Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il mercato dei diritti audiovisivi nello sport e il diritto di cronaca degli eventi (di Francesco Macioce, Professore ordinario di Diritto privato presso l’Università degli Studi di Roma Tre.)


The essay deals with the relevant issue of the relationship between the freedom of communication and the exclusive economic rights in audiovisual performances in Italian and European legislation. The Author supports the idea that the freedom of information must be always appropriately balanced with the freedom of economic initiative of the sports companies within the constitutional values our system of law is based on.

SOMMARIO:

1. I diritti audiovisivi nello sport: generalità - 2. Esclusiva dei diritti audiovisivi e libertà di cronaca degli eventi sportivi - 3. La policy del c.d. Decreto Melandri in tema di rapporti fra sfruttamento economico dei diritti audiovisivi e diritto di cronaca - 4. La considerazione “privilegiata” della libertà di informazione nella Direttiva UE n. 13 del 2010 - 5. Il bilanciamento fra diritto all’informazione, quale bene comune, e altri diritti costituzionalmente protetti. La funzione sociale del fare e del ricevere informazione - NOTE


1. I diritti audiovisivi nello sport: generalità

Ho accettato di partecipare a questa iniziativa non perché sono un esperto del settore. Dei diritti audiovisivi, in particolare nello sport, non mi sono mai occupato in modo specifico ma ho avuto modo di incontrare e di approfondire temi vicini a quelli sui quali oggi siamo chiamati a riflettere, come ad esempio la utilizzabilità dell’apparato normativo offerto dalla legge sul diritto d’autore [1] anche in funzione di tutela della allora nascente identità personale [2]; o come il diritto di rettifica delle notizie false diffuse a mezzo stampa o televisione, tema che appartiene alla libertà di informazione e ai suoi limiti [3]. Sull’argomento specifico ne so dunque quanto uno studente diligente e consapevole deve già sapere (ne vedo qui oggi molti) e quel tanto di più che un operatore del diritto informato deve conoscere per mestiere. Conosciamo il sistema, che dalle cessioni individuali, che creavano grossi squilibri e disparità di trattamento fra i grandi club e le società medio piccole, è passato alle c.d. vendite collettive che attribuiscono una contitolarità di diritti a tutte le società di calcio e all’organizzatore (Lega di serie A e Lega di serie B) alle quali è affidato il compito di commercializzare i diritti con gli operatori ricorrendo a differenti procedure competitive, i c.d. pacchetti, che debbono rispondere ad una composizione equilibrata, e che non possono essere ceduti ad un solo operatore, il tutto nell’os­servanza delle linee guida indicate da AGCOM e AGCM. Una contitolarità che il nostro Alessandro Di Majo riconduce ad una comunione di tipo germanico in cui la proprietà non è frammentata in quote, come la comunione disciplinata nel nostro ordinamento, ma l’intero spetta a ciascuno dei soggetti partecipanti [4].

Ho assunto questo impegno soprattutto per la stima che ho per l’Autore e per una amicizia non antica ma che si annuncia autentica e preziosa.

E non vorrei quindi dilungarmi sui numerosi profili giuridici affrontati nel libro, che ho peraltro molto apprezzato: dalla formalizzazione dello spettacolo come prodotto, alla sua dimensione commerciale e quindi alla sua negoziabilità, infine ai limiti che i diritti audiovisivi incontrano quando sono chiamati a misurarsi con diritti antagonisti di altrettanto peso. La lettura di questo libro è stata per me e sono certo per tutti coloro che l’hanno letto o lo faranno un reale arricchimento, una felice messa a sistema dei diversi e interessanti profili che il tema propone, ordinati in un sapiente insieme sospeso fra un pezzo importante della storia della nostra televisione e la complessa e articolata disciplina giuridica di settore.

La storia dei diritti audiovisivi nello sport, raccontata con passione e con scrupolosa aderenza alle diverse fasi che nel tempo hanno segnato la evoluzione della relativa disciplina, muove dalle controversie sui mondiali di ciclismo del 1955, sulle Olimpiadi invernali di Cortina d’Ampezzo del 1956, e sull’altra del 1959 decisa con una sentenza del Tribunale romano che traccia i primi rudimentali confini dello sfruttamento economico degli eventi sportivi e che l’Autore non esita a definire una pietra miliare della disciplina dei diritti audiovisivi sportivi [5]; fino ai nostri giorni, al panorama normativo attuale, che vede ancora in posizione centrale il c.d. decreto Melandri a livello nazionale e la direttiva dell’Unione Europea n. 13 del 2010 a livello comunitario. Il lungo excursus è reso completo dal richiamo ai Regolamenti normativi, agli atti e alle decisioni delle due Autorità indipendenti chiamate, ratione materiae, ad intervenire nella regolamentazione del settore: l’Autorità per la garanzia per le comunicazioni e quella regolatrice della concorrenza [6].

