Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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L'informazione all'atleta nel divieto di associazione: natura processuale e requisiti sostanziali (di Cristina Asprella, Ricercatore di Diritto processuale civile presso l’Università Niccolò Cusano di Roma.)


The author comments on the provision of art. 2.10 of the Antidoping Sporting Code prohibiting athletes the association with support staff or inhibited disqualified for doping founding the source in the need to combat doping also by the boycott of the entourage of the athlete who has been sanctioned because of this illicit conduct. In particular, the author examines the similarities and differences compared to the similar provision of the WADA Code 2015 and then devoted herself to the study of the nature of the information that must be provided to the athlete under the provision to integrate the incriminating the ban on association. The author, among the two possible alternatives, namely the configuration of that information as a condition of admissibility of the claim or for proposing the same believed to adhere to the last of the two hypotheses. In particular, it argues that under art. 2.10 seems to configure the two conditions laid down therein – information to the athlete and the reasonable opportunity to avoid counseling or support staff inhibited – what conditions necessary for the very existence of the ban. The author then examines the list of «unapproachable» recently published by Wada believing that the list can not in any way replace the athlete prior information request in writing from the norm examined.

SOMMARIO:

1. Il divieto di associazione dal Codice WADA 2015 alle NSA 2015 - 2. I requisiti dell’informazione all’atleta per l’operatività del divieto di associazione - 3. La natura dell’informazione all’atleta: una condizione di procedibilità o di proponibilità dell’azione? - 4. La lista degli inavvicinabili WADA 2015 e l’operatività della norma sul divieto di associazione - 5. Il problema della prescrizione e della ultrattività della disposizione - NOTE


1. Il divieto di associazione dal Codice WADA 2015 alle NSA 2015

È noto che il contrasto del doping non può non passare per il controllo del personale di supporto dell’atleta. Tuttavia la difficoltà di imporre obblighi e sanzioni a coloro che assistono l’atleta, ad esempio l’allenatore, ha reso necessaria l’emanazione di una norma diretta proprio nei confronti del personale di supporto [1]. La norma, introdotta nel Codice della World Anti-Doping Agency del 2015, ha così ovviato alla carenza di tale meccanismo sanzionatorio individuando, inoltre, che cosa si intenda per il personale di supporto destinatario dell’obbligo e delle relative sanzioni [2]. Parallelamente, sia le norme del Codice WADA che le speculari norme sportive antidoping 2015 sanzionano l’atleta che continui ad avvalersi delle prestazioni del personale «inibito». In particolare, nel contesto del Codice WADA 2015, si prevede, all’art. 2.10, una norma che pone un divieto di associazione; la violazione della disposizione si verifica allorché l’atleta o altro soggetto che sia sottoposto all’autorità di una Anti-Doping Organization utilizzi le prestazioni di personale di supporto che stia scontando una inibizione oppure che sia stato sanzionato in sede penale o disciplinare/professionale per aver tenuto comportamenti che sarebbero stati sanzionati laddove fosse stato applicabile il Codice WADA [3]. In ogni caso prevede il Codice WADA 2015 che lo sportivo sia sanzionabile solo qualora sia stato informato, dall’ADO competente, prima del contatto professionale o sportivo con il personale di supporto inibito e, pertanto, l’atleta è a sua volta sanzionabile solo ove violi il divieto di associazione nonostante l’informativa in questione e purché il contatto sia evitabile [4]. Per quanto riguarda il Codice Sportivo Antidoping 2015 (CSA), se già l’art. 3.2. delle previgenti Norme Sportive Antidoping 2013 (NSA) sanzionava, sotto la generica previsione della rubrica della norma [5], l’avvalersi, da parte dell’atleta, della consulenza o della prestazione di soggetti inibiti e/o squalificati per doping, adesso una più dettagliata previsione, in armonia con quanto previsto dalla medesima disposizione del Codice WADA 2015, è contenuta nell’art. 2.10 [6]. Tale disposizione, rubricata «Divieto di associazione» pone il divieto di avvalersi o di [continua ..]


