Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Sulle scaturigini della associazione sportiva Roma * (di Marco Impiglia, Giornalista pubblicista.)


For decades, the foundation date of the Associazione Sportiva Roma was identified on July 22, 1927, and then it passed to June 7, 1927, as recently formalized by the same yellow and red club. But the truth may be another. A statute from 1951, recently founded in the Federbaseball archives, reveals a different story. It tells us that Associazione Sportiva Roma was born on May 2, 1927. The article proposes an hypothesis that accounts for the complex political mechanisms that were at the basis of the foundation.

SOMMARIO:

1. La Carta di Viareggio - 2. Italo Foschi dirigente della FIGC e il sogno del club romano competitivo nel football - 3. L’esistenza di un antico statuto presso la Federazione Baseball - 4. La genesi politica della AS Roma - 5. La gestione della data di nascita della “Roma” - NOTE


1. La Carta di Viareggio

Il calcio professionistico è un ottimo e classico banco di prova di alcune tendenze di fondo dello spirito pubblico e degli assetti istituzionali. In specie da quando il football da passatempo amatoriale è divenuto fenomeno popolare, raggiungendo i caratteri di una delle prime industrie nazionali. Un processo iniziato negli anni Venti del secolo ventesimo. Nel gennaio del 1952 il giornalista e saggista Carlo Doglio, nell’ambito di un’indagine sui problemi dello sport in Italia, scriveva riguardo al settore calcio:

«In Italia gli iscritti alla FIGC sono circa 100.000, e più di 4.000 le società regolar­mente affiliate. Di queste, 122 (le 20 di Serie A, le 20 di Serie B, le 72 di Serie C; e bi­sognerebbe aggiungerne parecchie del Campionato di Promozione e di quello di Prima Divisione) si basano esclusivamente sul professionismo, che deve dare da vivere a più di 2.000 atleti. Eppure, questi ultimi non hanno, praticamente, nessuno status professionale: per quanto la Magistratura sia ormai concorde nel ritenere che il rapporto tra calciatore e Società è un rapporto di lavoro subordinato, un articolo del regolamento della Federcalcio commina la squalifica a vita per chi si permetta di adire i tribunali in caso di controversia; è solo la FIGC che giudica e manda. Cioè soltanto l’organismo dei datori di lavoro, dei proprietari... E che si tratti di veri e propri padroni risulta chiaro dal­l’esistenza del vincolo: “le sembrerà incredibile” mi diceva l’avvocato Masera, ex giocatore di buon nome e attuale segretario della AIC (Associazione Italiana Calciatori) “ma il calciatore è un lavoratore che non può mai dimettersi, può solo essere licenziato; non ha diritto di recesso, mai, dal giorno che firmò il primo cartellino che lo legava alla più modesta società di provincia, a meno che non rimanga volontariamente inattivo per due anni”. Nessuna Società tra quante ho visitato si sogna di “poter narrare la propria storia” economico-sociale post 1926-27. Fino ad allora l’aneddotica cita anche i centesimi, dopo silenzio assoluto: incomincia quella serie di trucchi e di inganni che porta oggi a bilanci di molte centinaia di milioni sostenuti da un giro cambiario calcolabile intorno al miliardo» [1].

È opportuna una spiegazione sulla data: 1926-27. La stagione 1926-27 registrò l’entrata in vigore della Carta di Viareggio, un codice di regolamenti col quale le gerar­chie fasciste misero mano al sistema calcio, avviandolo nel recinto del novus ordo col­l’intento di nazionalizzare il gioco. Secondo il saggista inglese Simon Martin, la Carta rimane the most significant act in the history of calcio [2]. Un contemporaneista dello spessore di Antonio Papa, alcuni anni or sono, ha scritto che l’intervento del Regime sul calcio «coincise pienamente con le istanze di modernizzazione dello sport italiano, quando le molteplici realtà del calcio furono sottoposte a un processo di concentrazione e unificazione» [3]. Nel giugno del 1926 furono in effetti gli arbitri a scagliare il sasso, denunciando la caotica situazione in cui si trovava il mondo del pallone, scosso dalle violenze del tifo e diviso all’interno da una invincibile ed egoistica dialettica distruttrice. Essi proclamarono lo sciopero. Intervenne Lando Ferretti, l’uomo che nel di­cembre del 1925 aveva ristrutturato il CONI, imponendo agli sportivi il saluto fascista e trasformando l’ente dal suo ruolo originario di organizzatore delle spedizioni olimpiche in una dipendenza del Partito, organicamente funzionale al coordinamento dello sport nazionale, federazioni e società, in rapporto con le altre istituzioni di marca fascista preposte alla pratica sportiva nella scuola e nel dopolavoro, oltre che nell’eserci­to. Ferretti bloccò lo sciopero, esautorò la rissosa presidenza della FIGC, pose il governo del calcio sotto la reggenza straordinaria della Federazione delle Federazioni Sportive. Nella sua qualità di presidente del CONI, invitò gli esponenti delle parti in causa attorno a un tavolo, dapprima a Roma (27 luglio 1926) e poi a Viareggio. Il lunedì 2 agosto, all’indomani della finale a Milano della Lega Nord tra la Juventus e il Bologna, ebbe luogo la riunione decisiva per la modifica delle carte federali. Il documento che ne emerse si articolò su vari punti. In primis, la suddivisione dei campionati secondo un criterio economico-geografico. In forza di un’analisi statistica e valutativa preparata da una commissione di esperti – l’avvocato milanese Giovanni Mauro, l’ingegnere bolognese Paolo Graziani e il gerarca abruzzese Italo Foschi – venne creata una Divisione Nazionale a venti squadre in due gironi. Le divisioni inferiori restarono a carattere interregionale e regionale, così che il campionato 1926-27 prese le forme, si direb­be oggi, di una regular season, da ottobre a giugno con i play off in estate.