Una bella pagina dello sport italiano e della sua rappresentazione pubblica (con prioritaria attenzione, è naturale, al nostro sport nazionale per eccellenza, al calcio e al calendario dei relativi impegni nazionali e internazionali) che rende il libro fruibile da un platea assai vasta: dal semplice curioso allo studioso e al giurista che ricercano non una semplice informazione ma la individuazione dei profili controversi e le possibili soluzioni alla luce delle decisioni delle Autorità di regolazione e delle pronunce della giurisprudenza civile e amministrativa. L’Autore, dopo aver indagato le regole del mercato europeo e l’attività dell’Antitrust in un settore in cui la vocazione transfrontaliera è assai alta, sia per la dimensione internazionale delle competizioni sportive sia per la conseguente diffusione degli eventi in tutto il territorio della Unione, dedica un intero capitolo all’analisi comparatistica, volgendo lo sguardo alla esperienza degli altri Paesi per trarne spunti di riflessione e proposte innovative: si passano in rassegna le legislazioni di numerosi Paesi non solo di quelli in cui sono nate squadre di calcio di chiara fama (Inghilterra, Spagna, Francia, Germania) ma anche di Paesi più giovani in fatto di esperienza calcistica e di mercato dei diritti audiovisivi come la Bulgaria, la Turchia, la Grecia [7].


2. Esclusiva dei diritti audiovisivi e libertà di cronaca degli eventi sportivi

Solo qualche breve riflessione vorrei fare a proposito di quello che ritengo, ma non penso che la mia sia una convinzione isolata, il cuore delle tematiche affrontate nel volume, forse anche della struttura stessa del libro che oggi presentiamo: il rapporto fra la esclusività della diffusione dei contenuti audiovisivi e il principio di libertà di comunicazione degli eventi di cronaca, ovviamente con riferimento al mondo dello sport [8]. L’Autore si mostra attento, e particolarmente sensibile, in alcuni passaggi direi costruttivamente sofferente, nel delicato compito di prendere posizione. Le problematiche affrontate nel Capitolo Secondo sono infatti decisive per la ricerca di una disciplina moderna ed equilibrata dei diritti audiovisivi: il prodotto sportivo deve trovare cioè una ade­guata collocazione fra interesse pubblico e profitto: è il luogo dedicato al diritto di cronaca, alla disciplina degli eventi di grande interesse per il pubblico e degli eventi di particolare rilevanza per la Società [9].

Invero la storia dei diritti audiovisivi in particolare in ambito sportivo può essere descritta come la storia del lento accreditarsi, in seno alla libertà di informazione, delle privative che investono la titolarità degli eventi, le quali sono fonte di profitti per coloro che organizzano e vendono il prodotto sportivo e per coloro che acquistano il diritto esclusivo di diffonderlo a mezzo delle reti radiofoniche o televisive. La libertà di informazione, nella sua duplice declinazione di diritto di informare e di essere informati (che pure incontra vincoli nella originaria legge sul diritto d’autore, n. 633 del 1941 come rivista dal d.lgs. n. 68/2003) esprime senza dubbio una notevole potenzialità espansiva e una forte resistenza alle limitazioni. Il diritto di informazione (anche nella sua versione più circoscritta di cronaca versata nel settore di nostro interesse) ha fondamento nell’art. 21 della Costituzione; ma i diritti che potremmo chiamare antagonisti, quelli cioè che si candidano a legittimare un vulnus di questo fondamentale diritto e a giustificarne il sacrificio, e cioè principalmente la proprietà privata, la libertà di iniziativa economica e la stessa libertà contrattuale che della prima sono espressione, trovano analogo fondamento nella Costituzione (art. 41) e costituiscono o si ricollegano a principi fondamentali del nostro ordinamento [10].

