Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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Profili critici del requisito di solidità finanziaria nell´acquisizione delle partecipazioni societarie in ambito calcistico (di Marco Lacchini, Professore ordinario nell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Matteo Palmaccio, Dottorando di Ricerca nell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.)


This article seeks to analyze the issue of the regulation of the financial solvency requirement of Italian professional football teams.

The article is divided into two parts. The first part offers a critical overview of the Italian legislation regarding solvency requirement and concerning the funding of professional football team. The second part examines the leading case of Parma football team bankruptcy’s, focusing especially on the decision adopted by the FIGC to deal with the financial imbalance of this football society. In the conclusions, the authors provide some critical remarks about the rules concerning the certification of the financial solvency of the professional football teams.

SOMMARIO:

1. Premessa: il tema della solvibilità delle squadre di calcio professionistiche - 1.1. Le fonti di finanziamento delle squadre di calcio professionistiche - 1.2. L’importanza della solvibilità delle squadre di calcio professionistiche - 2. Il caso del Parma Football Club S.p.A. - 3. I provvedimenti della FIGC: i comunicati ufficiali n. 189/A e 72/A - 4. Alcune considerazioni in tema di attestazione dei requisiti di solidità finanziaria - NOTE


1. Premessa: il tema della solvibilità delle squadre di calcio professionistiche

La disciplina italiana in tema di società di calcio presenta profili di specialità che traggono origine storica negli anni sessanta. Nel 1966 il Consiglio Direttivo Federale della FIGC disponeva lo scioglimento degli organi ordinari delle associazioni calcisti­che inquadrate nel settore dei professionisti, imponendone la liquidazione attraverso la nomina di un commissario straordinario, incaricato anche della loro ricostituzione in forma di società per azioni [1]. Le motivazioni alla base di un simile intervento normativo risiedevano nella neces­sità di applicare le stringenti regole delle società di capitali, al fine di agevolare i con­trolli da parte della federazione. Non a caso – quanche anno pià tardi – la Corte di Giustizia della Comunità Europea intervenne con alcune sentenze [2], riconoscendo la natura di attività imprenditoriale delle società sportive in quanto aderenti ai principi dettati per le attività economicamente rilevanti. Successivamente, la legge n. 91/1981 intervenne estendendo notevolmente il potere della federazione di appartenenza, arrivando a prevedere, con motivato ricorso e a seguito di gravi irregolarità di gestione, la possibilità da parte della federazione di chiedere la liquidazione della società. Con il d.l. n. 485/1996 venne meno il potere della federazione di chiedere la liqui­dazione della società, concedendo però alla stessa la facoltà di procedere alla denuncia di cui all’art. 2409 c.c. La riforma del 1996 ha, inotre, rimosso gli ostacoli alla quotazione in borsa da parte delle società di calcio italiane, aprendo prospettive già da tempo diffuse all’estero. In sostanza il d.l. n. 485/1996 ha definitivamente riconosciuto l’attività sportiva profes­sionistica quale attività imprenditoriale a tutti gli effetti. Tale fenomeno ha comportato la necessità da parte delle società sportive di ade­guarsi, anche in termini d’informativa esterna, al nuovo modello societario previsto dal codice civile [3] con l’obiettivo di fornire maggiore tutela ai creditori. La congiuntura finanziaria del settore dei primi anni 2000 ha indotto il Legislatore a intervenire nuovamente con un provvedimento di carattere straordinario e transitorio. Il d.l. n. 282/2002 venne, infatti, emanato per lenire le pesanti [continua ..]


1.1. Le fonti di finanziamento delle squadre di calcio professionistiche

Fino alla seconda metà del ’900 le società sportive professionistiche avevano una struttura finanziaria basata sostanzialmente su tre forme di introiti: in via principale, sugli incassi relativi ai biglietti pagati per assistere allo spettacolo; in via secondaria, su sussidi offerti da alcuni magnati dell’industria; in via ausiliare, su sussidi offerti da enti governativi e nazionali. Nel corso degli anni sessanta e settanta vi fu un considerevole aumento delle entrate pubblicitarie, nonché relative alle sponsorizzazioni; questo fenomeno venne a costituire un paradigma che vedeva un’identificazione diretta in termini di immagine e notorietà tra il finanziatore e la società sportiva. Questo modello ha perdurato per lunghi anni in tutti i principali Paesi europei fino a quando, verso la metà degli anni Ottanta, subentrò una nuova forma di finanziamento: il pagamento dei diritti per la trasmissione televisiva dei match. Questa forma di finanziamento era a lungo stata temuta dalle società, preoccupate del fatto che le trasmissioni televisive avrebbero ridotto l’affluenza agli stadi, con un impatto negativo sui ricavi non compensato dagli introiti derivanti dai diritti per la trasmissione televisiva dei match [7]. Ciononostante – anche grazie all’insieme di deregolamentazioni e privatizzazioni intervenute nel settore delle telecomunicazioni – alla fine degli anni novanta i ricavi derivanti dai diritti televisivi rappresentavano già la principale fonte di finanziamento sia in Italia che in Francia. Un ulteriore fenomeno in termini di fonti di finanziamento è poi rappresentato dal­l’emersione di una nuova generazione d’imprenditori caratterizzati: da un maggiore orientamento verso una gestione[8] ispirata a criteri di efficienza; da una maggiore sensibilità verso possibili sinergie con settori differenti (es. merchandising, controllo delle strutture interne agli stadi, promozione di eventi sportivi). Allo stato dell’arte [9] è quindi possibile identificare le seguenti tre principali fonti di finanziamento delle società di calcio professionistiche [10]: introiti derivanti dalla vendita dei biglietti; introiti derivanti dalla vendita dei prodotti commerciali (merchandising); introiti derivanti dalla vendita dei diritti televisivi.


