Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Insulti razzisti e disapplicazione del «vincolo di giustizia sportiva» (di Tommaso Mauceri, Professore associato di Diritto privato nell’Università di Catania.)


This paper is based on the decision of the FIGC Federal Court of Appeal. It offers an opportunity to focus on the theme of racist insults during sporting events and on the attitude and coordination of the remedies offered in these cases by the state and sports regulations. The subject of particular attention is the issue of remedies offered at federal sports level and their unsuitability, also in relation to the effectiveness of the bond of justice.

Corte Federale d’Appello FIGC, sez. I, 30 giugno 2020, n. 84 Pres. M.L. Torsello – Est. A. De Zotti – Accoglie in parte i ricorsi Comportamenti discriminatori – Autonomia della giustizia sportiva – Vincolo di giustizia sportiva – Diritto di critica dei tesserati nei confronti dei direttori di gara – Insulti razzisti rivolti da un arbitro a un calciatore dilettante di colore; mancato rispetto del vincolo di giustizia sportiva, da parte di quest’ultimo, nella proposizione di un esposto-querela; critiche sui social espresse dal dirigente dell’associazione sportiva. È incongrua in quanto ininfluente la sanzione sportiva consistente in una squalifica la cui durata sia inferiore all’interdizione di già prevista nel provvedimento DASPO irrogato per i medesimi fatti dall’Autorità amministrativa. Non è sanzionabile dalla Federazione il mancato rispetto del vincolo di giustizia sportiva se si tratta di adire la giustizia ordinaria penale per la tutela di un diritto personalissimo leso da un fatto integrante una fattispecie di reato e se il rifiuto dell’autorizzazione da parte della federazione non risulta adeguatamente motivato. Va riconosciuto il diritto di critica in capo ai dirigenti di un club circa una condotta del direttore di gara tale da configurarsi come fatto di cronaca purché le espressioni usate non siano disonorevoli (ciò che non si riscontra nell’utilizzo del termine «pischello»). (Omissis). Con decisione n. 24 dell’11 febbraio 2020, il Tribunale Federale Territoriale, in esito ai fatti avvenuti nel corso della partita Camaro-Parmonval, svoltasi il 7.5.2019 quale finale regionale Juniores e ai deferimenti disposti dal Procuratore Federale Interregionale, irrogava al sig. D.C. C.C. la sanzione della sospensione da incarichi di mesi quattro per violazione degli artt. 2, comma 1, 4 comma 1, 28, comma 1 CGS; al calciatore C. A. la sanzione della squalifica di mesi 6 e ammenda di € 500,00 per violazione degli artt. 4, comma 1, 34, e dell’art. 30, commi 2-4 dello Statuto Federale; al sig. C. G. la sanzione della inibizione di anni 1 e mesi 3 per violazione degli artt. 4, comma 1, 34, e art. 30 commi 2-4 dello Statuto Federale; alla A.S.D. Parmonval la penalizzazione di punti 3 in classifica da scontarsi nel Campionato Juniores (Under 19) nella corrente stagione sportiva e l’ammenda di € 1.000,00 per violazione dell’articolo 6, comma 2 CGS. Avverso la suddetta decisione sono stati proposti i seguenti reclami. Di tutti i reclami in premessa si dispone la trattazione congiunta per ragioni di connessione, trattandosi di sanzioni irrogate che scaturiscono, direttamente o indirettamente, dai fatti avvenuti nel corso della partita Camaro-Parmonval, svoltasi il 7.5.2019, che verranno riportati o richiamati di seguito ad illustrazione di ogni reclamo. Per ragioni di [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Razzismo in occasione di eventi sportivi. Le tecniche rimediali nel contesto dei rapporti tra ordinamento federale e statale - 3. Inidoneità della tutela offerta dall’ordinamento federale e disapplicazione del «vincolo di giustizia sportiva» - NOTE


1. Il caso

Nel corso della finale di un campionato di calcio Juniores l’arbitro apostrofa più volte in tono sprezzante un giocatore ghanese dandogli del «negro». L’arbitro viene sanzionato dal Tribunale federale con la squalifica di quattro mesi e dalla questura con un daspo di un anno. Anche l’atleta di colore vittima degli insulti subisce una sanzione sportiva, consistente in una squalifica di sei mesi, per essersi rivolto al giudice penale nonostante il diniego dell’auto­rizzazione federale prescritta dal c.d. «vincolo di giustizia sportiva». Viene altresì sanzionato il dirigente della squadra del giocatore per la medesima violazione del vincolo sportivo (configurabile nella cooperazione alla presentazione dell’esposto-querela) ed inoltre per avere espresso critiche nei confronti dell’arbitro, etichettandolo «pischello» su facebook. La Corte federale si trova a decidere su varie questioni introdotte dai ricorsi rispettivamente proposti dall’arbitro, che chiede l’annullamento della sua squalifica, dal Procuratore federale, che viceversa lamenta che la sanzione comminata all’arbitro sia troppo tenue e di fatto inutile (in quanto assorbita dal daspo), dal giocatore, che adduce l’inapplicabilità del vincolo di giustizia sportiva in caso di immotivato rifiuto dell’autorizzazione a rivolgersi al giudice penale, e dal dirigente del club che, oltre a ribadire quest’ultimo argomento, fa leva sul suo diritto di critica in riferimento a fatti di particolare gravità comunque oggetto di una certa risonanza mediatica. Per quanto riguarda il procedimento disciplinare a carico dell’arbitro, al di là del merito della commisurazione della squalifica (che pare congrua vista la gravità dell’infrazione), la decisione della Corte desta particolare interesse per la ragione che sollecita una riflessione sui rapporti e le eventuali interferenze tra i rimedi contro il razzismo rispettivamente predisposti dal­l’apparato statale e dall’ordinamento sportivo. Con riferimento al c.d. «vincolo di giustizia sportiva», poi, occorre verificare se e in presenza di quali presupposti esso debba essere disapplicato nel caso in cui il tesserato intenda rivolgersi al giudice penale. Il ricorso del dirigente sanzionato per aver criticato la direzione arbitrale della partita, infine, pone in evidenza la questione [continua ..]