Una competizione dunque “titanica” quella che i diritti audiovisivi hanno dovuto in­gaggiare e che li hanno visti impegnati su più fronti: quello per così dire esterno, che investe il rapporto fra organizzatore dell’evento e l’intera collettività, e che si risolve nel bilanciamento di diritti fondamentali diversi; e quello, di retroguardia ma di sicura rilevanza anch’esso, che investe il rapporto interno fra i molteplici organizzatori e titolari dei diritti, e dunque riguarda la tutela della concorrenza, la equa distribuzione delle stesse opportunità fra gli operatori della comunicazione.

D’altro canto, si sa, la norma esprime spesso (se non sempre) una soluzione di compromesso, impone una scelta, opera una selezione degli interessi che accendono un caso della vita e alimentano una fattispecie astratta, conduce ad un bilanciamento fra interessi e talora diritti antagonisti, nell’ambito del quale la tutela di una posizione esclude o limita quella dell’altra; e quando questo bilanciamento opera fra diritti fondamentali come quelli appena ricordati, la ricerca di una soluzione ispirata ad una disciplina ordinata, equilibrata, equa è compito difficile, delicato e a volte ingrato [11].

È appena il caso di osservare che da tempo i diritti audiovisivi nello sport (come i biglietti pagati) rappresentano la fonte di assoluto maggiore guadagno per organizzatori e titolari dell’evento. La maggior parte delle risorse economiche e finanziarie di una società di club o di una federazione provengono dai diritti audiovisivi: le sponsorizzazioni, i contributi degli enti locali, le risorse provenienti dai tesseramenti sono legati ai diritti televisivi intesi come il diritto di riprendere e di trasmettere, in diretta o in differita, e su qualunque piattaforma televisiva, gli avvenimenti sportivi. Le competizioni e gli eventi sportivi danno invero vita ad un insieme di interessi contrastanti in capo a diversi soggetti. Da un lato coloro che organizzano l’evento hanno interesse ad una piena disposizione dell’evento sportivo anche con riguardo alle sue utilizzazioni per le trasmissioni audiovisive; dall’altro gli operatori della comunicazione hanno interesse alla massima diffusione dell’evento e naturalmente anche allo sfruttamento economico della sua diffusione sulle diverse reti di competenza [12].


3. La policy del c.d. Decreto Melandri in tema di rapporti fra sfruttamento economico dei diritti audiovisivi e diritto di cronaca

Ora ho l’impressione che al di là della proclamazione di apertura del decreto Melandri che all’art. 5 afferma «agli operatori della comunicazione è riconosciuto il diritto di cronaca relativo a ciascun evento della competizione», in realtà la policy legislativa vada in tutt’altra direzione. Mi sembra infatti decisivo il comma 2 dell’art. 5 che si affretta a ristabilire il rapporto di regola-eccezione che il primo comma aveva diversamente annunciato e afferma che «l’esercizio del diritto di cronaca non può pre­giudicare lo sfruttamento normale dei diritti audiovisivi da parte dei soggetti assegnatari dei diritti medesimi né arrecare un ingiustificato pregiudizio agli interessi dell’or­ganizzatore della competizione e dell’organizzatore dell’evento» [13]. Ora, il favore manifestato nel decreto Melandri per lo sfruttamento economico dei diritti piuttosto che per la libera comunicazione, mi pare evidente e può ricevere solo una fragile riparazione dalla disposizione di cui alla seconda parte del medesimo secondo comma dello stesso articolo 5 che esclude il carattere pregiudizievole della comunicazione al pubblico quando l’informazione si riduce alla sola mera notizia del risultato sportivo e dei suoi aggiornamenti; e trova un rimedio insufficiente nel disposto del n. 3 del citato art. 5 che garantisce alla concessionaria del servizio pubblico e alle altre emittenti televisivi nazionali e locali, la trasmissione di immagini salienti e correlate nell’ambito dei telegiornali, che certo assicurano solo una parte della comunicazione quella meramente notiziale, peraltro con l’onere di rispettare una serie di limitazioni di ordine temporale e spaziale (la legge demanda alla AGCOM di emanare un apposito regolamento, cosa che è stata fatta con le delibere 405 e 406 rispettivamente per i diritti televisivi e radiofonici) [14].

