Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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La Cassazione alle prese con la responsabilità civile in ambito sportivo: spunti a margine di due recenti pronunce (di Gabriele Toscano, Dottore di ricerca in Diritto dei consumi nell'Università degli Studi di Perugia e Professore a contratto di Diritto sportivo nell'Università degli Studi di Siena)


Il lavoro analizza due recenti decisioni della Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. VI, 9 febbraio 2023, n. 3959 e Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2023, n. 4707) aventi ad oggetto la delicata questione della responsabilità sportiva negli sport a contatto eventuale ed a contatto necessario. In particolare, il contributo, dopo aver ripercorso i tratti salienti delle decisioni dei giudici di legittimità, si sofferma sulle problematiche connesse alla condotta dell’atleta al fine di circoscrivere correttamente la fattispecie risarcitoria.

The Supreme Court grappling with sporting liability: insights from two recent rulings

The paper aims to analyze two recent decisions of the Supreme Court of Cassation (Cas. civ., sec. VI, 9 February 2023, n. 3959 e Cas. civ., sec. III, 15 February 2023, n. 4707) dealing with the delicate issue of sports liability in contact and necessary contact sports. In particular, the contribution, after reviewing the salient features of the decisions of the judges of legitimacy, dwells on the issues related to the conduct of the athlete to correctly circumscribe the case for compensation.

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ANTONIETTA SCRIMA Presidente MARCO DELL’UTRI Consigliere-Rel. IRENE AMBROSI Consigliere GIUSEPPE CRICENTI Consigliere PAOLO SPAZIANI Consigliere ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 9398/2022 R.G. proposto da: (Omissis), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (Omissis); -ricorrente- CONTRO (Omissis), elettivamente domiciliato in ROMA -controricorrente avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 50/2022 depositata il 2/02/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/12/2022 dal Consigliere MARCO DELL’UTRI. RILEVATO che (Omissis) Con sentenza resa in data 02/02/2022 (n. 50/2022), la Corte d’appello di Perugia, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da (Omissis) e in riforma della decisione di primo grado, ha condannato (Omissis) al risarcimento, in favore del (Omissis), dei danni da quest’ultimo sofferti in conseguenza di un’azione di gioco calcistico, c.d. tackle in scivolata, posta in essere dal (Omissis). A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, dopo aver preliminarmente richiamato l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della valutazione della responsabilità dei protagonisti dell’attività sportiva, occorre procedere a un attento esame del contesto ambientale nel quale l’attività medesima si svolge in concreto, al fine di rilevare il grado di violenza o di irruenza compatibile con il rischio c.d. consentito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12012 del 08/08/2002, Rv. 556833 – 01), ha affermato che, nel caso di specie, l’azione di gioco di cui il (Omissis) si era reso responsabile era stata caratterizzata dal ricorso a “un’irruenza sproporzionata al contesto di una partita amichevole tra squadre dilettanti”. Con la medesima decisione, la corte d’appello ha condannato il (Omissis) al rimborso delle spese di lite dei due gradi di giudizio, ponendo inoltre a suo carico le spese di c.t.u. e l’onere del raddoppio del contributo unificato. Avverso la sentenza d’appello, (Omissis) propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione. (Omissis) resiste con controricorso (Omissis). CONSIDERATO che (Omissis) Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la responsabilità civile del convenuto sulla scorta della considerazione secondo cui l’azione di tackle in scivolata non consenta “né di fermare l’intervento intrapreso, né di dirigerlo con precisione”, incorrendo, in tal modo, in un richiamo del tutto errato e [continua..]
SOMMARIO:

1. Premesse introduttive - 2. Sport a violenza necessaria o a contatto necessario? - 3. La sproporzione quale requisito per la rilevanza dell’illecito extra sportivo (rectius civile e/o penale) - 4. La c.d. funzionalità della condotta e l’ardore agonistico negli allenamenti - 5. Considerazioni conclusive e riflessioni de iure condendo - NOTE


