Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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La riforma delle discipline sportive invernali e le principali norme di comportamento: il progressivo riconoscimento del principio di autoresponsabilità (di Stefania Rossi, Assegnista di ricerca in Diritto penale nell’Università degli Studi di Trento)


Il contributo analizza la riforma legislativa degli sport invernali e la disciplina che prevede il principio dell’autoresponsabilità. Il focus riguarda l’autoresponsabilità della vittima e il ruolo che le può essere riconosciuto, nell’ambito del diritto penale italiano, al fine di limitare o esclu­dere la responsabilità penale dell'autore di un reato.

The reform of winter sports and the main rules of behaviour: the progressive recognition of the principle of self-responsibility

The paper analyses the legislative reform of winter sports and the discipline that provides for the principle of self-responsibility. The focus is on the self-responsibility of the victim and the role that can be recognized in Italian criminal law, in order to limit or exclude the criminal liability of the offender.

SOMMARIO:

Premessa - 1. L’autoresponsabilità declinata nel contesto sportivo montano: una rassegna giurisprudenziale - 2. La Riforma delle discipline sportive invernali: i principi e le novità più significative - 3. Regole e responsabilità nella gestione dell’area sciabile: dalla legge n. 363/2003 al d.lgs. n. 40/2021 - 4. Gli obblighi precauzionali posti in capo all’utente (autoresponsabile) - NOTE


Premessa

La riforma delle discipline sportive invernali, attesa da tempo per ovviare a pesanti lacune legislative ed evidenti storture giurisprudenziali, aveva ingenerato grandi aspettative, che sembra siano state positivamente soddisfatte. In particolare, il decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 40, recante misure volte a garantire livelli di sicurezza più elevati e maggiore inclusione nell’esercizio degli sport invernali, rappresenta una indubbia novità nel panorama normativo nazionale, specie sotto il profilo del riconoscimento, per la prima volta esplicito, del principio di “autoresponsabilità” quale autonomo canone giuridico idoneo ad incidere radicalmente nei giudizi di responsabilità penale.

L’autoresponsabilità, invero, è un concetto complesso che presenta una precisa matrice filosofica e interessanti implicazioni di carattere dogmatico-penale, poiché, attribuendo rilevanza al contributo della persona offesa, ha trovato opportuna collocazione sia sul piano oggettivo (all’interno della causalità o dell’antigiuridicità), che soggettivo (in tema di colpa).

Il fondamento tradizionale del principio di autoresponsabilità risiede nell’im­postazione liberale, che riconosce a ciascun individuo la libertà di determinare autonomamente il proprio agire, ma che impone, al contempo, l’assunzione di una piena responsabilità per le conseguenze che ne derivano. Tale argomentazione è pienamente condivisibile nel caso in cui la lesione o la messa in pericolo del bene siano poste in essere soltanto dalla vittima senza alcun coinvolgimento di altri individui, mentre legittimi interrogativi emergono se nella dinamica del fatto si riscontra, oltre che un contributo causativo della vittima, anche una interazione tra quest’ultima e soggetti terzi. Esemplificando, è proprio nel contesto delle attività sportive in montagna che l’autore­sponsabilità si traduce in una consapevole, volontaria, auto-esposizione a pericolo inserita in dinamiche relazionali tra più soggetti, anche garanti, che determinano diversi criteri imputativi, sulla scorta della coesistenza di rispettivi obblighi giuridici. In questi peculiari casi è interessante vagliare l’effettivo riconoscimento dell’autoresponsa­bilità della persona offesa per limitare o, addirittura, escludere l’eventuale addebito posto in capo al terzo/agente; qui il principio esprime appieno una diversa linea fondativa e l’idea di una “responsabilità per fatto proprio” di matrice costituzionale (art. 27, comma 1, Cost.), secondo cui, per il “danno” patito, non si potrà “rimproverare” un terzo, poiché rileva l’essere personalmente responsabili per scelte rientranti nella propria sfera di autodeterminazione.

Pur essendo stato valorizzato, nei termini predetti, dalla dottrina penalistica [1], il principio di autoresponsabilità non ha trovato adeguato riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico: a livello normativo, infatti, non si rinvengono precedenti (e proprio per questo motivo il d.lgs. n. 40/2021 costituisce una novità assoluta e una deroga importante) e anche la giurisprudenza si è dimostrata restia nell’attribuire efficacia dirimente alla condotta della persona offesa. Vi è una sostanziale rigidità applicativa, specie per quanto riguarda le sentenze della Corte di cassazione, salvo rare eccezioni, mentre timide aperture si rinvengono nelle pronunce di merito, dove, tuttavia, il richiamo all’autoresponsabilità, per contrastare tendenze repressive ingiustificate, è spesso indiretto, palesandosi tra le righe della motivazione.


1. L’autoresponsabilità declinata nel contesto sportivo montano: una rassegna giurisprudenziale

Nel corso del tempo sono emersi diversi orientamenti che trattano la rilevanza del contributo della persona offesa, pur non menzionando esplicitamente il canone del­l’autoresponsabilità: una prima tesi, abbastanza risalente, ma allo stato maggioritaria, tenta di risolvere la questione sul piano della causalità, interrogandosi sulla sussumibilità del contributo della vittima come causa da sola idonea a elidere il nesso eziologico ex art. 41, comma 2, c.p. Affermare l’autoresponsabilità della persona offesa significa, in definitiva, riconoscere l’interruzione del nesso causale tra azione/omissione del soggetto agente e l’evento lesivo. Una seconda impostazione identifica nella causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p. l’espressione più significativa di autoresponsabilità, che, tuttavia, concerne unicamente le ipotesi di lesione o messa in pericolo del bene compiute dal soggetto agente d’intesa con la vittima. Altre argomentazioni rinviano, piuttosto, all’istituto della colpa ex art. 43 c.p., interrogandosi sul principio di autoresponsabilità nell’ambito dei giudizi di prevedibilità ed evitabilità dell’evento lesivo e di concretizzazione del rischio sotteso alla violazione della regola cautelare. Per legittimare indirettamente l’autoresponsabilità si è spesso richiamato anche il principio di affidamento, idoneo ad incidere sui contenuti del dovere cautelare, consentendo a ciascuno di non preoccuparsi dell’agire altrui, confidando, invece, nel rispetto delle reciproche regole di diligenza.

L’incidenza del principio di autoresponsabilità sui limiti della posizione di garanzia, a parere di chi scrive, si pone sia in presenza di rapporti “istituzionalizzati”, che nelle ipotesi relazionali (flessibili) in cui sono assenti modelli di garanti standard [2]. Un problema interessante che si pone, per esempio, è quello di verificare se colui che assume di fatto il ruolo di garante/guida di altre persone, nello svolgimento di un’attività sportiva pericolosa, sia titolare anche di un obbligo di controllo nei loro confronti, volto ad evitare il compimento di fatti dannosi o pericolosi.

Sul punto, si rinviene un precedente significativo.

Nel caso deciso dal G.U.P. del Tribunale di Sondrio [3] il giudice ricostruiva la responsabilità per la causazione di una valanga che aveva travolto alcuni scialpinisti. In specie, due membri di una comitiva, padre e figlio, erano stati indagati per i reati di cui agli artt. 113, 426 e 449 c.p. e artt. 113, 589, comma 1 e 3, c.p. Gli imputati, abili scialpinisti, erano accusati di aver effettuato un’ascesa di gruppo in una linea di massima pendenza, nonostante nel bollettino nivo-metereologico emesso quel giorno fosse segnalata la probabilità di distacco di valanghe. Invero, nel corso dell’escursione, il padre, quale membro più anziano, aveva assunto volontariamente il ruolo di guida, ma, durante l’escursione, il figlio, raggiunto il punto “deposito di sci”, in luogo di togliersi gli sci e procedere a piedi verso la vetta, proseguiva (senza che il padre glielo impedisse), nonostante l’elevata pendenza, zig-zagando su neve fresca non tracciata, e provocava così la caduta di una valanga che andava a travolgere un gruppo sottostante di dodici scialpinisti di una Scuola CAI, uccidendone alcuni.

Il G.U.P. condannava il figlio per i reati a lui ascritti, ma assolveva il padre per non aver commesso il fatto [4]. L’addebito rivolto a quest’ultimo, in particolare, era di non aver impedito gli eventi verificatisi, quale guida di fatto, ma il giudice evidenziava come a carico dello scialpinista-guida non fosse configurabile un obbligo di protezione e di controllo nei confronti di colui che, con la sua condotta imprudente, aveva provocato la valanga, tenendo conto che quest’ultimo era un abile e valido sciatore e, dunque, soggetto in grado di badare perfettamente a sé stesso.

Proprio la spiccata capacità autoprotettiva del singolo e la rilevanza causale della sua condotta sconsiderata, autonomamente intrapresa, sono state dirimenti per escludere la responsabilità del soggetto che aveva assunto, seppur di fatto, la direzione del gruppo [5].

Orbene, a livello giudiziario e nello specifico settore degli sport invernali, vanno ricordate importanti pronunce di merito, che offrono una adeguata valutazione compensativa dell’apporto della vittima nella dinamica del fatto lesivo, sgravando da responsabilità penale l’imputato.

