolo fondamentale nella realizzazione del benessere e dello sviluppo psicofisico dei giovani ed è, oggi, espressamente riconosciuto quale «insopprimibile forma di svolgimento della personalità del minore» [2], collocandosi tra gli strumenti di protezione dell’infanzia che lo Stato deve «favorire» ai sensi dell’art. 31, comma 2, Cost. [3].

Durante la minore età, tuttavia, l’esercizio delle situazioni giuridiche soggettive coinvolge, anzitutto, i genitori, secondo quanto previsto dagli artt. 315-bis e 316 c.c. Rientra, invero, nel compito educativo dei genitori stimolare i figli ad ambire al benessere fisico nonché all’inclusione e alla coesione sociale, favorire lo svolgimento di attività ludiche, ricreative, motorie o specificatamente sportive che riflettano le inclinazioni del minore e lo sollecitino alla cura e al rispetto del corpo e all’osservanza di regole di correttezza e lealtà in ogni ambito dell’agire umano, come pure soddisfare le richieste del minore in quanto correlate al raggiungimento di siffatti traguardi.

La positiva realizzazione dell’interesse alla pratica sportiva, inoltre, pur dipendendo dal comportamento del minore, evidenzia un bisogno di adeguata formazione che «chiama in causa» la scuola [4].

A tutti i giovani deve, invero, essere garantita la possibilità di beneficiare di programmi di educazione fisica per sviluppare le proprie attitudini sportive [5].

La Carta internazionale per l’Educazione Fisica, l’Attività Fisica e lo Sport, dopo aver assegnato un ruolo fondamentale all’educazione fisica, all’attività fisica e allo sport, al fine di equilibrare e rafforzare i legami tra l’attività fisica e le altre componenti dell’educazione, sottolinea la necessità di assicurare che «le lezioni di educazione fisica di qualità ed inclusive, preferibilmente su base giornaliera, siano intese come una parte obbligatoria dell’istruzione primaria e secondaria e che lo sport e l’attività fisica a scuola e in tutti gli altri canali delle istituzioni educative svolgano un ruolo fondamentale nelle routine quotidiane dei bambini e dei giovani» [6].

La legge n. 107/2015 indica, poi, tra gli obiettivi formativi prioritari delle istituzioni scolastiche: il «potenziamento delle discipline motorie», lo «sviluppo di comportamenti ispirati a uno stile di vita sano, con particolare riferimento all’alimentazione, al­l’educazione fisica e allo sport», l’«attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonistica» (art. 1, comma 7, lett. g) [7].

Da ultimo, anche il d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36 indica, tra i propri obiettivi, quello di «riconoscere e garantire il diritto alla pratica sportiva dei minori, anche attraverso il potenziamento delle strutture e delle attività scolastiche»  [8].

Le attività motorie e sportive, rappresentando un valido coefficiente di promozione umana, devono, dunque, essere inserite nei programmi scolastici [9] come momento didattico di preminente importanza [10].


2. Dalla dimensione ludica all’ingresso nel mondo sportivo istituzionalizzato

Anche la pratica dello sport a livello agonistico può atteggiarsi come parte essenziale della formazione di bambini e adolescenti, destinata a definirne il modo di essere e di apparire, a conformarne l’identità fisica e quella personale [11].

Per il giovane che pratica sport a livello agonistico deve, peraltro, essere sempre garantita, soprattutto in tenera età, la dimensione ludica dell’attività [12].

È, tuttavia, inevitabile che, pur con le opportune e necessarie tutele [13], l’attività atletica dei minori determinati a conseguire un elevato accrescimento tecnico e a cimentarsi con le competizioni ufficiali organizzate dalla federazione subisca un’evoluzione dovendo essere programmata secondo modelli organizzativi all’interno dei quali gli spazi di libertà si riducono significativamente e sorgono impegni che possono gradualmente assumere i contorni di veri e propri obblighi giuridici.

Tale importante mutamento si verifica con l’ingresso del minore nel mondo sportivo istituzionalizzato, a seguito di tesseramento.

L’acquisto, in capo al bambino o all’adolescente, della qualità di soggetto dell’or­dinamento sportivo con l’imputazione dei correlativi effetti giuridici [14], naturalmente, non esclude né limita i diritti legati alla minore età [15]. D’altra parte, l’attività organizzata dalle federazioni all’interno delle categorie di base conserva carattere prevalentemente ludico [16].

Con l’avvio all’attività agonistica [17], tuttavia, si assiste al fisiologico allentamento della dimensione «giocosa» dello sport e alla progressiva emersione degli oneri tipici di un’attività ad indirizzo competitivo [18].

L’inserimento del minore nell’organico della squadra iscritta dall’ente alle competizioni ufficiali [19] non è circostanza neutra e priva di conseguenze, ma impegna l’atleta a partecipare agli allenamenti ed alle gare nelle quali verrà coinvolto [20], dal momento che improvvisi abbandoni potrebbero pregiudicare i risultati agonistici dell’ente e comportare, altresì, un danno patrimoniale e, perfino, non patrimoniale [21].

In questa prospettiva si comprende come l’impegno [22] divenga sempre più stringente con il crescere dell’età del minore e, conseguentemente, dell’importanza delle competizioni in cui viene coinvolto.

È sufficiente qui ricordare che l’adolescente, compiuto il quattordicesimo anno di età, può essere tesserato come «giovane dilettante» da una squadra militante nella Lega Nazionale Dilettanti ed essere schierato nelle gare dei relativi campionati, percependo anche somme di denaro. L’eventuale impiego [23] nei campionati nazionali indetti dalla LND comporta, infatti, la sottoscrizione di un accordo economico relativo alle prestazioni sportive ed alla determinazione della indennità di trasferta, ai rimborsi forfettari di spese ed alle voci premiali.

Sempre al compimento del quattordicesimo anno di età, i calciatori possono assumere la qualifica di giovani di serie «quando sottoscrivono e viene accolta la richiesta di tesseramento per una società associata in una delle Leghe professionistiche» [24].

Per tale categoria di tesserati, l’art. 92, comma 2 delle NOIF della FIGC espressamente prevede l’obbligo di «partecipare, salvo impedimenti per motivo di studio, di lavoro o di salute alle attività addestrative ed agonistiche predisposte dalle società per il loro perfezionamento tecnico, astenendosi dallo svolgere attività incompatibili anche di natura sportiva» [25].

Anche per i minori, dunque, il gesto atletico può divenire oggetto di una prestazione sportiva.

Va da sé che una siffatta prestazione assume connotati del tutto peculiari correlati all’età dello sportivo; anche il gesto atletico del minore, però, finisce, con una certa gradualità, per perdere il proprio tratto originario di attività essenzialmente ludica, per assumere la fisionomia di un impegno preordinato al perseguimento degli obiettivi agonistici prefissi dall’ente che lo ha tesserato.


3. Prestazione dell’atleta e vincolo sportivo

La prestazione sportiva – del professionista come del dilettante o dell’amatore, del maggiorenne come del minore di età – costituisce il punto di riferimento principale per l’ente sportivo nella programmazione dell’attività agonistica.

A garanzia dell’affidamento riposto dalla società sulla stabilità del rapporto con i propri atleti, l’ordinamento sportivo ha sempre riconosciuto la possibilità di inserire nello statuto degli enti sportivi una clausola preclusiva del diritto dei tesserati di scindere unilateralmente un siffatto legame.

Il c.d. «vincolo sportivo» [26] è stato considerato indispensabile per rispondere alle necessità organizzative dell’agonismo federale [27] ritenute ostative della libertà di cambiare a proprio piacimento la compagine sociale con la quale partecipare alle competizioni [28].

Tale restrizione, destinata a regolare rapporti considerati rilevanti unicamente al­l’interno delle federazioni [29], è tradizionalmente ritenuta espressione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo [30].

La dottrina maggioritaria ha, tuttavia, da sempre evidenziato l’eccessiva incidenza del vincolo su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale [31].

L’esigenza di modellare in senso più flessibile i rapporti tra atleta e società è emersa, in primo luogo, con l’affermarsi del professionismo [32] e la conseguente trasformazione del legame di natura associativa esistente tra atleta professionista ed ente sportivo in un vero e proprio contratto di lavoro [33].

Appariva inammissibile che, scaduto il termine del c.d. «ingaggio» [34], la società potesse ancora disporre della prestazione del lavoratore [35] e scegliere se stipulare un nuovo contratto o «trasferire il cartellino» ad altro club [36].

Si trattava di un’evidente limitazione della libertà contrattuale che la legge 23 marzo 1981, n. 91, ha provveduto a rimuovere [37], consentendo all’atleta professionista di instaurare un nuovo rapporto contrattuale, una volta cessato il precedente [38].

La legge summenzionata non ha esteso l’abolizione del vincolo allo sport dilettantistico ed in giurisprudenza si è, talora, ritenuto di giustificarne la sopravvivenza [39], riconducendo il rapporto tra ente sportivo e atleta professionista di fatto [40] ora al contratto di associazione, ora ad un contratto a prestazioni corrispettive [41].

Nell’ottica della prima proposta ermeneutica, il vincolo, necessario per incentivare le società sportive a curare ed allevare i giovani [42], troverebbe la sua ratio nell’esi­genza di conservazione dell’integrità dell’ente e del proprio unico patrimonio costituito, appunto, dagli atleti [43]; in punto di diritto positivo, poi, il vincolo non potrebbe essere considerato illegittimo, in quanto in esso sarebbe ravvisabile una «limitazione in negativo alla libertà di svolgimento della pratica sportiva» [44] e non invece un divieto di recesso dall’associazione.

Seguendo la seconda ipotesi ricostruttiva, il vincolo soddisferebbe l’esigenza di stabilità tipica di ogni rapporto di natura sinallagmatica e la necessità di preservare l’affidamento riposto sull’adempimento della controparte [45].


4. Segue: vincolo e minore età

Ancor più delicato è il tema della legittimità del vincolo sportivo imposto agli atleti minorenni, considerata la rilevanza degli interessi coinvolti.

A titolo esemplificativo, si passerà in rassegna quanto previsto dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio [46].

L’incontro del minore con il vincolo sportivo può avvenire già a cinque anni allorché il bambino, tesserandosi nella categoria «Piccoli amici», rimane legato all’asso­ciazione per un anno. La medesima durata è prevista per il tesseramento nella categoria «pulcini ed esordienti» (che ricomprende i bambini tra gli otto e i dodici anni) e per quella giovanissimi e allievi (che include gli atleti dai dodici ai sedici anni). A partire dal quattordicesimo anno di età, però, l’atleta può essere tesserato come «giovane dilettante» e, secondo quanto attualmente previsto dalle NOIF [47], assumere un vincolo fino al termine della stagione in cui abbia compiuto il venticinquesimo anno di età [48].

Se già il legame annuale può apparire eccessivo in relazione a bambini che hanno appena cinque anni, manifestamente sproporzionato appare il vincolo imposto al quattordicenne lungo l’arco temporale più importante per la propria formazione agonistica e per lo sviluppo della propria carriera.

Si consideri, peraltro, che molti dirigenti pretendono la sottoscrizione della richiesta di tesseramento (come giovane dilettante) in via anticipata, riservandosi di depositarla quando l’atleta avrà compiuto quattordici anni.

Regole siffatte, benché fissate con l’intento di agevolare la programmazione dell’attività agonistica, in concreto, favoriscono l’organizzazione di un vero e proprio mercato del cartellino dei minorenni, un mercato nel quale lo sfruttamento lucrativo delle prestazioni atletiche scaturisce da una clausola che sottrae all’adolescente la libertà di selezionare l’associazione reputata più aderente al proprio modo di intendere la pratica di quella disciplina.

Il vincolo diviene, pertanto, strumento per «patrimonializzare» la prestazione atle­tica del minore, alla stessa stregua di quella di un professionista [49].

L’esigenza di garantire forme di sostentamento economico alle associazioni che si occupano dello sport di base diviene l’altare sul quale sacrificare interessi fondamentali che concernono, ancor prima della crescita tecnica, lo sviluppo fisico e psichico del minore [50].