1. Premesse introduttive

Dopo un periodo di quiescenza la Cassazione torna ad occuparsi, con due decisioni [1] a breve distanza l’una dall’altra, del tema relativo alla responsabilità sportiva [2] con particolare riguardo alla sproporzione della condotta realizzata dall’atleta durante la propria performance [3]. Le questioni affrontate dai giudici di legittimità rappresentano un trait d’union di fondamentale importanza nel binomio sport a contatto eventuale e necessario [4], in quanto toccano con mano la condotta realizzata dall’atleta nell’ambito di una partita di calcio amatoriale e, soprattutto, nell’ambito di un allenamento di arti marziali miste. La prima questione (Cass. n. 3959/2023) – riguardante il caso di un giocatore di calcio dilettante che con un tackle in scivolata con «un’irruenza sproporzionata al contesto di una partita amichevole tra squadre dilettanti» [5] aveva cagionato un danno al­l’avversario – è complementare alla seconda (Cass. n. 4707/2023), e ben più importante decisione dei giudici di legittimità (e su cui si concentrerà principalmente questo commento), riguardante un grave incidente avvenuto in occasione di un allenamento di arti marziali miste. Nel caso di specie, in occasione di una lezione era stata svolta attività di sparring (combattimento leggero con lieve contatto a coppie) tra i vari partecipanti, e nell’oc­casione un atleta aveva subito un forte calcio ai genitali. Il giorno seguente, alla luce dei dolori nel corso della notte e l’enorme versamento di sangue, gli viene diagnosticata la rottura traumatica del testicolo sinistro con successiva asportazione chirurgica ed invalidità permanente nella misura del 6-7% accertata a seguito di CTU. Tornano quindi in auge le problematiche legate al se i falli commessi durante lo svolgimento di un’attività sportiva godano della copertura della relativa scriminante, in quanto frutto di condotte colpose e funzionali al gioco. Problematiche già affrontate dalla giurisprudenza di merito nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso [6] e che rappresentano tutt’ora il busillis della questione anche tra coloro che con scetticismo vedono il sistema sportivo quale ordinamento c.d. autonomo [7].


2. Sport a violenza necessaria o a contatto necessario?

La questione sottesa all’attenzione dei giudici di legittimità verte sulle discipline sportive delle c.d. arti marziali miste, conosciute anche con l’acronimo inglese MMA (mixed martial arts) e tristemente note ai fatti di cronaca per il recente caso Willy Monteiro. Queste discipline rappresentano un insieme di tecniche derivanti da vari tipi di lotta, dal pugilato alle arti marziali, dalla boxe thailandese al jiu jitsu brasiliano, il cui scopo è, dichiaratamente, quello di trovare la soluzione più efficace per avere la meglio su un avversario per la difesa personale. Da ciò emerge la dialettica, già presente in dottrina, se trattasi di sport a violenza necessaria o di sport a contatto necessario. Le arti marziali miste sono regolamentate dalla Federazione Italiana Grappling Mixed Martial Arts (FIGMMA) e da ciò ne consegue che, sebbene sia permesso colpire, lottare ed utilizzare tecniche e colpi di tutte le arti marziali/sport di combattimento, appare prima facie più opportuno parlare di sport a contatto necessario. Il motivo di questa nomenclatura deve essere ricondotto nell’implicito riconoscimento da parte dell’ordinamento statale nei confronti dell’ordinamento (o se si preferisce del sistema) sportivo, nell’ambito della c.d. autonomia. Questa trova un primo fon­damento nel caso Lupino [8] nella misura in cui i giudici milanesi stabilirono che l’atleta che pratica uno sport ad alto rischio come il pugilato deve considerare di andare incontro a conseguenze potenzialmente lesive per la propria incolumità personale, in quanto le caratteristiche del suddetto sport rientrano nel perimetro del c.d. rischio consentito [9]. Per queste ragioni, seppur le MMA prevedono l’utilizzo di tecniche sia di grappling (portate a terra, strangolamenti, leve articolari) che di striking (pugni, calci, gomitate, ginocchiate), obiettivamente non prive di pericoli, parlare di violenza nell’ambito di un’attività regolamentata e riconosciuta dall’ordinamento statale sembrerebbe alquanto forzata e foriera di condotte illecite. Se per violenza si vuole alludere alla «tendenza abituale [di una persona] ad usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale» [10] è pacifico affermare che nell’ambito di una disciplina sportiva il concetto di irrazionalità non può trovare fondamento, in quanto – [continua ..]


