Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Su autonomia e indipendenza dei «nuovi» organi di giustizia * (di Massimo Proto, Professore associato di Diritto Privato nell’Università degli Studi di Parma.)


This paper explores the autonomy and independence of the new bodies of justice, as a result of the recent reform approved by the CONI. Strictly speaking, the character of autonomy should follow the internal structure of the legal system and define itself in the allocation of the power of judicial administration to the same bodies of justice or to different officials from those who exercise the power of sports management. The character of independence should instead relate to the exercise of judicial function, called to take place without interference from those who hold other roles and, more generally, by any federal subject: while exercising his function every judge must be subject only to (the law) the statute and regulations, in an exclusive and direct way.

SOMMARIO:

1. Profilo strutturale e profilo funzionale - 2. Indici normativi - 3. Indipendenza - 4. Autonomia - NOTE


1. Profilo strutturale e profilo funzionale

Nell’àmbito del dibattito sullo stato attuale della giustizia sportiva – che l’incontro di oggi ha il merito di raccogliere in una cifra unitaria – vorrei ritagliare un piccolo spazio per dare conto degli strumenti, introdotti dai Principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate [1], dai Principi di giustizia sportiva [2] e dal Codice della giustizia sportiva [3], al fine di tutelare l’autono­mia e l’indipendenza degli organi di giustizia.

La questione è di primaria importanza, se si pensa che l’obiettivo – perseguito con la recente riforma approvata dal CONI – di assegnare certezza e omogeneità, anche applicativa, alle regole di giustizia, passa non soltanto attraverso l’uniformazione dei modelli procedurali, ma, altresì, attraverso la neutralità dell’autorità decidente.

Autonomia e indipendenza, dunque.

A rigore, il carattere dell’autonomia dovrebbe attenere alla struttura interna degli organi di giustizia e risolversi nell’attribuzione del potere di amministrazione del corpo giudicante agli stessi organi di giustizia o, comunque, a soggetti differenti da quelli che esercitano il potere di gestione sportiva.

Il carattere dell’indipendenza dovrebbe invece riguardare l’esercizio della funzione giudicante, chiamata a svolgersi senza interferenze da parte di chi sia titolare di altre funzioni e, più in generale, da parte di qualunque soggetto dell’ordinamento federale: nell’esercizio della propria funzione ogni giudice deve essere soggetto soltanto (alla legge) allo statuto e ai regolamenti, in modo esclusivo e immediato.

Da un lato, dunque, un profilo strutturale; dall’altro, un profilo funzionale.


2. Indici normativi

Vediamo allora cosa prevedono, con riguardo ai due profili dell’autonomia (profilo strutturale) e dell’indipendenza (profilo funzionale), i Principi fondamentali degli statuti, i Principi di giustizia sportiva e il Codice della giustizia sportiva. Corpi normativi, quelli appena richiamati, i quali – giova ricordarlo – assumono carattere vincolante per le federazioni e le discipline sportive associate.

Tra i Principi fondamentali degli statuti [4] è incluso innanzitutto, all’art. 3, il principio di «separazione dei poteri». Il comma 6 di tale articolo stabilisce che gli statuti delle federazioni e delle discipline sportive associate «devono prevedere la distinzione ed elencazione degli organi federali ed indicare la separazione tra i poteri di gestione sportiva e [i poteri] di gestione della giustizia federale». Sulla medesima linea, il comma 7 dello stesso art. 3 prevede che la «decadenza per qualsiasi causa del Consiglio federale non deve estendersi agli organi non connessi allo stesso sotto il profilo funzionale (in particolare organi di giustizia e Collegio dei revisori dei conti)». Per un verso, dunque, i poteri di «gestione sportiva» devono essere statutariamente tenuti distinti dai poteri di «gestione della giustizia federale». Per altro verso, alla decadenza del Consiglio federale non deve essere collegata la decadenza degli organi di giustizia. Consiglio federale e organi di giustizia devono, per così dire, seguire strade autonome.

Vi è poi un altro principio, quello della «eleggibilità alle cariche federali», racchiuso nell’art. 7, il quale stabilisce, ancora, che la carica di componente degli organi di giustizia è incompatibile rispetto a «qualsiasi altra carica federale e sociale» nel­l’ambito della stessa federazione o disciplina sportiva associata (art. 7.6, comma 2).

Agli organi di giustizia, allora, è riconosciuta dai Principi fondamentali degli statuti la massima indipendenza da chi esercita il potere di gestione sportiva.