Sulla delicata questione della riforma della figura professionale del calciatore, Viareggio produsse un compromesso che avrebbe influenzato negativamente lo sviluppo del football nostrano. I giocatori furono divisi in dilettanti e non dilettanti. In omaggio alla sofistica deliberazione della FIFA, secondo cui non era da considerarsi un dilettante l’atleta che riceveva un indennizzo per il «mancato guadagno», la FIGC ufficializzò uno stato di fatto, vale a dire la presenza nelle divisioni superiori di tesserati che tutto erano meno che puri dilettanti. Non si arrivò, però, a chiudere il cerchio, a definire chiaramente i calciatori come professionisti, con tutte le conseguenze del caso: giuridiche, economiche e sindacali. Si lasciò aperta la porta alla transizione. Come osservò all’epoca il giornalista Bruno Roghi, la mancata ufficializzazione del professionismo costituiva «l’autentica molla compressa» della Carta di Viareggio: il riconoscimento della legittimità tecnica e morale del compenso ai giocatori sarebbe stato il passo successivo verso un modello organizzativo di stampo inglese, con le società più forti che avrebbero trasformato le gare in spettacoli a base professionistica. L’ipocrisia del “professionismo marron” servì a tenere buoni i club minori, le squadre di provincia, garantendo al contempo la costanza dell’impegno dei migliori talenti ingaggiati dalle squa­dre delle grandi città. Ed invero questo accadde nei tre lustri a seguire, anche se il paradigma britannico auspicato dai club maggiori non fu mai raggiunto. Il professionismo ufficializzato come semi-dilettantismo rimarrà un carattere peculiare del calcio sotto il fascismo, e da esso dipenderà il pressapochismo della sua amministrazione. Un aspetto, questo della incompleta razionalizzazione del gioco operata durante il Ventennio, che lascerà un retaggio ben più pesante che non le retoriche esteriorità littorie e l’in­voluzione antidemocratica degli organi federali [4].

Viareggio disegnò dunque un sistema agonistico meritocratico secondo un’imposi­zione politica, tema che si ripropose stagione dopo stagione fino al varo della Serie A nel 1929-30. Stabilì la nomina dall’alto dei dirigenti federali, regolando la nascente “industria-calcio” nell’ambito dell’intrapresa privata e lasciandola in mano ai mecenati. Artefici di un tale indirizzo furono alcuni dirigenti, quasi tutti provenienti dalle regioni settentrionali, guidati dal nuovo presidente della FIGC Leandro Arpinati. Il temuto ras di Bologna si distingueva come una delle figure politiche di spicco, in rapida ascesa, ben connesso con il tessuto imprenditoriale, consapevole delle grandi potenzialità del ruolo istituzionale del Partito. Assurto a incarichi dirigenziali di vertice, in una carriera che lo proietterà alla presidenza del CONI e ai successi olimpici degli anni Trenta, prima di essere vittima delle faide interne al Partito, si premurò di non toccare il sistema delle nomine interne alle società attuato a votazione segreta. Fu lui il garante scelto da Benito Mussolini per adeguare ai tempi nuovi, senza alterare più di tanto, un impianto economico che cominciava a consolidarsi [5]. Il problema dei troppi calciatori stranieri venne risolto con l’embargo verso di essi, mentre fu concessa l’entrata ai cosiddetti «oriundi»: la possibilità ai figli degli emigrati in Sud America di optare per la pa­tria d’origine e ottenere la doppia cittadinanza. In grazia di un siffatto meccanismo, il Regime sostituì i calciatori mittel-europei con i rimpatriati [6]. Significativo – e aderente alla visione estetica che Mussolini aveva dell’Uomo Nuovo [7] – fu pure il tentativo di rendere eclettici i calciatori, con l’istituzione, nel dicembre del 1927, del «brevetto atletico» obbligatorio [8].

La Carta di Viareggio affrontò due altri problemi ritenuti urgenti: 1) inserire ai vertici competitivi le formazioni del centrosud; 2) fondere tra di loro i club in difficoltà al fine di costituire società di calcio finanziariamente più solide e con un’impronta polisportiva, ovviamente fedeli al fascismo e ossequienti al controllo che cominciava ad assumere su tutti gli aspetti della vita pubblica. Dal 1926 al 1928, furono così decine le società di nuovo conio che sorsero nelle città, al settentrione come al meridione. Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo: nessun centro urbano importante si sottrasse alla logica premiante della fusione e dell’accorpamento, talora dell’assorbimento. Ogni situazione locale ebbe comunque un suo decorso specifico. Ci furono fusioni che trovarono tutti più o meno d’accordo, ad esempio la costituzione della AC Fiorentina (1926) [9], della AC Napoli (1926) [10], della Bologna Sportiva (1927) [11] o del Palermo FC (1928) [12]. A Torino, i granata del Torino FC e i bianconeri dello Juventus FC furono risparmiati dall’incomodo di rimodellarsi ai criteri fascisti. Ma nell’altra capitale industriale del Paese, Milano, invece no: l’Internazionale FC assorbì nel 1928 un club minore, l’US Milanese, e cambiò il nome in Ambrosiana-Inter [13].

Situazioni speciali ebbero bisogno di aggiustamenti in corso d’opera; ad esempio, la costituzione della Associazione Calcio La Dominante di Genova, che fu un piano B causato dalla ritrosia del Genoa a fondersi con le rivali Andrea Doria e Sampierdarenese [14]. Infine, ci furono sviluppi che si trasformarono in autentici garbugli. In lotte senza esclusione di colpi suscitate non solo dalle antipatie sportive dei club coinvolti nei processi di razionalizzazione, ma anche dalle rivalità politiche dei gerarchi che era­no arrivati a presiederli. Fu questo il caso della costituzione della AS Roma, che interessò uno dei tre esperti che avevano elaborato i codici federali.


