Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Tra stato e società: le federazioni sportive nel perimetro mobile delle amministrazioni pubbliche (di Andrea Averardi, Assegnista di Ricerca in Diritto Amministrativo nell’Università degli Studi di Roma Tre.)


This article seeks to analyze the issue of the legal nature of the Italian sports federation, offering a critical overview of Italian and European definition of public administration. Indeed, following the Italian normative framework, sports federation are formally private bodies, even though they act also to protect public interests. The article aims especially to understand whether sports federation acting to protect a public interest should fully comply with national and European rules enacted for the administrative sector, included those ones imposing transparency and limits to public expenditure. In the conclusion, the author suggests to take a functional approach, instead of a formalistic one, in order to apply administrative rules to sport federations only whether it is strictly necessary to protect a public interest, without affecting negatively their private autonomy.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Le federazioni sportive “Giano bifronte”: storia di una (controversa) ibridazione funzionale - 3. Amministrazione a geometria variabile e federazioni sportive - 4. L’inserimento delle federazioni sportive nel conto economico dello Stato: i pericoli dell’autopoiesi delle amministrazioni pubbliche - 5. Una conclusione (ancora) provvisoria - NOTE


1. Introduzione

Il dibattito sulla natura giuridica delle federazioni sportive è da sempre articolato [1]. D’altra parte, la questione del riconoscimento della natura delle federazioni non si è mai risolta in una disputa formalistica di “mera etichettatura” [2] ma, al contrario, ha tra­dizionalmente investito il nucleo essenziale delle problematiche che riguardano l’ordi­namento sportivo, rimandando, tra l’altro, alla costante necessità di stabilire il confine mobile che separa quest’ultimo dall’ordinamento statale [3]. Ancora oggi, dunque, dal­l’inquadramento della natura giuridica delle federazioni sportive, e della loro attività, dipende l’applicazione puntuale a esse di norme proprie del diritto pubblico (e segnatamente amministrativo) ovvero del diritto privato, nonché, più in generale, la definizione dell’ambito di autonomia nel quale esse possono muoversi liberamente [4]. Nell’auspicio del legislatore, in realtà, l’introduzione del c.d. decreto Melandri del 1999 avrebbe dovuto porre fine alla querelle sulla natura giuridica delle federazioni sportive, sancendone definitivamente la personalità di diritto privato [5]. L’attribuzione formale alle federazioni della capacità di agire nell’ordinamento come soggetti di diritto privato, tuttavia, non ha affatto escluso che la loro attività possa rivolgersi alla cura dell’interesse generale, assumendo, quindi, una dimensione sostanzialmente pubblicistica e potenzialmente assoggettabile a regole derogatorie del diritto comune [6]. Di seguito, la questione relativa alla natura giuridica riconosciuta alle federazioni sportive è analizzata al fine di comprendere se la specialità della disciplina a esse applicabile, in un’ottica di funzionalizzazione del loro operato, può, in taluni casi, finire per intaccarne oltremodo la liberà di agire, tipica dei soggetti formalmente privati. Si ricostruisce, perciò, il dibattito storico sulla natura giuridica delle federazioni sportive, calandolo nel contesto della problematica definizione variabile di pubblica amministrazione, riconosciuta sia nel nostro ordinamento sia in quello europeo. A tale riguardo, particolare attenzione è rivolta alle recenti vicende relative all’inserimento delle federazioni sportive nell’elenco [continua ..]


