Rivista di Diritto SportivoISSN 0048-8372 / EISSN 2784-9856
G. Giappichelli Editore

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La legge 20 gennaio 2016, n. 12: un´occasione perduta (di Laura Santoro, Professore ordinario nell’Università di Palermo.)


This article explains how the statute 20 january 2016, n. 12 want to make innovations in federal rules about foreigner athletes’membership: this one carry out the purpose of social and cultural integration, according to the principle of equality and equal op­portunities while taking part in sport activities. Even before that statute, the federal rules subordinated sport membership only to the italian residence. Sport Federations could even impose other rules: they can set the highest number of foreigner athletes that could get a sport membership card; they decide if foreigner athletes could take part in a competition of national championship or not. Some of these kind of rules are imposed by the international Federation that one belongs to.

After all, the scope of the statute 20 january 2016, n. 12 could be extended to the sport clubs and sport associations that do not belong to the institutionalized sport’s legal system.

SOMMARIO:

1. Gli antefatti della legge n. 12/2016 - 2. La ricostruzione dottrinale dell’assetto ordinamentale federale in materia di tesseramento di atleti stranieri - 3. Premesse e finalità della legge n. 12/2016 - 4. L’esercizio di attività sportive degli atleti stranieri: i criteri della cittadinanza e della residenza. Osservazioni critiche - 5. I destinatari della disciplina in commento: sua interpretazione estensiva - NOTE


1. Gli antefatti della legge n. 12/2016

Tra gli antefatti che precedono l’iniziativa legislativa che ha portato all’emanazione della legge 20 gennaio 2016, n. 12, vanno ricordati, seppur per cenni, due casi che han­no interessato rispettivamente la FIGC e la FIN, e l’attività svolta dal CONI sul piano delle politiche di promozione dell’integrazione sociale degli stranieri.

Il primo caso, risalente all’anno 2010, che ha destato grande attenzione nell’opinio­ne pubblica, ha riguardato un calciatore togolese, Shaib Idrissou Biyao Kolou, il quale, a seguito del diniego del tesseramento della FIGC perché munito di permesso di soggiorno valido soltanto per cinque mesi, si era rivolto al Tribunale di Lodi, che, con ord. 13 maggio 2010, aveva riconosciuto la natura discriminatoria dell’art. 40 delle N.O.I.F. nella parte in cui, nel testo vigente all’epoca (comma 11), prescriveva che il permesso di soggiorno, richiesto per il tesseramento di calciatori stranieri, dovesse essere valido per un anno, ovvero almeno fino al termine della stagione sportiva per la quale il tesseramento stesso era stato effettuato [1].

L’altro caso, che ha costituito oggetto di interrogazione parlamentare, presentata dal Deputato Alessandro Zan al Ministro dell’Interno e al Ministro per l’Integrazione nella seduta del 10 luglio 2013, riguardava una bambina di dieci anni, figlia di una cop­pia di tunisini regolarmente residenti in Italia per motivi di lavoro, alla quale era stato negato da parte della FIN il tesseramento con la società di nuoto sincronizzato con la quale si allenava, nonostante i ripetuti tentativi esperiti dal padre, nonché dal Sindaco del Comune dove la società aveva sede [2]. A conclusione della predetta interrogazione, veniva sollecitato l’intervento del Governo affinché modificasse in tempi rapidi la nor­mativa vigente in materia di cittadinanza «in direzione dell’accoglienza e dell’integra­zione».

Sul piano delle politiche attuate dal CONI e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, va ricordata la stipula nel dicembre 2013 dell’Accordo di programma in materia di integrazione sociale dei migranti attraverso lo sport e contrasto alle discriminazioni. L’Accordo è stato positivamente rinnovato di anno in anno e, da ultimo, con la Circolare 20 aprile 2016, n. 5596, nella quale si specifica che «il programma di attività scaturito da tale accordo, nell’ambito dei diversi filoni di intervento, prevede l’identificazione e la valorizzazione di quei progetti realizzati nell’ambito dell’associa­zionismo sportivo, che mirano a favorire l’inclusione e l’integrazione dei giovani provenienti da un contesto migratorio».

All’interno del predetto Accordo si inserisce il Manifesto «Sport e Integrazione: la vittoria più bella», nel quale vengono specificate le finalità e gli obiettivi dell’Accordo stesso, nonché i principi fondanti le politiche di integrazione, tra i quali v’è quello della cittadinanza sportiva. In virtù di tale principio, si legge nel Manifesto, va garantito «l’accesso al tesseramento e ai campionati, di ogni disciplina e livello, a coloro i quali siano nati in Italia da genitori stranieri. Per la pratica sportiva queste persone devono essere equiparate ai cittadini italiani. Quindi lo straniero nato in Italia deve essere considerato atleta italiano a tutti gli effetti e partecipare come tale ai campionati nazionali e internazionali» [3].


2. La ricostruzione dottrinale dell’assetto ordinamentale federale in materia di tesseramento di atleti stranieri

La legge 20 gennaio 2016, n. 12, si propone quale svolta, al contempo innovativa e correttiva, dell’assetto regolamentare federale sul tesseramento degli atleti stranieri che, secondo il comune convincimento, fatto proprio anche dallo stesso legislatore, salvo il caso di due o tre Federazioni, poneva stringenti limitazioni, ovvero addirittura assoluti impedimenti, al tesseramento in assenza della cittadinanza italiana.