3. La sproporzione quale requisito per la rilevanza dell’illecito extra sportivo (rectius civile e/o penale)

La soluzione offerta dai giudici di legittimità mette ordine circa il perimetro della rilevanza dell’illecito civile in ambito sportivo in quanto, contrariamente, si giungerebbe alla soluzione aberrante secondo cui la lesione sportiva costituirebbe sempre una sorta di zona franca poiché l’atto sportivo in sé sarebbe sempre in collegamento funzionale con il gioco, salvo situazioni limite [13]. Nel caso di specie l’attore sosteneva che la violenza usata nel caso dello sparring, in quanto svolta non in una competizione ufficiale bensì in un allenamento, non fosse necessaria o funzionale all’atto sportivo [14]. Tale conclusione appare non condivisibile e dello stesso avviso sono anche i giudici di legittimità in quanto nella valutazione della colpa sportiva assume un elemento centrale «l’analisi della situazione di fatto in rapporto al contesto ed allo sviluppo dinamico dell’azione sportiva lesiva» [15]. A tale proposito, è opportuno osservare come la dottrina maggioritaria ha in più di un’occasione affrontato la problematica del se, come e quando considerare la condotta di un atleta regolare o non regolare, ed in quest’ultimo caso se di interesse sotto il profilo meramente sportivo o extra sportivo [16]. La pratica di un’attività sportiva è regolata dai c.d. regolamenti federali, i quali possono avere natura sia organizzativa che tecnica. In particolare, quest’ultimi costituiscono il fondamento legislativo sul quale si basa lo sport praticato (ad esempio, nel gioco del calcio, ad eccezione del portiere, la palla non può essere giocata con le mani; nel gioco della pallacanestro la palla non può essere giocata, senza alcuna eccezione, con i piedi, ecc.). Durante lo svolgimento di uno sport, come, ad esempio, nel calcio (caso di Cass. n. 3959/2023), l’arbitro può rilevare un fallo, volendo alludere con questa definizione a un’infrazione al regolamento commessa dall’atleta, che può assumere una valenza a seconda della situazione [17]. Più nello specifico, un fallo può estrinsecarsi in una condotta individuale da parte del­l’atleta (ad esempio, nel caso in cui questo tocchi il pallone con la mano) oppure in una condotta che vede il contatto con l’avversario (ad esempio, un tackle in scivolata). In questo ultimo caso è [continua ..]