Particolarmente significativa è una sentenza emessa dal Tribunale di Genova che ha assolto il gestore degli impianti di risalita, il responsabile della stazione CNSAS ed il soccorritore alpino, imputati per la morte di un maestro di sci che, impegnato in un fuoripista con alcuni amici, era stato travolto da una valanga [6]. In specie, il giudice di primo grado riconosce nel comportamento oltremodo imprudente dello sciatore, date le condizioni presenti in loco, il fattore causativo dello scaricamento nevoso e del conseguente decesso, escludendo la responsabilità di terzi per quanto occorso; dall’istrut­toria, infatti, era emerso chiaramente che il soggetto conosceva perfettamente la pericolosità di quel tratto di montagna ed era uno sciatore esperto, ma nonostante ciò aveva effettuato l’escursione in una giornata in cui il meteo era particolarmente avverso, dopo gli avvertimenti lanciati dal gestore degli impianti di risalita e senza neppure indossare l’equipaggiamento di sicurezza (sonda, pala, artva) [7].

In circostanze in cui il fuoripista era stato espressamente sconsigliato, la persona offesa, informata e perfettamente a conoscenza dello stato dei luoghi, aveva intrapreso ugualmente la discesa, confidando nelle proprie capacità, esponendosi ad un pericolo evidente di danno per il quale non era possibile ascrivere ad altri alcun addebito [8].

Nel caso di specie, l’autoresponsabilità della vittima, oltre che fondare sul piano giuridico la pronuncia assolutoria, che si pone quale precedente di merito degno di nota, viene rivendicata come principio di condotta dalle stesse persone che hanno partecipato alla tragica escursione in fuoripista e che si sono miracolosamente salvate. Uno degli sciatori sopravvissuti, infatti, riferiva espressamente di aver effettuato il fuoripista, benché diffidato a praticarlo, perché “questo contrastava un poco la nostra filosofia di vita in quanto ci ritenevamo liberi di andare sui nostri monti […], a nostro rischio e pericolo. Il nostro gruppo sapeva di tenere tali condotte a proprio rischio e pericolo e sapevamo anche che, negli ultimi 10-15 anni, vi erano state delle disgrazie dovute alla montagna [9].

Gli sciatori, dunque, non solo avevano la possibilità di percepire e prevedere, con l’ordinaria diligenza, una situazione di pericolo, ma, addirittura, hanno assunto consapevolmente la determinazione di effettuare la discesa in condizioni di manifesto rischio.

Analoga grave imprudenza nella condotta della vittima, idonea da sola a cagionare l’evento, è stata accertata dal Tribunale di Sondrio, che ha assolto il direttore tecnico di una ski-area e un soccorritore della medesima dall’accusa di aver determinato, violando i rispettivi doveri precauzionali, la morte di uno sciatore, il quale impegnava un itinerario sciistico in un tratto fuori pista, venendo poi investito da una massa nevosa staccatasi a monte. Il giudice, in motivazione, riconosce che gli imputati avevano adempiuto a quanto richiesto dalla normativa (ponendo in essere ogni cautela esigibile al fine di prevenire il rischio valanga), mentre censura fermamente la condotta della vittima, la quale, nel recarsi fuori pista, lungo pendii particolarmente ripidi, non si era dotata di idonea attrezzatura di autosoccorso e non si era informata sulle caratteristiche dei luoghi e sulle condizioni nivo-meteorologiche. La pronuncia merita particolare attenzione poiché, in un passaggio, statuisce che “quando lo sciatore va in fuori pista, ovvero fuori dall’area sciabile attrezzata, scia a proprio rischio e pericolo e deve pertanto affrontare la discesa con le dovute cautele e precauzioni (c.d. principio di auto-responsabilizzazione dello sciatore fuori pista) [10].

Si tratta di un importante (raro) caso di riconoscimento (esplicito), nella motivazione di una sentenza, dell’esistenza del principio di autoresponsabilità della vittima.

Orbene, il fuoripista è senz’altro il terreno d’elezione delle riflessioni in tema di autoresponsabilità, ma alcuni spunti emergono anche dalla giurisprudenza formatasi nel contesto delle attività “gestite”.

Il Tribunale di Bolzano, in una singolare vicenda, ha assolto il proprietario di uno snowpark dall’accusa di lesioni personali colpose riportate da uno snowboarder nel corso di alcune evoluzioni; in specie, la persona offesa, esperto sciatore, aveva effettuato un salto da una rampa, ma, dopo aver perso l’equilibrio, era caduto con la nuca riportando gravi lesioni alla spina dorsale. La tesi dell’accusa, secondo cui la pericolosità delle strutture e degli ostacoli dello snowpark non era stata sufficientemente segnalata, non è stata accolta dal giudice di prima istanza, per il quale l’incidente si collocava nella sfera esclusiva di responsabilità dello snowboarder, che si era esposto (sotto la propria personale responsabilità e senza che l’imputato potesse influire su tale scelta) al pericolo di un salto troppo difficile, sopravvalutando esperienza e abilità [11].

Nella prassi giurisprudenziale emergono ulteriori casi in cui, per motivare l’asso­luzione del gestore indagato per la morte o le lesioni riportate da sciatori in pista, in seguito a rovinose cadute, impatti contro ostacoli fissi, fuoriuscite dal tracciato, si è ritenuto che la condotta imprudente della vittima avesse determinato l’interru­zione del nesso causale tra la violazione imputata e l’evento lesivo. A titolo esemplificativo, l’elevata velocità tenuta dalla persona offesa nella discesa in pista, specie in rapporto alle caratteristiche della stessa, ha assunto rilievo dirimente [12]; così come la conoscenza della difficoltà di un percorso, affrontato senza la necessaria attenzione [13]; oppure la sottovalutazione di pericoli giudicati prevedibili [14].

Anche nel caso di esercizio di attività non propriamente sportive, ma meramente ludiche (come la discesa in slittino) si è imposta una riflessione sull’esistenza, in capo alla vittima, di personali cautele, legate essenzialmente al contesto ambientale in cui si svolgono i fatti, la cui inosservanza, ritenuta causativa del sinistro, ha escluso ogni altro addebito [15].

Fin qui l’apporto della giurisprudenza di merito, ma la censura nei confronti di una condotta deliberatamente pericolosa della vittima ed il riconoscimento esplicito del principio di autoresponsabilità emergono anche in una importante, poco nota, pronuncia della Corte di cassazione, che ha affermato quanto segue: «in presenza di una condotta altamente imprudente e deliberatamente rischiosa della vittima deve essere escluso il nesso causale tra la condotta omissiva addebitata all’imputato e l’evento, perché la condotta della vittima rappresenta una condizione sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento». La pronuncia riconosce chiaramente il principio di “libera autodeterminazione della vittima” che «impone di considerare l’evento come effetto della scelta da parte di un soggetto, che esclude la riferibilità anche ad altro agente in quanto la decisione di auto-esporsi al pericolo oltrepassa la condotta del primo agente esonerandolo in linea di principio dall’accollo dell’evento”. La Suprema Corte chiarisce, ancora, che «non si possono imputare ad un individuo le conseguenze di un gesto assunto da un terzo in piena coscienza e volontà e sul quale non si può influire […] quando si postula una governabilità della scelta della vittima si fa riferimento alla libera determinazione della stessa nelle condizioni date» [16].

Dalla lettura di tale motivazione si evincono degli indicatori utili per ammettere la sicura rilevanza della volontaria auto-esposizione al pericolo da parte della vittima, in termini escludenti dell’altrui responsabilità: in specie, allorché ella sia stata pienamente capace di intendere e volere, debitamente informata, consapevole del pericolo. In una simile evenienza, il nesso di causalità tra condotta (dell’imputato) ed evento è interrotto dall’esistenza di una causa sopravvenuta (l’agire della vittima) che, pur non essendo del tutto autonoma né completamente avulsa dall’antecedente, è stata, tuttavia, sufficiente a determinare la fatale lesione. Questo perché si innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto a quello originario, attivato dalla prima condotta.

L’impermeabilità della libera sfera di azione della vittima determina una cesura, una separazione dei rischi, una distinzione delle sfere di responsabilità che esclude l’imputazione oggettiva al primo agente. Per contro, l’addebito non verrebbe meno ove la determinazione di affrontare il rischio non possa ritenersi frutto di una deliberazione completamente libera e consapevole o quando chi esponga a pericolo altri non lo informi adeguatamente su circostanze particolari di rischio: la chiave di lettura è, dunque, l’autodeterminazione della vittima, che agisce sulla base di una scelta compiuta con piena consapevolezza dei rischi.

Tale assunto può utilmente orientare il decisore nei casi di responsabilità penale in montagna: chi vuole, liberamente e consapevolmente, sfidare sé stesso in un ambiente naturale pericoloso, confidando nelle proprie capacità ed affrontando (in maniera improvvida) le insidie a lui note, non può poi dolersi delle caratteristiche del luogo o imputare ad altri una responsabilità.

La pericolosità diviene, invece, fattore causale rilevante solo nei confronti di chi non ne abbia avuto conoscenza o di chi sia stato costretto ad affrontarla pur non volendo.

Dalla rassegna giurisprudenziale svolta si evince che il tema dell’autoresponsabilità è divenuto centrale nel contesto degli sport di montagna e, nel corso degli ultimi anni, si è registrata, anche in ragione del crescente apporto multidisciplinare nella riflessione penalistica, una sostanziale messa in discussione del modello del puro affidamento nei confronti del supposto garante (espressione di istanze eccessivamente protezionistiche), al fine di incentivare l’interazione tra le reciproche sfere precauzionali dei soggetti coinvolti, assegnando così maggiore peso all’autodeterminazione della vittima.

