1, Il caso - 2. La decisione della Corte di Cassazione - 3. Osservazioni alla sentenza della Corte di Cassazione n. 6844/2016 - NOTE
La sentenza in esame affronta il caso di un minore, che durante l’orario scolastico e nel corso di una partita di calcio, aveva riportato gravi lesioni ad un occhio (con danno visivo quantificato nel 30% di invalidità permanente) a seguito di una violenta pallonata. La partita di calcio si era svolta in assenza dell’insegnante di educazione fisica. I genitori esercenti la potestà sul minore, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subìti dallo stesso, convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di L’Aquila, il Ministero dell’Istruzione e la Scuola media statale. In giudizio veniva chiamata in causa dal Ministero la compagnia di assicurazione, a titolo di garanzia. In seguito, con sentenza del 2005 il Tribunale di L’Aquila rigettava la domanda proposta dai genitori del minore. Allo stesso esito perveniva la Corte d’appello di L’Aquila con sentenza del 2013. I giudici di secondo grado affermavano che il Tribunale aveva fatto buon governo delle risultanze di causa, dando preminenza, anzitutto, ad «una delle testimonianze più utili emerse dall’istruttoria» ossia quella di un compagno di gioco. La Corte d’appello escludeva che «l’azione di gioco, del tutto rientrante nella normalità della pratica», potesse essere stata «causata o anche indirettamente accentuata da una complessiva situazione comportamentale che era degenerata e andata fuori controllo per la notevole assenza dell’insegnante durante l’azione ed il calcio della palla», non potendo neppure «avere incidenza causale la presenza o meno dell’insegnante» rispetto all’azione materiale di danno, «in quanto lo stesso, in base all’id quod plerumque accidit, non avrebbe potuto immaginare la portata lesiva del tiro del Co.», né tantomeno «frapporsi tra detto tiro e il S. per evitare l’impatto». La Corte territoriale escludeva, infine, che potesse «avere il benché minimo rilievo» la «condizione dell’oggetto usato per la partita, il pallone vecchio con pretese sfilacciature», giacché la lesione patita dal danneggiato non era stata determinata «da una propria sporgenza o dalla superficie logora del pallone», bensì «dall’impatto a distanza ravvicinata della sfera in sé per sé, con il volto del [continua ..]
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento (n. 6844/2016), ha rigettato il ricorso presentato avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila. La Suprema Corte ha stabilito, in primo luogo, che l’attività sportiva riferita al gioco del calcio non integra gli estremi di un’attività pericolosa [1]. Del resto, la Corte stessa ha sostenuto che, in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo subìto da uno studente all’interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, ai fini della configurabilità di una responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 c.c., incombe sullo studente l’onere di provare il fatto costitutivo della sua pretesa ovvero l’illecito commesso da altro studente e sulla scuola l’onere di provare il fatto impeditivo, ossia di non aver potuto evitare, pur avendo predisposto le necessarie cautele, il verificarsi del danno. La condotta di gioco che ha provocato il danno, tenuta durante il normale sviluppo dell’azione di una partita (nella specie, di calcio), «non può essere considerata illecita se non è in concreto connotata da un grado di violenza ed irruenza incompatibili col contesto ambientale, con l’età e la struttura fisica dei partecipanti al gioco». In siffatta cornice, a tenore sempre della Suprema Corte, «si colloca, dunque, l’accertamento in fatto operato dalla Corte territoriale, la quale ha riscontrato come l’evento lesivo (pallone calciato da altro allievo a breve distanza dal volto dell’avversario) si sia determinato nel corso di una normale azione di gioco, rientrante nella normalità della pratica, né violenta in sé, né esaltata dagli accadimenti in altra e diversa zona del terreno di gioco».
La decisione recata dalla Corte di Cassazione, con la sentenza in esame (n. 6844/2016), si espone a qualche considerazione critica. A prescindere dalla questione pregiudiziale riguardante la natura o meno «pericolosa» dell’attività sportiva ai fini della applicazione dell’art. 2050 c.c., la cui soluzione sembra però chiara e ciò nel senso che tale attività, ove non si serva di mezzi che possono risultare di per sé pericolosi (come per esempio il pugilato), non può di per sé definirsi sicuramente pericolosa, può essere invece oggetto di riflessione critica l’affermazione recata dalla sentenza, secondo cui la condotta di per sé non può essere considerata «illecita se è stata tenuta in una fase di gioco rientrante nella normalità della pratica». Ciò che preme osservare è che la responsabilità che incombe all’istituto scolastico ex art. 2048 c.c. non sembra contempli una qualche differenza tra l’attività didattica interpretata restrittivamente, come attività svolta nell’aula e per le ore di lezione previste, e l’attività extra – didattica e cioè sportiva perché svolta al di fuori delle aule. A ben leggere la norma, la responsabilità dei precettori e di quanti insegnano un’arte o un mestiere ex art. 2048, comma 2, c.c. è una responsabilità per culpa in vigilando, riferita, come essa si esprime, al «tempo in cui (n.d.r.) gli allievi sono sotto la loro vigilanza» [2]. Onde, è da ritenere che non è tanto la natura dell’attività a dovere essere presa in considerazione, se didattica o extra-didattica, quanto il fatto che l’attività venga svolta «sotto la sorveglianza» dei precettori. Ed è indiscutibile che anche l’attività sportiva, come è dimostrato dalla presenza dell’insegnante, è attività che si svolge «sotto la sorveglianza» di quanti sono ad essa tenuti. Non avrebbe senso sostenere che, nell’ambito in cui v’è la permanenza dell’allievo nell’area di controllo dell’Istituto, possa sussistere una zona esente da responsabilità. E poco vale, in tal senso, sostenere che, trattandosi di attività c.d. «ludica», essa è da [continua ..]