Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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«Giusto processo» sportivo e tutela risarcitoria davanti al giudice amministrativo* (di Alberto Clini, Professore associato di Diritto amministrativo nell’Università di Urbino Carlo Bo.)


The paper aims to clarify how the «fair trial» principle is applicable to the entire sports justice system. In the relations between the national judge and the sporting judge, the possible violation of the principle of «fair trial» cannot lead to altering the criteria that separate the technical-sporting matter from the others that are relevant to the state system. With reference to the latter, the acceptance of a breach of the «right process» principle must be evaluated not through a formal or static reading of the procedural rules that may have been violated, but through a strict relationship between the violation and – correctness of the final decision taken.

SOMMARIO:

1. Premessa al tema - 2. Vincolo di giustizia sportiva e diritti processuali indisponibili - 3. L’esercizio della funzione giurisdizionale conforme al «giusto processo» - 4. Verso un modello di «giusto processo» sportivo - 5. Violazione del «giusto processo» sportivo e pretese risarcitorie - NOTE


1. Premessa al tema

Recentemente il giudice amministrativo si è occupato di valutare il rispetto dei canoni del «giusto processo» con riferimento allo svolgimento delle procedure contenziose celebrate dagli organi di giustizia sportiva [1]. Per quanto qui interessa, la vicenda processuale originava dall’aggressione verbale, consumata al termina di una gara, da parte di una giocatrice di pallavolo verso un tecnico federale, reiterata, nei giorni successivi, anche mediante i social network; l’atleta veniva quindi sanzionata con una sospensione di sei mesi [2]. Dopo aver percorso tutti i gradi della giustizia sportiva fino all’Alta Corte di Giustizia sportiva, senza ottenere l’annullamento della sospensione inflitta, l’interessata si rivolgeva al giudice amministrativo per ottenere, previo annullamento incidentale dei pronunciamenti del giudice sportivo, il risarcimento del danno per violazione – tra le altre norme – degli artt. 24 e 111 Cost. Il Tar Lazio accoglieva la domanda risarcitoria in ragione della perdita di chance, della risoluzione di contratti in corso e della lesione all’immagine della pallavolista, sulla accertata lesione dei canoni dettati dal «giusto processo», in quanto «i provvedimenti impugnati hanno determinato la lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) che non appartiene, per precetto costituzionale, alla categoria dei diritti disponibili» [3]. In sede di gravame, il Consiglio di Stato – pur confermando la validità dell’im­pianto di partenza, per cui (specialmente dopo l’acquisizione costituzionale del principio del «giusto processo») non è dato alla giustizia sportiva (al pari di ogni disciplina processuale) prescindere da un’effettiva esplicazione dei diritti processuali fondamentali, la cui lesione può pertanto essere sempre fatta valere dinnanzi al giudice dello Stato – procedeva tuttavia alla riforma della sentenza di primo grado attraverso l’ado­zione di una differente prospettiva processuale, consistente – fondamentalmente – nella intervenuta violazione (da parte della pretesa azionata dalla sanzionata) del vincolo di strumentalità funzionale, che contraddistingue i raccordi di tutela tra la giustizia sportiva e quella statale [4]. Quanto invece alla violazione dei parametri sul «giusto processo», il giudice di appello non [continua ..]


