Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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La responsabilità civile sportiva: esegesi, struttura e profili applicativi con particolare riferimento a una gara ciclistica amatoriale (di Filippo Bisanti, Specializzato nelle professioni legali.)


The court of Cassino, in the noted sentence, clarifies the concept of sporting civil liability, specifying the notion of culpable liability, in a case that occurred in an amateur cycling race.

Tribunale di Cassino, 8 novembre 2017 – Giud. C. Fassari Si configura la responsabilità aquiliana in capo al ciclista che, nel corso di una gara amatoriale, cambi improvvisamente la propria traiettoria impattando contro un avversario, allorquando la manovra sia stata eseguita in violazione delle prescrizioni dettate dal regolamento federale di categoria e/o sia stata connotata da contrarietà alle regole dell’ordinaria diligenza, purché non sia ravvisabile un collegamento funzionale tra la condotta e la finalità sportiva. La responsabilità sportiva, nonostante sia da ricondursi alla fattispecie generale prevista all’art. 2043 c.c., è connotata da peculiarità derivanti dalla disciplina di riferimento dettata sia dai regolamenti delle singole Federazioni sia dalla legislazione ordinaria. Pertanto, pur non trattandosi di una responsabilità autonoma e ulteriore rispetto a quella dell’ordinamento giuridico statale, il concetto di colpa deve essere valutato (anche) alla stregua dei criteri caratterizzanti l’attività sportiva e, in particolare, al rispetto delle regole tecniche e al rischio sportivo. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI CASSINO SEZIONE CIVILE in persona del Giudice Dott. Claudio Fassari, all’udienza del 30/10/2017, lette le conclusioni rassegnate dalle parti, udita la discussione orale, visto l’art. 281 quinquies c.p.c., deposita la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2746 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2012 e vertente TRA C.M, rappresentato e difeso dall’Avv. A. F. del foro di Roma, ed elettivamente domiciliato in (…), presso lo studio dell’Avv. E. P., in forza di mandato in atti Attore E D.F., rappresentato e difeso dall’Avv. C. A. presso il cui studio in (…) Sora è elettivamente domiciliato, giusta mandato in atti, Convenuto E A.A. S.p.A. (già C.A. S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. R. R. presso il cui studio in Via E. De Nicola, Cassino ha eletto domicilio come da mandato in atti Terza chiamata OGGETTO: lesione personale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO In rito vale evidenziare che la recente riforma del processo civile intervenuta con L. 18 giugno 2009, n. 69, ha modificato, tra l’altro, l’art. 132 c.p.c. ed il correlato art. 118 disp. att. c.p.c., disponendo, in relazione al contenuto della sentenza – art. 132, n. 4, c.p.c. –, che la motivazione debba esprimere una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto e della decisione, e non più lo svolgimento del processo, per cui devono immediatamente enunciarsi i MOTIVI DELLA DECISIONE Come emerge dalla lettura degli atti, oggetto della domanda è il riconoscimento del danno patito dal Sig. M.C. nel corso di una gara ciclistica amatoriale a [continua..]
SOMMARIO:

1. Riflessioni introduttive - 2. Il caso - 3. La responsabilità civile sportiva: esegesi e struttura - 4. Il concetto giuridico di colpa e la sua applicazione in ambito sportivo - 5. La decisione - 6. Conclusioni


1. Riflessioni introduttive

«Scendere in campo» è una locuzione sovente utilizzata per esprimere l’imminente inizio di una competizione sportiva. Un atleta, udite tali parole e scolpito il relativo messaggio nella propria mente, si irradia della volontà di profondere ogni energia per il raggiungimento di un risultato positivo e fedele alle sue aspettative. La fase che precede il fischio dell’arbitro, il colpo di pistola a salve dello starter e ogni altro segnale che decreti l’avvio alla gara, è caratterizzata da un momento di profonda riflessione in cui la vis agonistica non tarda a far percepire la sua energia, innescando così in ogni giocatore la concentrazione necessaria per competere. Seppure la forza e la determinatezza siano elementi impliciti nelle più comuni discipline sportive (si pensi al gioco del calcio, alla pallacanestro o, come nel caso in esame, al ciclismo), tali connotati salienti non possono che tradursi in gesti sportivi conformi sia alle regole del gioco imposte dalla disciplina federale di riferimento sia ai criteri di ordinaria diligenza, prudenza e perizia. Invece, non di rado accade che gli atleti, travolti dalla foga della contesa e dalla voglia di primeggiare, si sentano legittimati ad adottare dei gesti sportivi istintivi, spesso incauti, per avere la meglio nei confronti di un avversario. Ne discende un esponenziale aumento delle possibilità che le competizioni sportive creino il terreno fertile per l’insorgere di condotte generatrici di danni giuridicamente rilevanti, con conseguente instaurazione di conteziosi di matrice civile che approdano al vaglio dell’in­terprete, chiamato a dover valutare un fatto peculiare giacché verificatosi nel corso di una competizione e non ricollegabile alla mera responsabilità del passante (in tal modo si descrive l’ordinario principio del neminem laedere disciplinato dall’art. 2043 c.c.). Il compito primario del giudice, prima di formulare considerazioni di diritto in ordine al fatto materiale, è dunque di inquadrare l’accadimento nel suo complesso, per valutare se l’epi­sodio occorso durante una gara (come nel caso in esame, di lesioni personali) possa effettivamente interessare la giustizia ordinaria e non risolversi esclusivamente in un illecito sportivo disciplinato e sanzionato dai regolamenti federali. Sovente non è agevole tracciare il labile confine tra [continua ..]