Da strumento di realizzazione della personalità dell’adolescente, individuato seguendo le sue aspirazioni ed inclinazioni naturali, l’ente sportivo diviene, secondo alcuni autori, un autentico «gulag in cui molti giocatori vivono lo sport in cattività e, …, sono indotti a restare inattivi o, in molti casi, a lasciare la pratica agonistica» [51].

Minori penalizzati da dirigenti sportivi che non li valorizzano, dall’inimicizia o dall’ostilità degli altri componenti la squadra, non possono, salvo casi particolari, sottrarsi al vincolo e rimangono legati, per periodi di tempo piuttosto lunghi, ad una società che, a loro avviso, ne mortifica le qualità e il modo di apparire all’esterno. Così, si priva il minore della possibilità di determinare liberamente il proprio modo di essere nonché il proprio patrimonio comportamentistico e, quindi, del potere di assumere iniziative idonee a soddisfare l’interesse alla formazione della propria identità in ambito sportivo.

La conseguenza è una proiezione sociale della personalità atletica del minore che, quantunque fedele e veritiera, se rappresentata così come appare nel contesto associativo di appartenenza, potrebbe non rifletterne l’evoluzione lungo l’arco temporale di durata del vincolo stesso [52].

Il severo pregiudizio che tale situazione può determinare nel percorso di crescita personale e professionale del minore è ben noto ai dirigenti sportivi e, non di rado, è sfruttato a fini di lucro.

Frequentemente, infatti, l’autorizzazione al trasferimento dell’atleta ad altra squadra [53] (c.d. «svincolo») è subordinata al pagamento di cospicue somme di danaro (il c.d. «prezzo della libertà agonistica» [54]).

La dottrina si è, pertanto, interrogata in ordine all’impegnatività del consenso relativo al tesseramento e, conseguentemente, al vincolo sportivo, sia per quanto attiene alla mancanza di capacità di agire del minore, sia relativamente alla disponibilità di situazioni giuridiche soggettive che concernono lo svolgimento della personalità.


5. Il tesseramento degli atleti minorenni

L’elaborazione dottrinale in tema di tesseramento dell’atleta minorenne è stata, inevitabilmente, influenzata dall’evoluzione normativa del vincolo sportivo che del tesseramento rappresenta il principale effetto giuridico [55].

L’obiettivo di disinnescare la grave compressione indotta dal vincolo sportivo nella sfera giuridica di bambini e adolescenti ha, invero, indotto la dottrina e la giurisprudenza ad assumere, talvolta, posizione particolarmente rigide.

Si è, così, ricondotta l’istanza di tesseramento nell’alveo degli atti eccedenti l’or­dinaria amministrazione (art. 320, comma 3 [56], c.c.) e si è, perciò, ritenuto annullabile [57] l’atto mancante dell’autorizzazione del giudice tutelare oltre che del consenso di entrambi i genitori [58]. Non sarebbe possibile sottrarre alla vigilanza dell’autorità giudiziaria il compimento di un atto che determina la compressione di diritti fondamentali indisponibili del minore per un tempo irragionevolmente lungo [59].

Secondo una diversa impostazione, tuttavia, in assenza di una specifica incidenza del tesseramento su aspetti di carattere patrimoniale, l’atto de quo deve considerarsi di ordinaria amministrazione e, come tale, valido se sottoscritto da uno dei genitori [60].

Prendendo le mosse da tali riflessioni, taluni autori osservano come non sia corretto ricondurre il tesseramento entro l’ambito di applicazione dell’art. 320 c.c. [61] che, «richiamando il concetto di amministrazione, trova applicazione con riferimento ad atti incidenti nella sfera giuridica patrimoniale del minore, e non già nella sua sfera personale»; la disciplina del consenso al tesseramento dovrebbe pertanto desumersi dalle regole relative alle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, che – come noto – si diversificano in ragione della capacità di autodeterminazione del minore. In questa prospettiva, al minore, che dimostri «un grado di maturità psico-fisica tale da comprendere i vantaggi e gli svantaggi correlati alla pratica sportiva conseguente al tesseramento», dovrebbe riconoscersi piena autonomia di scelta, anche contro la volontà dei genitori [62].

D’altra parte, sul piano generale e, quindi, a prescindere dal tesseramento, si ritiene che il minore capace di comprendere il significato e il valore degli atti e dei comportamenti inerenti all’esercizio dell’attività sportiva debba avere «il potere di esprimere un valido e impegnativo consenso esteso al coinvolgimento materiale del proprio corpo, beninteso nel quadro delle regole di correttezza o di ordine precauzionale proprie di ciascuna disciplina sportiva» [63].

A fronte di tale varietà di opinioni, non sorprende che le carte federali presentino regole del tutto eterogenee [64].

La FIGC, che in materia ha costituito un modello di riferimento per molte Federazioni [65], per alcuni anni si è adeguata all’orientamento più rigoroso, richiedendo per il tesseramento la firma congiunta dei genitori [66].

Tale richiesta si fondava su una lettura coordinata della disciplina federale e degli artt. 316 e 320 c.c. [67], suggerita dall’incidenza dell’atto tanto sulla sfera patrimoniale quanto su quella personale dell’atleta.

Pur mirando a fornire maggiori garanzie al minore e, conseguentemente, maggiore stabilità ai rapporti con le società [68], il citato orientamento aveva comportato il moltiplicarsi del contenzioso concernente i tesseramenti minorili [69] e resa la procedura eccessivamente gravosa.

Così, con un vero e proprio revirement ed in contrasto con la circolare del Segretario federale del 7 novembre 1988, la Corte Federale d’Appello della FIGC ha ribaltato il precedente orientamento e ritenuto valido il tesseramento richiesto da uno solo dei genitori [70].

Nella storica pronuncia del 21 ottobre 2009, la Corte, dopo aver evidenziato come l’atto de quo assuma rilievo più «sul piano delle scelte in senso lato educative e della formazione ed espressione della personalità del minore che non patrimoniale», afferma che il tesseramento sia inquadrabile tra gli atti di ordinaria amministrazione, essendo volto alla conservazione dell’integrità del patrimonio e comportando rischi estremamente modesti [71].

La lettura della pronuncia consente, tuttavia, di ritenere che un ruolo decisivo sia stato giocato dalla necessità di porre un freno alla prassi – diffusasi dopo la succitata Circolare – di apporre all’istanza di tesseramento la firma apocrifa di uno dei genitori così da ottenere, successivamente, l’annullamento del tesseramento non più gradito ed eludere, conseguentemente, la durata pluriennale del vincolo [72]. E ciò, naturalmente, determinava la lesione dell’affidamento riposto dalle società sulla stabilità del rapporto con l’atleta [73].

L’assetto appena descritto è stato nuovamente modificato dall’art. 39, comma 2, delle NOIF. La disposizione, accedendo ad una soluzione ibrida, prevede che la richiesta sia sottoscritta «dall’esercente la responsabilità genitoriale se il tesseramento ha durata annuale e da entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale se il tesseramento ha durata pluriennale».

Siffatta opzione rappresenta l’ulteriore, evidente, conferma dell’influenza che la regolamentazione del vincolo sportivo esercita sul dibattito concernente il tesseramento di bambini e adolescenti [74].


6. Segue: dopo la riforma

La dominante incertezza sulla legittimità del vincolo sportivo e sulle regole da seguire per il tesseramento minorile ha indotto il legislatore ad intervenire sulla materia con il già citato d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36.

Come auspicato dalla dottrina maggioritaria e nonostante la ferma opposizione delle federazioni e dei rappresentanti delle associazioni sportive dilettantistiche [75], l’art. 31 del d.lgs. n. 36/2021 ha espressamente disposto l’abolizione del vincolo sportivo entro il 1° luglio 2022 [76].

Agli enti che hanno curato la formazione dell’atleta è riconosciuto un premio di formazione tecnica che verrà erogato dalla società sportiva professionistica o dilettantistica con la quale l’atleta stipula il suo primo contratto di lavoro [77].

Per quanto concerne il tesseramento minorile, l’art. 16 dispone che la richiesta deve essere presentata tenendo conto dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni del minore. Essa può essere compiuta disgiuntamente da ciascun genitore nel rispetto della responsabilità genitoriale. Si aggiunge, ancora, che, in caso di disaccordo, si applica quanto previsto dall’art. 316 c.c. e che, una volta compiuto il dodicesimo anno di età, il tesseramento non può prescindere dal consenso dell’interessato [78].

La riforma presenta sicuramente il merito di aver specificamente disciplinato la materia fugando, almeno in parte, i dubbi sorti in dottrina e giurisprudenza.

Il legislatore ha ritenuto che gli effetti giuridici del tesseramento, soprattutto dopo aver disposto la contestuale abolizione del vincolo sportivo, non fossero tali da rendere necessario il consenso di entrambi i genitori.

Apprezzabile è, ancora, l’esplicito riferimento alla necessità che la domanda di tesseramento risponda alle capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni del minore. Se la pratica sportiva deve essere uno strumento per lo sviluppo della personalità del bambino o dell’adolescente, il tesseramento deve rappresentare il coronamento di un percorso atletico che ha prodotto risultati apprezzabili sul piano dello sviluppo fisico e psichico e che, al minore stesso, è apparso ad un certo punto non più appagante senza compiere il salto di qualità costituito dall’ingresso nel sistema sportivo istituzionale.

In questa prospettiva può cogliersi con favore anche la richiesta di un espresso consenso del minore che abbia compiuto il dodicesimo anno di età; un tale consenso dovrebbe offrire sufficienti garanzie sulla corrispondenza tra il tesseramento e le inclinazioni ed aspirazioni del minore.

Nel caso di contrasto tra i genitori, occorrerà rivolgersi al giudice secondo il disposto dell’art. 316 c.c. ed ancora una volta assumerà rilievo la volontà dell’atleta che dovrà essere sentito anche se infradodicenne, purché munito di capacità di discernimento [79].


7. Tesseramento e capacità di discernimento

Le soluzioni cui si è accennato possono apparire, prima facie, complessivamente equilibrate perché mirano ad offrire sufficienti garanzie al minore, senza imbrigliare eccessivamente la procedura di tesseramento [80].

La riforma sembra, almeno parzialmente, superare la prospettiva «paternalistica» che guarda al minore quale oggetto di protezione e non come persona intestataria e portatrice di propri e autonomi diritti [81].

Appare, in proposito, emblematica la previsione di un diritto di veto, riconosciuto a partire dal dodicesimo anno di età, a fronte di iniziative dei genitori che non rispecchiano le inclinazioni dei figli. Nella prassi, infatti, il tesseramento costituisce, non infrequentemente, scelta del genitore che, coltivando aspirazioni proprie, punta ad una crescita atletica del figlio all’interno dei circuiti istituzionali, magari confidando in futuri sbocchi professionali.

Il riconoscimento del minore come persona [82] non significa, invero, soltanto protezione, ma anche promozione [83], ovvero progressiva concessione, in accoppiamento sincronico con la capacità di discernimento, di sempre maggiori spazi di autonomia nella selezione degli interessi da coltivare e dei corrispondenti comportamenti attuativi [84]; il graduale processo di maturazione del minore porta «a progressivo compimento la programmatica inseparabilità tra titolarità ed esercizio delle situazioni esistenziali» [85].

La storia del minore, si è detto, è quella «del tentativo di affrancarsi … dalla soggezione ad un’altra persona (…) per acquistare in primo luogo dignità di persona autonoma e per giungere, poi, almeno tendenzialmente, all’autodeterminazione» [86].

Con la Convenzione dell’ONU del 1989 e quella di Strasburgo del 1996 si assiste alla piena affermazione del diritto del minore a partecipare ed essere ascoltato in tutti i processi decisionali che lo coinvolgono, fino a pervenire ad un preciso potere di autodeterminazione in ordine alla gestione dei propri interessi e al pieno esercizio dei propri diritti [87].