In questi termini, si comprende la necessità di analizzare nel dettaglio i contenuti della Riforma delle discipline invernali, che, oltre a ridefinire nozioni e obblighi e a riequilibrare l’assetto cautelare nei termini predetti, ha fondato, per la prima volta, normativamente il concetto di autoresponsabilità, permeando l’intera disciplina di una impostazione culturale diversa (tipica dei Paesi d’oltralpe) [17], volta ad assicurare una maggiore consapevolezza (individuale e collettiva) nella pratica degli sport invernali outdoor.


2. La Riforma delle discipline sportive invernali: i principi e le novità più significative

La novella è stata approvata con il decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 40, in attuazione dell’art. 9 della legge 8 agosto 2019, n. 86, con il quale è stata conferita delega al Governo in materia di sicurezza delle discipline sportive invernali, indicando in modo circostanziato principi e criteri direttivi [18]. Il decreto rientra, dunque, nel novero della più ampia riforma dell’ordinamento sportivo, ma l’iter che ha condotto alla sua entrata in vigore è stato particolarmente travagliato.

Dopo una iniziale previsione di decorrenza dal 1° marzo 2021 (ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. n. 40/2021), sono intervenute una prima e una seconda proroga (con rinvio, rispettivamente, al 1° gennaio 2022 e al 31 dicembre 2023), per effetto del c.d. Decreto Sostegni (d.l. 22 marzo 2021, n. 41, testo originario e successive modifiche ex lege di conversione n. 69/2021); da ultimo, il termine è stato anticipato di un anno, ai sensi del d.l. 25 maggio 2021, n. 73 (c.d. Decreto Sostegni bis), come modificato con legge di conversione n. 106/2021. In definitiva, le nuove disposizioni in materia di sicurezza delle discipline sportive invernali sono entrate in vigore il 1° gennaio 2022, all’esito di una serie di provvedimenti che hanno ingenerato una discreta confusione tra giuristi ed operatori del settore.

Molto chiare, invece, le finalità indicate dal legislatore, ovvero, in primis, l’incre­mento dei livelli di sicurezza nell’esercizio dello scialpinismo e delle attività sportive nelle aree sciabili attrezzate, con la previsione di misure, anche sanzionatorie, volte a garantire il rispetto di obblighi e divieti [19]. Il secondo obiettivo, esplicitamente menzionato all’art. 1 del d.lgs. n. 40/2021, concerne il favorire la più ampia partecipazione da parte delle persone con disabilità, attraverso la disciplina dell’accom­pagnamento, la previsione di idonee cautele e, più in generale, l’identificazione delle specifiche esigenze che le persone diversamente abili manifestano nell’approccio allo sci in pista, con il richiamo alle diverse tipologie (standing, sitting, trasportati) [20].

Nell’operare una prima disamina delle principali novità intervenute per effetto della Riforma, si può, innanzitutto, evidenziare la presenza di un ricco comparto definitorio, all’interno del quale vengono elencate quasi tutte le attività sportive riconosciute dalla Federazione Italiana Sport Invernali e, soprattutto, si esplicitano una serie di concetti rivelatisi controversi nella prassi, come quelli di “pericolo atipico”, di “piste di collegamento”, di “piste di slittino” [21]. Segue la puntuale identificazione dei requisiti tecnici, di classificazione e delimitazione delle piste (comprese quelle riservate, su richiesta degli sci club, alle sessioni di allenamento) e delle aree giochi – snowpark [22].

A livello di articolazione interna, permane la classica suddivisione in Capi, propria della legge n. 363/2003, che distingue la posizione del gestore delle aree sciabili attrezzate da quella degli “utenti” delle stesse, mentre i reciproci doveri vengono precisati e traslati in un testo più dettagliato, nel quale, come vedremo, emerge con forza il principio di autoresponsabilità e si identifica un nuovo “codice di comportamento” (dentro e fuori le piste) presidiato da un apparato sanzionatorio, comprensivo di una serie di sanzioni amministrative pecuniarie e, nei casi più gravi, anche del ritiro dello ski pass [23].

Per quanto concerne compiti e responsabilità del gestore (Capo II), la novella prevede l’istituzione, tra il personale operante, della figura del “Direttore delle piste”, soggetto, invero, già presente in molte legislazioni regionali, al quale vengono affidate numerose e delicate mansioni e connesse responsabilità, tanto da farne un vero e proprio alter ego del gestore dell’area sciabile [24].

Dal punto di vista penale, si conferma la tradizionale posizione di garanzia del gestore, in virtù dei poteri organizzativi e decisori, con l’imposizione di precise misure precauzionali a suo carico; egli è, infatti, sempre tenuto a svolgere l’ordinaria e straordinaria manutenzione delle piste, ad adottare una segnaletica uniforme, a posizionare adeguate protezioni, ad elidere eventuali situazioni di pericolo atipico, ad assicurare il soccorso e via dicendo. A ciò, tuttavia, si aggiunge l’obbligo di segnalare le piste in base al grado di difficoltà, sia attraverso la predisposizione di apposita palinatura di colore corrispondente, che attraverso l’apposizione, in prossimità delle biglietterie e dei punti di accesso agli impianti, di una mappa delle piste, con indicazione del loro percorso e del grado di difficoltà; egli, inoltre, ha l’onere di informare l’utenza, con adeguata cartellonistica, sulle regole di condotta previste nel decreto e sui bollettini valanghe diramati quotidianamente e, ancora, deve assicurare, in collegamento con le centrali del numero unico di emergenza (112), il primo soccorso degli infortunati in pista, anche collocando in luoghi idonei dei defibrillatori semiautomatici, e, poi, trasmettere annualmente all’ente regionale competente l’elenco analitico dei sinistri e la loro dinamica [25].

L’intero Capo III, come vedremo meglio nel prosieguo della trattazione, è, invece, dedicato alle regole di condotta imposte agli utenti che accedono alle aree sciabili attrezzate e comprende le maggiori novità in termini di autoresponsabilità.

All’esito di questa preliminare rassegna sui contenuti della Riforma, non si può non notare che un aspetto significativo concerne la regolamentazione sia del contesto gestito che del fuoripista, poiché con il decreto in esame viene, per la prima volta, normato anche l’esercizio dello scialpinismo e delle attività escursionistiche in “territorio libero” attraverso la previsione dell’art. 26, che impone all’utente particolare prudenza e la dotazione di mezzi di autosoccorso.

Art. 26 (Sci fuori pista, sci-alpinismo e attività escursionistiche):

«1. Il concessionario e il gestore degli impianti di risalita non sono responsabili degli incidenti che possono verificarsi nei percorsi fuori pista serviti dagli impianti medesimi.

2. I soggetti che praticano lo sci-alpinismo o lo sci fuoripista o le attività escursionistiche in particolari ambienti innevati, anche mediante le racchette da neve laddove, per le condizioni nivometeorologiche, sussistano rischi di valanghe, devono munirsi di appositi sistemi elettronici di segnalazione e ricerca, pala e sonda da neve, per garantire un idoneo intervento di soccorso.

3. I gestori espongono quotidianamente i bollettini delle valanghe redatti dai competenti organi dandone massima visibilità.

4. Il gestore dell’area sciabile attrezzata, qualora le condizioni generali di innevamento e ambientali lo consentano, può destinare degli specifici percorsi per la fase di risalita nella pratica dello sci alpinismo» [26].

Si tratta di una disposizione molto importante volta alla prevenzione di gravi sinistri, nella quale convivono gli obblighi informativi dei gestori e quelli precauzionali di scialpinisti ed escursionisti, in capo ai quali si accentua il profilo di autoresponsabilità: a fronte del preciso dovere di esposizione giornaliera dei bollettini valanghe, che grava sul titolare dell’area sciabile nella quale insistono gli impianti utilizzati per raggiungere il luogo dell’escursione, vi è un altrettanto puntuale obbligo per gli sportivi di informarsi, valutare le condizioni nivo-meteorologiche presenti in loco, accertare l’ef­fettiva esistenza del rischio valanghivo (non necessariamente “evidente”) e dotarsi della strumentazione necessaria [27].

La giurisprudenza di merito, come è stato ricordato in precedenza, aveva già anticipato l’esigenza di introdurre tali prescrizioni e di rendere maggiormente consapevoli gli sportivi, riconoscendo l’esclusiva responsabilità della vittima (richiamando proprio il principio di c.d. auto-responsabilizzazione) nel caso in cui la stessa si avventuri imprudentemente in fuoripista, senza conoscere l’itinerario, omettendo di verificare le condizioni meteo, contravvenendo alle segnalazioni di pericolo valanghe diramate dal gestore degli impianti di risalita e priva degli appositi sistemi di autosoccorso (apparecchiatura artva, pala e sonda) [28].

Il fuoripista, invero, è ambito che consente di riflettere non solo sulla “legittimazione”, ma anche sui “limiti” dell’agire autoresponsabile, soprattutto se pensiamo alla possibilità che il soggetto, nella (supposta) libera e pienamente consapevole determinazione del proprio agire, possa incorrere, invece, in bias cognitivi, percezioni distorte, ipotesi di overconfidence in grado di condizionarne involontariamente la condotta, esponendolo a rischi che egli, in realtà, non aveva calcolato o intenzione di affrontare [29].

Chiarito ciò, sempre in tema di autoresponsabilità, è ora necessario ricostruire la regolamentazione concernente il contesto “gestito”, per operare un utile raffronto tra la previgente disciplina e l’attuale normativa.