1.2. L’importanza della solvibilità delle squadre di calcio professionistiche

In ambito sportivo professionistico la solvibilità [11] è un tema che assume connotazioni particolari rispetto ai tradizionali contesti economici. Infatti, laddove nelle imprese tradizionali la solvibilità impatta tipicamente su coloro che apportano i fattori produttivi (sia in posizione residuale che in posizione contrattuale) [12], in ambito sportivo professionistico la solvibilità delle società è, invece, una condizione che ha implicazioni sull’equilibrio dell’intero sistema calcio. Questa condizione conduce ad una serie di riflessioni circa la tipicità delle pressioni esercitate dagli stakeholder [13] delle imprese sportive professionistiche [14]; tali pressioni sono legate alla natura economica del bene spettacolo calcistico [15] che rende tali imprese diverse rispetto alle altre operanti nel settore dell’intrattenimento. Alcuni autori [16] rilevano come il bene «spettacolo sportivo» sia caratterizzato da elementi che lo rendono assimilabile ai c.d. «beni culturali», in quanto capace di suscitare una risposta estetica da parte del consumatore. Tra le caratteristiche che delineano i beni in grado di produrre uno stimolo positivo da parte del fruitore è stata individuata [17], tra le altre, l’incertezza. In questa prospettiva, l’incertezza del risultato si configura come una qualità dello spettacolo in grado di produrre utilità per un’utenza di tipo commerciale. La produzione di tale incertezza dipende, di tutta evidenza, dalla stabilità del contesto competitivo di riferimento e quindi dalla continuità aziendale delle squadre che partecipano alla com­petizione. L’importanza della solvibilità delle squadre di calcio professionistiche è quindi legata alla loro possibilità di partecipare ai campionati e mantenere gli equilibri competitivi che generano e accrescono l’incertezza. Detto in altre parole, le sopramenzionate fonti di finanziamento sono alimentate dall’incertezza generata dalla competizione di diverse società sportive professionistiche nell’ambito di un certo campionato. In questo contesto, la continuità aziendale di tali imprese – e quindi la loro solvibilità – è condizione necessaria affinché possano continuare a competere, consentendo all’intero sistema calcio [continua ..]


2. Il caso del Parma Football Club S.p.A.

Il Parma rappresenta un caso di club c.d. «provinciale» che ha vantato, fra il 1991 e il 2001, una squadra fra le più forti d’Europa, arrivando a competere con le grandi del calcio. La storia recente del Parma inizia nel 1976 quando la squadra venne comprata da Ernesto Ceresini, 36enne imprenditore edile della zona senza alcuna esperienza calcistica [18]. Nel giugno del 1987 Ceresini cedette una parte della società alla Parmalat, che diventò socio di minoranza e principale sponsor della squadra. Qualche anno dopo, in seguito alla morte di Ceresini, il figlio cedette la quota di maggioranza alla Parmalat. Nel 2004 il Parma fu coinvolto nel cosiddetto «crac Parmalat» e rimase in amministrazione controllata fino al 2007 quando Tommaso Ghirardi lo comprò per circa 24 milioni di euro. Nel corso del campionato 2014-2015 il Parma viene escluso dall’Europa League in seguito al mancato ottenimento della licenza UEFA. Nel dicembre 2014 Ghirardi vende ufficialmente il Parma ad una cordata russo-cipriota. A febbraio 2015 la società viene nuovamente ceduta ad una cordata italiana, immediatamente impegnata a pagare 15 milioni entro lo stesso mese di febbraio per saldare gli stipendi arretrati ed evitare la messa in mora da parte dei tesserati. Dopo una serie di vicissitudini finanziarie e giudiziarie il Parma fallisce nel marzo 2015 [19]. Lo squilibrio finanziario del Parma emerse già nel 2009 quando la PWC [20], con riferimento al piano economico-finanziario relativo alla stagione 2009/2010, scriveva nella propria relazione: “L’analisi del piano economico finanziario per il successivo esercizio 2009/2010 della controllata Parma FC evidenzia una previsione di perdita rilevante ed una notevole tensione finanziaria, in conseguenza di investimenti già effettuati sul parco giocatori; elementi che secondo gli amministratori, in assenza di specifiche operazioni, non consentirebbero alla controllata di assicurare il regolare adempimento delle obbligazioni sociali fino al termine della stagione sportiva 2009/2010”. Sempre citando quanto scritto dagli amministratori nella relazione sulla gestione, tale formula veniva ripetuta anche nei bilanci successivi, compreso quello al 30 giugno 2014. Analizzando i bilanci del club tra la stagione 2007/2008 e la stagione 2013/2014 emerge che la gestione caratteristica [21] ha generato flussi in entrata per [continua ..]