Prevale la sensazione che il diritto di cronaca riceva nell’ambito della legge nazionale una considerazione in qualche modo recessiva perché, per quanto legittimo, il suo esercizio risulta condizionato dalla assenza di un pregiudizio riferibile alle emittenti televisive, alle società sportive, alla lega, ai detentori cioè dei portafogli interessati alla collocazione dei diritti sul mercato. L’indeterminatezza propria delle clausole generali (lo “sfruttamento normale” dei diritti audiovisivi) potrebbe legittimare limitazioni eccessive della libertà di informazione; l’elemento dell’“ingiustificato pregiudizio” arrecato agli interessi dell’organizzatore della competizione e dell’organizzatore dell’e­vento troverebbe una tutela senza dubbio insufficiente nella riduzione dell’uso pregiudizievole alla illegittima appropriazione da parte delle emittenti dei diritti di trasmissione dell’evento e cioè in sostanza alla fattispecie dell’illecito.

Di questo ridimensionamento legislativo del diritto di cronaca sembra essersi avveduta la stessa AGCOM che, con delibera n. 667/2010, ha invitato l’interprete a ricercare un punto di equilibrio ex ante e a considerare la dimensione conflittuale più sul piano degli interessi in concreto predeterminati in via normativa che sulla base dei principi astratti [15].

Non sono mancati tentativi di incrementare l’area della libertà di informazione richiamando la funzione sociale della proprietà (che ne giustifica le limitazioni) e in particolare la rilevanza sociale delle partite di serie A che indebolirebbe la tutela dei diritti patrimoniali fondati sulla titolarità, rafforzando la libertà di circolazione televisiva e radiofonica della informazione [16]. Si è ricercato, ancora, il confine fra cronaca dell’evento che soddisfa scopi informativi (compresi quello di critica, di discussione e di insegnamento) e spettacolo che persegue finalità diverse e la cui sottrazione al mercato delle esclusive certamente realizzerebbe l’elemento del pregiudizio previsto dalla norma [17].


4. La considerazione “privilegiata” della libertà di informazione nella Direttiva UE n. 13 del 2010

Mi sembra che segnali per una prospettiva diversa e di maggiore apertura per la libertà di informazione provengano dalla Direttiva del 2010. La prospettiva è qui come si diceva capovolta rispetto a quella privilegiata dal legislatore nazionale (con una legge invero precedente alla direttiva). La Direttiva sceglie di non gravare l’informazione di particolari obblighi diretti a preservare da pregiudizi ingiustificati lo sfruttamento normale dei diritti audiovisivi, ma onera ciascuno Stato membro del compito di identificare quegli eventi di particolare rilevanza per la Società (articolo 14) che il pubblico intero, la collettività nel suo insieme hanno diritto di seguire in diretta o in differita su tutti i canali liberamente accessibili [18]. Al riguardo il nostro Paese (non tutti lo hanno fatto) ha trasmesso una lista, che è discrezione di ogni Stato membro compilare con determinazione soggetta soltanto ad un controllo di ragionevolezza che deve essere condotto, secondo la Commissione europea, sulla base di criteri di trasparenza e di razionalità delle scelte operate dallo Stato membro circa la valutazione della importanza degli eventi da includere nella lista. l’Italia vi ha inserito i giuochi olimpici, la finale della coppa del mondo e tutte le partire disputate dalla Nazionale italiana, la finale del campionato europeo e tutte le partite disputate dalla nazionale di calcio; tutte le partite disputate in casa o in trasferta dalla nazionale di calcio nelle competizioni ufficiali; la finale e le semifinali della coppa dei campioni e della coppa UEFA quando gioca una squadra italiana; il Giro d’Italia; il gran premio di Formula 1; il Festival di Sanremo; il gran premio di Italia motociclistico di Moto GP; le finali e le semifinali dei campionati mondiali di pallacanestro, di palla a nuoto, di palla a volo, di rugby, alle quali partecipi la squadra nazionale italiana; gli incontri del torneo Sei nazioni di rugby ai quali partecipi la squadra nazionale italiana; la finale e le semifinali di coppa Davis e della sua versione al femminile, la Fed Cup, alle quali partecipi la squadra nazionale, e degli internazionali di tennis alle quali partecipino atleti italiani (speriamo che queste partecipazioni non vengano mai meno!); il campionato mondiale di ciclismo su strada; la prima rappresentazione alla Scala di Milano; il concerto di Capodanno a La Fenice di Venezia [19]. Forse altri se ne potrebbero ancora annoverare pur nel rispetto dei criteri dettati dalla Direttiva e ribaditi dalla Corte di giustizia e che consistono nella grande risonanza dell’evento per l’intera popolazione; nella riconosciuta importanza culturale dell’evento; nel coinvolgimento della rappresentativa nazionale nella competizione o nel torneo; infine nell’elevata audience ottenuta dall’evento quando è stato trasmesso in chiaro.