In un’ampia e recente Relazione dal titolo «Sport e Integrazione» (redatta dopo l’ap­provazione della proposta di legge alla Camera e mentre la stessa era in discussione al Senato), che tratta appunto della partecipazione all’attività sportiva agonistica da parte dello straniero residente in Italia, dopo aver premesso che «presso la maggior parte delle Federazioni sportive e DSA» sussistono «regole che non consentono agli stranieri di tesserarsi», vengono suddistinte le singole normative federali in tre gruppi: il primo raccoglie «quelle che precludono in toto agli stranieri di tesserarsi presso la Federazione»; il secondo quelle che consentono il tesseramento dell’atleta di provenienza estera, ma con limitazioni all’esercizio dell’attività sportiva di ordine qualitativo o quantitativo; il terzo quelle che equiparano gli atleti stranieri agli atleti di nazionalità italiana «senza distinzioni di sorta» [4].

Vengono, quindi, specificate le Federazioni di appartenenza al secondo gruppo (Fe­derazione Italiana Giuoco Calcio, Federazione Italiana Badminton, Federazione Atle­tica Leggera, Federazione Italiana Tennis, Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio e Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) e quelle rientranti nel terzo grup­po (Federazione Italiana Hockey, Federazione Pugilistica Italiana e Federazione Italiana Giuoco Handball) mentre, sorprendentemente, nessuno specifico riferimento è operato alle Federazioni rientranti nel primo gruppo, nonostante, come sopra visto, esse dovreb­bero rappresentare «la maggior parte».

Può osservarsi sin d’ora che dall’esame delle carte federali, anche antecedenti l’en­trata in vigore della legge n. 12/2016, non risulta che alcuna di esse escluda espressamente il tesseramento di atleti stranieri.

Del resto, una normativa che vietasse il tesseramento per il solo fatto della nazionalità si porrebbe in assoluto contrasto con i principi dell’ordinamento sportivo, tra i quali, giova ricordarlo, quello richiamato nell’art. 2, comma 4, dello Statuto del CONI, secondo cui «Il CONI, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, detta principi contro l’esclusione, le diseguaglianze, il razzismo e contro le discriminazioni basate sulla nazionalità». Correlativamente l’art. 20, comma 3, dello Statuto CONI, nel dettare i principi regolatori degli ordinamenti endofederali, stabilisce che «Le Federazioni sportive nazionali sono rette da norme statutarie e regolamentari in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale e sono ispirate al principio di partecipazione all’at­tività sportiva da parte di chiunque in condizioni di uguaglianza e di pari opportunità» [5].

Ai fini della presente indagine occorre, altresì, richiamare l’art. 2, comma 4-bis, secondo cui «il CONI detta principi ed emana regolamenti in tema di tesseramento e utilizzazione degli atleti di provenienza estera al fine di promuovere la competitività delle squadre nazionali, di salvaguardare il patrimonio sportivo nazionale e di tutelare i vivai giovanili», nonché l’art. 3, comma 1, nella parte in cui stabilisce che «Il CONI promuove la massima diffusione della pratica sportiva, anche al fine di garantire l’in­tegrazione sociale e culturale degli individui e delle comunità residenti sul territorio».


3. Premesse e finalità della legge n. 12/2016

Una necessaria premessa va operata in ordine alla distinzione tra due tipologie rientranti nella nozione di atleta straniero, ovvero l’atleta straniero che acquista la residenza in Italia per praticare l’attività sportiva e colui che sia, invece, già residente in Italia per altre ragioni, non correlate alla pratica sportiva, e si tesseri come atleta. Nel primo caso, qualora l’atleta in questione non sia cittadino di uno Stato membro della U.E., si applicherà la normativa sui visti di ingresso per lavoro subordinato di tipo sportivo ovvero attività sportiva dilettantistica, che, per gli sportivi impegnati nell’attività agonistica di alto livello, prevede un numero massimo di ingressi definito annualmente con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, su proposta del CONI [6].

Nel caso dello straniero che acquista la residenza in Italia in funzione dello svolgimento di un’attività sportiva, il tesseramento è strumento per il perseguimento del fine proprio dell’ordinamento sportivo; nell’altro caso, invece, ovvero quello in cui lo straniero sia già residente in Italia per ragioni diverse dall’esercizio dell’attività sportiva, il tesseramento è funzionale anche ad altri scopi, quale quello appunto dell’integra­zione sociale e culturale. Ed è questo secondo caso che è oggetto dell’intervento legislativo con il provvedimento in commento, come si ricava già dalla lettura dell’inti­tolazione della legge, là dove si identifica l’atto di ammissione del minore straniero nelle società sportive (alias il tesseramento) nel mezzo per attuare il fine dell’inte­grazione sociale. Così recitando, peraltro, il legislatore, almeno formalmente, si sottrae all’obiezione critica di invasione di campo rispetto ad un ambito, qual è quello del tesseramento, che ha natura prettamente sportiva e mai, prima di questa occasione, era stato neppure menzionato in alcun provvedimento legislativo di fonte statale.

Anche i lavori preparatori confermano l’orientamento del legislatore nel senso sopra delineato. La relazione introduttiva alla proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati (d.d.l. n. 1949), infatti, spiega le ragioni dell’intervento legislativo con l’esigenza di superare i «limiti alla possibilità dei minori di nazionalità non italiana di partecipare alle attività sportive giovanili. Si tratta di limiti (n.d.r.: è detto testualmente) non coerenti con la funzione sociale dello sport e contrari all’interesse generale a favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri regolarmente residenti nel territorio nazionale».

Tuttavia, è errata la base di partenza da cui muove il legislatore, forse suggerita da quelle analisi non proprio aderenti al tessuto normativo endofederale cui si è accennato in apertura del discorso.