2. Italo Foschi dirigente della FIGC e il sogno del club romano competitivo nel football

Il problema della fondazione della ASR, nei suoi profili evenemenziali, è un rebus di non poco conto, aurato di leggenda quasi quanto la fondazione dell’Urbe medesima. Dobbiamo partire dal 1926 per tentare di ricomporlo. Allorché Mussolini decise di porre sotto controllo il calcio, con il corollario, come si è visto, di andare verso una Divisio­ne Nazionale che accogliesse valide squadre delle principali città del nord e del centromeridione, non poteva non porsi la questione della Capitale. Foschi [15] fu abile ad inserire la sua aspirazione di costituire un club di primo livello nel processo di fascistizzazione del sistema calcio. La figura di Foschi, calibro da novanta dell’ambiente sportivo nazionale e dirigente globe-trotter della FIGC, emerge chiarissima in un’intervista rilasciata nel febbraio del 1927, dopo una trasferta della nazionale maggiore in Svizzera. È un Foschi in vetrina, rampante, che dentro di sé si vedeva, un dì non lontano, presidente della Federcalcio:

Da parte degli italiani residenti a Ginevra, la vittoria è stata accolta, naturalmente, con grande giubilo. Di questa vittoria, essi facevano un motivo di orgoglio nazionale. Verso sera, infatti, abbiamo incontrato un gruppo di operai e operaie che tornavano dal lavoro i quali erano felici della nostra vittoria, perché avrebbero potuto l’indomani vantarla di fronte ai colleghi svizzeri. Molti di questi operai ci hanno chiesto bandierine e distintivi fascisti e ci hanno ansiosamente domandato notizie sulla nostra squadra. Io mi sono convinto ancora una volta che queste manifestazioni, oltre che essere sempre una superba affermazione della nostra razza, sono un grande mezzo di propaganda nazionale [16].

Possiamo considerare queste parole una sorta di indicazione programmatica destinata ad essere attuata, nella Capitale, a partire dall’aprile del 1927, quando inizia il processo che porterà alla fondazione della AS Roma. Occorre avere ben presente che Foschi, nel biennio 1925-26, aveva catturato d’imperio la presidenza di due società, la Pro Roma e la Fortitudo, entrambe gravitanti in ambiente cattolico. Quindi aveva tentato di convincere la Società Sportiva Lazio ad entrare nello spregiudicato processo di fusioni controllate, col fine, che abbiamo visto rispondere ad una strategia sistemica, di creare una squadra competitiva per il titolo nazionale, ricevendo però un netto rifiuto da parte di un’altra figura eccellente del panorama politico-sportivo, il console della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (MVSN) Giorgio Vaccaro. Scottato dal fallimento, Foschi, al volgere del 1926, aveva ottenuto anche la presidenza della sezione calcio della SS Alba-Audace, la migliore squadra romana partecipante al campionato di Divisione Nazionale [17]. L’ accumulo seriale di presidenze di società sportive valenti nel gioco del football restava funzionale all’obiettivo strategico di costringere la SS Lazio, volente o nolente, alla fusione, così che la sua offerta acquisisse un carattere ir­refutabile.


3. L’esistenza di un antico statuto presso la Federazione Baseball

Ai primi di aprile del 1927, Foschi si mosse per realizzare la prima delle due fusioni finali da lui programmate: l’unione tra le polisportive Fortitudo-Pro Roma e Alba-Au­dace. Siccome tuttavia continuava a non essere certo della successiva adesione della SS Lazio, tenne come carta di riserva la possibilità di un successivo accordo con il Football Club di Roma, o Roman, altra vecchia società, piccola ma ricca, ben gestita da finanzieri ebrei.

Il gerarca Ulisse Igliori, presidente generale della US Alba-Audace, diede il placet al primo progetto Foschi. Si stabilì un accordo segreto e, la domenica del 24 aprile, nell’ambito di alcune manifestazioni politiche e sportive celebranti il Natale di Roma, fu messa in scena allo Stadio Nazionale un’amichevole tra una mista Alba-Fortitudo e il Football Club Lugano. I giornali ne parlarono come della «partita di addio» delle due compagini destinate a legarsi per la stagione calcistica entrante. L’edizione capitolina della “Gazzetta dello Sport”, diretta da Michele Favia Del Core, evidenziò la «classe» del team [18]. E fu a questo punto, mentre sia i biancorossoblu della Fortitudo che i biancoverdi dell’Alba disputavano le restanti partite ufficiali della stagione [19], che Foschi e il collega di lotte politiche, direttore del giornale “Roma Fascista” nonché suo successore alla poltrona di federale di Roma, Umberto Guglielmotti, stipularono l’accor­do, anche questo segreto, per la costituzione della Associazione Sportiva Roma.

L’accordo fu siglato – o forse si discussero i dettagli a livello verbale, pure questo, in mancanza di carte, non è dato sapere – il lunedì 2 maggio 1927 negli uffici del­l’Ispettorato Sportivo, in via di San Basilio 51: la casa del Fascio Romano di Combattimento [20]. Questa data è attestata dal ritrovamento del più antico statuto della ASR ad oggi conosciuto. Un documento pubblicato nel 1951, approvato nell’assemblea straordinaria del 2 luglio di quell’anno. All’articolo 1, esso recita:

«L’Associazione Sportiva Roma è sorta il 2 maggio 1927 dalla fusione delle Società sportive: Fortitudo-Alba, Roman e Pro Roma. È costituita dai soci che, a norma del presente statuto, ne fanno parte. Ha per fine sociale di promuovere e diffondere il giuoco del calcio ed eventualmente altri sport nella città di Roma. L’A.S. Roma non ha scopo di lucro ed è estranea a qualsiasi manifestazione che non abbia carattere sportivo. La durata dell’A.S. Roma è fissata al 31 luglio 1977 con diritto di proroga a seguito di deliberazione assembleare ed escluso il diritto di recesso dei soci. L’A.S. Roma ha sede in Roma ed i suoi colori sono il giallo e il rosso amaranto, come i colori di Roma» [21].