2. Il caso

Nel corso della gara amatoriale denominata «Gran Fondo Monti Ausoni», l’attore M.C., in sella alla propria bicicletta, stava pedalando allorquando la sua traiettoria veniva intercettata dal repentino cambio di direzione di un avversario, il convenuto F.D. A seguito della caduta, l’attore riportava delle lesioni e, per accertarne la responsabilità, citava in giudizio F.D. asserendo che la condotta fosse stata trasmodante il gesto sportivo e pertanto idonea a integrare un illecito aquiliano, fondando la propria pretesa ex art. 2050 c.c. e/o comunque ai sensi della clausola generale sancita dall’art. 2043 c.c. Resisteva il convenuto lamentando esclusivamente la genericità della domanda senza, al contempo, contestarne i fatti enunciati. Preliminarmente è d’uopo stabilire, pertanto, quale fosse la dinamica del sinistro come accertata giudizialmente. Sul punto, tramite una breve disamina circa la struttura e operatività dell’art. 115 c.p.c. – ovvero del principio di non contestazione (istituto che per ovvie ragioni non sarà oggetto di commento) – il Tribunale cristallizzava la fattispecie concreta, appurando come «l’impatto tra i due corridori è avvenuto a seguito del cambio di traiettoria operato dal convenuto, che ha terminato la sua corsa collidendo con la bici dell’odierno attore». Non solo, rilevava il Tribunale che «nulla al riguardo ha, peraltro, riportato il convenuto D. nel proprio atto difensivo, spiegando le ragioni della propria condotta, né sono stati indicati testi che abbiano illustrato le ragioni della condotta di costui». Ciò detto, le valutazioni di diritto per giudicare la fondatezza delle pretese dell’attore hanno implicato l’analisi della struttura della responsabilità civile sportiva con particolare riguardo al concetto di colpa (sportiva). Invero, è dato storicamente innegabile che le parti erano intente a gareggiare tra loro in un percorso ciclistico regolamentato: l’indagine giudiziaria di conseguenza non si doveva limitare a una mera sussunzione della fattispecie nell’ordinario istituto della responsabilità extracontrattuale, ma era altresì tenuta a vagliare le peculiarità del fatto, avvenuto durante lo svolgimento di competizione sportiva ciclistica.


3. La responsabilità civile sportiva: esegesi e struttura

La comprensione dell’iter argomentativo tracciato dal giudice nell’annotata sentenza presuppone e impone una ricognizione dell’esegesi e della struttura dell’illecito aquiliano e poi la sua declinazione oggi nota nei termini di responsabilità civile sportiva. La sedes materiae (valevole per entrambe come si apprezzerà nel prosieguo) si rinviene all’art. 2043 c.c., clausola generale dell’ordinamento per cui «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». Sul tema ci si limita a porre alcune brevi considerazioni preliminari. L’illecito aquiliano è ontologicamente atipico, siccome il legislatore non ha elencato specificatamente tutte le plausibili ipotesi per cui un danno debba intendersi come ingiusto. L’ingiustizia [del danno] è dunque un requisito determinante per poter individuare quale pregiudizio possa essere ammesso al risarcimento e, succintamente, si può affermare che il danno ingiusto sia una lesione di un interesse giuridicamente rilevante per l’ordinamento. L’art. 2043 c.c. ha natura primaria poiché non appresta una sanzione per violazione di norme sancite altrove, bensì pone esso stesso il precetto di neminem laedere, prescrivendo la risarcibilità delle evenienze lesive in caso di violazione del medesimo precetto, ove la disobbedienza si sia tradotta nel vulnus di un interesse meritevole di protezione alla luce dell’ordinamento giuridico [1]. Appare evidente che la concezione così formulata, come osservato in dottrina, abbia sicuramente aperto la strada a una giurisprudenza «minacciosamente autoreferenziale, arbitrariamente creativa delle più varie ipotesi di responsabilità extracontrattuale» [2]. Il pericolo di una eccessiva espansione della latitudine applicativa della norma è stato arginato – e lo è tuttora – dalle interpretazioni delle Corti di merito e di legittimità, particolarmente solerti nel negare pretese risarcitorie prive di fondamento (riecheggia in ogni manuale di diritto la nozione di danno bagatellare). Tuttavia, è innegabile che l’esperienza dogmatica e giurisprudenziale, al contempo, abbia consentito di fornire protezione e ristoro a proteiformi situazioni giuridiche. Tanto chiarito in via di premessa, la [continua ..]