Si afferma nella Relazione citata che «soltanto la Federazione Italiana Hockey e la Federazione Pugilistica Italiana hanno adottato disposizioni volte ad equiparare gli atleti stranieri nati in Italia agli atleti italiani, applicando, dunque, agli stessi le procedure di tesseramento previste per gli italiani. Per le altre federazioni sportive, gli statuti impediscono il tesseramento di giovani che non siano in possesso della cittadinanza italiana nel momento del passaggio dall’attività sportiva di base a quella agonistica». È detto, poi, che «Ciò finisce per impedire a giovani dotati di capacità, nati o cresciuti nel nostro Paese ma figli di genitori aventi la cittadinanza di Stati non appartenenti all’Unione Europea, che hanno iniziato un percorso sportivo, di seguire i compagni nell’attività agonistica per motivi legati al mancato possesso della cittadinanza».

Nel testo della Relazione introduttiva alla proposta di legge, dopo l’approvazione alla Camera ed il passaggio al Senato (d.d.l. n. 1871), scompare ogni riferimento a singole Federazioni, ma si ripete l’assunto in ordine alla necessità «di rimuovere le regole e le procedure che impediscono il tesseramento di giovani non in possesso della cittadinanza italiana nel momento del passaggio dall’attività sportiva di base a quella agonistica».

Le premesse da cui muove il legislatore non sono condivisibili. Già i richiami ai sistemi endofederali risultano incompleti. Si elogiano, infatti, due Federazioni (la Federazione Pugilistica Italiana e la Federazione Italiana Hockey) e si tace di altre Federazioni che prevedevano analoga regolamentazione già prima della legge n. 12/2016 (co­sì, ad esempio, la Federazione Italiana Tennistavolo, il cui Regolamento organico del 2015, tutt’ora vigente, prescrive all’art. 13.3 che «L’Atleta che, pur in possesso di cittadinanza non italiana, sia nato e sia regolarmente residente nel territorio italiano, è considerato atleta italiano a tutti gli effetti»). Ma v’è di più. È del tutto non corrispondente al vero l’affermazione, che qui si ripete, secondo cui, al di fuori delle due Federazioni sopra richiamate, «Per le altre federazioni sportive, gli statuti impediscono il tesseramento di giovani che non siano in possesso della cittadinanza italiana nel momento del passaggio dall’attività sportiva di base a quella agonistica».


4. L’esercizio di attività sportive degli atleti stranieri: i criteri della cittadinanza e della residenza. Osservazioni critiche

Come già accennato in apertura del discorso, nessuno Statuto né regolamento di Federazioni sportive nazionali o Discipline sportive associate, anche in epoca antecedente all’emanazione della legge n. 12/2016, subordinava il tesseramento come atleta al requisito della cittadinanza italiana.

La prescrizione ricorrente nelle carte federali è che «Il tesseramento degli atleti stranieri deve avvenire nel rispetto della vigente legislazione e delle direttive emanate dal CONI in materia», con ciò volendosi fare riferimento alle disposizioni sopra citate in materia di permesso di soggiorno e di quote per gli ingressi di stranieri extracomunitari.

Alcune normative federali non contengono disposizioni specifiche in materia di tes­seramento di atleti stranieri (così, ad esempio, la FIGEST, la FITETREC, la FIG), ma ciò non consente di trarre la conclusione che esso sia precluso, in assenza di una chiara ed espressa indicazione in tal senso.

Invero, la prospettiva di osservazione che adotta il legislatore sportivo, nel disciplinare il tesseramento di stranieri, non volge al requisito formale astratto della cittadinanza italiana, bensì a quello sostanziale concreto della residenza in Italia (per gli extracomunitari suffragata dal permesso di soggiorno che ne attesta la regolarità), come si coglie chiaramente dalla lettura delle carte federali [7].

Infatti, la prevalenza dell’elemento sostanziale della residenza in Italia su quello formale della cittadinanza italiana è suffragata dall’esame di alcune normative endofederali nelle quali la regolamentazione del tesseramento degli atleti stranieri ha riguardo alle modalità in concreto di esercizio dell’attività sportiva. Così, ad esempio, nella Federazione Italiana Rugby la principale distinzione degli atleti è nelle due categorie dei «giocatori di formazione italiana» e dei «giocatori di formazione non italiana». Ad entrambe le categorie possono appartenere atleti di cittadinanza italiana ovvero straniera. Ciò che vale ai fini dell’appartenenza ad una o all’altra delle due categorie sopra dette non è, infatti, l’essere cittadino italiano, bensì l’essere tesserato in Italia senza provenire da Federazione straniera ed aver giocato per almeno due stagioni sportive nei settori propaganda e/o juniores di società italiane, ovvero, se non formato nei vivai giovanili italiani, l’aver vestito la maglia della squadra nazionale assoluta in almeno dieci incontri ufficiali [8]. Analogamente può dirsi per la Federazione Italiana Football Americano che, nel Regolamento tesseramenti in vigore dal 1° gennaio 2015, all’art. 14, intitolato «Atleti Italiani», ha ridefinito la classificazione di giocatore di scuola italiana o straniera nel senso che «Sono considerati atleti di scuola straniera: tutti coloro che, aldilà della propria cittadinanza, abbiano iniziato il loro percorso formativo al di fuori dell’Italia», mentre «Sono considerati atleti di scuola italiana: tutti coloro che, aldilà della propria cittadinanza, abbiano iniziato la loro attività formativa in Italia tramite tesseramento ufficiale». A chiarimento della sopra detta classificazione, l’art. 16, intitolato «Atleti stranieri», specifica che «Sono considerati giocatori stranieri tutti gli atleti di scuola straniera come da art. 14». Va sul punto ricordata anche la normativa della Federazione Italiana Baseball Softball (art. 25.5 del Regolamento Organico in vigore dal 27 aprile 2016) la quale prevede la categoria degli «Atleti di Scuola Italiana (ASI)», della quale fanno parte, oltre agli atleti italiani nati e residenti in Italia, anche i «giocatori stranieri che hanno acquisito lo status di “scuola italiana”, giusta delibera del Consiglio federale n. 39 del 31 gennaio 2004, o che lo hanno acquisito con il tesseramento dell’anno 2005», mentre sono equiparati agli ASI gli «atleti stranieri che hanno iniziato a giocare in Italia dalla Categoria Cadetti, o Categorie inferiori, pur essendo tesserati come atleti stranieri». Ed ancora la normativa in materia di tesseramento di atleti stranieri contenuta nella Circolare n. 87/2015 della Federazione Italiana Canoa Kayak, avente ad oggetto le procedure di «Affiliazione, Riaffiliazione e Tesseramento anno 2016 – Del. Fed. n. 190/15, secondo cui “Gli atleti minorenni, formatisi nei VIVAI GIOVANILI SOCIETARI e in possesso di regolare permesso di soggiorno (Lavoro/Fa­miliare), potranno partecipare a tutte le attività Federali, comprese quelle Nazionali, e non necessitano di ‘Quote’ se tesserati da oltre due anni con la stessa Società”».