La questione sullo statuto emerge formalmente ai tempi dell’occupazione di Roma da parte degli anglo-americani. Il “presidente del Testaccio” Renato Sacerdoti, che nel frattempo aveva patito amaro esilio [22], si ripresentò nella sede della AS Roma, e ivi incontrò anche Stanley Rous, futuro presidente della FIFA. Fu allora che si cominciò a parlare dello “statuto scomparso”. Argomento che fu al centro di un acceso dibattito nella assemblea sociale tenuta l’11 novembre 1944. Riunione dalla quale sortì, una settimana più tardi, l’elezione alla presidenza del futuro politico democristiano Pietro Baldassarre. Questi, peraltro, nello sviluppo delle discussioni si disse convinto che la ASR avesse vissuto, fino a quel momento, priva di un contratto sociale di natura giuridica [23]. Si stilò allora un nuovo statuto, poi confermato, con modifiche, nelle assemblee del 20 marzo 1950 e, appunto, 2 luglio 1951 [24].

Nel 1953 il dottor Giorgio Crostarosa – ex dirigente del Roman, nonché colui che, spalleggiato da Vittorio Scialoja, aveva discusso, fino ad adire vie legali, con Baldassarre riguardo allo statuto – lo depositò alla FIBS per l’affiliazione della sezione baseball. Il 16 febbraio 1967 la trasformazione della ASR in società per azioni annullò lo statuto del 1951 che sarebbe dovuto rimanere valido altri dieci anni. Scomparve così dalla documentazione la vera data di fondazione. Nell’immaginario comune rimase quella, fasulla, riconducibile all’ordine del giorno 22 luglio 1927, divenuta cara ai tifosi dopo l’esibizio­ne del documento in un libro pubblicato dal giornalista Ezio Saini nel 1954 [25].


4. La genesi politica della AS Roma

La ricerca documentaria suggerisce, infatti, una revisione di alcune certezze tramandate a proposito delle modalità della fondazione “bifida” della società di calcio destinata nel tempo a calamitare le simpatie della maggioranza della cittadinanza capitolina.

Al momento dell’accordo per la costituzione del superclub in ossequio alle indicazioni strategiche della dittatura fascista, quel lunedì 2 maggio del 1927, il federale Guglielmotti raccomandò di inserire la Lazio nel processo, perché così piaceva nelle alte sfere. Foschi era, come si è accennato, per la Fortalba secca, ovvero la fusione già di fatto realizzata, cui aggiungere il Roman e la Pro Roma [26]. Tutto ciò rendeva il piano occulto Foschi-Guglielmotti una sorta di piano B. In ossequio al piano A – quello ostensibile al pubblico – a fine maggio si annunciava invece la ricerca, fascisticamente apprezzabile, di un gentleman agreement tra la SS Lazio e la SSF Fortitudo-Pro Roma [27].

Davvero lo si tentò con tutte le energie, quell’accordo? Crediamo di no. Foschi non lo voleva, giacché teneva l’asso nella manica del piano B, che gli avrebbe facilitato di molto la questione delle cariche da distribuire; in specie la presidenza. Sul versante laziale neppure Vaccaro lo voleva. A meno che Foschi non avesse ceduto sulla conditio sine qua non dell’assorbimento della Fortitudo nella Lazio. In realtà, neanche quest’ulti­ma piattonata a suo favore il console della MVSN poteva desiderare, in quanto mandare a monte il parto già avvenuto della “giallorossa” avrebbe comunque disturbato qualcuno delle gerarchie superiori. Il risultato fu che partirono trattative destinate al fallimento, perché così stava bene ai principali contraenti: Foschi e Vaccaro [28].

Un primo abboccamento informale si ebbe nella terza decade di maggio. E un secondo rendez-vous il 3 giugno, già risolutivo in realtà, perché emersero questioni economiche impossibili da sanare. Epperò il teatrino, per il pubblico che veniva a sapere dai giornali, andò avanti. Il 6 giugno a sera, giorno destinato alle firme per la fusione tra i sodalizi biancoceleste e biancorossoblu, Foschi neppure si presentò a via Tacito, all’incontro fissato nella sede generale della SS Lazio. Mandò, come suo portavoce, il ragionier Ettore Righini, uno dei tre vicepresidenti della Fortitudo-Pro Roma. Dall’al­tra parte, non era presente neppure il generale Ettore Varini, anche lui un miliziano, pre­sidente in carica della polisportiva Lazio. C’era, invece, il vicepresidente Vaccaro, che subito offerse ai fortitudiani la sua mano colma di spine: riconoscimento integrale alla SSL del debito di 200.000 lire contratto per arrivare a disputare la Divisione Nazionale; verso la Fortitudo e l’Alba (che aveva in precedenza dichiarato si sarebbe aggiunta al binomio sulla base dell’esito), riconoscimento solo del 50% del passivo della Lazio: dunque sempre 100.000 lire, ovvero il passivo denunciato da Foschi per la Fortitudo. Soluzione equa? Secondo gli ospiti fortitudiani no, perché ballavano – e Vaccaro lo sapeva bene – altre 300.000 lire. Queste erano le somme imprestate dai dirigenti del­l’Alba per portare a compimento la stagione 1926-27, e che avrebbero sicuramente perduto col titolo sociale che rimaneva “SS Lazio” in quanto si trattava di un ente morale [29]. Davanti all’impallidimento dei sei delegati [30], Vaccaro si disse disposto a discuterne ancora per limare qualcosa, magari riconoscendo di più alla Fortitudo. Ma il noc­ciolo della questione, per lui, era che l’Alba doveva aderire alla fusione, accettando di risolvere da sé i suoi problemi finanziari. Per tutta risposta, Righini e gli altri presero il cappello e salutarono: non se la sentivano di tradire i contraenti dell’Alba. Il verbale della seduta ci dice che essa terminò alle 23. Un pari e patta stabilito in partenza [31].

