Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Contro lo spettro del neo-pubblicismo: sul carattere privatistico delle leghe sportive e delle procedure di commercializzazione dei diritti audiovisivi (di Giulio Napolitano, Professore ordinario di Diritto Amministrativo nell’Università degli Studi Roma Tre.)


This article considers if it is appropriate to apply public law rules to private law entities. The privatization of public enterprises and the liberalization of markets caused two effects: on one hand the establishment of regulatory systems direct to pro­mote competition and to protect consumers, on the other hand a misapplication of public law rules. This issue has recently regarded the commercialization of television rights (legislative decree n. 8/2009). In this area there is a special framework addressed to private parties which cannot be assimilated with the administrative procedure concerning the award of public contracts. In the following essay I will try to answer to the question if «neo-publicism» is a suitable response to the problems associated with this sectors.

I confini tra diritto pubblico e diritto privato sono sempre più labili, soprattutto quando gli ordinamenti giuridici attraversano fasi di profonde trasformazioni e sono chiamati a fronteggiare gravi crisi dei sistemi economici e sociali, come nell’epoca attuale.

La privatizzazione delle imprese pubbliche e la liberalizzazione dei mercati hanno così determinato l’istituzione di sistemi regolatori complessi volti a promuovere la concorrenza e a tutelare i consumatori-utenti. L’esternalizzazione di funzioni e servizi pubblici ha richiesto l’estensione di principi e standard tipici dell’azione pubblica alle attività delegate. Soggetti di diritto privato ma in controllo pubblico sono stati obbligati a osservare procedure di evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi.

Queste vicende spiegano bene non soltanto l’adozione di soluzioni normative speciali, ma anche lo sviluppo di orientamenti giurisprudenziali e dottrinari volti a individuare nozioni sostanziali o funzionali di pubblica amministrazione e di azione amministrativa: ciò con l’obiettivo di estendere l’ambito di applicazione di regole e istituti del diritto amministrativo. Si tratta, tuttavia, di operazioni da maneggiare con attenzione e cautela, per evitare che un loro uso disinvolto finisca per portare nel pubblico ciò che è privato, come già avvenuto in un triste passato. Il rischio altrimenti è di alimentare una sorta di neo-pubblicismo di ritorno il cui spettro si aggira nei meandri dell’universo giuridico, pronto a fare le sue più inaspettate e talora sinistre apparizioni.

Tra queste ultime va ora annoverata anche la singolare tesi dottrinaria che pretende di conferire veste pubblicistica alle leghe sportive professionistiche e/o di assoggettare alla disciplina del procedimento amministrativo la commercializzazione dei diritti audiovisuali, con ricadute anche in punto di giurisdizione amministrativa. A questo tentativo acrobatico devono opporsi solide ragioni, ben piantate nella realtà economico-sociale e nel diritto positivo.

Sul piano soggettivo, non può certo revocarsi in dubbio che le leghe siano associazioni di diritto privato. Esse ne hanno non soltanto la forma, ma anche la sostanza, visto che sono composte a loro volta da società commerciali, gestite e finanziate da privati, operanti con scopo di lucro. Questo dato essenziale non può essere minimamente scalfito né dal fatto che le leghe operano talora come componenti delle federazioni sportive (a loro volta associazioni di diritto privato), né dal fatto che esse esercitano anche talune funzioni loro delegate da queste ultime. È vero che alcune attività federali hanno, secondo la legge, rilevanza pubblica, ma il discorso vale soltanto per quelle tipizzate dal legislatore. Ciò inoltre giustifica regole e controlli speciali da parte del CONI e della federazione stessa, ma non vale di per sé a trasfigurarle in termini di attività amministrative tout court.