Ascolto e partecipazione sono strumenti intesi a favorire la realizzazione del best interest of the child [88] ed assolvono al «compito di radicare il senso di ogni previsione normativa, di ogni decisione giudiziaria, di ogni provvedimento amministrativo relativo a minori nella concreta e reale, unica e irripetibile vicenda esistenziale di ciascuno di essi quale persona portatrice di proprie esigenze, bisogni, idealità, aspirazioni da soddisfare» [89].

Sotto tale profilo la riforma appena varata non appare del tutto idonea a valorizzare la dimensione personalistica e la complessità di esperienze dello sport minorile.

Già in passato, come in precedenza accennato, la dottrina aveva suggerito un approccio al tema secondo una prospettiva di tipo nuovo, sganciata dalla rigida dicotomia proposta dall’art. 320 c.c. e volta a cogliere le peculiarità delle singole discipline sportive, combinandole con il differente grado di maturità psicofisica che il minore può presentare nelle diverse fasce di età.

Una prospettiva, cioè, volta alla massima valorizzazione della capacità di discernimento e del diritto all’autodeterminazione del minore, con conseguente progressivo ridimensionamento dei poteri che caratterizzano la potestà genitoriale [90].

Si era, così, ritenuto che in taluni casi la combinazione tra età, sviluppo psicomotorio, capacità di discernimento, caratteristiche della disciplina sportiva ed, ancora, esperienza pratica in quello sport, potessero consentire il tesseramento senza il consenso dei genitori e, perfino, in contrasto con la volontà degli esercenti la potestà genitoriale [91].

Un siffatto sforzo ermeneutico, volto alla massima valorizzazione della capacità di autodeterminazione dei giovani atleti, avrebbe dovuto carpire l’attenzione del legislatore che, abolendo il vincolo sportivo, ha significativamente alleggerito l’incidenza del tesseramento nella sfera giuridica del minore, lasciando ampi margini per il riconoscimento di maggiore autonomia soprattutto agli adolescenti.

Il tema del tesseramento minorile doveva, a nostro avviso, essere regolato secondo un modello elastico, idoneo a rappresentare il differente modo in cui gli interessi in gioco possono ricombinarsi a seconda della concreta interazione di tutti gli elementi sopra individuati.

L’interesse del minore, infatti, non è un dato «individuabile a priori e una volta per tutte, ma soltanto a posteriori, sulla base di una valutazione intrinsecamente di specie, per così dire individualizzata, più propriamente personalizzata» [92], tenendo conto di ogni circostanza che possa riflettersi sulla condizione del minore stesso [93].

In siffatta prospettiva, appare davvero angusta una regolamentazione del tesseramento unitaria, rigida e standardizzata, che assimila condizioni del tutto eterogenee e che, perciò, poco si attaglia alla molteplicità dell’esperienza quale emerge praticando le palestre ed i campi di gioco.

Il diritto deve disporsi «in modo da far posto a statuti normativi plurimi e diversificati», che siano in grado di cogliere e regolare nel miglior modo tale diversità [94]; anche la disciplina del tesseramento, dunque, non dovrebbe rimanere indifferente alla mutevole varietà delle situazioni di interesse in campo [95].

D’altra parte, modellare il tesseramento secondo statuti differenti, tenendo conto delle specificità di ciascuna disciplina sportiva, risulta operazione quasi connaturale al peculiare settore che ci occupa, in cui la normativa statale convive e a volte si integra con quella dell’ordinamento sportivo. Quest’ultima, a sua volta, è la risultante del­l’insieme della disciplina promanante dal CONI e di quella adottata dalle singole federazioni, cui è riconosciuto potere di autoregolamentazione – pur nel quadro dei valori e dei principi generali dei due succitati ordinamenti – per conformare le norme che regolano la vita associativa alle esigenze ed ai bisogni precipui di ciascuno sport [96].

Il decentramento normativo avviene per garantire una migliore integrazione tra ordinamento e sistema [97], tra le domande di tutela che promanano dal basso e le regole volte a dare risposta a tali istanze.

La migliore attuazione del best interest of the child, nel settore dello sport, avrebbe, perciò, richiesto soluzioni normative più flessibili e adattabili che, pur fissando una cornice di principi e regole minime di tutela degli atleti minori, lasciassero alle federazioni il compito di definire nel dettaglio la disciplina del tesseramento di bambini e adolescenti in ragione, anche, delle peculiarità di ciascuno sport [98], nonché della tipologia di tesseramento [99].

Si è, infatti, in precedenza evidenziato come l’atto de quo non implichi necessariamente l’assunzione di un impegno e come, in ogni caso, natura e consistenza dell’im­pegno dipendano dalla categoria per la quale si viene tesserati [100].

Nell’esercitare il proprio potere di autoregolamentazione, ogni Federazione dovrebbe operare nel rispetto di un principio che miri a valorizzare, per quanto possibile, la capacità di autodeterminazione del giovane atleta, senza escludere che la combinazione di determinate condizioni consenta al minore perfino di decidere in piena autonomia l’ingresso nel mondo dello sport istituzionalizzato [101].

La riforma, invece, esclude in radice siffatta possibilità, configurando il tesseramento atto del genitore rispetto al quale esiste unicamente un potere di veto [102].


8. Pratica sportiva e interesse superiore del minore

La riforma sembra, dunque, aver escluso ogni possibilità di valorizzare la capacità di discernimento del minore per consentire al giovane atleta di stabilire in autonomia se acquisire lo status di soggetto dell’ordinamento sportivo.

Sotto il profilo in esame il legislatore non pare discostarsi dalle scelte effettuate in altri settori che coinvolgono aspetti primari della personalità del minore. Come nella legge n. 219/2017 (in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) [103] e, ancor prima, nella legge n. 10/2010 (concernente la disposizione post mortem del proprio corpo a fini didattici e scientifici) [104], è lasciato agli esercenti la potestà genitoriale il compito di manifestare la volontà dell’interessato.

Il legislatore continua, pertanto, ad utilizzare «le tradizionali categorie generali e astratte – come quella della “capacità di agire” [105] e della “(in)capacità” di intendere e di volere», trascurando l’invito della dottrina a far ricorso alla capacità di discernimento da accertarsi caso per caso [106].

Taluni indici normativi consentono, tuttavia, nei settori da ultimo menzionati, un’interpretazione che, senza trascendere il dato letterale, valorizzi nella misura maggiore possibile la capacità di comprensione e di decisione del minore [107].

Si tratta, sostanzialmente, di separare il profilo della formazione del consenso da quello della sua manifestazione esterna.

Sotto il primo profilo, l’art. 3 della legge n. 219/2017 riconosce alla persona minore di età un «diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione», espressamente funzionalizzato al «rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1», tra i quali assume rilievo anche quello all’autodeterminazione e a non subire alcun trattamento sanitario senza il proprio consenso; l’ultimo inciso del primo comma dell’art. 3, prevede, poi, che la persona minore di età riceva «informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà».

Da qui l’incongruenza – segnalata dall’elaborazione dottrinale – di previsioni normative che, pur avendo ampiamente valorizzato la fase di formazione del consenso dell’interessato anche se minorenne, non attribuiscono a tale volontà il giusto rilievo [108], nonché la proposta di assegnare all’esercente la potestà genitoriale il compito di manifestare all’esterno [109] non una scelta propria, ma quella operata dal diretto interessato (ove munito di capacità di discernimento) [110].

La soluzione ermeneutica cui si è accennato potrebbe trovare spazio anche in relazione al tesseramento degli atleti minorenni.

Sebbene l’istanza debba essere presentata dall’esercente la potestà genitoriale, l’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 36/2021, richiede che il dodicenne presti personalmente il proprio consenso.

Si crea, così, una sorta di spartiacque tra gli sportivi infradodicenni – formalmente esclusi dal processo decisionale – e quelli ultradodicenni, che divengono parte attiva nella decisione concernente il tesseramento.

Ciò vale, senz’altro, a proteggere l’ultradodicenne da istanze che non rispecchino il suo sentire.

In una prospettiva di massima valorizzazione della capacità di discernimento rispetto alle decisioni di carattere personalistico [111] che attengono i minori di età [112], la citata disposizione può, tuttavia, assumere un significato più ampio.

La pratica sportiva all’interno della federazione deve assecondare (come prescritto dall’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 36/2021) capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni del minore.

Prima dei dodici anni, spetta agli esercenti la potestà genitoriale valutare una siffatta congruenza; dopo tale età, la riforma sembra assegnare tale compito direttamente all’interessato [113]. In tale ultima ipotesi, il genitore che formalmente richiede il tesseramento costituirebbe unicamente il tramite attraverso cui manifestare una scelta riconducibile al minore [114].

Anche nella prospettiva indicata, tuttavia, si riconosce al minore soltanto una forma di autodeterminazione c.d. «debole» [115], cioè in concreto dipendente dalla volontà di collaborazione dell’esercente la potestà genitoriale. Resta, perciò, aperta la questione della divergenza di opinioni e del rifiuto di cooperazione che impedisca alla scelta dell’interessato di produrre effetti [116].

La concreta affermazione della volontà dell’interessato esige, allora, come evidenziato in dottrina, la soluzione della questione concernente l’affermazione della legittimazione processuale del minore quale strumento indispensabile di tutela delle scelte esistenziali [117].

Si è, invero, rilevato che negare al minore «la possibilità di chiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria a garanzia del proprio libero sviluppo costituirebbe una grave limitazione, non giustificabile nell’assetto costituzionale dei valori» [118].

Naturalmente, ogni strumento utile a dirimere il contrasto dovrà tenere conto degli effetti che il tesseramento può direttamente o indirettamente produrre sulla sfera giuridica dei genitori. Il best interest of the child, infatti, non è un valore tiranno [119] e, pertanto, va confrontato con gli altri valori in gioco nel caso concreto [120], seppure al fine di giungere ad un bilanciamento ineguale o asimmetrico che assicuri la prevalenza, nei casi dubbi o difficili, dell’interesse del minore [121] rispetto agli altri interessi confliggenti [122].

In proposito, occorrerà tener conto delle peculiarità del percorso di formazione tecnica e fisica di un atleta le cui tappe più importanti si collocano proprio nel corso della minore età [123].

L’opposizione dei genitori all’ingresso nello sport istituzionale, fino al compimento del diciottesimo anno di età, significa, infatti, nella stragrande maggioranza dei casi precludere definitivamente ogni ambizione dell’atleta di affermarsi in una determinata disciplina, frustrando irrimediabilmente le aspirazioni e le inclinazioni del giovane sportivo [124].

Tra interesse del minore (inteso anche quale interesse «al raggiungimento di un’autonomia personale e di giudizio») [125] e prerogative dei genitori appare, allora, necessario un bilanciamento a posteriori, secondo valutazioni personalizzate e contestualizzate [126], tenendo conto di tutte le circostanze, a partire dalle condizioni fisica e psichica del minore [127].


NOTE

* Contributo sottoposto alla procedura di double blind peer review ed approvato. Il presente scritto costituisce la rielaborazione della relazione svolta il 22 marzo 2021 in occasione della seconda giornata di lavori del Convegno su «La prestazione sportiva nel diritto romano e attuale» organizzato dall’Università degli Studi di Catania – Dipartimento di Giurisprudenza (piattaforma Microsoft Teams).

[1] Cfr. Convenzione per i diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 176/1991 (v., in particolare, art. 31).

[2] Cfr. art. 1, comma 369, lett. e), legge 27 dicembre 2017, n. 205.

[3] Cfr. S. Boccaccio, Il minore e lo sport, in Giur. it., 1992, p. 12 ss. Come è noto nella Costituzione italiana l’unica previsione che espressamente richiama il fenomeno sportivo attiene al sistema di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regione (art. 117 Cost.), ridefinito in occasione della Riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione realizzata nel 2001. Sui rapporti tra sport e Costituzione v. P. Sandulli, Costituzione e sport, in questa Rivista, 2018, passim e, da ultimo, L. Leo, Sport e Costituzione: un legame da rivedere, in Cammino diritto, n. 2/2021, passim.