Foschi non perse tempo. Il primo atto della commedia era andato secondo le previsioni, e lui sapeva già cosa fare. Di lì a tre giorni (il 10 giugno), sarebbe dovuto andare a Bologna per una riunione del Direttorio Federale FIGC che doveva decidere sul campio­nato successivo. Era d’uopo presentarsi con la sicurezza di avere creato nella Capitale una nuova pretendente a un posto nell’olimpo del calcio. Il piano B gli concedeva il vantaggio della velocità. Avvertì Guglielmotti, Igliori e il senatore Vittorio Scialoja, il presi­dente del Roman già informato sull’eventualità. L’aristocratico sodalizio pariolino, sorto nel 1901, doveva garantire l’operazione dal punto di vista finanziario; dato che per varare la “Roma” occorreva liquidare le 400.000 lire di debiti pregressi, o almeno garantire in futuro il rimborso a scalare. I “romanisti” vantavano nelle loro file, appunto, il commendator Sacerdoti, rampollo di una dinastia di operatori di borsa che aveva saputo coinvolgere molti agenti di cambio nella febbre del football, tra cui i facoltosi fratelli Pierfelice e Giorgio Crostarosa. Il 7 giugno 1927, Foschi convocò Igliori e Scialoja nella sua abitazione privata in via Forlì 16. Nel corso della mattinata aveva organizzato per bene le cose, ottenendo dai dirigenti del Roman e da Favia Del Core, capo dell’Ufficio Sportivo del Partito, ente di raccordo tra il CONI e il PNF, basilari conferme e garanzie atte a eliminare le difficoltà d’ordine pratico e finanziario [32]. Nella tarda serata, nella sede del Roman in via Uffici del Vicario al civico 35, Scialoja confermò per iscritto l’adesione del Roman alla fusione Alba-Fortitudo. Si diramò un comunicato stampa annunciante la AS Roma, frutto dell’accordo tra la Fortitudo-Pro Roma, l’Alba-Audace e il Football Club di Roma [33].

Come per tante altre vicende di ben altro spessore durante l’era fascista, il popolo si bevve tutto [34]. Trascorsero un paio di mesi abbondanti e, da Bologna, giunse la notizia tanto attesa dell’ammissione diretta dell’ASR nella Divisione Nazionale 1927-28 a ventidue squadre, piazzata nell’altro girone rispetto alla SS Lazio. Niente derby per il momento [35]. In sostanza, per la nascita della AS Roma accanto alla SS Lazio, venne seguito lo schema base dell’apparigliamento di due forti squadre nelle principali città, così da creare uno spirito di emulazione.


5. La gestione della data di nascita della “Roma”

La ASR stabilì la sua sede in via Uffici del Vicario, nel palazzo dei Crostarosa. Sacerdoti indicò alcuni semi-abbandonati terreni demaniali a Testaccio per edificare il nuovo campo, che sarebbe stato di proprietà della polisportiva. Nel 1929, Campo Testaccio venne in effetti inaugurato. Nel 1930-31, i “lupi” già contendevano alla Juventus lo scudetto. Lo statuto arrivò al momento del vincolo notarile, e comunque dopo il 22 luglio 1927. Infatti, come si evince da documenti recentemente rinvenuti [36], a fine luglio il Roman ancora esisteva, ergo la ASR davanti al notaio non era giunta. Ma fu in una data ancora imprecisata, in piena estate, che Foschi, nella sua qualità di presidente, e Guglielmotti, presidente onorario, stilarono l’atto che retrodatava al 2 maggio la fondazione della Società. Questo perché occorreva un iter fascista ricollegabile al­l’azione dell’Ispettorato, e in quella data il federale Guglielmotti era stato presente alla riunione a via di San Basilio.

Nel dopoguerra, i media scelsero come data di nascita della ASR il 22 luglio 1927. Una data mai resa ufficiale dalla Società, e tuttavia celebrata nonostante fosse basata su un documento male interpretato. Poi, negli anni ’90 dello scorso secolo, la progressione degli studi storiografici fece tornare a galla l’articolo de “Il Messaggero” che identificava nel 7 giugno 1927 l’avvenuta firma degli accordi [37]. Nel 2012 la ASR, per volontà dell’assetto dirigenziale riconducibile al gruppo statunitense capeggiato da James Pallotta, costituì una commissione di «esperti» per istituire la Hall of Fame. Che ufficializzò la data portando, come prova cardinale, le testimonianze di emeroteca. Oggi l’Associazione Sportiva Roma S.p.A. celebra il 7 giugno il suo giorno di fondazione. Mentre dell’altro anniversario, relativo alla costituzione della società per azioni, si è quasi persa la memoria. Poiché ha una attinenza diretta con l’argomento della data di fondazione della Società, ne illustriamo qui l’iter brevemente.

Come detto, la AS Roma si costituì in S.p.A. il mattino del 16 febbraio 1967. In quella occasione, nello studio del notaio Nicolò Bruno al Lungotevere Sanzio, 26 dei 31 proponenti fondatori [38], guidati dal presidente generale, l’onorevole democristiano Franco Evangelisti, si diedero convegno per versare i tre decimi del capitale sociale (100 milioni di lire) e stilare un nuovo statuto, sostitutivo di quello del 1951. Lo statuto del 1967 ignorò completamente la data di fondazione: più nessun accenno al 1927. Quel giorno, attorno al tavolo del notaio Bruno, c’erano vari personaggi importanti nella storia del sodalizio. Oltre ad Evangelisti, i futuri presidenti Alvaro Marchini, Gaetano Anzalone e Dino Viola; ed era presente anche Renato Sacerdoti, collegamento vivente con il 1927. Cronache maliziose dell’epoca ci rivelano che l’attenzione dei convenuti si concentrò so­prattutto sul fatto se tutti i “dottori”, gli “architetti” e gli “ingegneri”, chiamati a rivelarsi al momento della declinazione delle generalità, fossero realmente tali [39].