Si esamini ora il profilo oggettivo attinente all’attività di commercializzazione dei diritti audiovisivi. Innanzi tutto, bisogna chiarire che, per effetto del d.lgs. n. 8/2009, i diritti audiovisivi non sono certo sottoposti a regime di riserva pubblica; né le leghe sono qualificate come concessionarie dello Stato ai fini della loro commercializzazione. Il decreto, infatti, si limita a conformare i diritti di proprietà e a disciplinare le modalità del loro esercizio in modo da conciliare la dimensione individuale (relativa alle singole partite disputate dalle varie società) con quella collettiva (data dallo svolgimento di quelle partite nell’ambito di un campionato). Il decreto, all’art. 3, pertanto, da un lato, sancisce che «l’organizzatore della competizione e gli organizzatori degli eventi sono contitolari dei diritti audiovisivi relativi agli eventi della competizione medesima». Dall’altro, ai sensi dell’art. 4, stabilisce che «l’esercizio dei diritti audiovisivi relativi ai singoli eventi della competizione spetta all’organizzatore della competizione medesima».

La scelta legislativa in favore della vendita centralizzata è dettata allo scopo precipuo di dare una soluzione al problema tipicamente gius-privatistico – assai discusso negli anni precedenti – circa la corretta individuazione del soggetto legittimato alla commercializzazione dei diritti e le più idonee modalità di ripartizione dei relativi proventi: ciò anche alla luce del più volte rilevato problema della disparità di forza tra le società, considerata fonte di inefficienza collettiva.

Naturalmente, nel momento in cui attribuisce a un solo soggetto il diritto di commercializzare i diritti audiovisuali, l’ordinamento deve cercare di evitare che tale soggetto abusi della sua posizione a danno degli associati e del mercato in generale. Ecco perché, sulla falsariga di ben precisi e consolidati orientamenti comunitari, il decreto impone una procedura di gara e la sottopone ad alcuni tassativi controlli pubblici, il più importante dei quali è il vaglio preventivo delle linee guida (e solo di esse) da parte dell’Agcm e dell’Agcom.

Si tratta, tuttavia, di una disciplina speciale volta a regolare una procedura contrattuale che è e rimane privata e che in nessun modo può essere assimilata alla procedura amministrativa che governa l’aggiudicazione dei contratti pubblici. È d’altra parte significativo che il decreto non opera alcun richiamo alle norme in materia di contratti pubblici. Né esso regola le modalità di presentazione delle offerte da parte delle emittenti radiotelevisive, le procedure di gara o i criteri di aggiudicazione. È evidente, quindi, la diversità di questa disciplina rispetto a quella dettata per le gare pubbliche, dove tutti i profili sopra accennati sono minuziosamente disciplinati.

Bisogna poi precisare che, in ogni fase, la procedura contrattuale di commercializzazione rientra nella responsabilità gestionale esclusiva delle leghe, le quali non possono che operare per massimizzare lo scopo sociale. Quando aggiudicano i diritti audiovisivi, cioè, le leghe sono chiamate esclusivamente a reperire risorse economiche sul mercato alle migliori condizioni possibili e a ripartirle alle società associate con criteri lato sensu consortili. Il fatto poi che, con una norma di carattere tributario, il decreto imponga di versare una quota peraltro limitata dei proventi a finalità istituzionali e mutualistiche non può certo valere ad alterare la missione delle leghe, gravandole della cura di interessi pubblici che sono loro estranei.

Quanto sin qui osservato, infine, non può che condurre a considerare del tutto balzana l’ipotesi di estensione della giurisdizione amministrativa agli eventuali contenziosi inerenti la gara, posto che ne difettano i più elementari presupposti. Né ragioni di superiore efficienza del sistema della giurisdizione amministrativa in termini di rapidità ed effettività della tutela possono ovviamente supplire a tale mancanza.

Ecco in conclusione perché una piana lettura dei dati sostanziali e di quelli di diritto positivo deve condurre a ribadire con vigore il carattere privatistico delle leghe e delle procedure di commercializzazione dei diritti audiovisuali e a respingere con forza lo spettro del neo-pubblicismo.