[4] Sull’insegnamento a scuola dell’educazione fisica v. P.M. Vipiana, Educazione fisica, in Dig. disc. pubbl., 1990, passim.

[5] Cfr. art. 1, Carta Europea dello Sport del Consiglio d’Europa, adotta nell’ambito della settima Conferenza dei Ministri europei responsabili dello Sport (Rodi, 13-15 maggio 1992).

[6] Cfr. art. 1.7, Carta internazionale per l’Educazione Fisica, l’Attività Fisica e lo Sport, adottata dalla Conferenza Generale dell’Unesco il 21 novembre 1978 e rivista nel 2015.

[7] È appena il caso di rilevare che la scuola si fa carico pure della programmazione di viaggi connessi ad attività sportive agonistiche (v., per esempio, Circolare ministeriale 14 ottobre 1992, n. 291, concernente visite guidate e viaggi d’istruzione o connessi ad attività sportive).

[8] Cfr. art. 3, comma 2, lett. e), d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36. Come è noto, il d.lgs. n. 36/2021 costituisce il primo dei cinque decreti legislativi (d.lgs. nn. 36, 37, 38, 39 e 40 del 28 febbraio 2021) che, complessivamente, hanno dato attuazione alle deleghe conferite al Governo con legge n. 86/2019 per riordinare la disciplina dello sport. Appare opportuno rilevare che l’art. 30, d.l. 22 marzo 2021, n. 41, recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da Covid-19, come convertito dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, dispone che l’entrata in vigore dei predetti decreti legislativi sia postergata al 31 dicembre 2023 (per il d.lgs. n. 36/2021 la proroga concerne unicamente gli artt. 25-37). Anche tale data è stata, da ultimo, modificata dalla legge di conversione, con modificazioni, del d.l. 25 maggio 2021, n. 73, recante misure urgenti connesse all’emergenza da Covid-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali (approvata dal Senato il 22 luglio 2021). In conseguenza della novella, secondo il nuovo testo dell’art. 51, d.lgs. n. 36/2021, «le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2023, ad esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 10, 39 e 40 e del titolo VI che si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2022».

[9] Naturalmente i programmi di educazione fisica devono essere adattati alla fascia di età dei discenti. Sul punto, P.M. Vipiana, Educazione fisica, cit., passim.

[10] Siffatte considerazioni rinvengono puntuale riscontro già nell’O.M. 18 dicembre 1969 (Ordinamento dell’attività sportiva scolastica). Ivi si legge: «l’attività sportiva, rappresentando nella scuola un momento didattico di preminente importanza, costituisce una componente integrale della personalità e rappresenta un valido coefficiente di promozione umana». V., più ampiamente, S. Boccaccio, Il minore e lo sport, cit., p. 12 ss.

[11] L’attività agonistica non può, perciò, essere impedita o compressa, ma va piuttosto bilanciata con lo studio delle discipline impartite dalla scuola. Il d.m. 10 aprile 2018, n. 279, emanato in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. g) della legge n. 107/2015, ha previsto, peraltro, che le istituzioni scolastiche interessate possano prendere parte ad «[…] una sperimentazione didattica per una formazione di tipo innovativo, anche supportata dalle tecnologie digitali, destinata agli studenti– atleti di alto livello […], iscritti agli Istituti di istruzione secondaria di secondo grado statali e paritari del territorio nazionale. Il programma sperimentale ha come obiettivo il superamento delle criticità che possono riscontrarsi durante il percorso scolastico degli studenti-atleti, soprattutto riferibili alle difficoltà che questi incontrano in termini di regolare frequenza delle lezioni […]». Il suddetto DM ha integrato ed implementato quanto disposto dell’art. 4 del d.P.R. n. 275/1999: «[…] nell’esercizio dell’autonomia didattica le istituzioni scolastiche regolano i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni. A tal fine le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune […]».

[12] Troppo spesso, invece, i bambini vengono considerati e trattati come veri e propri atleti ed il loro corpo come «laboratorio vivente di sperimentazioni tese al miglioramento della prestazione» (cfr. Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adole­scenza in Italia, anno 2007-2008 del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (GRUPPO CRC), disponibile su www.gruppocrc.net). A livello internazionale è stato denunciato il diffondersi di pratiche di allenamento dei bambini evidentemente contrarie ai diritti sanciti dall’art. 31 della Convenzione di New York e si è rilevato come siffatti diritti vengano considerati in taluni ambienti sportivi quali veri e propri ostacoli alla formazione dei giovani campioni (cfr., P. David, Human Rights in Youth Sport. A Critical Review of Children’s Rights in Competitive Sport, Londra, 2005). Da qui l’espressione «diritti inavvertiti» cui ha fatto significativamente ricorso la dottrina per segnalare il fenomeno (cfr. A. Borgogni, I diritti inavvertiti: i minori e la pratica sportiva, in M. Tomarchio, S. Ulivieri (a cura di), Pedagogia militante. Diritti, culture, territori, Atti del 29° convegno nazionale SIPED, Catania 6-7-8 novembre 2014, Pisa, 2015, p. 347 ss.). Deve, perciò, salutarsi con estremo favore la previsione dell’art. 33, comma 6, d.lgs. n. 36/2021, che dispone (entro 12 mesi dall’entrata in vigore) l’intro­duzione di «disposizioni specifiche a tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva, inclusi appositi adempimenti e obblighi, anche informativi, da parte delle società e associazioni sportive, tra cui la designazione di un responsabile della protezione dei minori, allo scopo, tra l’altro, della lotta ad ogni tipo di abuso e di violenza su di essi e della protezione dell’integrità fisica e morale dei giovani sportivi».

[13] Cfr., da ultimo, Conclusioni del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, sulla tutela dei minori nello sport, in G.U.U.E. 12 dicembre 2019, C 419/01.

[14] Cfr. art. 13-bis, comma 3, Statuto C.O.N.I., che obbliga tutti i tesserati all’osservanza del Codice di comportamento sportivo approvato dal Consiglio Nazionale. Alla previsione generale si affiancano, naturalmente, le disposizioni contenute nei regolamenti delle singole federazioni. Così, l’art. 92 delle NOIF della FIGC, ad es., dispone che «i tesserati sono tenuti all’osservanza delle disposizioni emanate dalla FIGC e dalle rispettive Leghe e Divisioni, nonché delle prescrizioni dettate dalla società di appartenenza».

[15] In conformità con quanto disposto dalla Carta dei Diritti dei Ragazzi allo Sport (Ginevra 1992, Commissione Tempo Libero dell’ONU), ad esempio, il Settore Giovanile e Scolastico della FIGC prevede che l’attività svolta dalle associazioni e società affiliate si conformi al rispetto dei seguenti diritti: il diritto di divertirsi e giocare; il diritto di fare sport; il diritto di beneficiare di un ambiente sano; il diritto di essere circondato ed allenato da persone competenti; il diritto di seguire allenamenti adeguati ai suoi ritmi; il diritto di misurarsi con giovani che abbiano le sue stesse possibilità di successo; il diritto di partecipare a competizioni adeguate alla sua età; il diritto di praticare sport in assoluta sicurezza; il diritto di avere i giusti tempi di riposo; il diritto di non essere un campione (cfr., Comunicato ufficiale n. 1 del 01/07/2020, Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, reperibile in www.figc.it).

[16] Secondo quanto previsto dal par. 1.1 del citato Comunicato ufficiale n. 1 del 01/07/2020, Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, «l’attività delle categorie di Base ha carattere eminentemente promozionale, ludico e didattico ed è organizzata su base strettamente locale». All’attività di base partecipano le seguenti categorie di calciatori: Piccoli Amici; Primi Calci; Pulcini; Esordienti. Siffatte categorie coprono una fascia di età che va dai cinque ai dodici anni.

[17] Il par. 2 del citato Comunicato ufficiale n. 1 del 1° luglio 2020, Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, riserva l’attività giovanile agonistica alle categorie dei Giovanissimi e degli Allievi, ricomprensive di una fascia di età che va dai dodici ai sedici anni.

[18] L’attività giovanile, si legge nel succitato Comunicato ufficiale n. 1 del 1° luglio 2020, Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, «è ad indirizzo competitivo e si configura principalmente attraverso i risultati delle gare ed il comportamento disciplinare in campo e fuori di Atleti, Tecnici e Dirigenti».

[19] Secondo quanto disposto dal Comunicato ufficiale n. 1 del 01/07/2020, Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, «le Società, al momento dell’iscrizione ai Tornei Federali presentano l’elenco nominativo dei componenti la squadra, indicando l’anno di nascita di ciascun bambino/a».

[20] In dottrina si è osservato che all’agonismo programmato sia connaturata una «tendenza al professionismo, in quanto lo sport ha raggiunto un livello tale di esigenze di preparazione e di impegno che in qualsiasi disciplina, ai vertici un atleta deve essere «professionista» se vuole ottenere risultati». Così, M. Ferraro, La natura giuridica del vincolo sportivo, in questa Rivista, 1987, p. 4.

[21] Il summenzionato Comunicato ufficiale n. 1 del 1° luglio 2020, Settore Giovanile e Scolastico della FIGC prevede, ad esempio, l’irrogazione di ammende per la società che abbia rinunciato a disputare la gara nonché la possibilità che la stessa sia obbligata a corrispondere un indennizzo per le spese di organizzazione. A ciò si aggiunga che, in conseguenza della seconda rinuncia a disputare una gara, è prevista l’esclusione dal campionato ed una conseguente sanzione pari a dieci volte quella prevista per la prima rinuncia.

[22] Come già evidenziato, l’art. 92 delle NOIF della FIGC assoggetta tutti i tesserati all’osservanza anche delle prescrizioni dettate dalla società di appartenenza.

[23] Secondo il disposto dell’art. 43, comma 2 del Regolamento della LND (reperibile in www.figc.it), «sono vietati e nulli ad ogni effetto, e comportano la segnalazione delle parti contraenti alla Procura Federale per i provvedimenti di competenza, gli accordi e le convenzioni scritte e verbali di carattere economico fra società e calciatori/calciatrici “non professionisti” e “giovani dilettanti”, nonché quelli che siano, comunque, in contrasto con le disposizioni federali e quelle delle presenti norme». Il comma successivo dell’art. 43, tuttavia, prevede che «per i calciatori/calciatrici tesserati ed impiegati nei Campionati Nazionali indetti dalla Lega valgono le disposizioni di cui all’art. 94 ter, delle Norme Organizzative Interne della FIGC». Secondo tale ultima disposizione, «i calciatori/calciatrici tesserati/e per società della Lega Nazionale Dilettanti che disputano il Campionato Nazionale di serie D del Dipartimento Interregionale e i Campionati di Serie A, Serie A2 maschili e Serie A Femminile della Divisione calcio a Cinque, devono tuttavia sottoscrivere, su apposito modulo, accordi economici annuali relativi alle loro prestazioni sportive concernenti la determinazione della indennità di trasferta, i rimborsi forfettari di spese e le voci premiali come previste dalle norme che seguono». Va, peraltro, segnalato che, benché siffatta disposizione menzioni soltanto l’ipotesi dell’atleta che militi nel campionato nazionale, la Commissione Disciplinare Nazionale della FIGC, con il comunicato ufficiale n. 23/CDN del 29 settembre 2009, ha ritenuto che è legittima la convenzione stipulata tra calciatore e Società dilettantistica che abbia ad oggetto rimborsi forfettari di spese nei limiti previsti dalla normativa fiscale – e purché tali somme siano di importi tali da costituire effettivamente un indennizzo delle spese sostenute e non un velato corrispettivo per l’attività sportiva prestata – anche qualora la società sia iscritta ai Campionati Regionali e Provinciali.