2. Razzismo in occasione di eventi sportivi. Le tecniche rimediali nel contesto dei rapporti tra ordinamento federale e statale

Nell’aggravare la sanzione sportiva spettante all’arbitro autore degli insulti razzisti la Corte dà atto della gravità della condotta, come sancita dall’art. 28 del Codice di Giustizia sportiva FIGC (d’ora in poi CDS) nonché dall’art. 6.7 del Codice etico e di comportamento dell’AIA [1] e aggiunge altresì due diverse argomentazioni imperniate, la prima, su un’esigenza di proporzionalità con la sanzione al contempo inflitta al giocatore vittima della condotta razzista e, la seconda, sulla rilevata superfluità di una sanzione che verrebbe in toto assorbita dal daspo emesso dal questore a carico dello stesso arbitro per i medesimi fatti. Sotto il primo profilo, non pare convincente la correlazione che la Corte instaura tra la sanzione inflitta all’arbitro per gli insulti razzisti e quella inizialmente comminata al giocatore per la violazione del vincolo di giustizia sportiva visto che le condotte censurate non sono tra loro omogenee e che il nesso causale in qualche modo riscontrabile tra di esse avrebbe potuto, se mai, essere valorizzato come attenuante dell’infrazione disciplinare commessa dal giocatore [2]. In ogni caso, e proprio avuto riguardo alla posizione di quest’ultimo, la Corte non avrebbe dovuto prescindere dal fatto che la sanzione inizialmente irrogata viene nella stessa sentenza annullata. Maggiore attenzione sollecita il giudizio di incongruità della durata della squalifica dell’ar­bitro imperniato sul fatto che la sua potenziale efficacia sarebbe stata di fatto assorbita dal­l’interdizione di già implicata dal daspo emesso per i medesimi fatti dal questore. In altri termini, la Corte federale rivendica l’esigenza di un’autonoma effettiva portata della sanzione sportiva e ciò spinge a interrogarsi circa i rapporti che corrono tra i diversi tipi di sanzioni nel caso in cui il giudizio di disvalore di una condotta tenuta da un tesserato non si radichi esclusivamente nei codici di comportamento sportivo e sia perciò oggetto di rimedi specifici anche nell’ordinamento statale. In primo luogo va ricordato che il comportamento degli arbitri è costantemente oggetto di valutazioni che ne condizionano la carriera [3]: già sotto questo profilo, l’irrogazione di una sanzione sportiva per gravi fatti avvenuti nella conduzione di una [continua ..]


3. Inidoneità della tutela offerta dall’ordinamento federale e disapplicazione del «vincolo di giustizia sportiva»

La Corte annulla la sanzione irrogata al giocatore per avere sporto querela nonostante il rifiuto di autorizzazione della federazione (e, cioè, in violazione del c.d. vincolo di giustizia sportiva [10]) in virtù di un accertamento incidentale della illegittimità di tale rifiuto. Infatti, la mancata autorizzazione è ritenuta incongrua sia sul piano formale, per la ragione che non è supportata da idonea motivazione, sia sul piano sostanziale, visto che l’interesse che il tesserato ha inteso far valere rivolgendosi alla giustizia ordinaria non può essere soddisfatto mediante i rimedi apprestati dall’ordinamento sportivo e che, trattandosi di un interesse inviolabile protetto dalla Costituzione, non sarebbe ammissibile un vuoto di tutela. Per quanto riguarda il primo profilo ci si può limitare a osservare come, in effetti, la motivazione del provvedimento di diniego – che si esaurisce nella constatazione della pendenza di procedimenti disciplinari – fosse del tutto carente sfuggendo integralmente al nodo cruciale opportunamente messo in luce, invece, dalla Corte: se il ricorso alla giustizia ordinaria sia indispensabile per la tutela dell’interesse che il tesserato intende far valere. Infatti – passando a considerare il profilo sostanziale – è per l’appunto il criterio ora indicato che, secondo un orientamento collaudato, consente di stabilire se il tesserato sia sottratto all’obbligo di rispettare il principio di autodichia che, in via di principio, governa il mondo della giustizia sportiva [11]. I giudici della Corte ritengono che nel caso in esame il ricorso al giudice ordinario fosse irrinunciabile per la ragione innanzitutto che la tutela offerta in quella sede non è fungibile con le risposte dell’ordinamento sportivo e che, comunque, sono in gioco diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti. Giova allora mettere a fuoco i caratteri dell’infungibilità della protezione richiesta al giudice penale al fine anche di verificare la solidità del richiamo alla matrice assiologica rinvenibile nella Costituzione. Prima ancora, però, occorre brevemente richiamare il significato e la logica del vincolo di giustizia sportiva. Si tratta di un istituto risalente che comprime il diritto fondamentale a ricorrere alla giustizia ordinaria radicandosi su consolidate prassi sociali volte a [continua ..]


NOTE