Alcune normative federali prescrivono il requisito del nulla-osta della Federazione di provenienza nel caso di atleti stranieri non residenti in Italia, ipotesi questa che, come sopra detto, esula dall’oggetto della legge in esame [9].

Talvolta è possibile rinvenire nelle carte federali una specifica esclusione per gli atleti stranieri con riguardo, in particolare, alla partecipazione alle squadre nazionali. Così è previsto, ad esempio, nell’ordinamento della Federazione Arrampicata Sportiva Italiana, il cui Regolamento organico, all’art. 23, prescrive che «Sono considerate Squa­dre Nazionali quelle formate dai competenti Organi federali e composte di atleti, aventi cittadinanza italiana, scelti nell’intero territorio nazionale». Può osservarsi, tuttavia, che tale esclusione può trovare giustificazione nel principio di specificità, consacrato nell’art. 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) (ex art. 149 del Trattato CE), che rappresenta la trasposizione in chiave istituzionale della c.d. sporting exception, e che, come è noto, consente alle organizzazioni sportive di difendere le proprie prerogative di autonomia e indipendenza nella disciplina e organizzazione delle attività sportive, anche in contrasto al diritto antitrust [10].

Più difficilmente giustificabili in base al principio di specificità dello sport sono, invece, le limitazioni, presenti in alcuni ordinamenti endofederali, in ordine al numero massimo in percentuale di atleti stranieri che possono essere tesserati rispetto agli atleti italiani, a prescindere dalla partecipazione alla rappresentativa nazionale, nonché in ordine all’accesso degli atleti stranieri all’elettorato passivo alle cariche federali in ossequio all’art. 7.4 dei Principi fondamentali degli Statuti delle F.S.N., delle D.S.A. e all’art. 5, comma 3, ivi richiamato. Esempio del primo tipo di limitazioni si rinviene nell’art. 10 del Regolamento organico 2010, tutt’ora vigente, della Federazione Italiana Canottaggio Sedile Fisso, secondo cui può farsi luogo al tesseramento di «un numero massimo di atleti stranieri non superiore al 50% del numero di atleti italiani»; esempio del secondo tipo di limitazioni si ritrova, ex multis, nelle carte federali della Federazione Italiana Palla Tamburello (art. 6 dello Statuto 2015, vigente) e della Federazio­ne italiana tennis (art. 82, comma 2, lett. a, del R.O. 2016).

Alcune Federazioni, poi, prevedono specifiche limitazioni per la partecipazione degli atleti stranieri ad alcuni campionati [11].

Da quanto sin qui detto emerge, dunque, con chiarezza come il legislatore abbia erroneamente sovrapposto, rendendo coincidenti, il piano attinente al tesseramento degli atleti stranieri con quello relativo alla partecipazione degli stessi atleti ai campionati federali.

Mentre sul primo piano, come si è visto, non si pone la questione dell’esclusione degli atleti in quanto stranieri, sul secondo piano esistono casi in cui, seppur limitatamente ad alcune Federazioni, e nell’ambito di queste ad alcuni campionati, tale esclusione sussiste. Ma su questo secondo piano è dubitabile che il legislatore possa incidere davvero, al di là di una semplice moral suasion, trattandosi di materia prettamente sportiva riservata alla autonomia statutaria e regolamentare delle singole Federazioni.

Peraltro, non può non tenersi conto del fatto che ciascuna Federazione deve conformare il proprio operato ai regolamenti della Federazione internazionale cui la stessa è affiliata. La normativa sul tesseramento di minori stranieri della FIGC rappresenta chiaro esempio di quanto detto. L’art. 40-quater, punto 1.2., ultimo capoverso, delle N.O.I.F. prescrive, infatti, che «In caso di richiesta di primo tesseramento con Società dilettantistica italiana di calciatori/calciatrici comunitari ed extracomunitari di età inferiore ai 18 anni, si applicano le disposizioni della F.I.F.A. sui minori di età». La normativa FIFA, contenuta nelle FIFA Regulations on Status and Transfer of Players prevede, come è noto, all’art. 19, commi 1 e 3, il divieto del trasferimento internazionale di calciatori minorenni ed il primo tesseramento di un calciatore minorenne per una Federazione di un Paese di cui non è cittadino, salva la ricorrenza di una tra le quattro eccezioni previste ai commi 2 e 4 dello stesso art. 19.