L’attenzione della Direttiva per il profilo dell’informazione si manifesta altresì chia­ramente nell’art. 15 che garantisce a tutte le emittenti l’accesso agli eventi di grande interesse per il pubblico trasmessi in esclusiva. A tal fine la Direttiva prevede l’obbligo dello Stato membro di consentire alle emittenti di scegliere liberamente brevi estratti di cronaca che debbono essere utilizzati esclusivamente per i notiziari di carattere generale [20].


5. Il bilanciamento fra diritto all’informazione, quale bene comune, e altri diritti costituzionalmente protetti. La funzione sociale del fare e del ricevere informazione

Il seme che può condurre ad assegnare maggiore spazio alla libertà di informazione viene ancora una volta dalla Direttiva: che al punto 5 dei considerando qualifica i servizi di media audiovisivi servizi ad un tempo culturali ed economici. L’importanza crescente che tali servizi rivestono per la Società, la democrazia, la istruzione e la cultura, nella loro specifica funzione di offrire una garanzia della libertà di informazione, della diversità delle opinioni e del pluralismo dei mezzi di informazione, giustifica secondo il Parlamento ed il Consiglio d’Europa l’applicazione di una specifica e dedicata normativa [21]. Cosicché i diritti audiovisivi, nel momento in cui tendono ad appropriarsi dei relativi servizi di media, si connotano di un elemento nuovo e funzionale all’attuazione della libertà di informazione, di opinione e della stessa formazione dei soggetti destinatari; un elemento che potremmo rintracciare nell’ambito della categoria del dovere, destinato a condividere lo spazio riservato ai diritti quando il loro esercizio realizza una funzione in senso lato pubblica e collettiva. E si sa, in una semplificazione che non va lontano dalla realtà, forse il profilo del dovere, precede quello del diritto [22]. Voglio dire che difficilmente potrà individuarsi un punto di incontro equo e ragionevole, una misura di coesistenza fra i principi astratti ma anche fra gli interessi concreti, se ragioniamo in termini di limite e non abbracciamo invece una concezione che sappia includere all’interno della stessa dialettica tra esclusività dell’evento e diritto all’informazione un elemento nuovo e diverso; un elemento che riconosca all’orga­nizzatore e al titolare dell’evento la proprietà di un bene che in qualche modo non sia solo privato ma di tutti, un bene comune per riprendere una tematica oggi attuale come forse è oggi il bene supremo della informazione, di fronte alla quale la proprietà, l’au­tonomia e la libertà negoziali debbono trovare paradigmi di compatibilità diversi da quelli ai quali il giurista è per tradizione abituato [23]. Forse qualche spunto in questa direzione è venuto dalla stessa Corte di giustizia che nel 2010 si è pronunciata sulla legittimità della cessione dei diritti di proprietà degli eventi ad una emittente che li avreb­be mandati in onda criptati; non v’è dubbio infatti che impedire siffatta cessione potrebbe costituire una limitazione al diritto di proprietà del titolare dell’evento; così come potrebbe violare la libertà contrattuale dell’emittente che ha acquistato il diritto di esclusiva per un evento, la messa in onda da parte degli altri broadcaster di estratti dello stesso. Ma la Corte di giustizia ha sempre rigettato le relative censure giustificando i predetti limiti con la funzione sociale della proprietà che impone la considerazione degli interessi della collettività ricollegabili alla informazione, alla diversità culturale e al pluralismo. In entrambi i casi il bilanciamento è stato operato a favore della libertà di informazione e del suo pluralismo garantiti dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la c.d. Carta di Nizza, piuttosto che della libertà di iniziativa economica e della tutela della libertà di impresa e della proprietà pur assicurate dagli artt. 16 e 17 [24]. È interessante osservare che, attraverso il richiamo alla funzione sociale, la proprietà e la libertà di iniziativa perdono parte della loro carica antagonista al principio di libera informazione, per farsi strumento funzionale all’obiettivo di una più estesa tutela di quel principio.

