Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Responsabilità derivante dall´utilizzo di metodi o sostanze dopanti* (di Enrico Antonio Emiliozzi, Professore associato di Istituzioni di diritto privato presso l’Università degli studi di Macerata. Massimiliano Zampi, Ricercatore di Medicina legale presso l’Università degli studi di Macerata.)


Compensation for damages from the use of doping substances or methods has a compensatory and punitive function. Complementary aspect is that related to controls on athletes, the right taking of biological samples and subsequent laboratory tests to demonstrate the condition of doping.

SOMMARIO:

1. Profili civilistici relativi alla responsabilità da doping - 2. Profili tossicologico forensi e problematiche relative all’accertamento, ai controlli e al prelievo e utilizzo dei campioni biologici dall’atleta - NOTE


1. Profili civilistici relativi alla responsabilità da doping

In Italia, una disciplina specifica per la repressione dell’utilizzo di metodi o sostanze dopanti si è avuta solo con la legge 14 dicembre 2000, n. 376. Anche se essa ha l’obiettivo primario di tutelare la salute di coloro che praticano attività sportiva, tuttavia, ha rappresentato, fin da sùbito, un forte deterrente all’uso di sostanze dopanti nell’esercizio dell’attività sportiva. Infatti l’art. 9 prevedeva conseguenze di carattere penale per chiunque procuri ad altri, somministri, assuma o favorisca comunque l’u­tilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricomprese nelle classi previste dall’art. 2, comma 1, della stessa legge n. 376/2000, qualora ciò non sia giustificato da condizioni patologiche e provochi la modifica delle condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero di modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze [1]. Prima di tale intervento legislativo, l’opera di contrasto all’uso del doping da parte degli atleti, era avvenuta con la legge 26 ottobre 1971, n. 1099, la quale puniva, con una sanzione di natura pecuniaria, coloro che, per modificare artificialmente le proprie energie naturali, facevano uso di sostanze che potessero risultare nocive. La natura esclusivamente pecuniaria della sanzione costituiva, tuttavia, un decisivo limite alla efficacia preventiva e dissuasiva della norma verso la pratica dell’uso del doping, che era divenuto ancor più evidente in seguito alla legge 24 novembre 1981, n. 689, la quale ha depenalizzato la fattispecie contravvenzionale in esame, riducendola ad un illecito amministrativo. Un’altra fonte normativa utilizzata prima che la legge n. 376/2000 colmasse il vuoto legislativo in materia è la legge 13 dicembre 1989, n. 401 [2], che era stata introdotta nel nostro ordinamento soprattutto con lo scopo di combattere la pratica delle scommesse clandestine nel mondo dello sport. In particolare, tale legge stabilisce, nell’art. 1, che: «Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall’Unione Italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE) [continua ..]


2. Profili tossicologico forensi e problematiche relative all’accertamento, ai controlli e al prelievo e utilizzo dei campioni biologici dall’atleta

Il doping è da considerarsi pratica pericolosa per la salute psicofisica dell’atleta, nonché contraria ai principi di etica sportiva. Questo duplice aspetto deve essere valutato all’interno dei due Ordinamenti interessati, quello sportivo e quello statuale, che contribuiscono a distinguere e a differenziare gli organismi preposti ai controlli antidoping, le procedure adottate e la scelta delle tecniche e dei campioni da sottoporre ad analisi [21]. A riguardo, differenti sono anche le finalità che i due Ordinamenti si prefiggono, quello sportivo è prevalentemente interessato alla regolarità della competizione secondo i principi di lealtà e correttezza, vietando, dunque, l’uso di mezzi fraudolenti ed in questo caso l’illecito disciplinare è di esclusiva competenza degli organi di giustizia sportiva, mentre l’Ordinamento dello Stato è posto a salvaguardia e tutela della salute di quei soggetti che, atleti o semplici praticanti, utilizzano sostanze o metodi di doping. La duplice valenza che, dunque, sembra contraddistinguere la normativa inerente il fenomeno doping conduce a riconsiderare anche il momento in cui la condizione fraudolenta di alterazione si configura, una condizione che si realizzerebbe a seguito del­l’assunzione o somministrazione di sostanze o sottoposizione a metodi proibiti che vanno a modificare le condizioni psicofisiche dell’atleta, anche in ragione della loro natura potenzialmente lesiva [22]. La legge n. 376/2000 [23] predispone delle classi di farmaci e sostanze dopanti biologicamente o farmacologicamente attive e/o pratiche mediche, approvate con decreto del Ministero della Sanità, una classificazione che tiene anche conto delle disposizioni previste dalla Convenzione di Strasburgo e dal CIO, nonché della Convenzione Unesco, ratificata in Italia con legge 26 novembre 2007, n. 230. La ripartizione di farmaci e sostanze avviene sulla base delle caratteristiche chimico-farmacologiche dei singoli composti, mentre quella delle pratiche mediche vietate è determinata in base ai rispettivi effetti fisiologici. Dette classi sono sottoposte a periodica revisione e integrazione. Una prima criticità riguarda l’accertamento analitico e, in particolare, la scelta delle tecniche da utilizzare per le analisi di rilevamento delle sostanze, tecniche che risultano estremamente complesse, come [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2018