[24] Cfr. art. 33 NOIF della FIGC

[25] L’art. 33, comma 2 delle NOIF della FIGC stabilisce, peraltro che nell’ultima stagione sportiva del periodo di vincolo (ovvero quella che ha inizio nell’anno in cui il calciatore compie anagraficamente il diciannovesimo anno di età), il calciatore «giovane di serie» «ha diritto, quale soggetto di un rapporto di addestramento tecnico e senza che ciò comporti l’acquisizione dello status di “professionista”, ad un’in­dennità determinata annualmente dalla Lega cui appartiene la società».

[26] Come si evidenzierà nel prosieguo, ai sensi dell’art. 31, d.lgs. n. 36/2021, «le limitazioni alla libertà contrattuale dell’atleta, individuate come vincolo sportivo» dovranno essere eliminate entro il 1° luglio 2022». Si è, in precedenza, rilevato (v. supra, nt. 8) come, dopo alterne vicende, l’entrata in vigore del d.lgs. n. 36/2021 sia stata fissata al 1° gennaio 2023 (con l’esclusione degli artt. 10, 39 e 40 e del Titolo VI). Fino a quella data, e salva la concessione di ulteriori proroghe, il vincolo continuerà ad operare nei rapporti tra enti sportivi e atleti non professionisti.

[27] Visto dalla prospettiva dell’ente sportivo, il vincolo costituisce «il diritto per il club di rinnovare il tesseramento dell’atleta (e il conseguente diritto di godere delle sue prestazioni in esclusiva) per un numero predeterminato di anni» (così, G. Martinelli, I tesserati condividono le finalità dell’ente associativo, in La riforma dello sport. Tutte le regole per i dilettanti, inserto de IlSole24ore, 7 aprile 2021, p. 15).

[28] Cfr. M. Ferraro, La natura giuridica del vincolo sportivo, cit., p. 13 ss. L’A. rileva come il vincolo annuale garantisca il regolare svolgimento dei tornei e dei campionati, «essendo necessario per poter comparare i risultati e riferirlo sempre ad una società sportiva che conta nelle sue file quegli atleti indicati all’inizio della stazione agonistica» e conclude nel senso che consentire il passaggio di un’atleta da una società ad un’altra senza il consenso dell’ente per il quale è tesserato «costituirebbe, senza dubbio, una violazione grave del principio della par condicio». Il vincolo pluriennale, invece, risponde all’esigenza di programmazione pluriennale degli allenamenti tipica degli sport di squadra nei quali occorre salvaguardare anche l’affiatamento dei giocatori. Sulle origini del vincolo quale strumento introdotto in Inghilterra alla fine del XIX secolo, «con lo scopo di evitare che le squadre di calcio più forti potessero acquisire senza limiti i servizi dei calciatori migliori, finendo per alterare l’equilibrio competitivo delle competizioni», v. C.K. Di Biase, Riflessioni sul vincolo sportivo nei confronti degli atleti minorenni, in Giustiziasportiva.it, 2019, f. 3., p. 60.

[29] Il vincolo investe, invero, soltanto l’attività sportiva svolta nell’ambito delle competizioni organizzate dalla federazione e, perciò, investe l’atleta inteso quale soggetto dell’ordinamento sportivo. Va da sé che nulla potrebbe impedire allo sportivo di «trasferirsi» presso una società che non fa parte dell’or­ganizzazione federale; l’art. 1 della legge 23 marzo 1981, n. 91, ha, invero, sancito il principio della libertà di esercizio dell’attività sportiva che, pertanto, può essere praticata anche al di fuori delle strutture organizzative previste dalla legge che concernono unicamente il c.d. «agonismo programmatico» (cfr. M. Persiani, Art. 1, in Id. (a cura di), Commentario alla legge 23 marzo 1981, n. 91, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 561. Come è stato rilevato, però, l’attività agonistica al di fuori delle federazioni si svolge a livelli incomparabilmente più bassi e non può costituire un’alternativa satisfattiva per chi proviene dallo sport istituzionalizzato (cfr. C. Pasqualin, Il vincolo sportivo, in questa Rivista, 1980, p. 290). Lo sport in Italia appare, invero, organizzato secondo un criterio sostanzialmente monopolistico che, come è stato rilevato in dottrina, pur risalendo all’epoca fascista, è stato ampiamente confermato anche di recente con i necessari adattamenti ai principi della Costituzione (cfr. M. De Cristofaro, Problemi attuali di diritto sportivo, in Dir. lav., 1989, p. 95 ss.).

[30] Per il rilievo che l’acquisto, in capo alle persone fisiche, della qualifica di soggetto dell’ordina­mento sportivo non riveste, secondo l’impostazione tradizionale, significativo interesse per l’ordinamento statale, v. G. Liotta, Il tesseramento nei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in questa Rivista, 2016, p. 243 ss.

[31] Sull’opportunità di distinguere il concetto di autonomia dell’ordinamento sportivo da quello di indipendenza, in guisa da assicurare un «controllo di meritevolezza e di legittimità» sugli atti dell’or­dinamento sportivo preordinato a salvaguardare diritti e valori fondamentali inderogabilmente garantiti dall’ordinamento costituzionale, v. P. Perlingieri, Riflessioni conclusive, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Napoli, 2009, p. 718.

[32] Ma già G. Cesura, nel breve intervento al Convegno giuridico sul vincolo sportivo, in questa Rivista, 1966, p. 110, auspicava che nel dilettantismo si affermasse il principio di massima libertà per gli atleti compatibilmente con «quel minimo di disciplina che è indispensabile per l’ordine e la regolarità dell’at­tività agonistica».

[33] L’avvento del professionismo nello sport ha comportato il mutamento della base della struttura associativa non più costituita dagli atleti (divenuti lavoratori e, perciò, controparti dell’ente), ma da coloro che intendono assumere la gestione economica ed il rischio dell’organizzazione dell’attività sportiva. Così, già alla fine degli anni ’70, la maggior parte delle società calcistiche rivestivano la forma della società per azioni all’interno delle quali la «base sociale» era costituita dagli azionisti e non dai giocatori. Per tali rilievi v. C. Pasqualin, Il vincolo sportivo, cit., p. 291 ss.; L. Santoro, I soggetti, in G. Liotta, L. Santoro, Lezioni di diritto sportivo, 4a ed., Milano, 2018, p. 110.

[34] Con tale locuzione ci si riferiva al contratto di lavoro a tempo determinato, con il quale l’atleta si impegnava a fornire la prestazione atletica dietro corrispettivo. Sul punto v. De Cristofaro, Problemi attuali di diritto sportivo, cit., p. 104.

[35] Per un affresco dell’evoluzione vissuta nei primi anni ’50 dai rapporti tra calciatori e club v. R. Tosetto, F. Manescalchi, Profili giuridici del fenomeno sportivo con speciale riguardo alla natura giuridica del rapporto tra associazioni calcistiche e giocatori, in Foro pad., 1951, III, c. 49 ss., spec. c. 60 ss. Gli autori evidenziano la difficoltà di ridurre ad unità un siffatto rapporto che appariva, piuttosto, connotato dalla presenza di duplice legame. Il primo si instaurava con la firma del c.d. «cartellino», che faceva sorgere in capo al club un diritto sull’attività del giocatore. Tale diritto poteva essere ceduto o condurre alla conclusione di un contratto di lavoro concernente la concreta erogazione della prestazione. Da qui la possibilità che, scaduto tale ultimo contratto, il «cartellino» del giocatore rimanesse, comunque, nella disponibilità del club. I due vincoli sembravano, perciò, seguire vicende giuridiche autonome. Da qui lo sforzo degli autori di ricostruire in termini unitari il rapporto tra calciatore e club quale contratto di lavoro cui accede una clausola contenente un patto di non concorrenza, con conseguente applicazione dei requisiti e dei limiti di operatività previsti dall’art. 2125 c.c.

[36] Secondo A. De Silvestri, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e di accordi economici, in P. Moro (a cura di), Vincolo sportivo e diritti fondamentali, Pordenone, 2002, p. 32, il vincolo si poneva in contrasto con «il diritto, costituzionalmente riconosciuto, di scegliersi liberamente il proprio datore di lavoro recedendo, se del caso, dal precedente rapporto».

[37] Secondo l’art. 16 della legge n. 91/1981, comma 1, «Le limitazioni alla libertà contrattuale del­l’atleta professionista, individuate come “vincolo sportivo” nel vigente ordinamento sportivo, saranno gradualmente eliminate entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, secondo modalità e parametri stabiliti dalle federazioni sportive nazionali e approvati dal CONI, in relazione all’età degli atleti, alla durata ed al contenuto patrimoniale del rapporto con le società».

[38] Cfr. art. 6, comma 1, legge n. 91/1981. Per rafforzare tale previsione, l’art. 4, comma 6, dispone, altresì, che «il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso né può essere integrato, durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni».

[39] Per un’analisi critica delle diverse ragioni giustificatrici del vincolo sportivo, v. C. Pasqualin, Il vincolo sportivo, cit., spec. p. 299 ss.

[40] Per l’atleta che svolge attività agonistica quale dilettante «puro», il vincolo rappresenta una sorta di corrispettivo per gli oneri che il club sostiene per consentirgli la pratica sportiva. La crisi economica, tuttavia, ha reso diffusa la pratica che anche l’atleta versi una quota di partecipazione al club e ciò priva di giustificazione il vincolo anche per tale categoria di atleti. Per tali considerazioni, v. G. Martinelli, I tesserati condividono le finalità dell’ente associativo, cit., p. 15.

[41] Per una ricostruzione delle diverse ipotesi cui è stato ricondotto un siffatto contratto, v. L. Santoro, I soggetti, cit., spec. p. 92 ss.

[42] Il vincolo assumerebbe anche la funzione di tutelare gli interessi patrimoniali dell’associazione o società che ha curato la formazione dell’atleta, onde garantirne quantomeno il rimborso delle spese sostenute per il suo addestramento (cfr. M. Ferraro, La natura giuridica del vincolo sportivo, cit., p. 13). Le associazioni sportive dilettantistiche – rileva il Trib. Venezia, ord. 14 luglio 2003, in Fam. e dir., 2004, p. 51 ss., con nota di E. Vullo, Provvedimento d’urgenza, potestà parentale e legittimità del vincolo di esclusiva tra un giocatore e l’associazione sportiva per cui è tesseratoil commento – verrebbero dissuase dal sostenere gli investimenti necessari per la formazione sportiva dei giovani se non potessero fare affidamento su di un vincolo di esclusiva a carico dei tesserati.

[43] Cfr. Trib. Gorizia, ord. 20 aprile 2001, n. 478, inedita, ma cit. da A. De Silvestri, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e di accordi economici, cit., p. 36. Secondo tale pronuncia, il diritto di recedere dal rapporto associativo non troverebbe copertura nell’art. 18 Cost., non venendo in gioco diritti della personalità come, invece, accade per le associazioni che perseguono finalità connesse al pensiero e alle ideologie.

[44] Cfr. Trib. Venezia, ord. 14 luglio 2003, cit.

[45] Cfr. Trib. Gorizia, 5 luglio 2001, n. 2525, inedita e cit. da A. De Silvestri, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e di accordi economici, cit., p. 36. L’ordinanza (con la quale è stato respinto il reclamo contro Trib. Gorizia, 20 aprile 2001, n. 478, cit.) reputa che il legame tra atleta e associazione non vada inquadrato all’interno del fenomeno associativo, integrando, piuttosto, «un rapporto sinallagmatico di natura atipica che consente, da un lato, all’associazione di utilizzare una risorsa umana per perseguire i propri fini istituzionali ed offre, dall’altro, all’atleta, la possibilità di esercitare in forma organizzata l’attività ludico-sportiva». La pronuncia conclude, poi, ritenendo pienamente legittima e conforme al principio dell’autonomia privata l’esclusione del diritto di recesso da parte dell’atleta.

[46] Per una rassegna della disciplina del vincolo nei singoli sport v. M. Colucci, Gli atleti italiani: liberi di formarsi, liberi di giocare? Il vincolo sportivo e le indennità di formazione alla luce delle sentenze Bernard e Pacilli, in Riv. dir. ed econ. sport, 2011, p. 13 ss.; C.K. Di Biase, Riflessioni sul vincolo sportivo nei confronti degli atleti minorenni, cit., p. 57 ss.

