Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Le plusvalenze incrociate tra “giusto prezzo” ed esigenze di certezza delle transazioni (di Federico Ioannoni Fiore, Dottorando di ricerca in Law and Business, XXXVIII ciclo, presso Università Luiss Guido Carli)


La decisione delle Sezioni Unite della Corte federale di appello permette di sviluppare alcune considerazioni in merito alle modalità di esercizio dell’autonomia privata. In assenza di limiti a quest’ul­tima, i contraenti sono liberi di perseguire, tramite i loro scambi, interessi ulteriori per la cui realizzazione l’operazione economica di scambio si presenta come un mero strumento.

La prassi di generare plusvalenze fittizie tramite il trasferimento di calciatori e l’apposizione di un corrispettivo esorbitante il reale valore dell’atleta è analizzata nei suoi riflessi contabili e di giustizia contrattuale.

Il presente contributo è volto alla raccolta e rielaborazione di riflessioni sul giusto prezzo dell’ope­razione economica e sull’eventualità che un intervento regolatorio di giustizia sostanziale possa trovare cittadinanza nel mercato dei calciatori.

Cross capital gains between “fair price” and transactions certainty requirements

The United Sections Federal Court of Appeal’s decision led to the development of various considerations concerning the private autonomy’s exercise. When there are no limits to private autonomy, the contracting parties are free to pursue – through their exchanges – further interests, whose fulfilment conceives the economic exchange transaction as a mere instrument.

The practice of generating fictitious capital gains through the transfer of ootball players, and the setting of an excessive price compared to the real value of the athlete, is analysed in accountancy and contractual justice implications.

This work aims at collecting and elaborating reflections on the fair price of the economic transaction and the possibility that the regulatory intervention of substantial justice could find its way into the football players’ market.

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO SEZIONI UNITE ha pronunciato la seguente DECISIONE Sul reclamo n. 0107/CFA/2021-2022 proposto dalla Procura federale contro (omissis) Nonché sui reclami incidentali (omissis) tutti proposti per la riforma della decisione del Tribunale federale nazionale n. 0128/TFNSD-2021-2022 del 22.04.2022 (omissis) La Procura Federale reclama la decisione 0128/TFNSD-2021-2022 con la quale il Tribunale – previo stralcio delle posizioni dei sigg.ri (omissis) con restituzione alla Procura Federale dei relativi atti – proscioglie da ogni addebito tutti i deferiti ed affida l’impugnazione ai seguenti motivi: (omissis) CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con la decisione impugnata il Tribunale federale nazionale ha ritenuto che: – vada riconosciuto lo sforzo acquisitivo, valutativo e argomentativo della Procura Federale, che ha elaborato un proprio metodo di valutazione andando poi a confrontare l’importo individuato quale corrispettivo “giusto” per ogni singolo calciatore interessato dalle acquisizioni/cessioni oggetto del procedimento con quanto risultante dal sito Transfermarkt; – la Procura Federale è giunta ad una propria valutazione del valore di cessione di taluni calciatori, generalmente non lungi da quanto risultante dal detto sito, considerando i seguenti criteri valutativi: A) età; B) ruolo; C) carriera sportiva (omissis); D) storia economica dei trasferimenti avuto riguardo anche alle condizioni contrattuali fissate nei trasferimenti precedenti; E) contratti di lavoro sportivo, avuto riguardo anche alla durata, alla retribuzione prevista; – la Procura federale, peraltro, non ha ritenuto di dover attribuire a ogni singolo fattore una valenza specifica in termini percentuali in modo tale da poter uniformare la propria valutazione, peraltro effettuata in via retrospettica e senza indicazione, per ogni singolo criterio, del valore o peso ad esso attribuito. Ha poi dato valenza, quali sintomi di operazioni di cessione finalizzate alla realizzazione di plusvalenze: a) alla reciprocità di due o più cessioni tra medesime società; b) alla contestualità temporale, effettiva o quantomeno sostanziale, delle cessioni; c) alla realizzazione di plusvalenze per entrambe le società; d) all’irrilevanza delle cessioni dal punto di vista finanziario che, per le società interessate, hanno comportato un pareggio, effettivo o sostanziale, tra entrate e uscite. (omissis) – tuttavia, in primo luogo, solo poche delle cessioni esaminate dalla Procura Federale presentino quelle caratteristiche dalla stessa individuate quali sintomi di operazioni “sviate” e finanziariamente “fittizie”. Indubbiamente, tali cessioni destavano e destano sospetto, che tuttavia non attingono la soglia della ragionevole certezza, data da indizi gravi, concordanti e plurimi; – infatti, e ciò vale per [continua..]
SOMMARIO:

1. Il fatto - 2. Qualificazione giuridica del cartellino e plusvalenze incrociate - 3. Cenni sulla natura del contratto di cessione del diritto all’utilizzo esclusivo delle prestazioni del calciatore - 4. La distinzione tra prezzo e valore e il “giusto prezzo” dell’operazione economica - 4.1. Giustizia contrattuale e applicabilità diretta dei principi costituzionali nei rapporti tra privati - 4.2. La tesi del: qui dit contractuel, dit juste - 4.3. Il giusto prezzo e la disciplina positiva - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il fatto

La decisione in commento affronta il problema relativo alla prassi, adottata dalle società calcistiche, di registrazione a bilancio delle cc.dd. plusvalenze “fittizie” e alla conseguente sanzionabilità del comportamento delle medesime società e dei loro dirigenti alla stregua degli artt. 4 e 31 del Codice di giustizia sportiva, i quali regolamentano, rispettivamente, i principi di lealtà, correttezza e probità e le violazioni in materia gestionale ed economica. In particolare, le Sezioni Unite della Corte Federale d’appello della FIGC analizzano le ripercussioni contabili e di sostenibilità aziendale di una pratica particolarmente diffusa nell’am­bito delle operazioni negoziali delle società calcistiche, ossia la “cessione dei calciatori” a fronte di corrispettivi ben lontani dal reale valore di mercato degli stessi e convenuti al sol fine di far registrare nel bilancio della società cedente una cospicua plusvalenza. La vicenda giudiziaria trae origine da un deferimento proposto dalla Procura Federale innanzi al Tribunale Federale nazionale formulato a carico di una vasta gamma di soggetti – principalmente membri dei C.D.A. delle società sportive coinvolte – con il quale si contesta la violazione delle norme succitate per aver attuato un disegno finalizzato a far apparire sia risultati economici superiori al reale sia un patrimonio netto anch’esso superiore rispetto a quello esistente. Il Tribunale federale, con decisione n. 0128/TFNSD-2021-2022 del 22 aprile 2022, proscioglie da ogni addebito tutti i deferiti. Le Sezioni Unite, con la decisione in commento, confermano l’esito del giudizio di primo grado sostenendo, in estrema sintesi, che l’assenza di criteri definiti all’interno dell’ordinamento federale rappresenti un ostacolo insormontabile che inibisce la valutazione di illiceità delle transazioni. Dunque, pur riconoscendo l’esigenza di intervenire per evitare il ripetersi di operazioni a valori economicamente non congrui o non giustificati, la Corte d’appello federale respinge il reclamo del Procuratore Federale, non senza aver invitato il Presidente della Federazione a valutare l’opportunità di assumere un’iniziativa normativa urgente che si sostanzi nell’ela­borazione di principi-guida con i quali esaminare le modalità di formazione delle [continua ..]


2. Qualificazione giuridica del cartellino e plusvalenze incrociate

L’analisi del problema giuridico discendente dall’iscrizione di plusvalenze fittizie nel bilancio delle società sportive necessita di una preliminare digressione sulla natura giuridica del cartellino dei giocatori, oggetto delle operazioni negoziali la cui liceità è stata posta in dubbio nella decisione in commento. Il “cartellino” del calciatore è un termine utilizzato nel gergo comune che indica il diritto alle prestazioni di un calciatore professionista [1]. La proprietà del cartellino da parte di una società sportiva, dunque, conferisce ad essa una serie di facoltà tra le quali, a titolo esemplificativo, quella di far svolgere l’attività agonistica dell’atleta alle proprie dipendenze [2] o di cederlo in prestito o a titolo definitivo ad ulteriori società sportive. Non volendosi soffermare sugli aspetti “meramente” sportivi, la proprietà del cartellino assume per le società sportive – e calcistiche in particolare – la valenza di un asset aziendale, una voce del proprio bilancio, ergo un elemento che contribuisce ad accrescere la ricchezza della società di esso proprietaria [3]. La suddetta risorsa economica può essere reperita in due diversi modi: i) ingaggiando un giocatore c.d. “svincolato” il cui cartellino non è di proprietà di alcuna società – operazione divenuta possibile in seguito all’abolizione del vincolo sportivo [4] da parte della legge n. 91/1981 [5] che recepì la celeberrima sentenza Bossman [6] – e quindi senza dover affrontare alcun esborso; ovvero ii) acquistando il diritto alle prestazioni dalla società con la quale il calciatore è ancora legato da un rapporto contrattuale. Nella seconda ipotesi, il trasferimento dell’atleta professionista può avvenire solo nel caso in cui la società titolare del contratto di lavoro subordinato ceda lo stesso, previo consenso del calciatore. Rimandando ad un secondo momento la discussione relativa alla natura di tale cessione, si deve sin d’ora evidenziare come una simile operazione negoziale preveda che la società divenuta nuova proprietaria del cartellino riconosca un corrispettivo alla cedente. Il “costo” del giocatore – o, più precisamente, del diritto all’utilizzo esclusivo delle [continua ..]