2. I requisiti dell’informazione all’atleta per l’operatività del divieto di associazione

L’ultimo paragrafo dell’art. 2.10 inizia recitando «affinché questa norma trovi applicazione ...» ed elenca di seguito i requisiti necessari per la sua operatività. Di questi requisiti abbiamo già parlato supra; essi si sostanziano sia nell’informazione sullo stato di squalifica del personale di supporto dell’atleta e sulle potenziali conseguenze che derivano dal divieto di associazione (a); sia nella previsione che l’atleta o l’altro soggetto possano ragionevolmente evitare la consulenza o il supporto (b). Per quanto riguarda l’informazione all’atleta (requisito sub a) per essa la norma richiede che sia preventiva e scritta. Sulla natura scritta nulla quaestio; né, ritengo, incida sull’interpretazione della norma l’eventuale assegnazione alla Lista della natura di avviso scritto. Sulla necessità di una notificazione “preventiva” sorge il dubbio se l’aggettivo possa intendersi riferito alla condotta violativa o alla proposizione del­l’azione disciplinare. Sia la logica che la natura della previsione inducono a ritenere che l’informazione debba essere preventiva rispetto alla proposizione dell’azione e non anche preventiva rispetto alla condotta. Opinando diversamente la condotta non sarebbe in pratica mai sanzionabile atteso che pare di difficile operatività ritenere che la comunicazione possa essere inviata prima della condotta illecita dell’atleta (se la comunicazione è inviata è evidente che vi è un fumus di condotta illecita antecedente alla stessa informazione) [9]. Sul requisito della ragionevole possibilità di evitare la consulenza o il supporto tornerò nel prosieguo. Basti sul punto ricordare che la previsione è una norma di salvaguardia dettata sulla falsariga delle disposizioni normative che prevedono la scriminante della buona fede o, comunque, della possibilità concreta di evitare la condotta. Essa rientra pertanto nella generale tutela della buona fede anche processuale. La norma è comunque di difficile applicazione anche per la mancanza di un registro vero e proprio degli «inavvicinabili» che possa far fede ai fini dell’applicazione della previsione e tale non potendo ritenersi la Prohibited Association List recentemente emanata dalla WADA, su cui oltre. Fatto sta che, in effetti, l’art. 2.10 non [continua ..]


3. La natura dell’informazione all’atleta: una condizione di procedibilità o di proponibilità dell’azione?

L’incipit dell’ultimo paragrafo dell’art. 2.10 del Codice Sportivo Antidoping è perentorio: «affinché questa norma trovi applicazione …» è necessario che sussistano le due condizioni di cui ho parlato in precedenza, ossia l’informazione all’atleta o ad altro soggetto (a) e la ragionevole possibilità di evitare il supporto (b). Sorge pertanto il dubbio se la norma possa trovare applicazione in mancanza di una delle due condizioni. Il quesito concerne la natura processuale delle due condizioni previste dall’art. 2.10 e, in particolare, per quel che rileva ai nostri fini, della necessaria informazione preventiva e scritta che deve essere fornita da parte del NADO-ITALIA o della WADA all’atleta. Non pare dubbio, in realtà, dall’esegesi della norma, che essa configuri una azione risolutivamente condizionata ad una previa informativa all’atleta o all’altro soggetto; azione, quella dell’art. 2.10 che non può, pertanto, essere proposta – né, una volta proposta, in seguito proseguita – laddove questa informazione sia mancata. A mio parere trattasi pertanto di condizione di proponibilità della domanda giudiziale e non di condizione di procedibilità della stessa; nel prosieguo, infatti, esaminando norme del processo civile e dei riti speciali che prevedono condizioni di procedibilità della domanda giudiziale sarà agevole valutarne la differenza con questa previsione. La norma dell’art. 2.10, infatti, nonostante l’evidente importanza che il Codice WADA prima, e il CSA 2015 poi, assegnano al boicottaggio del personale di supporto squalificato per doping, sembra dettare una disposizione di favore per l’atleta, che impedisce l’eser­cizio dell’azione laddove non sussistano le due condizioni dalla norma stessa dettate. Se il perentorio inizio della disposizione – «affinché questa norma trovi applicazione» – viene letto come disciplinante un impedimento di tipo processuale, ossia, per intenderci, una «inammissibilità» della domanda proposta senza la previa informativa (o in presenza di una ragionevole impossibilità di evitare la consulenza o il supporto), il giudice sportivo, anziché pronunciare nel merito, deve limitarsi a constatare l’esi­stenza di un impedimento di tipo processuale: la causa [continua ..]