3. Regole e responsabilità nella gestione dell’area sciabile: dalla legge n. 363/2003 al d.lgs. n. 40/2021

La legge n. 363/2003, bilanciando una pluralità di istanze e contrapposti interessi, ha avuto l’indiscusso pregio di offrire una sistemazione organica ad una materia fino a quel momento caratterizzata da una legislazione regionale frammentaria e disomogenea. La normativa assegnava al gestore una significativa posizione di garanzia, essendo egli il principale destinatario di una serie di obblighi volti ad assicurare le migliori condizioni di sicurezza all’interno dell’area sciabile attrezzata. Il gestore, invero, è stato chiamato a prestare un elevato livello di attenzione nell’adempimento dei propri doveri, poiché, negli anni successivi all’entrata in vigore del provvedimento, si è imposto un indirizzo giurisprudenziale che ha aumentato notevolmente il carico di responsabilità, imponendo una progressiva estensione delle misure cautelari preventive.

Si tratta di un controverso orientamento, dominato da una logica di puro affidamento dello sciatore nei confronti del garante-gestore, che origina dalla sentenza della Corte di cassazione del 20 aprile 2004, n. 27861, in cui sono stati stabiliti, per la prima volta, i principi di diritto inerenti la fonte dell’obbligo giuridico posto in capo al gestore e i profili di colpa riconducibili ad una condotta omissiva ritenuta assorbente rispetto al comportamento della vittima [30].

In particolare, l’orientamento descritto afferma che incombe sul gestore di impianti sciistici l’obbligo di porre in essere ogni cautela per prevenire pericoli atipici, anche esterni alla pista, ai quali lo sciatore può andare incontro in caso di uscita dalla pista medesima, là dove la situazione dei luoghi renda probabile, per conformazione naturale del percorso, siffatta evenienza accidentale [31].

Con ciò contravvenendo al dato normativo, secondo cui la sicurezza richiesta al gestore e attesa dallo sciatore doveva essere interna e non assoluta.

Tale arresto maggioritario è stato ulteriormente confermato da pronunce successive della Suprema Corte [32] ed ha generato comprensibile inquietudine tra gli operatori poiché, trascendendo la soluzione del caso singolo, le ricadute pratiche non sono di poco conto, in quanto l’investimento economico nell’ottica della prevenzione viene condizionato da una pretesa di sicurezza quasi “totale” che in montagna rappresenta una mera illusione.

Peraltro, la giurisprudenza penale si è spinta oltre, riconoscendo, accanto alle tradizionali fonti dell’obbligo di impedire eventi lesivi ex art. 40, comma 2, c.p. (legge – penale o extra penale –, contratto, precedente azione pericolosa), anche la c.d. “teoria del contatto sociale” di matrice civilistica, secondo cui è possibile individuare ulteriori, diverse, posizioni di garanzia in attuazione di principi costituzionali (come l’art. 2 Cost., che impone il rispetto di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale). Sul punto è chiarissima la sentenza Cass. pen., 15 settembre 2015, n. 37267, laddove afferma che: «in tema di responsabilità da illecito omissivo del gestore di impianto sciistico, l’omittente risponde del danno derivato a terzi non solo quando debba attivarsi per impedire l’evento in base ad una norma specifica o ad un rapporto contrattuale, ma anche quando, secondo le circostanze del caso concreto, insorgano a suo carico, per i principi di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., doveri e regole di azione la cui inosservanza integra un’omissione imputabile. Ne consegue che il medesimo non è tenuto, di norma, a vigilare sulla condotta dei singoli utenti, attesa la natura intrinsecamente pericolosa dell’attività sportiva esercitata sulle piste da sci, le dimensioni solitamente ragguardevoli di queste ultime, nonché la normale imprevedibilità, anche per la contestuale incidenza di “fattori” naturali non governabili dal gestore, delle condotte degli utenti, salvo che venga allegata e provata l’intervenuta segnalazione dell’anomalo comportamento dello sciatore, ovvero la diretta percezione di tale comportamento da parte degli addetti all’impianto (che avrebbero dovuto allertare un accorto titolare della struttura), la cui mancata considerazione costituisce omissione inescusabile» [33].

Ancor più “estrema” una pronuncia, di poco successiva, che estende ulteriormente la posizione di garanzia, fino a ricomprendervi, addirittura, la prevenzione di pericoli atipici fisicamente esterni alla pista che “possano aver dato causa ad un comportamento imprudente del terzo” [34]. Da ultimo, in tema di delega dell’attività di gestione del­l’area sciabile, si registra una singolare pronuncia che ha statuito l’applicabilità al comparto in esame della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81/2008), gravando il gestore dell’obbligo non delegabile di valutare preventivamente tutti i rischi connessi alla pericolosità intrinseca di una pista da sci e slittino e di «vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi» [35].

Fin qui si è dato conto dell’orientamento consolidato, incline ad appesantire la posizione di garanzia del gestore, anche se non sono mancate pronunce in cui si è responsabilizzata maggiormente l’utenza, circoscrivendo la responsabilità del gestore alle sole ipotesi di alta probabilità di fuoriuscita di pista in ragione dello stato dei luoghi e della conformazione del percorso, rispetto ad incidenti ascrivibili a condotte ordinarie dello sciatore [36].

Orbene, proprio l’obiettivo di concretizzare il principio di autoresponsabilità è alla base dei contenuti della Riforma, per riequilibrare l’eccesso di istanze protezionistiche e addivenire, se non ad esiti assolutori per il garante, quantomeno ad una più equa ripartizione delle responsabilità.

Come già accennato, il gestore, all’esito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 40/2021, permane quale garante della sicurezza nell’area sciabile attrezzata, con il consueto onere di provvedere alla ordinaria e straordinaria manutenzione e di elidere o mitigare i fattori di rischio che possano costituire un’insidia per gli utenti (attraverso la rimozione di ostacoli e la predisposizione di adeguate protezioni), ma diviene anche il referente di una (inedita) attività informativa, centrale (come si è avuto modo di comprendere) in tema di autoresponsabilità.

Egli, infatti, deve classificare e segnalare le piste in base al grado di difficoltà, delimitandole con una palinatura del colore corrispondente; avvisare l’utenza circa le eventuali cattive condizioni del fondo; affiggere, oltre all’idonea segnaletica, anche la mappa dei tracciati con precisa indicazione del loro percorso e dei tratti di raccordo; rendere adeguatamente visibili le regole di condotta previste nel decreto; esporre quotidianamente i bollettini valanghe ed offrire indicazioni aggiornate sulle condizioni meteo.

Si tratta di condotte che rimandano, sul versante opposto, ad un esplicito “dovere di informarsi” posto in capo all’utenza, che viene posta nelle migliori condizioni per orientare consapevolmente la propria condotta ed è, al contempo, tenuta al rispetto delle prescrizioni. La Riforma, innovando nei termini predetti il novero dei doveri cui è tenuto il gestore di aree sciabili, rinvia, in definitiva, alla autoregolazione del singolo sciatore, quale soggetto debitamente informato, e richiama, nella sostanza, principi e contenuti del Decalogo dello sciatore, che ha tradizionalmente fondato sul canone dell’autoresponsabilità la prevenzione e la sicurezza nell’esercizio del­l’attività sciistica [37].

Non è, dunque, un caso se la maggior parte degli obblighi e delle cautele, espressione dell’autoresponsabilità, si rinvengono all’interno del Capo III, che compendia un catalogo di regole rubricabile come “Statuto dello sciatore perito e prudente” [38].


4. Gli obblighi precauzionali posti in capo all’utente (autoresponsabile)

L’autoregolazione corrisponde ad un dovere che grava in capo allo sciatore, il quale è tenuto ad adottare una condotta conforme alle proprie capacità e allo stato dei luoghi; egli dovrà preventivamente valutare la propria abilità ed esperienza sportiva, dotarsi della attrezzatura necessaria, riconoscere e accettare i fattori di rischio ed, eventualmente, astenersi da certe evoluzioni, comportarsi sempre in maniera prudente nel rispetto dell’incolumità propria e altrui.

In questi termini si riassume l’“autoresponsabilità” declinata nel contesto delle attività sportive invernali ed è proprio questa l’essenza di alcune importanti disposizioni del d.lgs. n. 40/2021.

Entrando nel dettaglio della disciplina, per quanto riguarda l’esercizio dell’attività in pista, una prima norma molto importante è rappresentata dall’art. 18, rubricato «Velocità e obbligo di prudenza» [39].

Nella descrizione della regola di condotta vi è una innovazione marcata, ossia l’esplicito riconoscimento dell’obbligo di prudenza e di informazione attiva: comma 1) «Lo sciatore è responsabile della condotta tenuta sulle piste da sci. A tal fine deve conoscere e rispettare le disposizioni previste per l’uso delle piste, rese pubbliche dal gestore mediante affissione […]».

La disposizione richiama lo sciatore al rispetto delle regole e ad essere autoresponsabile nel momento in cui si approccia alla pratica sportiva e ciò potrebbe sembrare un’ovvietà, ma non lo è soprattutto sotto il profilo dell’informazione attiva e, quindi, della conoscenza della normativa vigente.

Non tutti affrontano lo sci con la consapevolezza di quello che prevede la legge di settore, si tende a sottovalutare l’importanza di un comparto di regole, a non comprenderle fino in fondo, a dare per scontati certi profili, a non sapere la data di entrata in vigore dei provvedimenti.

Problematiche che dovrebbero, d’ora in poi, essere scongiurate, in ragione del dovere informativo e divulgativo (concernente anche i contenuti del d.lgs. n. 40/2021) gravante sul gestore.