2. Vincolo di giustizia sportiva e diritti processuali indisponibili

Come risaputo, con il d.l. n. 220/2003 convertito nella legge n. 280/2003, si è proceduto ad indicare i criteri di riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice statale attraverso una tripartizione delle forme di tutela, sicché (i) i rapporti di carattere patrimoniale tra persone giuridiche sportive e atleti sono demandati al giudice ordinario; (ii) le controversie sulle norme tecnico-sportive e sulle sanzioni disciplinari vengono riservate agli organi di giustizia sportiva; (iii) infine, una terza forma di tutela viene ritagliata, in termini tendenzialmente residuali, all’interno della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo relativa ad «ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2» (art. 3, comma 1, d.l. n. 220/2003) [7]. In breve, l’assetto legislativo concernente la risoluzione delle controversie in ambito sportivo pare recepire i postulati del primato del diritto sportivo, in quanto l’art. 1 riconosce «l’autonomia dell’ordinamento sportivo, quale articolazione dell’ordina­mento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale», e, pertanto, afferma che «i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia», fatto «salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo» [8]. Conseguentemente, all’art. 2 si riserva all’ordinamento sportivo (e ai propri organi di giustizia sia federali che del CONI) «a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive» [9]. Come altrettanto noto, non sono mancate numerose critiche rivolte verso tale assetto, mosse sostanzialmente dalle forti perplessità sulle previsioni di una riserva a favore della giustizia sportiva su materie che possono incidere, anche [continua ..]


3. L’esercizio della funzione giurisdizionale conforme al «giusto processo»

Come noto, la riforma dell’art. 111 Cost. (legge cost. 23 novembre 1999, n. 2), rappresenta, per così dire, l’epilogo di un articolato percorso diretto a consacrare l’im­manenza del principio del «giusto processo» nell’esercizio della funzione giurisdizionale all’interno del nostro ordinamento [13]. Peraltro, notevole impulso è stato dato dall’apporto della Corte costituzionale, anticipando in numerose sentenze la valenza del principio del «giusto processo», quale parametro di legittimità della legge processuale, sulla duplice sponda riferita alla connessione imprescindibile tra giurisdizione e «giusto processo» ed al richiamo della Convenzione europea del 1950 [14]. Del resto, la formula espressiva del principio risente non solo di un antico ascendente nella tradizione angloamericana del due process of law ma, come appena ricordato, della disposizione sull’equo processo (procès équitable o fair trial nelle lingue ufficiali) contenuta nell’art. 6 CEDU [15]. La consacrazione espressa del «giusto processo», formalmente inserito come cardine nella nostra Costituzione, diviene pertanto un criterio oggettivo di esercizio della funzione giurisdizionale, che catalizza necessariamente ogni forma di celebrazione pro­cessuale nel contemperamento delle esigenze di celerità del rito con la cognizione piena della causa, in un luogo che garantisca il contraddittorio delle parti in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale [16]. Occorre tuttavia precisare come il nuovo paradigma costituzionale, proprio per la valenza conformativa che riveste verso ogni forma di procedura giurisdizionale, non si presenta come un modello rigido rispetto alle singole discipline processuali: dal complessivo tenore letterale del riformato art. 111 Cost., difatti, si evince un riconoscimento simultaneo all’unità e alla differenziazione della jurisdictio, nel senso che il relativo esercizio, pur non potendo disattendere ad alcune fondamentali garanzie comuni ad ogni forma di processo (commi 1, 2 e 6), ammette particolari declinazioni in relazione al tipo di materia, come nel caso del giudizio penale (commi 3-5) [17]. Dalla esegesi dei primi due commi, è possibile scandire alcuni passaggi ben precisi, che si dispiegano nell’esercizio costituzionalmente orientato della [continua ..]