2. Le federazioni sportive “Giano bifronte”: storia di una (controversa) ibridazione funzionale

Dietro il tema della qualificazione giuridica da attribuire alle federazioni sportive vi è una storia tanto lunga quanto complessa, le cui tappe principali sono note [7]. Alle federazioni sportive nazionali era stata inizialmente assegnata, in modo e­spres­so, la qualifica di organi del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (Coni) «relativamente all’esercizio delle attività sportive ricadenti nell’ambito di rispettiva competenza» [8]. Esse partecipavano alla natura del CONI e, di conseguenza, ne veniva riconosciuta una caratterizzazione giuridica pubblica. Sotto la superficie di un’impostazione in apparenza inequivocabile, tuttavia, si era cominciata presto a scorgere la possibilità che, anche alla luce del regime giuridico disegnato dalla legge istitutiva del CONI, le federazioni sportive fossero, in realtà, contraddistinte da una doppia natura, pubblica e privata insieme [9]. Due fattori, in particolare, spingevano in questa direzione. A prescindere dalla loro qualificazione quali organi del CONI, le federazioni mantenevano comunque una loro soggettività autonoma, con potestà statutaria e regolamentare, sancita sia dall’ordinamento interno che dal CONI. Allo stesso tempo, però, l’attribuzione per legge della natura di organi del Comitato non incideva sulla genesi delle federazioni, che restava comunque un fatto privatistico, legato, cioè, a un’aggregazione di carattere solo spontaneo e volontario [10]. Una parte della dottrina, valorizzando alcune pronunce particolarmente attente della giurisprudenza [11], rilevava quindi che l’attribuzione legislativa della qualifica di organo del CONI per le federazioni sportive non avesse carattere generale, ma fosse, oltreché a-tecnica, “funzionalmente limitata”. Seguendo tale impostazione, la dimensione pubblicistica delle federazioni era perciò da intendersi effettiva solo con riferimento alle finalità da queste perseguite, ma non quanto all’attività posta in essere [12]. Nasceva così l’idea che le federazioni sportive fossero un “Giano bifronte”, in quanto dotate, per necessità, di due profili: uno genetico di matrice privatistica e uno funzionale di stampo pubblicistico. Negli anni, questa interpretazione circa la natura giuridica “mista” delle federazioni era risultata, [continua ..]


3. Amministrazione a geometria variabile e federazioni sportive

Nell’impossibilità di individuare positivamente una nozione unitaria di pubblica amministrazione, il legislatore riconduce nella sfera degli apparati pubblici figure soggettive eterogenee, assoggettandole, in modo variabile, a regimi giuridici specifici [27]. Da qui deriva la creazione di una vera e propria «arena delle organizzazioni» [28], dai confini mobili, all’interno della quale si ritrovano, come in tre cerchi concentrici, gli apparati pubblici che operano in via autoritativa, le amministrazioni che ricorrono a strumenti privati e, da ultimo, i soggetti privati che svolgono funzioni pubbliche [29]. Nel quadro così disegnato si collocano facilmente anche le federazioni sportive. La qualificazione formale di queste come associazioni con personalità giuridica di diritto privato, infatti, non esclude che esse possano esercitare funzioni di interesse generale, peraltro anche con strumenti di diritto privato e, appunto, non impedisce neppure che possano essere introdotte legislativamente nel perimetro sostanziale delle amministrazioni [30]. Quanto a quest’ultima possibilità, il problema, si è detto, è comprendere piuttosto quali effetti conseguono all’inserimento delle federazioni nell’area delle amministrazioni. Ciò sia dal punto di vista dell’impatto delle regole derogatorie di diritto comune sulla stessa natura ibrida, tra pubblico e privato, delle federazioni, sia sotto il profilo degli esiti concreti dell’applicazione di tali regole sull’attività posta in essere da queste [31]. D’altra parte, l’adozione di una nozione espressa di pubblica amministrazione può rispondere a diversi fini: estendere o ridurre funzionalmente i confini dell’arena delle organizzazioni pubbliche, così come costruire un campione di amministrazioni che sia piuttosto a “vocazione generale”, potendo, cioè, fungere da base anche per l’elabora­zione di nozioni ulteriori, normative o giurisprudenziali [32]. E in effetti, considerando le più rilevanti elencazioni adottate dal legislatore, non solo nazionale, di pubblica amministrazione, la varietà delle ragioni che portano a inserire figure soggettive nel perimetro degli apparati pubblici è confermata [33]. Limitandosi alle definizioni più note, si può osservare che ha senz’altro [continua ..]