Ci si potrebbe chiedere, peraltro, il motivo per cui non furono citati i natali di una società sportiva in un atto che ne mutava il carattere giuridico. La nostra ipotesi è che, al momento in cui il notaio Bruno diresse l’attenzione dell’uditorio sul tema, dopo un dibattito si sia deciso di evitare di scegliere tra le diverse date: 2 maggio o piuttosto 22 luglio. La terza possibilità, quella del 7 giugno, non crediamo fosse allora conosciuta. La continuità con la AS Roma 1927 venne comunque attestata in finale dell’articolo uno [40]. D’altronde, anche nella riunione del 20 marzo 1950, allorché sui giornali era stata menzionata la data di fondazione 2 maggio 1927, la cosa aveva assunto scarsa rilevanza [41]. Omettendo l’informazione, nella trasformazione della Società attuata nel 1967, si evitarono complicazioni non solo di carattere storiografico, come le questioni relative alla posizione dei “soci vitalizi” degli anni ’40 e ’50. Quelle stesse dispute che avevano innescato la vertenza legale tra Baldassarre, Crostarosa e Scialoja [42].

Possiamo ragionevolmente affermare che, fino a quando non si ritroverà la documentazione originale, non potremo godere di una parola conclusiva sul rompicapo della data di nascita della Associazione Sportiva Roma; tassello di un processo molto significativo di cambiamento del sistema sportivo – come espressione di quello sociale ed istituzionale – nella fase di consolidamento del Regime fascista. Nel caso malaugurato detta prova sia stata fisicamente distrutta, l’intera questione sembra essere destinata a rimanere aperta a congetture di ogni tipo, e tra queste la nostra ipotesi. Che per lo meno ha il merito di basarsi su uno statuto societario approvato settanta anni fa e che il CONI ha conservato.


NOTE

* Contributo approvato dai referees.

[1] C. Doglio, Lo Sport in Italia, in Comunità, 31, 1952, p. 24.

[2] S. Martin, Football and Fascism. The national game under Mussolini, Oxford, 2004, p. 58.

[3] A. Papa, G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia. Dai club dei pionieri alla nazione sportiva (1887-1945), Milano, 1993, p. 136.

[4] Sulle diverse modalità adottate nella transizione al professionismo nei più importanti paesi praticanti il football, vedi: P. Dietschy, Storia del calcio, Vedano al Lambro, 2014, pp. 135-148.

[5] Su questi temi, cfr. G. Cantamessa Arpinati, Arpinati mio padre, Roma 1968, pp. 46-73; S.B. Whitaker, Leandro Arpinati anarcoindividualista, fascista, fascista pentito, in Storia Contemporanea, 196, 1994, pp. 471-489; N. De Ianni, Il calcio italiano 1898-1981. Economia e potere, Catanzaro, 2015, pp. 111-133 e in generale B. Dalla Casa, Leandro Arpinati. Un fascista anomalo, Bologna, 2013.

[6] FIGC, 60 anni di vita, Roma, 1958, pp. 48-52; A. Ghirelli, Storia del calcio italiano, Torino, 1954, pp. 154-165.

[7] Per un approfondimento, vedi: M. Impiglia, Mussolini sportivo, in M. Canella, S. Giuntini (a cura di), Sport e Fascismo, Milano, 2009, pp. 19-45.

[8] M. Impiglia, Lo sport prima di tutto, I Presidenti che hanno costruito la FIDAL: Leandro Arpinati, in Atletica, 1, 1998, pp. 46-54.

[9] Nella fattispecie, la fusione occorse il 28 aprile 1926; cfr. A. Capanni, F. Cervellati, Dall’assedio di Firenze alla serie A. Storia del movimento calcistico fiorentino, dalle più lontane origini all’approdo del­l’A.C. Fiorentina nella massima serie del Campionato Italiano a girone unico, Firenze, 2002, pp. 281-286.

[10] Le storie dedicate al Napoli Calcio sono molte. A parere di Guido Panico, la migliore rimane quella di Antonio Ghirelli, Intervista sul calcio Napoli, pubblicata dalla Laterza a Bari nel 1978.

[11] Sulla formazione di questa polisportiva, cfr. P. Lanfranchi, Il Bologna che tremare il mondo fa! Una squadra di calcio durante il periodo fascista, in AA.VV, Azzurri 1990. Storia bibliografica emerografica iconografica della Nazionale Italiana di Calcio e del Calcio a Bologna, Roma, 1990, pp. 83-88.

[12] G. Giordano, Calcio Palermo, Palermo 1982, pp. 117-136.

[13] S. Giuntini, Football e fascismo. La «fabbrica del consenso», in AA.VV, Azzurri 1990. Storia bibliografica emerografica iconografica della Nazionale Italiana di Calcio e del Calcio a Milano, Roma, 1990, pp. 149-150.

[14] Documenti dell’Archivio Centrale di Stato di Roma provano che, nel giugno-luglio del 1927, il Genoa FC stava per entrare nel gioco delle fusioni controllate. Si voleva legare la gloriosa associazione rossoblu con l’Andrea Doria e la Sampierdarenese. Ma una nota del presidente del Genoa, Vincent Ardissone, avvertì il segretario del PNF, Augusto Turati, sullo scontento che una tale risoluzione avrebbe provocato tra gli appassionati di calcio genovesi. Il 21 luglio 1927 Turati tranquillizzò Ardissone che il progetto era cambiato, e solo la Doria e la Sampierdarenese si sarebbero unite a formare “La Dominante”, che avrebbe giocato in tenuta nera nello Stadio del Littorio di Cornigliano; cfr. Fusione in un’unica società sportiva delle tre Società locali: Genoa FootBall Club, Andrea Doria, Sampierdarenese, in ACS, PCM 1927, fasc. 3.15, prot. 2760.