Proseguendo nella lettura dell’articolo, si nota che, al comma 2, il legislatore impone allo sciatore di tenere una condotta che non costituisca pericolo per l’incolumità propria e altrui non solo “in relazione alle caratteristiche della pista e alla situazione ambientale” (come già prevedeva l’art. 9 della legge n. 363/2003), ma anche “in relazione alle proprie capacità tecniche”.

La precondizione necessaria per affrontare tale attività sportiva è, dunque, la valutazione della personale preparazione tecnica e con ciò si uniforma il precetto alle originarie previsioni del Decalogo dello sciatore, improntate al rispetto di un dovere soggettivo di prudenza, diligenza e perizia.

Il comma 3 dell’art. 18, invero, riproduce quanto già previsto in ordine alla “velocità”, che deve essere “moderata” in presenza di determinate condizioni ambientali (affollamento, scarsa visibilità, presenza di ostacoli), mentre l’ulteriore significativa novità, in ottica di autoregolazione, è contenuta nel comma 4, dove si prescrive un obbligo generale di prudenza, diligenza, attenzione parametrato rispetto ai possibili rischi, o comunque alle situazioni che più di frequente ingenerano sinistri («Ogni sciatore deve tenere una velocità e un comportamento di prudenza, diligenza e attenzione adeguati alla propria capacità, alla segnaletica e alle prescrizioni di sicurezza esistenti, nonché alle condizioni generali della pista stessa, alla libera visuale, alle condizioni meteorologiche e all’intensità del traffico. Lo sciatore deve adeguare la propria andatura alle condizioni dell’attrezzatura utilizzata, alle caratteristiche tecniche della pista e alle condizioni di affollamento della medesima»).

Anche in questo passaggio, che precisa e rafforza quanto sancito nei commi precedenti, è chiaro l’intento del legislatore di riallineare la normativa rispetto ai contenuti del Decalogo per l’esercizio in sicurezza della pratica sciistica.

Proseguendo nell’analisi del Capo III, si rinvengono delle norme che regolano le evoluzioni in pista, ovvero l’art. 19 (Precedenza e scelta di direzione) e l’art. 20 (Sorpasso), ma sul punto non si rilevano modifiche rispetto ai contenuti della legge n. 363/2003, poiché le disposizioni ricalcano i previgenti artt. 10 e 11. L’unica precisazione degna di nota concerne l’inserimento del termine “pericoli” nel testo dell’art. 19 in tema di direzione («Lo sciatore a monte deve mantenere una direzione che gli consenta di evitare collisioni, interferenze e pericoli con lo sciatore a valle») [40].

Una norma che, invece, è stata interamente riformulata è l’art. 21 (Incrocio): il previgente art. 12, legge n. 36/2003, prevedeva unicamente l’obbligo (mutuato dalla circolazione stradale) di dare precedenza a destra o secondo le indicazioni della segnaletica; il nuovo precetto si compone, invece, di due commi. Il primo comma regola la condotta in prossimità degli incroci, eliminando la precedenza a destra e ripristinando la libera scelta di direzione (propria del Decalogo); il secondo comma (che ripropone un’altra norma presente nel Decalogo) responsabilizza lo sciatore che si immette su una pista o che riparte dopo una sosta [41].

Seguono due prescrizioni che non hanno subito rilevanti modifiche, ovvero l’art. 22 (Stazionamento) e l’art. 24 (Transito e risalita). Per quanto riguarda l’art. 22, vige il dovere di evitare pericoli in caso di fermata (è, dunque, precluso lo stazionamento in prossimità di dossi o passaggi obbligati) e in caso di caduta (con l’onere di liberare la pista tempestivamente, portandosi ai margini della stessa) [42].

Per quanto concerne, invece, l’art. 24, permane il divieto di transito a piedi (esteso anche alle sedute di allenamento) e il divieto di risalita della pista con gli sci (salvo casi di urgente necessità e/o autorizzazione del gestore).

Una novità assoluta, in tema di autoresponsabilità, è rappresentata, invece, dalla formulazione dell’art. 27 del decreto n. 40/2021, che non ha precedenti all’interno della legge n. 363/2003.

Art. 27 (Percorribilità delle piste in base alle capacità degli sciatori):

«Ogni sciatore, snowboarder e utente del telemark, può praticare le piste aventi un grado di difficoltà rapportato alle proprie capacità fisiche e tecniche. Per poter accedere alle piste caratterizzate da un alto livello di difficoltà e con pendenza superiore al 40%, contrassegnate come pista nera ai sensi dell’articolo 5, lo sciatore deve essere in possesso di elevate capacità fisiche e tecniche».

Questa norma specifica ulteriormente la prescrizione generale, contenuta nell’art. 18, comma 4, di adeguare la condotta alle proprie abilità anche in relazione alle caratteristiche della pista e si sostanzia in un divieto di accesso alle piste nere per i neofiti, poiché la capacità fisica e tecnica richiesta per affrontare questo tipo di tracciato è particolarmente elevata.

Attraverso questa peculiare previsione si realizza concretamente l’interazione tra le reciproche sfere precauzionali di gestore e sciatore in tema di sicurezza e prevenzione infortuni, poiché nel momento in cui il gestore classifica e segnala adeguatamente la pista nera egli adempie al proprio obbligo e sta all’utente valutare le personali condizioni per affrontare la discesa, astenendosi, eventualmente, dal compiere la condotta.

Da tutto ciò si evince che il sistema delle precauzioni predisposte dal gestore non può più comportare un mero affidamento passivo dello sciatore, il quale (purtroppo) è stato, per lungo tempo, abituato a confidare nelle cautele assicurate da altri, abbassando, inevitabilmente, la propria soglia di attenzione e di prudenza. Egli, invece, deve nuovamente coltivare ed implementare le proprie competenze, compresa l’abitudine a “fiutare” il rischio; del resto lo sciatore, esercitando in prima persona l’attività sportiva, può realmente scorgere e scongiurare eventuali imprevisti, tanto che la sua condotta, alla prova dei fatti, si pone quale antecedente privilegiato nell’impedimento di un evento lesivo. Richiamando un’espressione evocativa del più profondo significato di una simile teorizzazione, si può affermare che “egli conserva sempre la possibilità di effettuare quella che è l’ultima azione precauzionale utile prima che il danno abbia a verificarsi” [43].

Lo sciatore, dunque, non può più incorrere in false aspettative di “protezione totale”, poiché l’intento del legislatore è chiaramente quello di responsabilizzare l’utenza e di imporre diligenza, prudenza e perizia quali canoni imprescindibili del comportamento. La riforma, in definitiva, incentiva un vero e proprio “mutamento culturale”, incentrato sul ruolo “attivo” dello sciatore, che deve approcciarsi con maggiore consapevolezza alla pratica e al rischio connesso per adeguare opportunamente il proprio contegno, superando l’impostazione volta a delegare a terzi un dovere di sicurezza.

Come è stato già evidenziato, il comparto regolamentare contenuto nel Capo III riallinea l’ordinamento italiano rispetto ai contenuti del Decalogo dello sciatore e, soprattutto, uniforma la disciplina al contesto internazionale e questo è un indubbio aspetto positivo della Riforma, che, tuttavia, non si limita a rinviare all’autodetermi­nazione del singolo soggetto (e, dunque, all’autoresponsabilità), contemplando anche l’obbligo di indossare un casco al di sotto dei 18 anni (art. 17), l’obbligo di assicurazione di responsabilità civile (art. 30) ed il divieto di sciare in stato di ebbrezza (art. 31).

In questo modo si impongono ex lege delle restrizioni al comportamento dello sciatore (presidiate da un articolato apparato sanzionatorio) e si identifica un nuovo modello di comportamento (dentro e fuori le piste) che incide sui canoni della responsabilità colposa.

Se è vero che la valutazione ex ante del pericolo costituisce l’adempimento fondamentale cui è tenuto il gestore di aree sciabili, unitamente all’attività informativa, è altrettanto corretto ritenere che, per la costruzione di un sistema di sicurezza efficiente ed efficace, si debba progressivamente educare lo sciatore a una diversa cultura della montagna per responsabilizzarlo nell’adozione di condotte volte ad un migliore “governo del rischio”.

Questa è sicuramente la direzione indicata dalla Riforma e il suo maggior pregio risiede nell’esplicito riconoscimento legislativo del canone dell’autoresponsabilità, che, sotto il profilo giuridico, potrà accrescere la riflessione sulla rilevanza della condotta (informata e consapevole) di auto-esposizione al pericolo della vittima, quale possibile criterio di limitazione della responsabilità penale.


NOTE

[1] Tra i contributi più significativi si segnalano l’intera raccolta M. Ronco, M. Helfer (a cura di), Diritto penale e autoresponsabilità. Tra paternalismo e protezione dei soggetti vulnerabili, Baden-Baden, Torino, 2020; M. Helfer, Autoresponsabilità versus posizione di garanzia: quali spazi applicativi in materia di sport invernali ad alto rischio?, in A. Melchionda, S. Rossi (a cura di), Prevenzione dei sinistri in area valanghiva. Attività sportive, aspetti normativo-regolamentari e gestione del rischio, Napoli, 2019, p. 49 ss.; Id., L’autoresponsabilità della vittima e il diritto penale. Riflessioni per un diritto penale neoilluminato, in G. Cocco (a cura di) Per un manifesto del neoilluminismo penale, Padova, 2016, p. 95 ss.; G. Civello, voce Autoresponsabilità, in Dig. disc. pen., Agg., VIII, Torino, 2016, p. 102 ss.; Id., Il principio del sibi imputet nella teoria del reato. Contributo allo studio della responsabilità per fatto proprio, Torino, 2017; O. Di Giovine, Il contributo della vittima nel delitto colposo, Torino, 2003; Id., L’autoresponsabilità della vittima come limite alla responsabilità penale?, in La legislazione penale, 2019, p. 1 ss.