[47] Appare opportuno precisare che l’art. 7, comma 2-bis, dello Statuto della FIGC, approvato dalla Giunta Nazionale del C.O.N.I. con la deliberazione n. 404 del 2 dicembre 2020, dispone che «a decorrere dalla stagione sportiva 2020/2021, la durata massima del vincolo sportivo per il giovane o giovane dilettante non può eccedere una stagione sportiva, rinnovabile, e comunque cessa alla fine della stagione sportiva nella quale lo stesso compie il 16° anno di età; dalla stagione sportiva successiva a quella nella quale il giovane dilettante compie il 16° anno di età e fino alla stagione sportiva nella quale lo stesso, non professionista, compie il 25° anno di età, la durata del vincolo non può eccedere otto stagioni sportive». La stessa disposizione prevede che «entro la fine della stagione sportiva 2019/2020 devono conseguentemente essere adeguati i regolamenti federali e le NOIF»; allo stato, tuttavia, non sembra che tale adeguamento sia intervenuto. Su tale novità v. C.K. Di Biase, Riflessioni sul vincolo sportivo nei confronti degli atleti minorenni, cit., p. 66 ss.

[48] Secondo M. Colucci, Gli atleti italiani: liberi di formarsi, liberi di giocare?, cit., p. 27 ss., il vincolo potrebbe ritenersi proporzionato fino al compimento del diciottesimo anno di età in quanto giustificato dallo scopo di tutelare i vivai, mentre risulterebbe sproporzionato dopo il raggiungimento della maggiore età.

[49] P. Moro, Vincolo sportivo e diritti fondamentali del minore, in Vincolo sportivo e diritti fondamentali, cit., p. 21; Id., Natura e limiti del vincolo sportivo, in Riv. dir. ed econ. sport, 2005, p. 76; J. Tognon, La libera circolazione nel diritto comunitario: il settore sportivo (nota a Tribunale di Pescara – Ordinanza 18 ottobre 2001 – 14 dicembre 2001), in Riv. amm., 2002, VII.

[50] Cfr., il Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2007-2008, cit. Il Rapporto denuncia come l’applicazione, anche nello sport minorile, delle «logiche puramente economiche dello sport spettacolo» determini il sorgere di gravi distorsioni lesive dei diritti dei giovani. In tale prospettiva, proprio le disposizioni concernenti il vincolo sportivo, si legge nel documento, risultano lesive dei diritti dei minori, perché comportano «un regime di esclusività e l’impossibilità di poter praticare sport e di associarsi secondo modalità e tempi personali».

[51] Cfr., Proposta di legge n. 4633 del 10 marzo 1988, Norme in materia di limiti al tesseramento degli atleti in società sportive non professionistiche (primo firmatario Ballaman). Di «prigione sportiva» discorrono, invece, A. Scarcello, A. Tomassi, Il tramonto del vincolo sportivo. Nota alla decisione del Trib. Venezia, Giudice del lavoro, 13 agosto 2009, in Giustiziasportiva.it, 2009, 3.

[52] P. Moro, Vincolo sportivo e diritti fondamentali del minore, cit., p. 9 ss.

[53] Occupandosi di tale fattispecie, la giurisprudenza ha ritenuto integrasse il reato di violenza privata (cfr., Tribunale di Pordenone del 3 aprile 1995, inedita, ma cit. da A. De Silvestri, La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e di accordi economici, cit., p. 43).

[54] Cfr. Proposta di legge n. 4633 del 10 marzo 1988, cit.

[55] Non è infrequente, in dottrina, la sovrapposizione tra tesseramento e vincolo sportivo. Per l’esatta qualificazione del vincolo, quale effetto giuridico del tesseramento v. L. Santoro, I soggetti, cit., pp. 107-108.

[56] La dottrina in esame ritiene applicabile la disposizione anche agli atti concernenti l’esercizio di diritti di natura non patrimoniale. Secondo P. Moro, Vincolo sportivo e diritti fondamentali del minore, cit., p. 19 ss., peraltro, il vincolo sportivo incide anche sulla libertà contrattuale dell’atleta che, una volta divenuto maggiorenne, non sarebbe libero di instaurare rapporti di lavoro con società sportive diverse da quella con la quale è stato precedentemente tesserato su istanza dei genitori. Da qui l’operatività dell’art. 320, comma 3, c.c. anche nel caso in cui la disposizione si ritenesse applicabile unicamente agli atti di natura patrimoniale. Va, peraltro, ricordato che, secondo la Suprema Corte, è richiesta l’autorizzazione del giudice tutelare ai sensi dell’art. 320, comma 3, c.c. per stipulare una transazione (relativa al risarcimento del danno alla salute) che presenti «una incidenza economica di rilevante gravità, potendo in concreto modificare la vita presente e futura del minore» (cfr. Cass., 13 aprile 2010, n. 8720, in Giur. it., 2011, p. 56 ss., con nota di C. Sgobbo, I criteri di distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione ex art. 320 c.c.; Cass., 22 maggio 1997, n. 4562, in Giust. civ., 1997, I, p. 2770).

[57] La tesi è stata accolta da Trib. Verbania, 14 aprile 2015 n. 233 reperibile in www.centrostudisport.it.

[58] Cfr. P. Moro, Vincolo sportivo e diritti fondamentali del minore, cit., p. 19; Id., Natura e limiti del vincolo sportivo, cit., p. 74. Cfr., altresì, G. Martinelli, M. Rogolino, Il minore nello sport: problemi di rappresentanza e di amministrazione, in questa Rivista, 1997, p. 690 ss., spec. p. 696. Gli A. evidenziano come debba considerarsi di straordinaria amministrazione l’atto che faccia sorgere obblighi tali da «pregiudicare lo sviluppo della personalità e dell’individualità del minore, limitando la disponibilità alla libera e spontanea esplicazione delle sue potenzialità ed inclinazioni e la realizzazione di legittime aspirazioni». Appare opportuno rilevare che tale opinione (da taluni menzionata siccome concernente l’atto di tesseramento) viene espressamente riferita dagli A. al «contratto avente ad oggetto la partecipazione a gare ed in ogni caso il compimento di attività agonistica».

[59] Cfr. P. Moro, Vincolo sportivo e diritti fondamentali del minore, cit., p. 21.

[60] Cfr. A. De Silvestri, Potestà genitoriale e tesseramento minorile, in questa Rivista, 1991, p. 309. L’A. ritiene che la firma di uno dei genitori valga ad attestare che l’attività sportiva prescelta non arreca pregiudizio alla salute del minore e tenga conto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. In sostanza, il consenso di uno dei genitori o del tutore rappresenta la modalità per affermare la rispondenza di quella particolare attività sportiva all’interesse del minore. Secondo una differente impostazione, l’esercizio dell’attività sportiva costituisce, invece, attuazione dell’indirizzo della vita familiare che, una volta concordato, può essere messo in pratica anche disgiuntamente da ciascun genitore. In tal senso, F.M. Cervelli, Partecipazione del minore ad associazioni sportive e legittimazione al consenso, in questa Rivista, 1989, p. 437.

[61] Cfr. S. Rigazio, Autodeterminazione del minore e attività sportiva, Torino, 2018, p. 112.

[62] L. Santoro, Il tesseramento minorile, in Riv. Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Palermo, 2008, Sez. I, spec. p. 61 ss.

[63] V. M. Dell’Utri, Il minore tra “democrazia familiare” e capacità di agire, in Giur. it., 2008, p. 1564 ss. Con riguardo alle competizioni sportive, C. D’Arrigo, Autonomia privata e integrità fisica, Milano, 1999, p. 188 ss., là dove evidenzia come tali attività rispondano «a valori della persona umana (in quanto tali) costituzionalmente garantiti», cui corrispondono solo situazioni di pericolo eventuale, e non già di lesione attuale dell’integrità fisica; qualora, inoltre, volesse riconoscersi natura dispositiva all’art. 5 c.c., potrà prevalere la regolamentazione «(pattizia o, talvolta, legislativa) che assiste tutti gli sport e numerose altre attività pericolose». Si veda anche M. Dogliotti, Le persone fisiche, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, II, 2a ed., Torino, 1999, p. 94 ss., là dove si evidenzia l’importanza che assume la circostanza che tali attività siano sottoposte a regole e limiti ben precisi ai fini della loro liceità.

[64] Scrive, L. Santoro, Il tesseramento minorile, cit., p. 53 ss.: «l’esame delle carte federali vigenti rivela l’assenza di una disciplina unitaria e, all’opposto, grande varietà di soluzioni normative. Infatti, tra le federazioni che disciplinano la fattispecie del tesseramento di minori, ve ne sono alcune che richiedono il consenso di un solo genitore, altre che richiedono espressamente il consenso di entrambi, altre ancora che richiamano la figura dell’“esercente la potestà genitoriale”, lasciando nel vago se con tale espressione intendano riferirsi ad uno ovvero ad entrambi i genitori». Sul punto v. anche S. Rigazio, Autodeterminazione del minore e attività sportiva, cit., p. 107 ss. che rileva, peraltro, come talune federazioni non abbiano dedicato al tema alcuna previsione normativa.

[65] Cfr. ivi, p. 108.

[66] Non si richiedeva, invece, l’autorizzazione del giudice tutelare prescritta dall’art. 320 c.c. per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.

[67] Si trattava, in particolare, dell’art. 39 delle NOIF che, ratione temporis, per il tesseramento del minore richiedeva la sottoscrizione dell’esercente la potestà genitoriale. Si rilevava, perciò, che, essendo la potestà genitoriale assegnata dall’art. 316 c.c. ai genitori, fosse necessaria la firma di entrambi. Tale lettura veniva, poi, avallata con il richiamo all’art. 320, comma 3, c.c., precisando che il tesseramento, al pari degli atti di straordinaria amministrazione, incide sul patrimonio del minore e sulla sua persona comportando una scelta di carattere esistenziale (cfr., Circolare della Segreteria Federale del 7 novembre 1988; Corte federale d’appello FIGC, 14 ottobre 1999, in Com. uff., n. 9/c; App. Federale FIGC, 12 luglio 2004, in Com. uff., n. 2/c). In dottrina si è, peraltro, rilevato come tale interpretazione fosse, comunque, distonica rispetto alla previsione sia dell’art. 316 che dell’art. 320, comma 3, c.c. Per quanto concerne il primo profilo, si evidenzia come l’aver assegnato «ad entrambi i genitori l’esercizio della potestà, non implica affatto la necessità di una costante e formale manifestazione esterna da parte di entrambi di tale esercizio congiunto» (così S. Rigazio, Autodeterminazione del minore e attività sportiva, cit., p. 112; per tale lettura dell’art. 316 c.c., sul piano più generale, v. G. Di Rosa, La disposizione del proprio corpo post mortem a fini didattici e scientifici (l. 10 febbraio 2020, n. 10), in Nuove leggi civ. comm., 2020, p. 843 ss.; G. De Cristofaro, Dalla potestà alla responsabilità genitoriale: profili problematici di un’innovazione discutibile, in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 800). Anche il richiamo all’art. 320 c.c. risulta, peraltro, inappropriato atteso che la circolare e le pronunce ricordate non prevedono – pur non ricorrendo alcuna causa di esenzione – la necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare (in tal senso L. Santoro, Il tesseramento minorile, cit., p. 57).

[68] Attesa l’incidenza dei vizi di tesseramento sulla stessa regolarità delle gare, le federazioni hanno generalmente cercato di strutturare i propri regolamenti in guisa da rendere inattaccabili le posizioni degli atleti. In tal senso, A. De Silvestri, Potestà genitoriale e tesseramento minorile, cit., p. 313, spec. nt. 47.

[69] Cfr. ivi, p. 316, spec. nt. 53.

[70] Su tale evoluzione, v. S. Rigazio, Autodeterminazione del minore e attività sportiva, cit., p. 107 ss.