4. L’inserimento delle federazioni sportive nel conto economico dello Stato: i pericoli dell’autopoiesi delle amministrazioni pubbliche

La legge generale in materia di finanza e contabilità pubblica prevede che l’elenco delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato dello Stato, sia aggiornato annualmente dall’Istat. Quanto alle modalità attraverso cui deve avvenire la formazione di tale elenco, la normativa rimanda alle definizioni e ai criteri forniti dagli specifici regolamenti dell’Unione Europea [49]. Il riferimento essenziale è dunque al regolamento n. 549/2013 che, a partire dal settembre 2014, ha riformato il Sistema europeo dei conti nazionali e regionali, introducendo il c.d. SEC 2010 [50]. La creazione del sistema statistico europeo, di cui il SEC 2010 costituisce l’ultima evoluzione, risponde alla necessità che la Commissione europea, tramite l’Eurostat, possa avere a disposizione informazioni complete e attendibili sulla condizione delle economie nazionali, al duplice fine di definire politiche comuni ai Membri dell’U­nione e di monitorare l’andamento della finanza e dell’indebitamento pubblico di ciascuno di essi [51]. La nozione di amministrazioni pubbliche fornita dal SEC 2010, tuttavia, differisce in modo sostanziale rispetto a quelle presenti nelle diverse disposizioni nazionali, anche di carattere estensivo, e pone non pochi problemi interpretativi [52]. La normativa europea prevede infatti che il settore delle amministrazioni pubbliche sia costituito «dalle unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali e sono finanziate da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori, nonché dalle unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese» [53]. All’interno del macro-settore delle amministrazioni pubbliche, vengono quindi inseriti diversi soggetti, tra cui anche le istituzioni senza scopo di lucro, qualificate, con una formula estranea al nostro diritto interno, come «entità giuridiche indipendenti che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita e che sono controllate da amministrazioni pubbliche» [54]. Perché un’istituzione senza scopo di lucro possa rientrare nel perimetro delle amministrazioni pubbliche, inquadrato in [continua ..]


5. Una conclusione (ancora) provvisoria

La perimetrazione dell’ambito di applicazione delle norme di contenimento della spesa pubblica, realizzata grazie al provvedimento annuale dell’Istat, esprime chiaramente la tendenza dello Stato a incentivare condotte virtuose al più ampio numero possibile di soggetti, anche solo latamente riconducibili all’arena delle organizzazioni pubbliche [72]. In una certa forma, tuttavia, la scelta di applicare automaticamente gli obblighi in materia di revisione della spesa agli enti indicati dall’Istat è espressione dell’inclina­zione del legislatore a cadere spesso in “tentazioni pubblicistiche”, allargando indiscriminatamente l’area delle pubbliche amministrazioni e, almeno in alcuni casi, invalidando le precedenti scelte legislative di privatizzazione di specifiche categorie di enti [73]. Nel caso delle federazioni sportive il pericolo di dare luogo a una privatizzazione tiepida, proprio in ragione della loro sottoposizione a norme di matrice marcatamente pubblicistica, è apparso subito piuttosto evidente. Del resto, le federazioni, come sottolineato in precedenza, si collocano per loro stessa natura in una posizione anomala, tra Stato e società, dovendo necessariamente conciliare la cura degli interessi dei propri associati con quella, più generale, degli interessi collettivi che attengono all’insie­me del fenomeno sportivo. E non casualmente, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, nella vita delle federazioni, specie di quelle più piccole e nelle sedi periferiche di esse, si scorge ancora una rilevante combinazione di professionismo e di volontariato, che rende difficile assimilare tout court tali soggetti ad altre amministrazioni, pur inserite nel medesimo provvedimento dell’Istat e sottoposte alle stesse regole. Il rischio di incidere negativamente sull’attività delle federazioni sportive, in virtù dell’applicazione trasversale delle norme sull’austerity, non è stato ignorato dal legislatore, il quale ha prima previsto una deroga provvisoria, di un anno, all’applicazione a esse delle norme sul contenimento della spesa [74] e poi, con la legge di stabilità per il 2016, ha reso permanente tale deroga [75]. L’intervento del legislatore, correggendo parzialmente le decisioni dell’Istat e la giurisprudenza sostanzialista della Corte dei [continua ..]


NOTE