3. Cenni sulla natura del contratto di cessione del diritto all’utilizzo esclusivo delle prestazioni del calciatore

La decisione in commento permette di compiere alcune considerazioni sulla natura giuridica dell’operazione negoziale con la quale un calciatore si “trasferisce” alle dipendenze di una diversa società. La ricostruzione tradizionale inquadra tale fenomeno come un’applicazione dell’istituto della cessione del contratto, di cui agli artt. 1406-1410 c.c. Tale tesi affonda le proprie radici in alcuni dati normativi, primo su tutti l’art. 5 legge n. 81/1991 rubricato proprio «Cessione del contratto», che prevede la possibilità di un accordo tra società improntato sulla falsa riga del modello codicistico sopra citato. Deve essere segnalato come anche la normativa federale, in particolare gli artt. 95 e 102 NOIF, rechi regolamentazioni che richiamano l’istituto civilistico [18]. In effetti, molte sono le somiglianze con lo schema delineato dal codice civile: ci si trova dinanzi ad un accordo necessariamente trilaterale [19] e non è diverso il regime delle invalidità, poiché anche in questo caso le invalidità che colpiscono una singola partecipazione coinvolgono necessariamente l’intero contratto [20]. Né risulta ostativo alla riconduzione all’art. 1406 c.c. il fatto che le prestazioni del giocatore nei confronti della società cedente siano già state parzialmente eseguite, essendo possibile la cessione del contratto sino al momento in cui lo stesso non abbia esaurito i suoi effetti. In aggiunta, il genus delle prestazioni cui i nuovi contraenti devono adempiere è il medesimo: in estrema sintesi, nel nuovo come nel precedente contratto firmato dall’atleta, vi è la corresponsione di uno stipendio a fronte dello svolgimento dell’attività sportiva alle dipendenze della società. Quantunque le caratteristiche brevemente descritte suggeriscano la sussumibilità del negozio nella categoria della cessione di contratto, vi sono delle differenze che suggeriscono l’ade­sione ad altri orientamenti. L’effetto del contratto di cessione si individua nel «subentro nella stessa fonte regolatrice dell’ulteriore svolgimento del rapporto contrattuale fino a che questo non sia esaurito» [21], ergo il trasferimento della complessiva posizione che un soggetto ha assunto in un rapporto nascente da contratto [22]. Si deve aggiungere che, per [continua ..]


4. La distinzione tra prezzo e valore e il “giusto prezzo” dell’operazione economica

La Corte Federale, nel concludere per la liceità e la conseguente non sanzionabilità degli atti concretizzanti il fenomeno delle plusvalenze fittizie, basa la risoluzione del problema giuridico sulla distinzione tra il valore – definito come «risultato di una formulazione in vario grado astratta, e perciò teorica» – e prezzo [28], dato fattuale poiché rappresentativo dell’incontro della domanda e dell’offerta, dell’interazione tra le funzioni di utilità dei soggetti economici interessati allo scambio. La linea di demarcazione tracciata dalla Corte rende il commento della decisione di que­st’ultima terreno fertile per qualche riflessione sul c.d. “giusto prezzo” e sulla sua incidenza nella valutazione di meritevolezza di un contratto.