[71] Cfr. Corte giust. federale FIGC, 21 ottobre 2009, in Com. uff. n. 048/CGF, e in Banca dati Olympialex. Tale orientamento è stato confermato da Corte federale d’appello FIGC, 31 luglio 2015, in Com. uff. n. 76/2015 e in Banca dati Olympialex, che ribadisce come il tesseramento comporti un limitato rischio per la consistenza del patrimonio e vada, perciò, qualificato quale atto di ordinaria amministrazione. Su tale pronuncia, v. L. Leidi, Sport: il tesseramento (anche del minore) è atto di ordinaria amministrazione, in Pers. e danno, 19 gennaio 2016.

[72] Sul diffondersi di tale prassi, v. A. De Silvestri, Potestà genitoriale e tesseramento minorile, cit., p. 316, spec. nt. 53.

[73] Nella pronuncia della Corte giust. federale, 21 ottobre 2009, cit., si evidenzia, invero, «l’esigenza di salvaguardare l’affidamento che la società tesserante può aver riposto nella autenticità delle sottoscrizioni da parte di entrambi i genitori del calciatore minorenne, sottoscrizione da uno di essi disconosciuta solo a distanza di anni dal tesseramento e nella dichiarata consapevolezza ed accettazione della sua esistenza, ciò che non può non rilevare quale circostanza sintomatica di un effettivo e concorde consenso degli esercenti la potestà genitoriale».

[74] Di diverso avviso, tuttavia, F.M. Cervelli, Partecipazione del minore ad associazioni sportive e legittimazione al consenso, cit., p. 437 che qualifica i limiti nascenti dal tesseramento (ivi compreso il vincolo sportivo) quali «semplici modalità di esercizio dell’attività sportiva» e li reputa, perciò ininfluenti.

[75] Cfr., ex multis, Brevi considerazioni in vista dell’audizione del 21 dicembre 2020 avanti le Commissioni riunite Cultura e Lavoro della Camera dei Deputati, reperibile in www.camera.it, dove si rileva come l’abolizione non tenga «in alcuna considerazione il ruolo di associazioni e società sportive e gli investimenti che queste ultime fanno nel settore giovanile, che non troverebbero mai adeguata remunerazione nel mero meccanismo del “premio di formazione tecnica”».

[76] Si è già, in precedenza, rilevato (v. supra, nt. 8) come l’entrata in vigore della disposizione sia stata dapprima postergata al 31 dicembre 2023 e, poi, anticipata al 1° gennaio 2023. In dottrina si è rilevato come l’abolizione del vincolo non costituisca oggetto di espressa previsione all’interno della legge delega. Da qui i dubbi di illegittimità costituzionale dell’art. 31, d.lgs. n. 36/2021. Sul punto, v. G. Agrifoglio, Prime osservazioni sulla riforma in materia di lavoro sportivo (d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36), in www.rivistadirittosportivo.coni.it, 2021, p. 19 ss. il quale, tuttavia, condivisibilmente evidenzia come la citata previsione possa farsi rientrare tra le disposizioni attuative «dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nel lavoro sportivo, sia nel settore dilettantistico sia nel settore professionistico» (art. 5, comma 1, legge n. 86/2019) ed ancora nell’obiettivo di «riordino e coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni di legge, compresa la legge 23 marzo 1981, n. 91, apportando le modifiche e le integrazioni necessarie per garantirne la coerenza giuridica, logica e sistematica, nel rispetto delle norme di diritto internazionale e della normativa dell’Unione europea, nonché per adeguarle ai principi riconosciuti del diritto sportivo e ai consolidati orientamenti della giurisprudenza» (art. 5, comma 1, lett. g), legge n. 86/2019).

[77] Più specificamente: Le Federazioni Sportive Nazionali dovranno prevedere con proprio regolamento che, «in caso di primo contratto di lavoro sportivo: a) le società sportive professionistiche riconoscono un premio di formazione tecnica proporzionalmente suddiviso, secondo modalità e parametri che tengono conto della durata e del contenuto formativo del rapporto, tra le società sportive dilettantistiche presso le quali l’atleta ha svolto attività dilettantistica, amatoriale o giovanile ed in cui ha svolto il proprio percorso di formazione, ovvero tra le società sportive professionistiche presso le quali l’atleta ha svolto attività giovanile ed in cui ha svolto il proprio percorso di formazione; b) le società sportive dilettantistiche riconoscono un premio di formazione tecnica proporzionalmente suddiviso, secondo modalità e parametri che tengono adeguatamente conto della durata e del contenuto formativo del rapporto, tra le società sportive dilettantistiche presso le quali l’atleta ha svolto attività amatoriale o giovanile ed in cui ha svolto il proprio percorso di formazione».

[78] Si supera, così, l’impostazione che reputa la presenza o meno della sottoscrizione del minore ininfluente ai fini della validità del tesseramento. In tal senso, Corte federale d’appello FIGC, 31 luglio 2015, cit., che ha ritenuto valido l’atto benché la firma del minore fosse risultata apocrifa.

[79] Sulla capacità di discernimento v. P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli, 1975, passim; F.D. Busnelli, F. Giardina, La protezione del minore nel diritto di famiglia italiano, in Giur. it., 1980, IV, p. 196 ss.; F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore in Dir. fam. e pers.,1982, p. 54 ss.; F. Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, passim.

[80] Sulla necessità di non ostacolare la diffusione della pratica sportiva attraverso la previsione di cautele sproporzionate che finirebbero, peraltro, per gravare inutilmente anche la giustizia statale, v. L. Santoro, Il tesseramento minorile, cit., p. 57; S. Rigazio, Autodeterminazione del minore e attività sportiva, cit., pp. 113-114.

[81] Sull’impostazione paternalistica dell’originaria regolamentazione giuridica della condizione della minore età v. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, I, p. 405.

[82] Sul lento e progressivo «processo di rivalutazione del minore nella sua qualità di persona» v. P. Rescigno, I minori tra famiglia e società, ora in Id., Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, p. 303; P. Perlingieri, Aspetti dei rapporti familiari personali e patrimoniali, in Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3a ed., tomo II, Napoli, 2006, p. 944. Quest’ultimo A. evidenzia come la concezione egualitaria, partecipativa e democratica della comunità familiare abbia messo in crisi la c.d. «potestà-soggezione»: «il rapporto educativo non è più tra un soggetto e un oggetto, ma è una correlazione di persone, dove non è possibile concepire un soggetto soggiogato all’altro».

[83] Per la ricostruzione dell’evoluzione della tutela dei soggetti minori dalla protezione alla promozione v. E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari, Milano, 2005, p. 1 ss.

[84] Cfr. P. Stanzione, Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 1980, p. 446 ss., spec. pp. 464-465, il quale evidenzia come considerare il minore soggetto del diritto a pieno titolo implichi, in presenza della capacità di discernimento, il riconoscimento della possibilità di compiere in piena autonomia le scelte che concernono la sua persona.

[85] P. Perlingieri, Aspetti dei rapporti familiari personali e patrimoniali, cit., p. 949.

[86] Cfr. P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, cit., p. 299.

[87] Gli artt. 3, 4 e 5 della Convenzione di Strasburgo prevedono diritti azionabili immediatamente da parte del minore.

[88] Per l’affermazione dell’interesse superiore del minore quale valore apicale di sistema e «nuovo principio sistematico organizzatore di tutto il diritto minorile» e, perfino, «dell’intero diritto di famiglia» v. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, cit., p. 407. L’espressione best interests of the child adottata dalla Convenzione di New York è stata tradotta in italiano come «superiore interesse del minore» (espressione riportata anche nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Nizza 7 dicembre 2000: «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente»). In senso critico rispetto a tale traduzione reputata fuorviante e foriera di discutibili interventi normativi e giudiziari, E. Bilotti, Diritti e interesse del minore, in R. Senigaglia (a cura di), Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, Pisa, 2019, spec. p. 37 ss.

[89] Cfr. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, cit., pp. 410-411.

[90] La dottrina già da tempo ha evidenziato l’opportunità di valorizzare la volontà del minore in relazione alle scelte concernenti l’esercizio di diritti e libertà di natura personale quali ad esempio quelle concernenti la salute (cfr. G. Di Rosa, Il minore e la salute, in R. Senigaglia (a cura di), Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, cit., p. 93 ss., spec. p. 106 ss.). Per la ricostruzione che, facendo perno sull’art. 315 bis c.c., individua nell’identità del figlio il nuovo criterio guida della relazione personale con i genitori v. F. Giardina, “Morte” della potestà e “capacità” del figlio, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1609 ss., spec. p. 1617 ss. La citata disposizione, prevedendo il diritto del figlio al rispetto dei tratti identificativi della sua personalità diviene imprescindibile punto di riferimento dell’azione educativa e delle decisioni dei genitori «e la capacità di discernimento del figlio – … – è lo strumento indispensabile per garantire il rispetto di una personalità in divenire».

[91] L. Santoro, Il tesseramento minorile, cit., p. 64; in senso adesivo S. Pellacani, Le incertezze del tesseramento sportivo minorile, in Fam e dir., 2019, p. 635 ss. Interessanti spunti di riflessione per il tema in esame presenta anche il caso di Laura Dekker (per il quale v. L. Santoro, Giro del mondo a vela in solitaria: quando la scelta del minore va rispettata, in www.personaedanno.it, 21 febbraio 2012), che a soli quattordici anni ha progettato di realizzare la traversata del globo in barca a vela in solitaria per vincere il record di più giovane velista a compiere tale impresa. Dimostrando grande caparbietà la ragazza è riuscita a superare l’iniziale ostilità dei genitori e dell’autorità giudiziaria olandese e a realizzare il proprio sogno.

[92] Cfr. V. Scalisi, Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, cit., pp. 413-414. L’A. evidenzia come siffatta valutazione vada condotta «sia in negativo (come assenza di possibili pregiudizi al pieno e integrale sviluppo della sua personalità), ma anche e soprattutto in positivo, ossia in termini di benefici (sia fisici che psichici, sia materiali che spirituali, sia patrimoniali che propriamente esistenziali) da assicurare al minore,…: il tutto nel quadro di un apprezzamento d’insieme “contestualizzato” che tenga conto delle capacità e inclinazioni naturali dello stesso minore, delle sue aspirazioni ed opinioni, della sua libertà di autodeterminazione e decisionale, delle relazioni familiari e dei correlativi legami affettivi, come pure di ogni altra circostanza di tempo e di luogo comunque riflettentesi, nel presente e in futuro, nella sua condizione».

[93] Sull’impossibilità di fornire una definizione astratta e sempre valida dell’interesse del minore, v. P. Stanzione, Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, cit., p. 464 ss.

[94] Cfr. V. Scalisi, Teoria e metodo in Salvatore Pugliatti. Attualità di un insegnamento, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 563 ss., ora in Id., Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, p. 5 ss., spec. p. 35.

[95] L’ordine giuridico, «chiamato a dar conto della molteplicità dell’esperienza e della realtà sociale, …, esprime rifiuto verso ogni concezione o pregiudizio monista con la predisposizione di statuti normativi diversificati e discipline giuridiche differenziate, basate sul rilievo della ineliminabile varietà e diversità delle situazioni di interessi in campo». Cfr. V. Scalisi, Teoria e metodo in Salvatore Pugliatti. Attualità di un insegnamento, cit., p. 36.

[96] Le Federazioni, scrive A. De Silvestri, Potestà genitoriale e tesseramento minorile, cit., p. 316, spec. nt. 52, nel predisporre i propri regolamenti, pur chiamate a contemperare le proprie peculiari esigenze con quelle dell’ordinamento statale, non devono «puntare ad un apodittico ed ingiustificato allineamento di normative che finirebbe per mortificare la potestà organizzativa loro attribuita dallo stesso legislatore proprio al fine specifico di garantirne e di esaltarne l’autogestione».

[97] Su tale tema v. S. Pugliatti, Continuo e discontinuo nel diritto, ora in Id., Scritti Giuridici, vol. V, Milano, 2003, p. 1119 ss.