Vero è che la valorizzazione dell’informazione nell’ambito del delicato rapporto che la pone in concorrenza con la titolarità e l’esercizio dei diritti di esclusiva radio televisiva – e mi avvio alla conclusione – postula a mio parere una svolta culturale coraggiosa, già peraltro intravista da qualche studioso: quella che segna il passaggio del diritto di ricevere informazione da una condizione passiva ad una condizione attiva, di partecipazione, che si realizza nel e per mezzo del pluralismo delle fonti, che costituisce l’unico percorso che può assicurare una seria ricerca della verità comunicata, la quale non è mai assertiva ma solo oggetto di rappresentazione [25]. Si tratta di un processo già avviato e che in altri ambiti ha consentito di registrare significativi traguardi: ad esempio in materia di ambiente, che oggi è il tema dei temi, sono previsti obblighi di informazione a carico di chi avvia processi decisionali in materia ambientale; l’acces­so alla informazione ambientale è consentito in base alla legge n. 349 del 1986 a tutti i cittadini indipendentemente dalla dimostrazione di quell’interesse qualificato richiesto in linea generale dalle leggi che regolano l’accesso ai documenti ammnistrativi (legge n. 241 del 1990 come modificata dalla successiva legge n. 15 del 2015); infine il possibile pregiudizio derivante dalla divulgazione di atti in materia ambientale, che in taluni casi può far venir meno il diritto di informazione, è per definizione escluso quando l’informazione richiesta attenga ad emissioni in campo ambientale in virtù di un bi­lanciamento normativamente risolto con una presunzione assoluta che vede la prevalenza della libertà di essere informati [26].

I contesti sono certo diversi ma l’humus culturale il medesimo: un bilanciamento che intenda ispirarsi, nella difficile ricerca di una sintesi, ad una forte resistenza del diritto della comunicazione a cedere spazi vitali alla tutela di altri diritti pur costituzionalmente garantiti, la libera intrapresa e la proprietà privata, può trovare fondamento e giustificarsi soltanto in base ad una rinnovata considerazione culturale dello stesso ruolo sociale dell’informazione. La vocazione del prodotto audiovisivo a candidarsi come bene comune, potrebbe affievolire la portata dei diritti dominicali di esclusiva a favore di una informazione il più possibile libera ed a tutti accessibile.

L’informazione infatti non solo è funzionale all’esercizio di altri diritti costituzionalmente garantiti, ma realizza essa stessa una funzione che, lungi dall’esaurirsi nella soddisfazione di bisogni e di interessi individuali, persegue obiettivi in senso lato sociali perché promuove e rende attuale quella consapevole partecipazione al processo di circolazione delle idee qualunque ne sia il linguaggio (scritto, visivo, sonoro) o il supporto utilizzato per la sua diffusione, che costituisce una modalità certamente tra le più significative di esercizio diretto della democrazia.


NOTE

* Il testo riproduce la Relazione letta al Convegno «I diritti audiovisivi nello Sport – La normativa e il mercato in Italia e in Europa» tenutosi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università L.U.I.S.S. Guido Carli, il 6 dicembre 2019.

[1] E. Lamonica, Diritti audiovisivi sportivi e libere utilizzazioni ai sensi dell’art. 79 l. n. 633/1941, in Giust. civ., 2013, 10, p. 545 ss.

[2] F. Macioce, Tutela civile della persona e identità personale, Padova, 1984.

[3] F. Macioce, Diritto di rettifica e identità personale, in Giur. it., 1984, I, p. 2; Id., L’identità personale in Cassazione: un punto di arrivo e un punto di partenza, in Giust. civ., 1985, I, p. 3055.

[4] A. Di Majo, I diritti audiovisivi nello sport, Torino, 2019, p. 99 ss.

[5] A. Di Majo, op. cit., p. 33 ss.

[6] Per un inquadramento generale, anche storico, dei diritti audiovisivi nello sport cfr. L. Santoro, I diritti audiovisivi tra sport e mercato, Milano, 2014.

[7] A. Di Majo, op. cit., p. 159 ss.

[8] M. Sanino, F. Verde, Il diritto sportivo, Padova, 2015, p. 386 ss.

[9] A. Di Majo, op. cit., p. 31-74.