3. I provvedimenti della FIGC: i comunicati ufficiali n. 189/A e 72/A

A seguito del fallimento del Parma, la FIGC è tempestivamente intervenuta in data 26 marzo 2015 con il Comunicato Ufficiale n. 189/A. Tale circolare, mossa dalla necessità di disciplinare l’ingresso di nuovi soci nelle compagini societarie di club professionistici, sviluppa il proprio contenuto su tre punti: la fissazione di una soglia del 10% per l’applicazione dei requisiti finanziari e di onorabilità; la descrizione dei requisiti di onorabilità; una generale descrizione del requisito di solidità finanziaria e di liceità della provenienza delle risorse finanziarie. In particolare, con riferimento al perimetro di applicazione della normativa, il comunicato ufficiale specifica che i requisiti di cui ai punti precedenti dovranno essere applicati: alle acquisizioni di quote, mediante atto tra vivi, pari o superiori al 10% del capitale; agli aumenti di capitale di entità pari o superiori al 10% del capitale. In data 28 luglio 2015, la FIGC è intervenuta con il Comunicato Ufficiale n. 72/A, pubblicando il Regolamento attuativo di cui al Comunicato Ufficiale n. 189/A. Rispetto al precedente Comunicato, il perimetro di applicazione è stato (opportunamente) rettificato, includendo anche le acquisizioni di quote mortis causa. Il documento individua i requisiti di onorabilità [27] e definisce – non senza lasciare lacune o dubbi interpretative – i requisiti di solidità finanziaria che dovranno essere di­mostrati. In particolare l’acquirente della quota dovrà presentare alla Lega – entro 30 giorni dall’acquisizione della quota – la dichiarazione di almeno un istituto di credito di primaria importanza nazionale e/o estera, con il quale abbia rapporti da almeno un anno, che attesti: che l’Acquirente dispone di buona base finanziaria e riscuote stima e considerazione presso gli operatori finanziari ed economici; che l’Acquirente è meritevole, sotto il profilo bancario, di adeguato fido e che è soggetto senz’altro valido in ordine agli impegni che assume; che l’Acquirente ha sempre fatto fronte ai suoi impegni con regolarità e puntualità e che, alla data della dichiarazione, è in possesso della capacità finanziaria ed economica per far fronte alle esigenze relative all’impegno assunto con l’Acquisizione; che le risorse finanziarie [continua ..]


4. Alcune considerazioni in tema di attestazione dei requisiti di solidità finanziaria

Sebbene l’intervento da parte della FIGC con i comunicati 189/A e 72/A sia nel complesso da considerarsi meritorio e tempestivo, esso non è privo di criticità che attengono tanto il piano definitorio quanto il piano attuativo. In particolare, s’intende evidenziare talune criticità che riguardano il terzo articolo del regolamento, rubricato «Requisiti di solidità finanziaria». Tale parte del regolamento prevede l’obbligo per il (nuovo) socio di presentare una dichiarazione di almeno un istituto bancario che attesti la presenza di alcuni requisiti, articolati in quattro punti. Il primo punto (che l’Acquirente dispone di buona base finanziaria e riscuote stima e considerazione presso gli operatori finanziari ed economici) menziona, senza fornire una adeguata definizione, i concetti di «buona base finanziaria», di «stima e di considerazione presso gli operatori finanziari ed economici». Sebbene il concetto di buona base finanziaria possa in qualche modo trovare una sua definizione, laddove la pietra di confronto dell’adeguatezza è rappresentata dall’im­pegno finanziario che la partecipazione al capitale di rischio richiede, altrettanto non può essere detto per i concetti di «stima e considerazione da parte del sistema finanziario ed economico». Allo stato dell’arte, tale parte dell’obbligo di attestazione assume la mera veste di costrutto concettuale finalizzato a rafforzare – solo astrattamente – l’apparato di garanzie richieste all’acquirente della quota. La norma, infatti, oltre a non definire in alcun modo (direttamente o rimandando ad altre norme) i concetti sopramenzionati, non indica neppure come e se debba essere, in concreto, comprovata la loro sussistenza da parte dell’istituto di credito nell’ambito della propria attestazione. Il secondo (che l’Acquirente è meritevole, sotto il profilo bancario, di adeguato fido e che è soggetto senz’altro valido in ordine agli impegni che assume) e il terzo punto (che l’Acquirente ha sempre fatto fronte ai suoi impegni con regolarità e puntualità e che, alla data della dichiarazione, è in possesso della capacità finanziaria ed economica per far fronte alle esigenze relative all’impegno assunto con l’Acquisi­zione) non presentano particolari elementi di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2016