[98] Va, tuttavia, evidenziato come fino ad ora le federazioni non abbiano regolato il tesseramento minorile secondo criteri omogenei ed uniformi e, soprattutto, non abbiano tenuto in debita considerazione il profilo concernente la pericolosità della disciplina sportiva (cfr. S. Rigazio, Autodeterminazione del minore e attività sportiva, cit., p. 109). Deve, però, ritenersi che tale situazione sia dovuta proprio all’as­senza di una disciplina generale che, fissando i principi regolatori della materia, delegasse alle singole federazioni la previsione di disposizioni attuative di quei principi.

[99] Attualmente, ad esempio, l’art. 39 delle NOIF della FIGC prevede che il tesseramento del minore necessiti del consenso di un solo genitore nel caso ad esso consegua un vincolo di durata annuale; nell’ipotesi in cui il vincolo abbia durata maggiore, è necessario, invece, il consenso di entrambi gli esercenti la potestà.

[100] Così, ad esempio, nella FIGC, il quattordicenne può essere tesserato come giovane o come giovane dilettante, con conseguenze radicalmente differenti. Per la ricostruzione dottrinale che lega le prescrizioni formali al «particolare tipo di efficacia che l’atto è essenzialmente diretto a realizzare e trova in tale efficacia la ragione di essere e il limite della propria rilevanza» v. V. Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, Milano, 1974, p. 384 ss.

[101] Atteso che il tesseramento determina l’instaurarsi del rapporto tra l’atleta e la Federazione è quest’ultima a poter soppesare nel miglior modo l’impatto sul minore dell’esordio nello sport istituzionale e valutare quali requisiti siano necessari per farvi parte.

[102] Come opportunamente evidenziato in dottrina, ai fini del tesseramento, venendo in gioco scelte di natura esistenziale e l’esercizio di diritti fondamentali, l’unica volontà rilevante dovrebbe essere quella del minore (cfr. S. Rigazio, Autodeterminazione del minore e attività sportiva, cit., p. 118). Da qui il ribaltamento della prospettiva adottata dalla riforma: la scelta dovrebbe appartenere al minore mentre, in capo ai genitori, potrebbe configurarsi un diritto di veto (peraltro opportunamente circostanziato), pur sempre funzionale alla migliore realizzazione dell’interesse del figlio (cfr. A. De Silvestri, Potestà genitoriale e tesseramento minorile, cit., p. 316, spec. nt. 52).

[103] Ai sensi dell’art. 3, comma 2, legge n. 219/2017, «il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore».

[104] Cfr. art. 3, comma 6, legge n. 10/2020. Tale disposizione precisa, peraltro, testualmente che il consenso all’utilizzo post mortem del corpo o dei tessuti del minore deve essere manifestato da entrambi i genitori esercenti la potestà genitoriale.

[105] Già A. Falzea, Capacità (Teoria generale), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, pp. 24-25, rilevava, però, come la capacità di agire non sia richiesta per «quegli atti e comportamenti umani che mettono in gioco e realizzano unicamente l’interesse del soggetto agente e che quindi non potrebbe avere senso considerare giuridicamente compromessi per difetto di capacità di agire».

[106] Cfr. M. Piccinni, Prendere sul serio il problema della “capacità” del paziente dopo la l. n. 219/2017, in Resp. medica, 2018, p. 250 ss.; G. Di Rosa, Il minore e la salute, cit., spec. p. 111 ss.; Id., La disposizione del proprio corpo post mortem a fini didattici e scientifici, cit., p. 843 ss. Taluni autori, evidenziando come «sovente la materia patrimoniale si fonde con scelte di natura personale», ritengono che i tempi siano maturi perché la capacità di discernimento sia chiamata a governare anche gli atti di natura patrimoniale. In tal senso, F. Giardina, Il minore e il contratto, in R. Senigaglia (a cura di), Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, cit., p. 190 ss.

[107] T. Auletta, Diritto di famiglia, 4, Torino, 2018, p. 367, richiama la diffusa interpretazione secondo la quale «le scelte fondamentali di vita passano al minore quando egli raggiunge la maturità necessaria per compierle personalmente (situazione da valutarsi caso per caso) in quanto la responsabilità genitoriale è volta ad ovviare ad una situazione di inferiorità dovuta ad immaturità del minore; ne risulta consequenziale che i poteri ad essa inerenti vadano estinguendosi o modificandosi man mano che il minore è in grado di decidere personalmente».

[108] Cfr. G. Di Rosa, Il minore e la salute, cit., spec. p. 112. Secondo l’A. «appare difficile immaginare che, a fronte del riconosciuto (e prodromico) diritto all’informazione …, debba poi negarsi la rilevanza del successivo momento decisionale, la cui attuazione è (o dovrebbe essere) resa possibile in termini funzionali proprio dall’informazione resa e ricevuta».

[109] La soluzione normativa che affida, in ogni caso, all’esercente la potestà genitoriale il compito di manifestare all’esterno la volontà del minore sarebbe, comunque, giustificata da ragioni di certezza del diritto e di salvaguardia della posizione di chi deve dare esecuzione a quella volontà (nel caso di specie, il sanitario). In tal senso G. Di Rosa, Il minore e la salute, cit., p. 112.

[110] G. Di Rosa, Il minore e la salute, cit., pp. 112-113 e, in relazione alla legge n. 10/2020, Id., La disposizione del proprio corpo post mortem a fini didattici e scientifici, cit., p. 843 ss.; M. Piccinni, Prendere sul serio il problema della “capacità” del paziente dopo la l. n. 219/2017, cit., p. 265 ss. Cfr. anche R. Senigaglia, “Consenso libero e informato” del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, p. 1345, il quale rileva si tratti «non (...) di sostituire l’interessato nella scelta, bensì di concorrere con lui nella medesima, di farsi portatore di una volontà attinta dall’identità del minorenne».

[111] Cfr. M. Giorgianni, In tema di capacità del minore di età, in Rass. dir. civ., 1987, p. 103 ss., il quale, ricostruita l’origine storica e la ratio dell’art. 2 c.c., reputa che tale disposizione si applichi unicamente alle attività negoziali del soggetto. Diversamente deve dirsi, secondo l’A., per l’esercizio dei diritti fondamentali «rispetto ai quali la “incapacità di agire” non può costituire alcun ostacolo». Conseguentemente, non sarebbe necessaria alcuna revisione del concetto di capacità per riconoscere al minore l’auto­nomia nel disporre degli strumenti necessari per esercitare quei diritti.

[112] Cfr. P. Perlingieri, Aspetti dei rapporti familiari personali e patrimoniali, cit., p. 949, «le capacità di intendere, di volere, di discernere sono espressioni della graduale evoluzione della persona che, in quanto titolare di diritti fondamentali, per definizione non trasferibili a terzi, deve essere posta nelle condizioni di esercitarli parallelamente alla sua effettiva idoneità, non giustificandosi la presenza di ostacoli di diritto o di fatto che ne impediscono l’esercizio».

[113] Rispetto alle ipotesi sopra ricordate (legge n. 219/2017 e n. 10/2020), il d.lgs. n. 36/2021 presenta il vantaggio di aver esattamente identificato il momento in cui il minore può presumersi capace di discernimento. Sulla difficoltà di dare attuazione, in mancanza di una definizione normativa della capacità di discernimento, alla proposta interpretativa elaborata in relazione alla legge n. 219/2017 v. G. Di Rosa, Il minore e la salute, cit., p. 114.

[114] Secondo L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 86 ss., spec. p. 100, compete principalmente ai minori stessi, purché siano capaci di discernimento, «il diritto di interpretare quale sia il loro miglior interesse, di identificarne il contenuto, di indicare la soluzione che preferirebbero nel caso di specie».

[115] G. Di Rosa, Il minore e la salute, cit., p. 115 ss.

[116] Cfr. M. Piccinni, Prendere sul serio il problema della “capacità” del paziente dopo la l. n. 219/2017, cit., p. 266; F. Giardina, Il minore e il contratto, cit., p. 191.

[117] Cfr. P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, cit., p. 374, spec. nt. 532.

[118] P. Perlingieri, Aspetti dei rapporti familiari personali e patrimoniali, cit., p. 949. L’A. rileva, perciò, la necessità di «realizzare strumenti e tecniche che rendano effettiva la partecipazione del minore come cittadino alla tutela dei suoi diritti esistenziali», reputando non giustificabile, alla luce dell’art. 2 Cost., l’identificazione della legittimazione processuale con quella di agire.

[119] Cfr. L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, cit., spec. p. 104. Per il rilievo che nessun diritto, nemmeno i preferred rights o valori supremi, si sottrae ad un test comparativo con altri diritti o principi divergenti v. L. Mengoni, Il diritto costituzionale come diritto per princìpi, in Ars interpretandi, 1996, p. 105.

[120] Cfr. E. Bilotti, Diritti e interesse del minore, cit., p. 37, che esclude l’automatica prevalenza dell’interesse del minore sui diritti fondamentali degli altri soggetti con i quali il minore entra in relazione.

[121] V. Scalisi, Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, cit., pp. 410-411. Per tale rilievo v. anche Ang. Federico, Forme giuridiche della filiazione e regole determinative della genitorialità: la maternità surrogata e il superiore interesse del minore, in U. Salanitro (a cura di), Quale diritto di famiglia per la società del XXI secolo?, Pisa, 2020, p. 331. L’A. rileva, peraltro, come l’interesse superiore del minore sia divenuto criterio determinante tanto sul piano normativo interno e sovranazionale, quanto nella giurisprudenza ordinaria e costituzionale. Per una revisione dei rapporti tra genitori e figli che mette al centro le esigenze del minore v. M. Paradiso, Lo statuto dei diritti del figlio tra interesse superiore della famiglia e riassetto del fenomeno familiare, in Familia, 2016, p. 213 ss.

[122] Cfr. P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, cit., p. 130; Id., Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, cit., p. 467 ss., il quale evidenzia come nel contrasto tra genitori e figli occorra dare preminenza alla dignità umana ed allo sviluppo della personalità del minore il che, peraltro, implica la necessità di valutare la corrispondenza delle scelte effettuate dal minore con l’interesse oggettivo alla cura della sua persona e della sua educazione.

[123] Cfr. L. Santoro, Il tesseramento minorile, cit., p. 65.

[124] Come rileva P. Stanzione, Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, cit., p. 464, «l’interesse del minore, a differenza di quello dell’adulto, è tutto proteso verso il futuro, concorrendo così a caratterizzarne la formazione ed a comporre le linee di un armonico sviluppo della persona». L’A., peraltro, riporta tra le ipotesi di scelta dei genitori limitativa dello sviluppo della personalità del minore proprio l’opposizione alla prosecuzione di un’attività sportiva già intrapresa con successo (p. 466). Secondo E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari, cit., p. 376, il divieto dei genitori alla pratica sportiva potrebbe, ad esempio, ritenersi legittimo ove si tratti di uno sport che presenti maggiori rischi in ragione delle peculiari condizioni psico-fisiche del minore.

[125] Cfr. P. Perlingieri, Aspetti dei rapporti familiari personali e patrimoniali, cit., p. 948. L’A. precisa, ancora, che l’interesse del minore «si può concretare altresì nella possibilità di esprimere scelte e proposte alternative che possono riguardare i più diversi settori, dagli interessi culturali a quelli politici e affettivi».

[126] Sul bilanciamento quale operazione coessenziale all’attività dell’interprete (e non solo del legislatore), che va condotta tenendo conto delle peculiarità del fatto storico e delle ricadute pratiche sul caso concreto v. G. Perlingieri, Ragionevolezza e bilanciamento nell’interpretazione recente della Corte costituzionale, in Riv. dir. civ., 2018, p. 716 ss.

[127] P. Stanzione, Minori (condizione giuridica dei), in Enc. dir., Annali, IV, Milano 2011, p. 727; Id., Capacità e minore età nella problematica della persona umana, cit., p. 374; V. Scalisi, Il superiore interesse del minore. Ovvero il fatto come diritto, cit., p. 434.