Tali eccezioni consistono nella circostanza che i genitori del calciatore si trasferiscano nel Paese dove ha sede la società presso la quale il minore debba tesserarsi per ragioni non correlate al calcio; nella circostanza che il trasferimento avvenga all’inter­no dell’Unione Europea, il giocatore abbia compiuto i sedici anni e sempre che il club per il quale venga tesserato adempia ad una serie di prestazioni ivi in dettaglio previste [12]; nella circostanza che il calciatore viva ad una distanza non superiore a cinquanta chilometri dal confine ed il club presso il quale deve tesserarsi si trovi a non oltre cinquanta chilometri dal confine. Con riguardo esclusivo al primo tesseramento, e non anche, quindi, al trasferimento internazionale, si prevede poi l’ulteriore eccezione consistente nel fatto che il calciatore minorenne straniero abbia vissuto ininterrottamente per almeno cinque anni nel Paese ove ha sede la società presso la quale intende tesserarsi (c.d. Regola dei cinque anni). La normativa FIFA poggia sulla ratio di tutela dei calciatori minorenni, come espressamente enunciato nell’intitolazione dell’art. 19 sopra citato (Protection of minors). Essa mira, pertanto, ad impedire i fenomeni di tratta che coinvolgono i calciatori in età precoce, provenienti soprattutto da Paesi del terzo mondo e, quindi, maggiormente esposti al rischio di sfruttamento.

Orbene, seppure la Federcalcio, quale soggetto di diritto operante all’interno dello Stato italiano, è obbligata al rispetto delle sue leggi, al contempo non può esimersi dal rispetto delle regole imposte dalla FIFA, quand’anche esse abbiano un contenuto contrastante con la legge italiana.

Tirando le fila di quanto sin qui detto, nel voler esprimere un giudizio sulla legge in commento, potremmo sintetizzare tutto in quattro parole tratte dal titolo della nota commedia Shakespeariana «Much Ado About Nothing».

E la conferma sembra potersi trarre dal riscontro in concreto che la legge ha avuto nel contesto dei sistemi endofederali e, nella specie, per citare due esempi, della Federcalcio e della Federazione Ciclistica Italiana.

Quest’ultima, nel dettare le “Norme attuative Attività Giovanile 2017”, approvate il 24 giugno 2016, ha stabilito che «Le società che intendono tesserare giovanissimi di nazionalità straniera, purché residenti con la famiglia in Italia, devono presentare richiesta ai competenti Comitati Regionali allegando la regolare documentazione». Il secondo comma prescrive poi che «I CR, una volta accertata la residenza in Italia della famiglia dell’atleta da almeno tre mesi e verificata la regolarità di tutta la documentazione trasmessa, possono rilasciare la relativa tessera federale».

La FIGC, con la Nota riepilogativa Stagione Sportiva 2016/2017 sui «Trasferimenti internazionali di calciatori minori e primo tesseramento di minori stranieri», ha dettato le linee guida per farsi luogo al tesseramento dei calciatori stranieri minorenni, distinguendo l’ambito delle società dilettantistiche e quello delle società professionistiche.

Relativamente al primo ambito, si è distinta la situazione dei «calciatori minorenni che abbiano compiuto 10 anni», quella dei «calciatori che non abbiano ancora compiuto 10 anni» e, infine, quella ricadente nella «Legge n. 12 del 20 gennaio 2016 – c.d. Ius Soli Sportivo», rispetto alla quale è operato il rinvio alla Circolare della L.N.D. 20 maggio 2016, n. 72.

Per la prima situazione è prescritto che la richiesta di primo tesseramento di calciatori minorenni stranieri, corredata da tutta la documentazione necessaria, deve recare l’indicazione dell’eccezione applicabile tra le quattro previste dalla regolamentazione di settore emanata dalla FIFA, sopra richiamata.

Per la seconda situazione – che, sia detto per inciso, ricade nell’ambito di applicazione delle legge n. 12/2016 – è del pari prescritto che la richiesta di tesseramento debba indicare «l’eccezione applicabile».

La Circolare della L.N.D. n. 72/2016, dopo avere chiarito che, ai fini della definizione dell’ambito di applicazione della legge n. 12/2016, il periodo antecedente al decimo anno di età comprende anche il giorno del decimo compleanno, prescrive che ai fini del tesseramento dei minori stranieri che ricadono in tale ambito è obbligatoria la presentazione di un certificato di residenza storico.

Con riguardo al tesseramento dei minori stranieri con società professionistiche, le linee guida della FIGC prevedono soltanto le prime due situazioni e nessun riferimento viene operato alla legge n. 12/2016.

Balza immediatamente in evidenza, con riguardo al tesseramento presso le società dilettantistiche, la contraddittorietà delle linee guida della FIGC relativamente alla seconda e terza situazione ivi previste, nonché, con riguardo al tesseramento presso le società professionistiche, l’omesso richiamo alla disciplina sul ius soli sportivo.

Nel tentare di offrire una spiegazione di quanto sopra, possiamo soltanto ipotizzare che la FIGC, nel suo ruolo di Federazione punto di riferimento per tutte le altre e oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, abbia cercato di barcamenarsi nel tentativo di conciliare le normative, dello Stato italiano, da un lato, e della FIFA, dal­l’altro, che hanno al contempo efficacia vincolante per essa.

Per superare l’empasse l’unica via possibile sarebbe quella di distinguere il tesseramento previsto nella seconda situazione, che ha come referente istituzionale l’ordina­mento sportivo, e il tesseramento previsto nella terza situazione, che ha come referente istituzionale lo Stato italiano, in ragione delle diverse finalità perseguite, la pratica sportiva, nel primo caso, l’integrazione sociale mediante la pratica sportiva nel secondo caso.

Ma a ciò sembra ostare proprio la legge in commento, la quale, contrariamente alle finalità enunciate, disciplina il tesseramento nella sua accezione tipica finalizzata all’e­sercizio della pratica sportiva, tant’è che l’effetto dell’acquisto della cittadinanza italiana viene ad essere, in definitiva, una mera eventualità estranea alla ratio della legge stessa.