4.1. Giustizia contrattuale e applicabilità diretta dei principi costituzionali nei rapporti tra privati

Un primo orientamento concentra l’attenzione innanzitutto sull’applicazione diretta dei principi costituzionali nei rapporti di diritto privato. È bene premettere che la succitata immediata applicabilità ricevette una prima parziale concretizzazione in relazione all’art. 36 Cost.: il valore precettivo della disposizione riguardante la retribuzione del lavoratore giunse infatti a compimento tramite il medium costituito dai contratti collettivi [29], dovendosi così attendere ulteriori vent’anni per l’ingresso nel dibattito scientifico della precettività istantanea dei principi [30]. Nel panorama storico accennato, l’avvento del neocostituzionalismo ha postulato l’allar­gamento delle maglie d’intervento del potere giurisdizionale sugli atti di autonomia privata. Le norme costituzionali vincolerebbero, quindi, non solo il potere legislativo, bensì anche quello dei privati di autoregolamentarsi [31], aprendo al sindacato di costituzionalità avente ad oggetto la regola negoziale [32]. In quest’ottica la Costituzione non può avere meramente valenza interpretativa dell’atto di autonomia contrattuale; spostando l’attenzione dal piano interpretativo a quello applicativo, si ritiene che ogni fattispecie concreta sia disciplinata non dalla mera legge ordinaria o pattizia ad essa riferibile, bensì dal combinato disposto della stessa e della norma costituzionale [33]. Dunque, la posizione qui delineata [34] postula, in relazione al contratto, una nuova definizione dello stesso, non più considerato meramente come “affare patrimoniale”, ma come atto che deve essere caratterizzato da un’utilità sociale, per via della necessaria conformazione degli interessi in esso regolati al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. [35]. Appare utile sottolineare la rilevanza di tali posizioni favorevoli a sottoporre l’autonomia contrattuale ad un rigido controllo di proporzionalità e ragionevolezza quale componente strutturale dell’interpretazione [36]. Volendo trasporre quanto detto nell’ambito del discorso inerente ai negozi tra privati, si invoca una verifica del rapporto contrattuale volta ad appurare che il regolamento non realizzi un ingiustificato o eccessivo squilibrio in considerazione degli interessi dedotti nella vicenda, operando, [continua ..]


4.2. La tesi del: qui dit contractuel, dit juste

Già nel diritto romano, d’altronde, il prezzo era inteso in funzione esclusiva dell’interazione tra venditore e compratore [44]; è però merito delle idee liberiste sviluppatesi nel XIX secondo quello di compiere un passo ulteriore affermando che lo scambio abbia in sé la propria regola [45] e, dunque, che il contratto sia indifferente rispetto ad eventuali determinazioni “spirituali” dei suoi protagonisti [46]. Il liberismo moderno nega che il giusto prezzo possa rappresentare una qualità intrinseca delle cose, poiché esso non esiste prima dell’accordo. La giustizia si celebra nell’incontro tra domanda e offerta ed è perciò il dispiegamento della concorrenza ad assicurare che le ragioni di scambio si determinino secondo criteri di distribuzione [47]. Per quel che concerne il controllo pubblico sugli atti tra privati, quanto esposto si traduce nel­l’insindacabile validità degli accordi voluti dalle parti in seguito ad una decisione consapevole [48] e nella preclusione al giudice di ogni valutazione del contratto in termini di giustizia: egli non può correggere il prezzo, poiché una tale revisione maschererebbe apprezzamenti di tipo metagiuridico dietro il richiamo alle clausole generali quali buona fede, correttezza ed equità [49]. Il modello giureconomico delineato non sopporta, dunque, un intervento eteronomo sui prezzi, i quali debbono essere lasciati alla determinazione dei contraenti, in conformità alle oscillazioni del mercato [50]. Il costante riferimento al mercato permette di introdurre talune “critiche” che i liberisti operano a danno della teoria del giusto prezzo. Un vizio dal quale non si è mai emendata tale teoria [51] è stato quello di non saper fornire validi criteri per quantificare il “giusto prezzo”, se non riferendosi al prezzo di mercato o al prezzo corrente [52]. Ipotizzare un adeguamento del contratto alla stregua di tale criterio è però erroneo – seguendo la logica del laissez faire – per una duplice ragione. In primo luogo, una tale correzione potrebbe non essere conforme a criteri di razionalità economica: la massima efficienza possibile non coincide con il prezzo medio praticato dagli operatori di un determinato settore, bensì con le scelte degli agenti, poiché [continua ..]