[15] Foschi, prima della Marcia su Roma, era stato arrestato diverse volte per reati politici. Nel novembre del 1923 aveva organizzato l’attacco all’abitazione di Francesco Saverio Nitti; quindi, si era reso responsabile di altre missioni aventi come obiettivo le sedi delle opposizioni per le elezioni politiche nazionali del 1924. Fu senza dubbio un efferato capo squadrista. Nato a Corropoli nel 1884, in gioventù aveva praticato la lotta greco-romana e frequentato sale di scherma, esponendosi a vari duelli per risolvere i suoi contenziosi politici (era stato interventista e nazionalista). Prima di arruolarsi per la guerra ’15-18, aveva fatto in tempo a laurearsi in scienze giuridiche. Scelto da Farinacci nel 1923 come federale dell’Urbe, fu tra i fondatori del giornale Roma Fascista. Tra le cariche che deteneva, segnaliamo: la presidenza della Associazione Abruzzese-Molisana, la presidenza di una società di mutuo soccorso collegata al Ministero dell’Economia Nazionale, la presidenza di un centro di colonie estive fasciste, un ruolo di consigliere nel­l’Istituto Nazionale per il Credito Edilizio. Foschi fu un animatore valido non solo nel calcio ma anche nella pallacanestro, con riferimento alle società Ginnastica Roma e SS Pro Roma.

[16] A. Parboni, Le meravigliose gesta dei nazionali “azzurri” nelle impressioni di un dirigente della F.I.G.C., in La Capitale Sportiva, 3 febbraio 1927, p. 1.

[17] Il 30 novembre 1926, a chiusura di un banchetto al ristorante Rosetta al Pantheon per festeggiare la prima vittoria in trasferta in campionato ottenuta dalla Fortitudo a Genova, Foschi lesse una lettera di Felice Tonetti, patron del Club Audace, che annunciava, «per il bene e il progresso dello sport romano», la sua nomina a presidente dell’Alba-Audace. Ergo, alla data del 2 maggio 1927 Foschi presiedeva già la squadra di calcio albina, con il suo amico gerarca Ulisse Igliori alla presidenza generale.

[18] M. Favia Del Core, L’Alba-Fortitudo batte il Lugano FC, in La Gazzetta dello Sport, 26 aprile 1927, p. 1.

[19] Entrambe stavano agli ultimi posti dei gironi di Divisione Nazionale, quindi destinate alla retrocessione.

[20] Fondato nel maggio del 1919, quindi ricostituito nell’agosto del 1923 da Foschi e altri militanti sulla base di una ripartizione ternaria (Alto, Medio e Basso Lazio), il Fascio Romano di Combattimento contava circa 32.000 iscritti.

[21] Associazione Sportiva Roma, Statuto approvato dall’assemblea straordinaria del 2 luglio 1951, Roma, 1951, p. 5. Documento depositato negli archivi della Federazione Italiana Baseball.

[22] Renato Sacerdoti era uno dei figli di Dino Sacerdoti, titolare di una ditta che operava nell’ambiente finanziario romano. La famiglia Sacerdoti era di religione ebraica e nel suo ambito, piuttosto variegato nelle professioni, vantava il rabbino maggiore dell’Università Israelitica. Una volta raggiunto l’obiettivo di costituire la AS Roma, nel 1928 Foschi, sottoposto alla forte pressione dei suoi nemici politici e quindi costretto a lasciare Roma, preparò ogni cosa per consegnare la nuova società nelle mani dei mecenati del Roman, e in effetti Sacerdoti iniziò come vicepresidente e la rilevò nella primavera del 1928. Sacerdoti ri­mase in sella dal 1928 al 1935, azzerando i debiti con l’espediente di maggiorare gli incassi delle partite aumentando i prezzi dei biglietti d’ingresso. Dopo il settennato, fu oggetto di indagini che lo condussero a un arresto per esportazione illecita di valuta e infine al confino, stante l’aggravante delle leggi razziali nel frattempo emanate. Riconquistò la presidenza della Roma Calcio nel 1952, nella stagione della Serie B, per lasciarla definitivamente nel 1958. Si spense il 13 settembre 1971.

[23] Molisano della provincia di Campobasso (1879-1966), Baldassarre rivestiva il ruolo di commissario straordinario della Società; cfr. S.A., Un caso giuridico alla Roma, in Nuovo Sport, 16 novembre 1944, p. 2.

[24] E. Saini, Storia illustrata della Roma, Roma, 1954, p. 350.

[25] Ibid., p. 17.

[26] Che il Roman fosse già dentro il progetto di fusione lo conferma il dossier denominato “Carteggio Rondinella”: una serie di documenti ufficiali inediti che consentono di ricostruire modi e tempi con cui la SS Lazio ebbe in concessione ulteriori terreni adiacenti il suo stadio. Il dossier è stato messo in rete dalla Fondazione Centro Studi 9 Gennaio 1900. Cfr. http://www.novegennaiomillenovecento.it/il-carteggio-rondinella-parte-iii/.

[27] Pubblicò il Guerin Sportivo, in una corrispondenza datata 30 maggio: «Tutto l’ambiente calcistico romano è sottosopra. L’annuncio della fusione tra Lazio e Fortitudo ha messo una spina nel cuore a più di una di quelle personalità romane – più o meno grandi – che fanno di professione i dirigenti di società di calcio. Due sono le correnti che si sono formate in questi giorni: una capeggiata dai laziali e fortitudiani, la quale, con tutte le forze, tende alla fusione, e l’altra formata dagli albini e dai romanisti, la quale cerca di ostacolare il lavoro della prima. […] In questi giorni il forte attrito tra le due correnti deve risolversi, in un modo o nell’altro. Intanto la fusione delle due autorevoli società sembra ormai conclusa. Farneti, in questo caso, dovrebbe ritirarsi in buon ordine e dichiararsi finalmente e definitivamente sconfitto».

[28] Per questa ricostruzione dei fatti, stiamo seguendo: M. Impiglia, Società Podistica «Lazio» 1900-1926. Ideali sportivi olimpici, unitari, romani e biancocelesti, Roma, 2019, pp. 448-455.