5. I destinatari della disciplina in commento: sua interpretazione estensiva

Un’altra notazione critica che può muoversi alla legge in commento concerne il riferimento, nella intitolazione della stessa legge, al tesseramento di minori stranieri esclusivamente presso società affiliate a Federazioni sportive, Discipline sportive associate ovvero Enti di promozione sportiva [13], intendendosi implicitamente come tali quelli fa­centi parte del cosiddetto sistema sportivo istituzionalizzato, al cui vertice, come è noto, è posto il CONI [14].

La legge n. 12/2016 sembrerebbe quindi, almeno apparentemente, sulla base del dato meramente letterale, escludere dal suo ambito di applicazione le ipotesi di tesseramento presso enti affiliati a Federazioni non riconosciute dal CONI, ovvero presso enti che, ancorché inseriti nel sistema CONI, rivestano la natura giuridica di associazioni sportive.

Quanto alla prima esclusione, deve rilevarsi che, come si è avuto modo di osservare in altre occasioni [15], l’attività sportiva non va riferita esclusivamente alle attività regolamentate dal CONI. Una tale opinione va incontro, infatti, all’obiezione critica che essa pecca di formalismo giuridico, giacché assume a criterio di qualificazione dell’attività sportiva non già elementi intrinseci ad essa, bensì il dato estrinseco rappresentato dall’at­to formale del riconoscimento da parte del CONI. Il criterio formale del riconoscimento in seno al sistema CONI va incontro all’ulteriore obiezione che prende spunto dalla circostanza dell’incremento nel tempo delle Federazioni sportive nazionali [16] in un processo continuo di emersione di nuove attività del tempo libero che, se presenti i caratteri costitutivi dell’attività sportiva, possono poi essere riconosciute all’interno del sistema sportivo istituzionalizzato, come possono, d’altra parte, restarne fuori ma non perdendo, per questo fatto, la natura di attività sportive [17]. Non può tacersi, tuttavia, l’osservazione che, dalla prospettiva dell’ordinamento statale, l’attività sportiva, quando è oggetto di intervento legislativo, è generalmente valutata in riferimento soltanto al sistema sportivo istituzionalizzato. Si pensi, al riguardo, alla normativa in materia di agevolazioni fiscali per le associazioni sportive dilettantistiche, di cui alla legge n. 289/2002 (art. 90, comma 18, come modificato dall’art. 4 della legge n. 128/ 2004), in combinato disposto con la legge n. 186/2004 (art. 7). Sebbene sia certamente da ammettere che, conformemente al principio di libera esplicazione dell’attività sportiva, l’esercizio in forma associata di tale attività possa realizzarsi anche mediante associazioni sportive che non chiedano e ottengano l’affiliazione a Federazioni riconosciute dal CONI, tuttavia è da escludere che possa qualificarsi come associazione sportiva dilettantistica l’ente che, costituito in forma di associazione, svolga attività sportiva a carattere dilettantistico, ma al di fuori del vincolo di affiliazione con una Federazione o Disciplina sportiva associata inserita nel sistema CONI. Di ciò ha dato espressa conferma il legislatore con la legge n. 186/2004, là dove, all’art. 7, ha limitato l’ambito di applicazione delle disposizioni in materia tributaria contenute nell’art. 90 sopra citato alle sole associazioni e società sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI. Nello stesso art. 7, peraltro, è detto che «il CONI è unico organismo certificatore della effettiva attività sportiva svolta dalle società ed associazioni dilettantistiche». Il Registro delle associazioni e società sportive dilettantistiche tenuto presso il CONI, che prima della modifica della legge n. 289/2002 per effetto della legge n. 128/2004 assolveva alla funzione di identificare i soggetti beneficiari di contributi pubblici di qualsiasi natura, continua, quindi, oggi ad esplicare la funzione di individuare i legittimi fruitori delle agevolazioni fiscali riservate all’associazionismo sportivo [18].

L’interpretazione della legge in commento in conformità al fine di integrazione sociale che ne costituisce la ratio deve, a nostro avviso, condurre al risultato di estendere la portata applicativa della stessa legge anche agli enti che si collocano al di fuori del­l’ordinamento sportivo istituzionalizzato.

Quanto sopra detto riceve ulteriore avallo dalla considerazione che oggetto specifico della legge sono le attività sportive praticate dai minori e sono proprio costoro che generalmente praticano attività sportive che fuoriescono dagli schemi degli sport tradizionali. Si pensi alle diverse discipline che vengono racchiuse entro la generale categoria dei cosiddetti sport estremi, i quali attraggono soprattutto il pubblico dei più giovani, in ragione degli elementi di creatività e rischio che li caratterizzano.

Se in conclusione, come è pacificamente ammesso, la ratio della legge in esame consiste nel fine della integrazione sociale dei minori stranieri, è a tutte le discipline sportive presenti nel contesto sociale che la legge in esame deve applicarsi.

Quanto alla seconda esclusione, è immediato osservare come essa si pone in contrasto con la concreta ricostruzione fenomenologica del sistema sportivo; come è noto, infatti, l’esercizio in forma associata dell’attività sportiva è rappresentato per la maggior parte da associazioni sportive costituite nella forma di a.s.d., stante che la forma societaria è prescritta dalla legge soltanto per l’esercizio in forma associata delle attività sportive professionistiche, le quali sono nominalmente riferite, come risulta dalla lettura di rispettivi Statuti, oggi soltanto a cinque Federazioni (calcio, basket, boxe, ciclismo e golf) e una disciplina sportiva associata (tiro dinamico sportivo) e, all’interno di queste, soltanto ad alcuni limitati settori. Peraltro, l’interpretazione che escluderebbe l’ipotesi del tesseramento presso un’associazione sportiva condurrebbe al paradosso di ammettere che, in presenza di clubs iscritti ad uno stesso campionato, dei quali alcuni costituiti in forma di società ed altri in forma di associazione, soltanto i primi dovrebbero attenersi alle prescrizioni dettate dalla legge in esame.