[2] La necessità di ripensare il carico delle garanzie e degli obblighi precauzionali a seconda dei diversi equilibri che sorgono tra i soggetti garanti e colui che intraprende attività sportiva (specie in montagna) era già stato evidenziato in un precedente contributo, a cui si rinvia (S. Rossi, Le posizioni di garanzia nell’esercizio degli sport di montagna. Alla ricerca di nuovi equilibri in tema di obblighi precauzionali e gestione del rischio, in Dir. pen. contemp., 2013, p. 1 ss.).

In giurisprudenza, in tema di rapporti di garanzia istituzionalizzati, v. Trib. Torino, 11 febbraio 2019, n. 628, in banca dati DeJure: «Per ritenere sussistente ovvero escludere la responsabilità in capo al maestro di sport rileva non tanto la provenienza dell’iniziativa sportiva, o l’assidua costante vicinanza ai ragazzi da parte degli organizzatori/istruttori, bensì le concrete modalità con cui l’attività sportiva si realizza: e ciò in quanto responsabilità per omessa o inadeguata vigilanza sono prospettabili soltanto in presenza di comportamenti da parte dei minori abnormi, che abbiano cioè trasmodato consuete ed ordinarie modalità di svolgimento dell’attività sportiva svolta e che si fossero poste in ragione di tali modalità di per sé come foriere di rischi eccedenti quelli normalmente insisti in ogni attività sportiva, rischi ordinari come ad esempio quello di procurarsi una distorsione nel corso di uno scontro di gioco o di rimanere contusi a causa dell’impatto inatteso (o non previsto con quelle modalità) del pallone su parti del corpo nel corso di una normale azione di gioco. Di conseguenza l’obbligo di sorveglianza si pone via via decrescente con il crescere dell’età anagrafica e della maturità dei minori, a motivo della ragionevole e legittima aspettativa che le loro condotte siano caratterizzate da prudenza ed autoresponsabilità in primo luogo con riferimento alla propria incolumità».

[3] G.U.P. Tribunale Sondrio, 10 marzo 2005, in Giur. merito, 2007, p. 3, con nota di L. Gizzi, Brevi considerazioni in ordine all’assunzione volontaria di posizione di garanzia.

[4] La Corte d’Appello di Milano, investita del gravame, con sentenza del 9 marzo 2007, riformava la sentenza, mandando assolto il figlio condannato, perché il fatto non costituiva reato in difetto di prova certa di nesso causale. Il Procuratore Generale della Corte d’Appello e il difensore di una delle parti civili presentarono ricorso per chiedere l’annullamento della sentenza ed il rinvio al giudice de merito per un nuovo esame. Cass. pen., 10 dicembre 2008, n. 10789, accolse il ricorso e rinviò ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano per un nuovo giudizio. Quest’ultima, con sentenza 29 settembre 2009, confermò la condanna di primo grado, affermando che la condotta gravemente imprudente dell’imputato era stata l’unica causa dell’evento. L’imputato, a sua volta, presentò ricorso e la S.C. confermò definitivamente la condanna (Cass. pen., 27 luglio 2010, n. 29615). Tutte le pronunce sono reperibili nella banca dati del sito http://dirittodeglisportdelturismo.jus.unitn.it/.

[5] La sentenza sottolinea, peraltro, che, per l’assunzione di una posizione di garanzia, non basta essere il più esperto tra gli escursionisti. È necessario che il soggetto abbia assunto, anche tacitamente, l’incarico di guidare il gruppo, mettendo a disposizione le sue conoscenze e le sue capacità, e che i componenti del gruppo, trovandosi in una situazione di inesperienza e di incapacità rispetto all’attività intrapresa, abbiano deciso di svolgere quell’attività proprio per la presenza di una persona capace al loro fianco, cui si sono affidati, conferendogli poteri di guida, cura e direzione.

Interessanti considerazioni sull’effettiva presa in carico del bene protetto, seppur all’interno di una vicenda diversa, sono svolte da Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2016, n. 34975, in Cass. pen., 2017, 1, p. 233 (Fattispecie in tema di incidente aereo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità dell’imputato, a titolo di omicidio colposo, per aver consentito alla persona offesa – con la quale egli era salito a bordo di un deltaplano biposto, artigianalmente costruito, di cui erano comproprietari – di assumere il comando del velivolo, non potendosi ravvisare in capo allo stesso una posizione di garanzia rispetto all’altro occupante, nei confronti del quale egli, pur essendo più esperto, si trovava in una posizione sostanzialmente paritetica, non essendo istruttore di volo né proprietario esclusivo del mezzo ed essendosi, di contro, la vittima volontariamente auto esposta al pericolo, ponendosi alla guida in assenza di doppi comandi).

[6] Trib. Genova, 15 marzo 2017, n. 6706, inedita. All’esito di separato procedimento il G.U.P. del Tribunale di Genova aveva assolto dalla stessa imputazione, con le medesime argomentazioni, anche il Sindaco del Comune proprietario e gestore del comprensorio sciistico (G.U.P. Trib. Genova, 14 gennaio 2015 n. 35, inedita).

[7] In estrema sintesi questi i fatti: un gruppo di amici decideva di intraprendere un fuoripista nel comprensorio di Santo Stefano d’Aveto (in provincia di Genova), nonostante gli avvertimenti di astenersi da tale pratica a causa delle pessime condizioni meteo. Inizialmente il gruppo è numeroso, ma alcuni desistono e, quindi, solamente tre persone intraprendono la discesa fuoripista. Si tratta di sciatori esperti, originari del luogo. I tre percorrono un piccolo tratto della pista azzurra con gli sci, proseguono a piedi (non essendo più praticabile la zona), oltrepassano una rete di interdizione di colore arancione, una corda pavesata e anche un muretto, tutti ostacoli posti al fine di precludere l’accesso alla zona pericolosa. Raggiungono il pendio del fuoripista ed affrontano la discesa nella neve fresca.

Il primo a scendere si ferma nei pressi di un piccolo boschetto alla base del fuoripista; il secondo è la persona offesa, che scia circa 15 metri prima di venire travolta da una valanga (la copiosa nevicata in corso e il forte vento avevano determinato un accumulo di neve sulle lastre che si erano già formate in precedenza, creando così una situazione di grave pericolo nel caso di passaggio); il terzo sciatore, presente nelle vicinanze, si attiva subito per allertare i soccorsi. Dopo essere stato rintracciato con difficoltà, lo sciatore travolto dalla valanga veniva trasportato a valle con un “gatto delle nevi” (non essendo possibile far intervenire l’elicottero). Caricato in ambulanza, sopraggiungeva poco dopo il decesso.

[8] Significativo il passaggio in cui il giudice evidenzia che l’assenza dei dispositivi di sicurezza ha determinato il ritardo nei soccorsi e l’impossibilità di salvare lo sciatore travolto dalla valanga: “l’essersi avventurati, privi di attrezzature di autosoccorso […] in un fuoripista, benché diffidati a praticarlo e nonostante gli impedimenti predisposti, ha finito con il determinare una situazione di difficile gestione rendendo così oltremodo arduo il ritrovamento in tempi tali da consentire la sopravvivenza del C., sul rilievo che i primi soccorritori sono intervenuti dopo 20-25 minuti e la curva di sopravvivenza si attesta intorno ai 15-45 minuti dal seppellimento” (Trib. Genova, 15 marzo 2017, n. 6706, cit., p. 50).

[9] Trib. Genova, 15 marzo 2017, n. 6706, cit. p. 6.

[10] Trib. Sondrio, 10 dicembre 2019, n. 636, inedita. Pronuncia consultabile in questa Rivista, edizione on-line, Osservatorio degli sport invernali.

[11] Trib. Bolzano, Sez. distaccata di Silandro, 28 gennaio 2005, n. 56, inedita. Analogamente, in caso di salto a bordo pista, Trib. Bolzano, 14 dicembre 1987, inedita. In merito alla volontaria e consapevole esposizione al pericolo da parte della vittima, pienamente capace di intendere e di volere, quale causa sopravvenuta sufficiente a determinare l’evento e ad interrompere il nesso causale, cfr. Cass. pen., 17 gennaio 2019, n. 5898, in CED Cass. pen., 2019 (pronuncia di assoluzione del proprietario e dell’istruttore tecnico di un impianto sportivo, per le lesioni riportate da un motociclista che, uscito dal circuito destinato all’esercitazione, in corrispondenza di un tratto privo di adeguata delimitazione, era entrato nell’area riservata al “free style” ed era salito su un terrapieno alto tre metri dal quale era caduto, nonostante i partecipanti all’esercitazione avessero ricevuto precise istruzioni sul percorso da effettuare).

[12] Pretore di Brunico, 29 dicembre 2000, n. 236, inedita. Conforme, Pretore Vipiteno, 19 maggio 1992, n. 94, inedita.

[13] Trib. Bolzano, 20 febbraio 1990, n. 54, inedita.

[14] Trib. Aosta, 15 marzo 2004, inedita.