4. Il concetto giuridico di colpa e la sua applicazione in ambito sportivo

Quanto alla struttura, la responsabilità civile sportiva si compone anch’essa di un fatto materiale, dell’ingiustizia del danno e dell’esigenza di poter muovere un rimprovero a colui che lo abbia commesso. Il vocabolo colpa è puntualmente espresso in una moltitudine di disposizioni del codice civile, eppure la sua definizione si scopre all’art. 43 c.p. per cui «[il delitto] è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline». L’impostazione tradizionale concepiva la colpa in termini soggettivi, intesa come atteggiamento psichico riprovevole, valutato sul modello penalistico, ossia mediante una concreta analisi basata sulla personalità e sulla psicologica dell’agente; il sistema della responsabilità civile era incardinato proprio sul principio della colpa, intendendo per fatto illecito ogni violazione di un dovere, di fonte volontaria o legale, commessa non iure e accompagnata da uno stato soggettivo dell’agente qualificabile come colpevole [9]. Il progressivo (e necessario) divario formatosi tra l’illecito civile e la responsabilità penale ha condotto a una nuova presa di coscienza in ordine al concetto di colpa, non più declinata come mero stato soggettivo dell’agente, bensì pensata come un metro oggettivo di valutazione di un comportamento. Il parametro consente di verificare l’obiettiva difformità della condotta concretamente tenuta rispetto ai criteri codificati o comunque desumibili dal dovere di diligenza che l’homo eiusdem condicionis et professionis deve osservare. La dottrina moderna accoglie la c.d. «teoria mista» della colpa, connotata da una duplice valenza: oggettiva, giacché esprime la condotta violatrice della regola cautelare obiettiva; soggettiva, perché ne fa parte anche la capacità soggettiva dell’agente di osservare tale regola [10]. Il nomen iuris attribuito esplicitamente dall’art. 43 c.p. considera la colpa come un comportamento imperito, imprudente o negligente (in caso di colpa generica) oppure inosservante di leggi, regolamenti, ordini, discipline e precetti dell’autorità (colpa specifica). Generalmente si distingue tra [continua ..]


5. La decisione

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale accoglieva la domanda attorea e condannava il convenuto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo nella sola accezione del danno biologico non personalizzato (non vi era prova per discostarsi dalla determinazione acquisita con ricorso ai criteri tabellari del danno biologico). Secondo il prudente apprezzamento del giudice, l’evento occorso era da qualificare come frutto di una maldestra, incurante e superficiale considerazione delle conseguenze del cambio di direzione operato dal ciclista più che una scelta sportiva funzionale al raggiungimento di un obiettivo di gara. Per giungere alla dichiarazione di responsabilità in seno all’art. 2043 c.c. si è dapprima reso necessario dissipare taluni dubbi interpretativi, così riassumibili: a) se lo sport esercitato fosse sussumibile nel concetto di attività pericolosa ex 2050 c.c.; b) se fosse possibile individuare il collegamento funzionale tra la condotta e la precipua finalità sportiva; c) se, da ultimo, fosse ipotizzabile, nella condotta del convenuto, un’imputazione soggettiva di responsabilità. In ordine al primo quesito, ovvero se il ciclismo fosse considerabile un’attività pericolosa, il giudice individuava una difformità con ciò che invece atteneva alla nozione di pericolosità sportiva. Come noto, l’art. 2050 c.c. prevede che «chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno». Per l’applicazione di siffatto regime di responsabilità è allora necessario non porre riferimento a un singolo atto isolato che possa dirsi pericoloso, ma è indispensabile che il fatto dannoso si inserisca in un’attività che abbia una certa continuità e predisposizione di mezzi. Peraltro, la valutazione della pericolosità deve essere effettuata non ex post con un giudizio basato sulla gravità del danno, ma ex ante mediante una valutazione statistica discendente da una precisazione legislativa o dalla natura dell’attività medesima. Benché nella casistica giurisprudenziale si possano identificare sport ritenuti attività pericolosa [continua ..]


6. Conclusioni
Fascicolo 1 - 2018