[29] La Lazio era stata eretta in Ente Morale nel 1921. Una delle prerogative risiedeva nel fatto di non essere suscettibile di una «subitanea mutazione di disposizioni»; cfr. M. Impiglia, Società Podistica «Lazio» 1900-1926. Ideali sportivi olimpici, unitari, romani e biancocelesti, cit., p. 371.

[30] Ettore Righini, il segretario Sebastiano Bartoli Avveduti, Gioacchino Saraceni, Federico Bottini, Enrico Sampaolesi e Amerigo De Berardinis.

[31] Seguì un botta e risposta sui giornali, nel quale Foschi accusò Vaccaro di avere tentato di assorbire la Fortitudo e l’Alba nella Lazio, agendo slealmente rispetto ai primi accordi. Sul giornale Il Tevere del 15 giugno, Vaccaro tagliò corto, alludendo al “nero” dei sotterfugi del rivale nell’intera vicenda: «... la richiesta di trattative di fusione fatta da Foschi rimase senza conclusione non per volontà della Lazio, la quale anzi fu sorpresa dall’improvvisa e non giustificata resipiscenza, dovuta evidentemente ad altre ragioni che non occorre qui ricordare».

[32] Come riuscì Foschi ad assicurarsi un parterre di sodali utili ad apparecchiare il necessario plafond economico per far partire la ASR? Basta spulciare i nomi degli enti e dei personaggi subito iscritti nell’al­bo dei vitalizi. Tra loro spiccano Sotirio Bulgari e i suoi due figli Giorgio e Costantino, capostipiti della celebre dinastia di gioiellieri. Più, ovviamente, il consiglio di amministrazione, che comprese rappresentanti di enti finanziari. Un ausilio immediato arrivò dal Credito Edilizio, di cui era consigliere Foschi, dalla Banca Regionale e da quella Italo-Britannica, collegata all’entourage londinese degli stockbroker del Roman. Cfr. Ufficio Stampa e Propaganda della Associazione Sportiva Roma, AS Roma, Roma, 1928, pp. 23-24.

[33] La fusione Fortitudo-Alba-Roman, in Il Messaggero, 8 giugno 1927, p. 8.

[34] Nel 1927 il segretario del Partito Augusto Turati diceva l’ultima parola sulle fusioni delle società e degli enti sportivi ad alto livello. L’Ufficio Sportivo del PNF l’aiutava in questo. La vicenda della ASR sfuggì al controllo di Turati? Optiamo per il no: l’encomio a Favia Del Core, apparso sulla prima pubblicazione della AS Roma nel 1928, lo indica.

[35] A fine luglio – forse nei giorni 27-31 o il primo di agosto – a nostro parere la ASR depositò lo statuto in sede notarile. Fu in occasione della stesura notarile che si scelse la data del 2 maggio, che faceva nascere la Società in un ambito di ortodossia fascista, varata col consenso del federale della città, nominato presidente onorario. Nei documenti originali, dovette comparire come titolo sociale AS Roma 1906. Questo perché si prese come società guida la Fortitudo, il cui atto legale di costituzione fu fatto risalire all’Associazione del Sacro Cuore di Gesù (iscritta tra i “soci vitalizi”), dalla quale la Società Ginnastica Sportiva Fortitudo era scaturita nel dicembre del 1907. La spia sta in due edizioni della Guida Monaci 1928-29 e 1930 – in cui l’atto di fondazione della ASR risulta il 1906. La stessa Monaci, nell’edizione 1927, ha come data per la Fortitudo-Pro Roma il 1906. La pubblicazione AS. Roma, redatta presumibilmente dal giornalista Renato Turchi, pure indica nel 1906 la data di fondazione della Fortitudo. Nel 1906 era infatti nata la Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane. Ma, a partire dagli anni ’30, l’accenno al 1906 fu espunto. Evidentemente, non si voleva che la ASR fosse riconducibile, almeno nel­l’atto costituivo, a un’associazione di stampo cattolico. E forse fu questa una delle ragioni che portarono all’inabissamento delle carte. I cui originali dovevano comunque essere stati custoditi negli archivi federali allo Stadio del PNF, fino a quando non si eclissarono nel marasma generale seguito al cattivo esito della seconda guerra mondiale.

[36] Il riferimento va sempre al cosiddetto “Carteggio Rondinella”.

[37] Vedi, in proposito, il volume di F. Valitutti, M. Izzi, Cronologia della Grande Roma, Roma, 2001, pp. 9-10. Principio poi ribadito in AS Roma, con le prefazioni di Rossella Sensi e Francesco Totti, Roma, 2010, volume celebrativo ufficiale per l’80° di fondazione.

[38] La lista completa dei fondatori: Evangelisti, Sacerdoti, D’Arcangeli, Donelli, Radaelli, Colalucci, Ciampini, Marchini, Canale, Baldesi, Scapigliati, Ferrucci, Anzalone, Battistoni, Pinto, Saccà, Terracina, Foffano, D’Alisera, Picchioni, Catalano, Silvestrini, Ranucci, Santarelli, Magrelli, Viola, Caltagirone, Pasquali, Clementi, Amati, Timo; cfr. C. Lanza, Conferenza stampa dell’onorevole. Evangelisti, in Corriere dello Sport, 18 febbraio 1967, p. 1 e p. 10.

[39] N.T., … e nel silenzio rimbombò: «Architetto!», Il Tifone, 18 marzo 1968, p. 3.

[40] L’articolo 1, infatti, recita: «È costituita una Società per azioni sotto la denominazione AS. Roma S.p.A. I colori sociali sono quelli giallo rossi di Roma, a continuazione della gloriosa tradizione sportiva della A.S. Roma».

[41] A. Ghirelli, La A.S. Roma ha un nuovo statuto sociale, in Il Paese, 21 marzo 1950, p. 7.

[42] Per chi volesse approfondire, vedi: M. Impiglia, Forza Roma daje Lupi. La prima storia completa del tifo giallorosso, Roma, 1998, p. 33 e pp. 44-45.