4. Verso un modello di «giusto processo» sportivo

Le considerazioni appena espresse, seppure estrapolate dalla cornice costituzionale italiana, possono fornire una chiave ermeneutica di portata generale, valida anche per il modello processuale sportivo per come delineato nel recente Codice di giustizia [26]. Non solo, ma l’intento espresso dall’art. 1 CGS nel prevedere un’estensione del principio a tutto il contenzioso interno all’ordinamento sportivo (dai procedimenti di giustizia endofederale a quelli davanti al Collegio di garanzia dello sport presso il CONI), intende chiaramente assicurare una piena conformità del Codice al principio del «giusto processo» e – con essa – dell’intero sistema di giustizia sportiva [27]. Quanto invece al contenuto delle disposizioni che accolgono il principio in parola, non pare sussistere alcun dubbio sul completo recepimento dei canoni di cui all’art. 111 Cost., come del resto recentemente ribadito dal Collegio di Garanzia dello Sport in merito al dovere di tutti i giudici sportivi di uniformarsi a tale principio sia nella conduzione delle singole procedure che nelle caratteristiche assunte dalle rispettive decisioni (sez. I, 15 febbraio 2016, n. 8) [28]. L’art. 2 del Codice, difatti, non sottrae alcun procedimento di giustizia al rispetto della parità delle parti e del contraddittorio, nonché dei restanti corollari del «giusto processo» (vale a dire, dal ruolo terzo e imparziale del giudice, alla motivazione delle decisioni, alla ragionevole durata di ogni giudizio). Come già ricordato, tutte le componenti racchiuse nel principio sul «giusto processo» non assumono un significato univoco, ma risentono, all’interno di ogni disciplina processuale, di applicazioni differenti salvo il limite non superabile di frustrarne il con­tenuto. Se dunque anche le procedure svolte davanti agli organi di giustizia sportiva non possono esimersi dal rispetto del «giusto processo», occorre ora muovere qualche cenno sulla pregnanza e sulle declinazioni che esso può assumere all’interno delle specificità di tale ordinamento. Gli elementi da cui partire configurano una procedura ispirata ad esigenze di celerità e flessibilità del rito (artt. 2, 9 CGS), funzionale alla risoluzione di una lite insorta tra le parti, decisa da un soggetto terzo e imparziale, in applicazione delle norme giuridiche [continua ..]


5. Violazione del «giusto processo» sportivo e pretese risarcitorie

Dopo aver descritto un essenziale inquadramento sul principio del «giusto processo» ed osservato i riflessi che da esso discendono sul terreno proprio della giustizia sportiva, è possibile ora formulare qualche riflessione generale sulle eventuali pretese risarcitorie che ne conseguono. Si intende valutare, come anticipato, l’ambito dei poteri cognitori del giudice amministrativo in riferimento all’osservanza del principio del «giusto processo» da parte degli organi di giustizia sportiva. L’indagine deve quindi procedere, all’interno del quadro dogmatico ricostruito, attraverso un’articolata riflessione, necessaria, per un verso, a determinare l’intensità di un siffatto scrutinio e, per altro, a delineare – limitandoci ad alcune osservazioni sempre generali –quali siano i parametri attraverso i quali si possa accertare o meno una violazione del «giusto processo». Quanto al primo profilo, occorre domandarsi se il principio del «giusto processo» è sindacabile per ogni procedimento di giustizia sportiva o se la sua rilevanza non possa estendersi al di fuori della giurisdizione esclusiva riconosciuta al giudice amministrativo. Si tratta delle decisioni rese dalla giustizia sportiva in applicazione di regole (meramente) tecniche (come ad esempio ai fini dell’acquisizione dei risultati delle competizioni agonistiche) dalle quali, per giurisprudenza statale consolidata, non emergono lesioni che possano assumere la consistenza di diritti soggettivi o di interessi legittimi [38]. La questione pertanto non appare lineare, atteso che ad un più approfondito esame si colgono implicazioni che rischiano – se non interpretate e soprattutto applicate coerentemente – di insidiare il criterio della irrilevanza nel sistema di riparto tra competenza statale e sportiva. L’actio finium regundorum tra queste due realtà affonda le proprie radici nella ben nota teorizzazione della pluralità degli ordinamenti giuridici, dalla quale si suole far originare anche la declinazione dei rapporti, variamente interpretati, tra l’ordinamento statale e quello sportivo [39]; sicché, come già visto, se al primo viene riconosciuta un’au­tonomia in termini di regolazione sportiva tecnico-disciplinare (compresa la funzione di tutela inerente tali materie) al secondo non è precluso [continua ..]


NOTE