4. La lista degli inavvicinabili WADA 2015 e l’operatività della norma sul divieto di associazione

Come anticipato, in data 15 settembre, la WADA ha reso nota la lista degli «inavvicinabili» e, pertanto, di coloro la cui consulenza o supporto sono vietati e possibile oggetto di sanzione disciplinare ai sensi dell’art. 2.10 del Codice WADA [25]. In questo modo la WADA ha ovviato alla mancanza di un registro centrale degli ASP inavvicinabili e ha ritenuto di poter colmare – almeno in parte – la lacuna derivante dall’im­pos­sibilità per gli Atleti di informarsi sul fatto che un soggetto, del loro entourage, stia scontando una sanzione inibitoria o sia stato coinvolto in un fatto di doping che avrebbe costituito una ADRV se il Codice WADA si fosse potuto applicare nei suoi confronti. Si tratta di 114 nominativi, di cui 61 italiani. La lista, per espressa previsione non comprende i nominativi di coloro che abbiano proposto appello contro la decisione di primo grado [26]. A parte i dubbi, avanzati dai primi commentatori, sulle modalità di redazione della lista e di inserimento dei relativi nomi, rimane il dato di fatto del­l’e­si­stenza di un registro centralizzato degli inavvicinabili. Registro certamente non completo, per stessa ammissione della WADA, e certamente da integrare con eventuali sopravvenienze e/o dimenticanze. È proprio il disclaimer che apre la lista a chiarire che la «prohibited association list» include il nome, la nazionalità e la data di fine squalifica del personale di supporto degli atleti che abbiano violato le norme antidoping. Di conseguenza a tutti gli atleti è vietato «associarsi» con tali soggetti ai sensi dell’art. 2.10 del Codice WADA. Tuttavia, continua la previsione, tutti gli atleti devono essere informati che è, altresì, proibito avvalersi della consulenza e del supporto di qualsiasi atleta o altro soggetto che stia scontando un periodo di squalifica e che, nonostante squalificato, stia comunque operando come personale di supporto. Si tratta di una raccomandazione [27], come la stessa WADA espressamente indica, e, tuttavia, questo «monito» consente di comprendere come la lista in parola abbia un mero valore indicativo e non sostituisca in alcun modo l’onere di informazione personale dell’atleta, da un lato, e la necessità dell’informativa scritta dall’altro. Su questo profilo tornerò subito. Sul valore appunto meramente [continua ..]


5. Il problema della prescrizione e della ultrattività della disposizione

Se, a livello di regola generale, avrebbero dovuto rilevare soltanto le condotte sanzionabili a far data dal 1° gennaio 2015, ossia dall’entrata in vigore del Codice poiché in virtù del generale principio tempus regit actum, non è infatti possibile ipotizzare una ultrattività della disposizione – di sicuro sfavore per l’atleta – anteriore alla data di vigenza della norma, in realtà la stessa disposizione normativa contiene una regola diversa. Infatti, sempre all’interno dell’ultimo paragrafo dell’art. 2.10 si legge che «fermo restando quanto previsto dall’art. 23 del presente CSA, il presente articolo trova applicazione anche qualora la squalifica del Personale di supporto dell’Atleta sia stata comminata in data antecedente all’entrata in vigore delle presenti NSA». La norma è chiaramente diretta a salvaguardare il divieto di associazione indipendentemente dall’entrata in vigore, recentissima, del CSA 2015. L’idea dei conditores sarebbe, pertanto, quella di poter estendere l’operatività della disposizione anche alle condotte che non si siano esaurite al momento della sua entrata in vigore e, pertanto, anche qualora la squalifica del personale di supporto dell’atleta sia stata comminata prima dell’entrata in vigore della disposizione. Tuttavia, la salvezza, espressamente indicata dalla norma, di quanto previsto dall’art. 23 delle NSA rende necessarie ulteriori riflessioni. La disposizione, infatti, sia per regola generale che per il richiamo all’art. 23, non può in alcun caso ritenersi applicabile a condotte che si siano prescritte al momento dell’entrata in vigore della disposizione ovvero al momento in cui viene fornita l’informazione scritta da parte delle autorità competenti. In tal caso, infatti, la rilevanza ed operatività della prescrizione elimina anche la possibilità di applicare una ipotetica sanzione per il divieto di associazione [29]. Il discorso da fare è, per tale ragione, diverso: l’operatività della disposizione in parola può ben essere estesa a condotte oggetto di squalifica prima del 1° gennaio 2015 ma sempre purché venga data all’Atleta informativa scritta preventiva all’azione e sempre purché l’Atleta abbia la ragionevole possibilità di evitare la [continua ..]


NOTE