4.3. Il giusto prezzo e la disciplina positiva

La teoria del contratto come “espressione del giusto prezzo” sembrerebbe non trovare cittadinanza nell’ordinamento italiano. Tuttavia l’assioma per cui “il giusto prezzo non esiste” è essenzialmente viziato da superficialità ed anzi può considerarsi parzialmente esatto solo se emendato con alcuni correttivi. Il nostro ordinamento, pur affidando alle parti la determinazione delle prestazioni, subordina tale libertà all’esistenza di una formale e sostanziale parità tra i contraenti. Dunque, il primo correttivo è rinvenibile nella disciplina dei vizi del consenso. Le norme relative ad errore, violenza e dolo nel regolamentare la fase di formazione del contratto predispongono una serie di reazioni alla distorsione dei processi volitivi [59], i quali devono risultare immuni da ingerenze esterne che possano fuorviare gli stipulanti nel procedimento di quantificazione del surplus discendente dall’operazione negoziale [60]. Il secondo correttivo che si vuole introdurre è rappresentato in generale dalle normative protezionistiche. Senza entrare nel dettaglio delle disposizioni, tali interventi – perlopiù posti in attuazione di direttive comunitarie [61] – nascono dalla consapevolezza di una disparità di forza contrattuale che deve essere bilanciata da tutele nei confronti della parte debole. La ratio legis, dunque, non coincide con la garanzia di giungere ad uno scambio congruo, bensì è quella di assicurare un esercizio dell’autonomia privata libero da condizionamenti, com’è chiaro in relazione agli obblighi di informazione [62]. Ebbene, da tali due correttivi, è possibile trarre una prima conclusione derivante dalla loro comune matrice, individuabile nel perseguimento della parità – sia formale che sostanziale – tra i contraenti. Infatti, l’ordinamento predispone una serie di controlli procedurali relativi alla formazione del contratto. Dunque, per quanto si possano escludere correzioni e/o revisioni del contenuto del regolamento negoziale, vige un principio generale teso a favorire che alla stipula del contratto si giunga in condizioni di capacità e piena cognizione. Il diritto non prescrive né controlla gli scopi degli atti negoziali, ma nel regolarne le forme e modalità «tutela la libertà e consapevolezza della [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

Le conclusioni cui giunge la Corte Federale d’Appello – l’impossibilità di intervenire nelle operazioni negoziali e la non punibilità degli attori che le hanno realizzate – sono coerenti con le considerazioni svolte in questo contributo. Il cardine della decisione della Corte, lo si ribadisce, risiede nell’assenza di norme nell’or­dinamento italiano e nel «contratto normativo federale» [68] alla stregua delle quali valutare, in termini di invalidità o immeritevolezza, i contratti perfezionati al sol fine di registrare plusvalenze fittizie. Si vuole, in queste ultime righe, porre una riflessione in merito al monito rivolto al Consiglio federale [69], ovverosia l’introduzione di una norma caratterizzata – alla luce delle differenziazioni sopra tracciate – da una tensione verso la giustizia sostanziale. Per quanto le considerazioni poste a fondamento del suddetto auspicio siano condivisibili in un’ottica di coerenza tra valore del diritto e retribuzione economica, è lecito dubitare del fatto che a tale monito venga dato seguito, per un duplice ordine di ragioni. Il primo riguarda l’inidoneità di un intervento perimetrato soltanto all’ordinamento sportivo italiano: in assenza di una normativa armonizzata quantomeno a livello europeo (e quindi con la necessaria partecipazione degli organi UEFA) la limitazione, seppur ragionevole, della libertà degli scambi avrebbe (prevalentemente, se non esclusivamente) effetti deleteri sulla competitività delle società calcistiche che partecipano ai nostri campionati. In secondo luogo, si vuole sottolineare come le normative di tale portata siano circoscritte ad ambiti in cui le garanzie procedurali risultano insufficienti ad assicurare che si generi un surplus per ambo i contraenti. Il mercato di cui sono protagoniste le società calcistiche è contraddistinto da un alto livello di professionalità, da prezzi fluttuanti e, soprattutto, da un inerodibile soggettivismo nella valutazione di convenienza. Pertanto, la strada per eliminare le descritte storture negoziali appare quantomeno tortuosa, ma occorrerà comunque muoversi in quella direzione onde scongiurare rischio sistemici più gravi (per il mondo sportivo e non solo). Massima non ufficiale In assenza di un intervento normativo che determini i parametri alla stregua dei quali [continua ..]


NOTE