[15] Trib. Bolzano, Sez. distaccata di Brunico, 7 dicembre 2001, n. 262, inedita. La pronuncia si distingue affermando che «l’imputato che noleggia lo slittino alla parte offesa non ha l’obbligo di garantire il buono stato della pista da slittino; ne consegue che egli deve essere assolto dal reato di omicidio colposo perché il fatto non sussiste per inesistenza del nesso causale, qualora la parte offesa sia uscita di pista riportando lesioni letali». Nella specie, la vittima era deceduta per essere uscita da una strada forestale adibita a pista da slittino. I suoi eredi lamentavano che il noleggio dello slittino era accompagnato da una pubblicità che garantiva che la pista fosse sgombra e idonea ad essere percorsa. Il giudice, in considerazione del fatto che la dichiarazione pubblicitaria è da rapportarsi ad una strada multifunzionale e non già ad una pista agonistica, ha ritenuto che tale dichiarazione non poteva comprendere le asperità naturali della pista, ma solo la presenza di mezzi meccanici e che, pertanto, «unico responsabile dell’uscita di pista doveva considerarsi la stessa parte offesa, la quale aveva tenuto una condotta colposa per non aver commisurato la velocità al tipo di pista, al tratto curvilineo e ghiacciato». In merito alla pratica dello slittino, una delle più significative pronunce in cui si identifica il profilo di autoresponsabilità della vittima (ma per escluderlo, alla luce dell’esistenza, nel caso di specie, di un “garante di fatto”) è G.U.P. Trento, 4 aprile 2022, n. 175, inedita. Procedimento definito con sentenza Cass. pen., Sez. IV, 22 maggio 2007, n. 25527, in Cass. pen., 2008, 3, p. 989.

[16] Cass. pen., Sez. IV, 2 luglio 2014 n. 36920, in Diritto e giustizia, 1, 2014, p. 36. In specie, il conducente di una motoslitta, ben consapevole dello stato dei luoghi per averli già in precedenza frequentati anche per ragioni professionali, impegnava a forte velocità un pianoro nel quale esistevano profonde buche (definite “inghiottitoi”, ovvero depressioni profonde del terreno non facilmente visibili). La sua condotta determinava il ribaltamento del mezzo e la morte dello stesso conducente. Per il reato di omicidio colposo veniva rinviato a giudizio il proprietario del terreno libero, benché non prossimo alle piste da sci, dalle quali era partita la motoslitta. Il primo ed il secondo grado di giudizio si concludevano con la condanna dell’imputato, «titolare di un obbligo di garanzia rispetto a chiunque accedesse all’area predetta», reo di aver colposamente omesso, «a fronte di una situazione di pericolo facilmente percepibile e rappresentatagli anche dall’autorità comunale», di attivarsi adeguatamente predisponendo idonea recinzione ai margini delle depressioni o idonea segnalazione delle stesse.

Ciò premesso, il G.U.P. del Tribunale di Campobasso (con sentenza di data 11 marzo 2010) riteneva certo il concorso del fatto della vittima, la quale conosceva perfettamente i luoghi, in quanto accompagnava i turisti a fare escursioni con la sua motoslitta e anche immediatamente prima dell’incidente aveva fatto uscite nei pressi del teatro del sinistro. Per tali ragioni, il giudice di merito si convinceva che la vittima avesse deliberatamente ‘puntato’ il fosso con l’intenzione di saltarlo a mero scopo ludico o esibizionistico, attività poi risoltasi con esiti drammatici.

Un nesso causale veniva però ritenuto esistente, altresì, riguardo la condotta omissiva del titolare del terreno, nel convincimento che una idonea recinzione avrebbe evitato la tragedia. Di qui la condanna con la concessione dell’attenuante del concorso della vittima (art. 62, n. 5, c.p.). Analogamente la Corte d’appello di Campobasso (con sentenza di data 27 giugno 2013) riconosceva nel comportamento altamente imprudente della vittima il preponderante ruolo causale (nella misura del 70%), lasciando, tuttavia, sopravvivere il nesso di causalità omissiva in capo al proprietario del terreno. La Corte rideterminava il trattamento sanzionatorio, partendo da una pena base più bassa, applicando l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5, nella sua massima estensione e riconoscendo, altresì, le attenuanti generiche per il basso grado di colpa ascrivibile al prevenuto. La Corte di cassazione, da ultimo, annullava senza rinvio la pronuncia di secondo grado perché il fatto non sussiste, affermando che «la sentenza impugnata incorre in violazione di legge laddove afferma l’esistenza di un nesso causale tra la condotta addebitata all’imputato e l’even­to, nesso che invece, alla stregua degli univoci elementi raccolti, e secondo una corretta applicazione della norma di cui all’art. 41 c.p., comma 2, andava escluso per l’esistenza di una causa sopravvenuta “da sola sufficiente a determinare l’evento”, da individuarsi nella condotta altamente imprudente e deliberatamente votata al rischio della vittima».

[17] In Svizzera, Francia e Austria prevenzione e sicurezza si fondano tradizionalmente sul dovere di autoregolazione del singolo, che è tenuto ad adottare una condotta prudente, adeguata alle proprie capacità e allo stato dei luoghi, secondo una impostazione che incentiva un approccio “positivo” nei confronti del rischio naturale (immanente ed ineliminabile in montagna), superando l’idea di delegare a terzi un obbligo di protezione per, invece, responsabilizzare l’utente nell’adozione di condotte consapevolmente volte ad un migliore governo del rischio (S. Rossi, Le posizioni di garanzia nell’esercizio degli sport di montagna. Alla ricerca di nuovi equilibri in tema di obblighi precauzionali e gestione del rischio, cit., p. 21 ss.). Per una comparazione giuridica con la Svizzera, si rinvia ai risultati del progetto (coordinato e diretto da W. Flick), SKIALP@GSB Studio Giuridico Comparato Italia – Svizzera, Fondazione Courmayeur Mont Blanc, 2020. Per quanto riguarda il sistema penale tedesco, v. M. Helfer, Autoresponsabilità versus posizione di garanzia: quali spazi applicativi in materia di sport invernali ad alto rischio?, cit., p. 55 ss.; per una comparazione rispetto all’ordinamento austriaco si rinvia, da ultimo, a S. Schwitzer, L’auto­responsabilità nel diritto penale: quo vadis? Inquadramento e applicazione giurisprudenziale nell’ordi­namento austriaco, in Arch. pen., 2022, 2, p. 1 ss.

[18] La legge delega n. 86/2019, volta al riordino del CONI e della disciplina di settore, si compone di quattro capi: disposizioni relative all’ordinamento sportivo (artt.1-4); disposizioni in materia di professioni sportive (artt. 5-6); disposizioni di semplificazione e sicurezza in materia di sport (artt. 7-9); disposizioni finali (art. 10). Cinque sono, invece, i decreti legislativi attuativi della riforma: decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, avente ad oggetto l’attuazione dell’art. 5, recante “riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivo professionistici e dilettantistici nonché di lavoro sportivo”; decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 37, concernente l’attuazione dell’art. 6, recante “misure in materia di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive e di accesso e esercizio della professione di agente sportivo”; decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 38, con oggetto l’attuazione dell’art. 7, recante “misure in materia di riordino e riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi e della normativa in materia di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi”; d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 39, concernente l’attuazione dell’art. 8, recante “semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi” ed, infine, il d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 40, in commento. Per una disamina dettagliata dei contenuti della legge delega si rinvia a R. Crucioli, Il D.lgs. n. 40/21 Luci ed ombre. Profili penali, in questa Rivista, edizione on-line, , p. 12 ss.

[19] Ciò in conformità a quanto disposto dall’art. 9, comma 1, lett. b), n. 3), della legge delega n. 86/2019.

[20] La disciplina è contenuta all’interno del capo IV del decreto (artt. 34-38). L’intervento normativo, motivato dalla necessità di adottare un approccio globale alla disabilità come condizione della persona, rappresenta una assoluta novità rispetto alla normativa previgente. Nessuna indicazione tesa a considerare le implicazioni della disabilità era, infatti, contenuta nella legge n. 363/2003 e neppure nel corso dei lavori preparatori della legge delega era stata affrontata la questione. Si è dovuto, quindi, attendere l’esame del testo da parte della Camera dei Deputati e l’emendamento proposto dall’On. Roger De Menech per attuare questo principio di civiltà, che costituisce, invero, anche un’opportunità di ulteriore sviluppo del comparto turistico (sul punto, più diffusamente, M. de Pamphilis, La protezione delle persone con disabilità nel D.lgs n. 40/2021, in E. Ballardini, G. Cesari (a cura di), La nuova legislazione sulla sicurezza nelle discipline sportive invernali (D.lgs 28 febbraio 2021, n. 40), Milano, 2022, p. 155 ss.

[21] Cfr. art. 2 d.lgs. n. 40/2021. In particolare, nella definizione di “pericolo atipico” compare un primo rimando al principio di autoresponsabilità, trattandosi di “pericolo difficilmente evitabile anche per uno sciatore o sciatrice responsabile lungo il tracciato sciistico”.

[22] Si rinvia a quanto contenuto negli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 10, del d.lgs. n. 40/2021.

[23] V. art. 33 d.lgs. n. 40/2021, rubricato “Regime sanzionatorio”. La previsione delle sanzioni amministrative pecuniarie più elevate concerne l’ipotesi in cui venga accertato uno stato di ebrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche e di sostanze tossicologiche (cfr. art. 31).

[24] Ex art. 9, comma 2, d.lgs. n. 40/2021, il direttore delle piste: a) promuove, sovrintende e dirige le attività di gestione delle piste vigilando sullo stato di sicurezza delle stesse; b) coordina e collabora con il servizio di soccorso sulle piste; c) segnala senza indugio al gestore dell’impianto la sussistenza delle situazioni che impongono la chiusura della pista, provvedendovi direttamente in caso di incombente pericolo; d) indica gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria la cui realizzazione è necessaria affinché la pista risulti in sicurezza e ne sovrintende la realizzazione; e) coordina e dirige gli operatori addetti al servizio di soccorso; f) predispone un piano di gestione delle emergenze, in caso di pericolo valanghe, sul proprio comprensorio.