4. La c.d. funzionalità della condotta e l’ardore agonistico negli allenamenti

La questione della funzionalità della condotta dell’atleta assume un ruolo ancillare non solo in Cass. n. 3959/2023 e n. 4707/2023, ma anche nella pratica di un qualunque tipo di sport, ed in particolare in quelli dilettantistici ed amatoriali, in quanto – se così non fosse – questa potrebbe trasformarsi nel pretesto per esercitare un autonomo, ed illegittimo, giustizialismo (si pensi, ad esempio, ad un soggetto che nell’ambito di una partita aziendale di calcio sferra volontariamente, con un intervento in tackle, un violento calcio al collega che gli sta antipatico spezzandogli una gamba) [24]. Nel caso di Cass. n. 4707/2023 si pone la questione di come, in uno sport caratterizzato da un contatto fisico assai elevato, l’uso della violenza postulata dalla disciplina sportiva in sé sia tale da renderla estranea allo scopo sportivo. A tale proposito, la Suprema Corte osserva come, nel caso dei colpi c.d. vietati – ad esempio, nel pugilato – se questi vengono inferti sull’onda del pieno agonismo si consumerà un illecito sul piano sportivo (e che avrà come ripercussione una penalità), mentre nel caso in cui questi sono inferti sull’onda dell’aggressività indotta dall’agonismo – con, ad esempio, l’avversario già al tappeto – si consumerà un illecito sul piano extra sportivo (e che avrà come ripercussione almeno il risarcimento del danno) per la non funzionalità del­l’aggressione allo scopo sportivo [25]. Da ciò ne consegue che l’illecito extra sportivo (civile e/o penale) dipende da un esercizio sproporzionato della violenza, in violazione del parametro della diligenza e prudenza, avuto riguardo alle caratteristiche della disciplina ed al particolare contesto in cui si è svolta la specifica pratica sportiva, con conseguente valutazione in concreto. La valutazione in concreto deve essere fatta sulla base di tutta una serie di regole di prudenza, e questo vale sia per la gara ufficiale che per l’allenamento. Non è un caso che proprio quest’ultimo, in quanto prova generale in vista della gara ufficiale, era stato il motivo del superamento in dottrina delle teorie della consuetudine e dell’esercizio del diritto, per lasciare spazio a quella, tutt’ora in essere, della c.d. scriminante non codificata [26]. A tale proposito, nel [continua ..]


5. Considerazioni conclusive e riflessioni de iure condendo

Per avviarci alle conclusioni di questo commento, le due decisioni devono essere osservate in maniera complementare giacché Cass. n. 3959/2023 integra, quanto in maniera più completa viene proposto da Cass. n. 4707/2023 in materia di responsabilità civile nello sport. In particolare, in Cass. n. 3959/2023 emerge come l’ardore agonistico non può rientrare sempre nell’ambito dell’accettazione del rischio sportivo [28] in quanto la condotta irruenta e sproporzionata al contesto di una partita amichevole tra squadre dilettanti dovrà essere valutata dal giudice nel caso concreto e, se del caso, dovrà dar luogo al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale [29]. Sgomberando gli equivoci da un infortunio sportivo, del tutto fortuito o rientrante nell’am­bito dell’accettazione del rischio sportivo (il quale non dà luogo ad alcun risarcimento del danno), appare fuori discussione il fatto che nel caso in cui un atleta dilettante, che nella vita quotidiana esercita un’attività imprenditoriale (ad esempio, un imbianchino), qualora subisca un infortunio derivante da una condotta del tutto avulsa, come in Cass. n. 3959/2023, avrà diritto al risarcimento del danno [30]. Nello specifico, le voci di danno dovranno essere considerate quelle rientranti nel danno emergente (ove rientrano le voci di spesa sostenute per le cure mediche e la riabilitazione) e nel lucro cessante (ove rientrano le voci del mancato guadagno dovuto all’impossibilità di esercitare la propria attività lavorativa). Il concetto di sproporzione trova ben più ampio risalto in Cass. n. 4707/2023 che ripropone dopo ben trentotto anni [31], il principio secondo cui nello sport caratterizzato dal contatto fisico e dall’uso di una quota di violenza, la violazione nel corso di attività di allenamento di una norma del regolamento sportivo non costituisce di per sé illecito civile in mancanza di altre circostanze rilevanti ai fini del carattere ingiustificato del­l’azione dell’atleta [32]. La decisione dei giudici di legittimità in Cass. n. 4707/2023 rappresenta una boccata d’ossigeno non solo per gli atleti, ma per tutti coloro che operano nel contesto delle arti marziali e degli sport da combattimento (istruttori e maestri in particolare) in quanto senza una presa di posizione da parte della [continua ..]


NOTE