Vengono in rilievo i Principi di giustizia sportiva [5], il cui art. 3 (con disposizione coincidente rispetto a quella racchiusa all’art. 3, comma 3, del Codice della giustizia sportiva [6] stabilisce che gli organi di giustizia «agiscono nel rispetto dei principi di piena indipendenza, autonomia e riservatezza». E l’indipendenza è tutelata – oltre che dalla distinzione, che deve essere statutariamente fissata, tra poteri di «gestione sportiva» e poteri di «gestione della giustizia federale», e dalle altre regole, sopra considerate, stabilite dai Principi fondamentali degli statuti – dalla dichiarazione che ciascun componente degli organi di giustizia è tenuto a rendere (sempre secondo quanto stabilito dall’art. 3 dei Principi di giustizia sportiva, riprodotto all’art. 3, comma 3 del Codice della giustizia sportiva) al momento in cui accetta l’incarico.

Con tale dichiarazione – la previsione dell’obbligo di formulare la quale è ispirata al c.d. duty of disclosure, sempre più diffuso fra i regolamenti delle istituzioni arbitrali – i giudici garantiscono di non avere, né con la federazione o disciplina di appartenenza, né con tesserati o affiliati, «rapporti di lavoro subordinato o continuativi di consulenza» o, comunque, «altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettano l’indipendenza»; e, al contempo, di non avere «rapporti di coniugio, di parentela o affinità fino al terzo grado con alcun componente del Consiglio federale, impegnandosi a rendere note eventuali sopravvenienze».

La prima parte della disposizione – che quasi letteralmente richiama l’art. 815, comma 1, n. 5) c.p.c. in tema di ricusazione degli arbitri –, al contrario della seconda, non tipizza le ipotesi in cui l’indipendenza viene meno; ma, proprio per questo, rende particolarmente ampio lo spettro di tali ipotesi e, al contempo, induce i giudici a illustrare le ragioni per cui i rapporti di lavoro subordinato o continuativi di consulenza, o gli altri rapporti di natura patrimoniale o associativa eventualmente intrattenuti con federazione, tesserati o affiliati, non ne compromettono l’indipendenza rispetto a questi ultimi. Ferma, ovviamente – lo si è poc’anzi osservato – l’incompatibilità, tipizzata e dunque automatica, della qualifica di giudice «con qualsiasi altra carica federale e sociale» nell’ambito della stessa federazione o disciplina sportiva associata (art. 7.6, comma 2, Principi fondamentali degli Statuti).


3. Indipendenza

Proviamo a svolgere qualche considerazione alla luce dei dati normativi fin qui analizzati.

Il carattere della indipendenza designa il «non-dipendere» dei giudici: i giudici stanno a sé e sono chiamati ad applicare gli statuti e i regolamenti in uno specifico àmbito della vita federale. Al tema della indipendenza, è evidente, risulta intimamente legato il problema del metodo per individuare i titolari del potere giudicante.

La scelta delle federazioni e delle discipline sportive associate cade, quasi sempre, sulla nomina da parte del Consiglio federale: la quale è diversa dalla elezione ad opera di tesserati e affiliati (criterio seguìto, per vero, da qualche federazione) e, soprattutto, dal concorso d’ingresso. Se quest’ultimo determina la responsabilità gerarchica o disciplinare nei confronti di altri giudici, alla elezione si accompagna la responsabilità politica nei confronti del corpo votante; responsabilità politica che consegue anche alla nomina e che si fonda tuttavia qui sulla fiducia assegnata dal Consiglio federale. La responsabilità sorge, nel caso della nomina, nei confronti chi detiene il potere di gestione sportiva.

La previsione di criterî di incompatibilità e di esclusione da altri uffici innanzitutto federali, nei limiti sopra indagati, è in grado di difendere la indipendenza dei giudici (anche) proprio da chi esercita il potere di gestione sportiva; di modo che la fiducia politica si esaurisca nella designazione iniziale e l’esercizio del potere di giudicare – che si protrae per un tempo non inferiore alla durata del Consiglio federale (artt. 16, comma 2, 17, comma 2, e 26, comma 3, Codice della giustizia sportiva) – non sia accompagnato da attese, in capo al titolare del potere di gestione sportiva, suscettibili di rimanere deluse.

Ma, se così è, l’indipendenza degli organi di giustizia parrebbe accompagnarsi a una loro esenzione da responsabilità. Il meccanismo della nomina dei giudici, insieme a quello volto a garantirne la neutralità, corre il rischio di determinare, paradossalmente, giudici tanto indipendenti quanto irresponsabili. La non-dipendenza dei giudici dal Consiglio federale induce a domandarsi chi possa valutare – non ovviamente il merito delle loro scelte, ma – la correttezza del loro operato; tanto più oggi, che anche la legge statale sulla responsabilità dei giudici è sottoposta a revisione.