[25] L’insieme di tali prescrizioni si evince dal combinato disposto degli artt. 5, comma 5, 6, 11, 14, 16, comma 1, e 26, comma 3. Si tratta di un obbligo di informazione e diffusione delle cautele “rafforzato” rispetto a quello previgente, a cui corrisponde il dovere, per lo sciatore, di conoscere e rispettare le disposizioni rese pubbliche mediante affissione.

[26] L’inedito comma 4 dell’art. 26 è disposizione che assoggetta il gestore ad evidenti responsabilità nella valutazione delle più generali condizioni ambientali e nella identificazione dei singoli tracciati (condivisibili osservazioni critiche sono espresse da R. Crucioli, Il D.lgs. n. 40/21 Luci ed ombre. Profili penali, cit., p. 30).

[27] Ex art. 26, comma 2, coloro che praticano lo sci alpinismo, lo sci fuori pista o le attività escursionistiche in particolari ambienti innevati, anche mediante le racchette da neve, laddove, per le condizioni nivometeorologiche, sussistano rischi di valanghe, dovranno munirsi di appositi sistemi di segnalazione e ricerca, pala e sonda per garantire un idoneo intervento di soccorso. Di diverso tenore il previgente art. 17, comma 2, legge n. 363/2003, a mente del quale «i soggetti che praticano lo sci alpinismo devono munirsi, laddove, per le condizioni climatiche e della neve, sussistano evidenti rischi di valanghe, di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo intervento di soccorso».

Al netto della difficoltà nella valutazione delle condizioni ambientali presenti e del grado di pericolo valanghe, una riflessione va fatta sulle capacità di utilizzo di artva, pala e sonda, che servono nell’attività di c.d. autosoccorso da effettuare in attesa dell’arrivo del personale del CNSAS. È fondamentale che l’u­tente, oltre ad avere in dotazione la strumentazione, sia capace di utilizzarla. In quest’ottica, a parere di chi scrive, non si fa “cultura della sicurezza in montagna” attraverso la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria, peraltro di non semplice contestazione, ma formando e informando gli utenti sul­l’uso corretto dei predetti dispositivi.

[28] Trib. Sondrio, 10 dicembre 2019, n. 636, cit.

[29] Le scienze cognitive insegnano che la capacità di autodeterminarsi non è esente da pregiudizi inconsapevoli. Nello specifico settore del fuoripista, v. L. Savadori, Percezione del rischio valanghe ed errori cognitivi, in questa Rivista, 1, 2018, p. 139 ss.

[30] Cass. pen., 20 aprile 2004, n. 27861, in Foro it., Rep. 2004, voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 58, in extenso in Cass. pen., 2006, p. 520.

[31] Cass. pen., 20 aprile 2004, n. 27861, cit.

[32] Cass. pen., 19 marzo 2015, n. 15711, in CED Cass. pen., 2015; Cass. pen., 25 febbraio 2010, n. 10822, in Cass. pen. 2011, 3, p. 1056; Cass. pen., 11 luglio 2007, n. 39619, in Guida dir., 2007, 10, p. 79.

[33] Cass. pen., Sez. feriale, 15 settembre 2015, n. 37267, in questa Rivista, 2, 2015, p. 477 ss., con nota di S. Rossi, Ancora sulla posizione di garanzia del gestore di aree sciabili. Due recenti sentenze e alcune notazioni critiche. Per ulteriori osservazioni, si rinvia a L. Musumarra, La gestione della sicurezza negli sport invernali, in questa Rivista, 2, 2018, p. 378 ss.

[34] Cass. pen., Sez. IV, 9 novembre 2015, n. 44796, in questa Rivista, 2, 2015, p. 477, con nota di S. Rossi, Ancora sulla posizione di garanzia del gestore di aree sciabili. Due recenti sentenze e alcune notazioni critiche.

[35] Cass. pen., Sez. III, 13 dicembre 2019, n. 50427, in questa Rivista, edizione on-line, Osservatorio degli sport invernali.

Nel caso di specie, il gestore è stato ritenuto responsabile, a titolo di colpa, per la morte di un utente minore il quale a bordo di uno slittino era fuoriuscito, a causa del fondo ghiacciato, da una pista, particolarmente impegnativa per lunghezza, dislivello e pendenza, in un punto privo di protezioni, per poi precipitare a valle ed impattare contro un ostacolo, riportando un trauma cranico cerebrale che ne aveva causato il decesso. La Corte di cassazione ha rilevato che, nonostante la piena validità ed operatività della delega rilasciata al responsabile della sicurezza della pista (in quanto attribuita ad un soggetto in possesso di adeguate competenze tecniche e dotato delle risorse necessarie a fronteggiare le spese inerenti ai costi di manutenzione dell’impianto), in capo al gestore residua in ogni caso una posizione di garanzia, da cui discende una responsabilità per l’evento morte fondata su un duplice e concorrente profilo di colpa: da un lato, la sottovalutazione del rischio concernente la pericolosità della pista, dall’altro, l’assenza dell’eser­cizio dei poteri sostitutivi a fronte della colposa inerzia del delegato.

Sotto il primo profilo, la valutazione del rischio è inquadrabile come una scelta gestionale di fondo, che rappresenta un prius logico rispetto alla possibilità di trasferire ad un terzo la responsabilità in tema di sicurezza della pista e, come tale, non può essere in alcun modo oggetto di delega.

Sotto il secondo profilo, è stato ritenuto che l’imprenditore non avesse esercitato la c.d. “vigilanza alta” allo scopo di attuare un potere sostitutivo consistente nell’adozione di contromisure che il delegato aveva trascurato di implementare.

[36] Cass. pen., Sez. IV, 24 marzo 2017, n. 14606, in Cass. pen., 2018, 1, p. 254. La sentenza afferma che non è configurabile, in capo al gestore, alcun obbligo di protezione nei confronti degli sciatori che abbiano abbandonato la pista battuta volontariamente o erroneamente e inconsapevolmente (ad esempio, per eccessiva velocità o per disattenzione) e si siano poi trovati fuori pista (nel caso di specie, a collidere con un masso presente oltre il bordo). L’obbligo di protezione cessa ai margini della pista, specie quando questa (come nel caso di specie) sia sufficientemente larga da consentire la percorrenza in sicurezza. Cfr. anche App. Bolzano, 1° febbraio 2018, n. 8, inedita (si tratta della sentenza emessa a seguito del rinvio disposto dalla medesima Cass. pen. n. 14606/2017 per nuovo esame). Il giudice di merito assolve il gestore, statuendo che la fuoriuscita era stata determinata dal fatto proprio dello sciatore, che aveva scelto di procedere in velocità, con curve a diverso raggio in rapida sequenza, in prossimità del margine della pista, piuttosto che nella parte centrale.

[37] Il decalogo dello sciatore (Beirut 1967), in Law of Tourism Sport – Diritto degli Sport del Turismo, unitn.it.

[38] E. Ballardini, La responsabilità del gestore dell’area sciabile nel d.lgs. n. 40/21, in E. Ballardini, G. Cesari (a cura di), La nuova legislazione sulla sicurezza nelle discipline sportive invernali (D.lgs 28 febbraio 2021, n. 40), cit., p. 75.

[39] Cfr. art. 9 legge n. 363/2003, rubricato unicamente “Velocità”.

[40] Nella prassi applicativa si porranno nuovamente tutte le, controverse, questioni relative all’iden­tificazione dello sciatore a monte (quale soggetto garante) e, quindi, alla esatta ricostruzione della dinamica dei fatti. Permane, tuttavia, l’eventualità del ricorso all’ipotesi del concorso di colpa (rubricato attualmente “Concorso di responsabilità”) ai sensi dell’art. 28, che riproduce i contenuti dell’art. 19 legge n. 363/2003.

[41] Art. 21 (Incrocio):

«1. Negli incroci gli sciatori devono modificare la propria traiettoria e ridurre la velocità per evitare ogni contatto con gli sciatori giungenti da altra direzione o da altra pista. In prossimità dell’incrocio lo sciatore deve prendere atto di chi sta giungendo da un’altra pista, anche se a monte dello sciatore stesso.

2. Lo sciatore che si immette su una pista o che riparte dopo una sosta deve assicurarsi di poterlo fare senza pericolo per sé o per gli altri».

Con riguardo al comma 1, è interessante notare che l’obbligo di controllo visivo a 360 gradi (a monte e a valle) onera tutti coloro che si appestano all’incrocio; pertanto non si applica il principio della posizione dominante e non si riconosce a chi proviene da monte una responsabilità per l’eventuale collisione con chi sta a valle. Tutti gli sciatori sono sullo stesso piano e tutti sono soggetti al medesimo obbligo.

[42] Il comma 5 dell’art. 22 introduce una novità limitatamente alla sosta presso rifugi (previsione, invero, già contenuta nella legge della Provincia di Bolzano n. 14/2010): «Durante la sosta presso rifugi o altre zone gli sciatori collocano la propria attrezzatura fuori dal piano sciabile, in modo da non recare intralcio o pericolo ad altri».

[43] U. Izzo, Analisi economico-comportamentale della responsabilità sciistica (parte prima), in Danno e Responsabilità, 2011, pp. 549-568.