Nella convinzione, pertanto, che la disciplina in commento non possa che essere interpretata estensivamente, così da ricomprendere nel suo ambito applicativo anche le associazioni sportive, l’omesso riferimento ad esse nell’intitolazione della legge appare quindi, piuttosto, chiaro esempio di sciatteria legislativa. Questo giudizio fortemente cri­tico trova avallo nell’osservazione dell’iter che ha segnato il passaggio del disegno di legge alla Camera prima della sua approvazione. Il testo originario dell’art. 1 presenta­va la seguente formulazione: «I minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federazioni nazionali o presso associazioni di promozione sportiva (il corsivo è nostro) con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani». Questo testo è stato poi modificato durante l’esame in Commissione con la sostituzione dell’espressio­ne «associazioni di promozione sportiva» con l’inciso «discipline associate o presso associazioni ed enti di promozione sportiva». Opportunamente, quindi, il legislatore ha cancellato il riferimento nel testo del disegno di legge originario alla figura fantasiosa delle ‘associazioni di promozione sportiva’, ma nel testo definitivo, con l’inserimento della figura delle ‘associazioni’ tra le discipline associate e gli enti di promozione sportiva, e non già accanto alle società sportive, come, invece, avrebbe dovuto fare, ha dimostrato di operare un’indebita confusione tra gli affiliati di primo e di secondo livello.


NOTE

[1] Sul rilievo della natura discriminatoria della normativa della FIGC è fondato il rigetto dell’eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione sollevata dalla FIGC, giacché il Tribunale di Lodi osserva che la fattispecie rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 215/2003 e dell’art. 44 del d.lgs. n. 286/ 1998, ivi richiamato, secondo cui «quando il comportamento di un privato o di una pubblica amministra­zione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice (all’epoca dei fatti in causa la norma conteneva la dicitura “il Pretore”, da intendersi, quindi, sostituita da “il Tri­bunale in composizione monocratica”, come espressamente affermato dal Tribunale di Lodi a p. 4 dell’or­dinanza; nel testo vigente si legge “l’autorità giudiziaria ordinaria”) può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo secondo le cir­costanze a rimuovere gli effetti della discriminazione». Nel merito della vicenda, il Tribunale osserva che la ragione del diniego del tesseramento al calciatore straniero, basata sulla circostanza che lo stesso non soggiornerebbe regolarmente sul territorio dello Stato, è destituita di fondamento giacché sconfessata dal­la documentazione in atti «da cui emerge che al momento della presentazione della domanda alla FIGC il giocatore ricorrente era in possesso di regolare permesso di soggiorno». Il requisito temporale richiesto dalla normativa della FIGC, relativo all’efficacia del permesso di soggiorno per un anno ovvero per l’in­tera stagione sportiva, non appare, d’altra parte, «ragionevole né tantomeno giustificato da un apprezza­bile scopo giuridico o sociale», considerato che «l’eventuale trattamento diversificato tra due persone o due gruppi di persone deve essere supportato da una ragionevole correlabilità tra il requisito richiesto e lo scopo perseguito dalla norma». Merita un richiamo, inoltre, la parte dell’ordinanza nella quale il Tribunale espressamente riconosce l’attività sportiva quale strumento di integrazione sociale oltre che possibilità di fonte di reddito. Si afferma in proposito che «il rispetto della diversità della vita pubblica è uno dei punti di maggiore consistenza ai fini della integrazione multietnica e del dialogo interculturale. È, infatti, nelle relazioni sociali che si sviluppano la capacità di condivisione e convivenza nel rispetto della diversità e delle identità culturali. (…) [lo sport] (…) sviluppa la capacità di condivisione e convivenza nel contesto sportivo, nonché nel più ampio contesto sociale nella sua totalità considerato». Il testo integrale dell’ordinanza è consultabile sul sito: www.personaedanno.it/attachments/allegati_articoli/AA_018730_ resource1_orig.pdf. Più di recente il Tribunale di Palermo (ord. 18 dicembre 2015), decidendo un caso che riguardava il diniego di tesseramento di un minore alla FIGC, in attesa che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 e 19-bis del Regolamento FIFA sullo status ed il trasferimento di calciatori stranieri, venisse dalla stessa FIFA autorizzato il richiesto tesseramento, ha ordinato di procedere al tesseramento provvisorio del minore richiedente. Osserva nel caso de quo il Tribunale che «negare al minore in questione la possibilità di ottenere il tesseramento, seppure in via provvisoria, apparirebbe discriminatorio, fermo restando che le sorti definitive del tesseramento in questione saranno comunque subordinate alla decisione della sottocommissione FIFA». La decisione è commentata da S. Rigazio, Minori d’età e art. 19 REG. FIFA, in www.personaedanno.it. Sul tema, con riguardo, più in generale, alla normativa federale, v. S. Pellacani, Ius soli sportivo, in www.personaedanno.it. Va sul punto richiamato anche un altro caso, sebbene non riguardante un minore di età, deciso dal Tribunale di Varese con ord. 2 dicembre 2010, in cui parte in causa era un cittadino bosniaco, già residente in Italia dal 2006, al quale era stato negato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio il tesseramento con la società del Varese Calcio ai fini della partecipazione al campionato di serie B, stante la regolamentazione federale che vietava alle società calcistiche partecipanti al campionato di serie B nella stagione 2010/11 il tesseramento di calciatori di Paesi non aderenti all’Unione Europea o allo Spazio Economico Europeo, con l’unica eccezione prevista per i cittadini svizzeri. Secondo il Tribunale di Varese, tale regolamentazione non appare innanzitutto compatibile con la norma contenuta nel T.U. immigrazione, che dispone per l’ingresso di sportivi professionisti un «limite» di tesseramento, ma non anche un divieto assoluto (art. 27, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998). Ritiene, in particolare, il giudice adito nel caso de quo che norme speciali dell’ordinamento sportivo limitanti l’esercizio dell’attività sportiva in forma professionistica da parte di cittadini stranieri extracomunitari possano avere efficacia soltanto in relazione a nuovi ingressi di sportivi stranieri e, dunque, in sede di primo tesseramento, ma non anche nei riguardi di stranieri già regolarmente residenti in Italia ad altro titolo, i quali, invece, debbono beneficiare del principio di parità di trattamento in materia di accesso all’attività lavorativa e del principio di non discriminazione, ai sensi degli artt. 2 e 43 del T.U. sull’immigrazione. Il testo integrale del­l’ordinanza è consultabile sul sito: www.personaedanno.it/attachments/allegati_articoli/AA_020087_ resource1_orig.pdf.