4. Autonomia

Abbiamo visto come più di una norma del nuovo ordinamento sportivo si preoccupi di soddisfare l’esigenza che la funzione giudicante sia svolta in modo indipendente: vale a dire, senza interferenze da parte di alcuno.

Resta aperto il problema dell’autonomia, al quale le disposizioni sopra richiamate non sembrano offrire soluzione. Vi sono – rimane da chiedersi – disposizioni che tutelano l’autonomia dei giudicanti, intesa come attribuzione del potere di amministrazione del corpo giudicante a un soggetto diverso da quello al quale è delegato il potere di gestione sportiva (e dunque, innanzitutto, dal Consiglio federale)?

L’organo al quale si è inteso assegnare questo compito è la Commissione federale di garanzia.

Contemplata sia dai Principi di giustizia sportiva (art. 4) sia dal Codice della giustizia sportiva (art. 5), la commissione ha il compito di tutelare «l’indipendenza» e, appunto, «l’autonomia degli organi di giustizia presso la Federazione». I relativi componenti, particolarmente qualificati, sono nominati dal Consiglio federale ma durano in carica per un tempo maggiore, pari a sei anni in luogo dei quattro del consesso che li indica, e il relativo mandato può essere rinnovato soltanto una volta: il che, unitamente alla particolare competenza richiesta ai fini della loro designazione, dovrebbe favorirne l’autonomia di giudizio rispetto a coloro che esercitano il potere di gestione sportiva.

È vero – lo si è sopra accennato – che la recente riforma non ha sottratto al Consiglio federale il compito, previsto dalla gran parte dei regolamenti di federazioni e discipline sportive associate, di designare i componenti degli organi di giustizia endofederale. È parimenti vero, però, in primo luogo che – almeno per quanto concerne i componenti del Tribunale federale e della Corte federale d’appello – la scelta può essere compiuta soltanto tra coloro i quali siano stati qualificati idonei dalla Commissione federale di garanzia, con provvedimento vincolante volto ad accertare, in capo ai candidati, la sussistenza dei requisiti minimi prescritti all’art. 26, comma 2, del Codice della giustizia sportiva.

Ma soprattutto, e qui assume rilievo il profilo dell’autonomia dei giudici, la commissione può adottare, nei confronti di tutti i componenti degli organi di giustizia – Giudice sportivo, nazionale e territoriale, Corte sportiva di appello, Tribunale federale e Corte federale d’appello – le sanzioni del richiamo e della rimozione dall’incarico, oltre a quelle eventualmente previste da ciascuna federazione o disciplina sportiva associata. E ciò nel caso di violazione dei doveri di indipendenza e riservatezza, nel caso di grave negligenza nell’espletamento delle funzioni, ovvero qualora altre gravi ragioni lo rendano comunque indispensabile.

I poteri attribuiti alla Commissione federale di garanzia contribuiscono a risolvere il problema dell’autonomia e, conseguentemente, della responsabilità in capo agli organi giudicanti. Essi, tuttavia, ne schiudono un altro: quello della impugnabilità dei prov­vedimenti sanzionatori adottati dalla Commissione nei confronti dei giudici. Indagare questa ulteriore questione, però, significherebbe valicare i confini che ho posto al mio breve intervento e, soprattutto, abusare ingiustificatamente della pazienza degli as­coltatori.


NOTE

* Intervento al convegno su La Riforma 2014 della Giustizia sportiva, tenuto in Roma, presso il Salone d’Onore del CONI, il 13 gennaio 2015.

[1] Modificati, da ultimo, con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1523 del 28 ottobre 2014.

[2] Modificati, da ultimo, con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1519 del 15 luglio 2014.

[3] Introdotto nell’estate del 2014 e modificato, da ultimo, con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1518 il 15 luglio 2014.

[4] Ai quali l’art. 5, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 242/1999 (e s.m.i.) e l’art. 6, comma 4, lett. b), Statuto CONI – a sua volta vincolante per le federazioni e le discipline sportive associate in virtù di quanto stabilito dall’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 242/1999 – impongono di uniformare gli statuti di federazioni e discipline sportive associate.

[5] Ai quali – secondo quanto stabilito dall’art. 15 dei Principi fondamentali degli statuti prima richiamati – le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate, «devono adeguare i propri statuti e regolamenti».

[6] Reso a sua volta vincolante dall’art. 2 dei Principi di giustizia sportiva e dall’art. 6, comma 4, lett. b), Statuto CONI.