[10] P. Barile, Libertà di manifestazione del pensiero, in Enc. dir., vol. XXIV, Milano 1974, p. 443 ss.; P. Barile, G. Grassi, Informazione (libertà di), in Nuoviss. Dig. it., Appendice, vol. IV, Torino 1980, p. 199 ss.; C. Chiola, Informazione (diritto alla), in Enc. giur. Treccani, vol. XVI, Roma 1989, p. 1 ss.; A. Loiodice, Informazione (diritto alla), in Enc. dir., vol. XXI, Milano 1971, p. 472 ss.; V. Zeno-Zencovich, Informazione (profili civilistici), in Noviss. Dig. it., Discipline privatistiche, Sezione civile, Torino 1993, p. 420 ss.; R. Zaccaria, A. Valastro, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2010, p. 16 ss.; S. Sica, V. Zeno-Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2012, p. 17 ss.; R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, Torino, 2005, p. 511.

[11] E. Pellicanò, La ricerca di un equilibrio tra libertà di iniziativa economica e diritto all’informa­zione: la disciplina dei diritti audiovisivi sportivi, in Tempo finanziario, 2011, 3, p. 64. Sul bilanciamento in materia ambientale con riferimento al diritto alla riservatezza e a quello ad essere informati, cfr. F. Macioce, Profili civilistici dell’informazione ambientale, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’am­biente, 2020, in corso di stampa.

[12] E. Morelli, I diritti audiovisivi sportivi. Manuale giuridico, pratico e teorico sui diritti di trasmissione degli eventi sportivi a seguito della riforma Melandri, Milano, 2012, p. 79 ss. e p. 491 ss.; A. Stazi, La disciplina dei diritti audiovisivi sportivi, in Dir. prat. soc., 2010, p. 43 ss.

[13] Sul c.d. decreto Melandri cfr. E. Morelli, op. cit.

[14] A.M. Rovati, S. Piantedosi, Diritti audiovisivi e libera utilizzazione per finalità di critica e discussione: nota a Cons. Stato 27 aprile 2015, 2156, in Riv. della Regolazione dei mercati, 2015, 2, p. 237 ss.

[15] A.M. Rovati, S. Piantedosi, Diritti audiovisivi e libera utilizzazione per finalità di critica e discussione: nota a Cons. Stato 27 aprile 2015, 2156, cit., p. 237 ss.

[16] L. Nivarra, I diritti esclusivi di trasmissione di eventi, in L.C. Ubertazzi (a cura di), in AIDA – Annali italiani del diritto d’autore, della cultura e dello spettacolo, Milano, 2009, p. 34 ss.

[17] P. Auteri, Diritti esclusivi sulle manifestazioni sportive e libertà d’informazione, in AIDA – Annali italiani del diritto d’autore, della cultura e dello spettacolo, Milano, 2003, p. 192 ss.

[18] R. Mastrioanni, La direttiva sui servizi di media audiovisivi, Torino, 2011, p. 112.

[19] Cfr. A. Di Majo, op. cit., p. 42 ss.

[20] C. Pinelli, I brevi estratti di cronaca, in V. Zeno-Zancovich (a cura di), La nuova televisione europea. Commento al "Decreto Romani", Santarcangelo di Romagna, 2010, p. 56.

[21] C. Pinelli, I brevi estratti di cronaca, cit.

[22] Per una rivisitazione delle categorie tradizionali v. N. Irti, Due saggi sul dovere giuridico (obbligo, onere), Napoli, 1973, ove ampi riferimenti.

[23] S. Rodotà, I beni comuni, L’inaspettata rinascita degli usi collettivi, La Scuola di Pitagora, Napoli, 2018; U. Mattei, Beni comuni, in Manifesto, Bari, 2011.

[24] F.P. Traisci, I diritti audiovisivi: una storia lunga e piena di colpi di scena. La spartizione dei proventi della commercializzazione dei diritti audiovisivi, in https:/www.il posticipo.it, d.d. 20 luglio 2019.

[25] P. Barile, op. cit.; A. Loiodice, op. cit.; V. Zeno-Zencovich, Il diritto ad essere informati quale elemento del rapporto di cittadinanza, in Dir. inform. e dell’informatica, 2006, p. 2.

[26] Cfr. al riguardo A. Celotto, G. Pistorio, Le nuove “sfide” della democrazia diretta, Napoli, 2015.