[2] Si legge nel testo dell’interrogazione parlamentare che, «premesso che da notizie stampa si è appreso che, in data 26 giugno 2013, una bambina di 10 anni nata a Camposampiero (Padova) da genitori nordafricani, alla soglia del debutto agonistico nel team di nuoto sincronizzato, sarebbe stata esclusa dalle gare per decisione della Federazione italiana nuoto, essendo considerata dalla legge ancora straniera (…); la bambina è una vittima della burocrazia italiana: nata in Italia, nonostante sia di fatto integrata nella società, dovrebbe attendere il compimento della maggiore età per ottenere la cittadinanza, o che i genitori ottengano finalmente la cittadinanza chiesta in data 28 gennaio 2013, undici anni dopo l’arrivo in Italia; (…) al padre della bambina è stato indicato di attendere almeno due anni prima di poter chiamare il servizio preposto e chiedere i motivi di mancata concessione della cittadinanza; per meri problemi burocratici, dunque, la piccola potrà partecipare come “esordiente B”, ma solo a trofei e alle gare regionali e a 11 anni non potrà fare il suo esordio fra gli agonisti, in quanto non sarà ancora, come intuibile visto il ritardo nell’evasione della relativa pratica, cittadina italiana (…) il caso riferito in premessa (…) è, secondo gli interroganti, inaccettabile e richiede rapidi e congrui interventi del Governo». Il testo dell’interrogazione è visionabile sul sito: www.dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_01215_17.

[3] Il Manifesto si apre con le parole pronunciate da Nelson Mandela in occasione della cerimonia dei Laureus World Sports Awards, svoltasi a Monaco nell’anno 2000: «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono. Lo sport può creare speranza dove prima c’era solo disperazione. È più potente di qualunque governo nel rompere la barriere razziali. Lo sport ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione». Il Manifesto enuncia, quindi, quale sua principale finalità, «La promozione delle politiche di integrazione (…) elemento prioritario per favorire la convivenza dei cittadini italiani e stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, e per consentire allo straniero di partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società. Lo sport, grazie ai valori che lo animano, può svolgere un ruolo trainante nel processi di integrazione e contribuire in modo efficace a diffondere la cultura del rispetto e della convivenza fra persone provenienti da culture diverse». In sintesi il Manifesto promuove «la “lealtà sportiva” dei bambini e dei giovani, attraverso misure educative e di prevenzione dei comportamenti “scorretti”; la diffusione di buone pratiche per promuovere le diversità nello sport e combattere tutte le forme di discriminazione; le pari opportunità per tutti di accesso e di pratica sportiva indipendentemente da etnia, cultura, religione ed origine; il concetto di amicizia, di rispetto degli altri e di spirito sportivo oltre che di rispetto delle regole; un nuovo modo di pensare e di orientare il comportamento: rispettare le regole, bandire la violenza fisica e verbale (durante gli eventi sportivi ma anche negli allenamenti), combattere la discriminazione e la slealtà sportiva». Il Manifesto è consultabile on line all’indirizzo: www.integrazionemigranti.gov.it/Progetti-e-azioni/progetti-conclusi/Documents/Booklet_Manifesto.pdf.

[4] Sport e Integrazione, con particolare riferimento alla partecipazione alle attività sportive agonistiche da parte del non cittadino residente sul territorio nazionale, a cura di V. Zambrano, P. Matera, F.M. Sbarbaro, pp. 9-10. La Relazione è consultabile on line sul sito: www.fratellidisport.it/images/download/ Sport%20e%20Integrazione%20Libra%20Legal%20Partners_%20Relazione.pdf.

[5] Lo Statuto CONI nella sua ultima versione vigente può consultarsi all’indirizzo: www.coni.it/images/ Statuto_CONI_delibera_CN_1549_del__4-5-2016_-_recepite_indicazioni_PCM.pdf.

[6] La materia è stata oggetto di alcune Circolari del CONI (da ultimo, la Circolare avente ad oggetto la «Disciplina degli ingressi e permessi di soggiorno degli sportivi non appartenenti alla U.E.» 1° dicembre 2015, n. 10244, con la quale si è inteso offrire un quadro riepilogativo delle disposizioni normative vigen­ti, nonché fornire indicazioni di ordine pratico in merito a dubbi interpretativi sorti in ordine all’applica­zione delle precedenti Circolari nn. 2024/2006 e 252/2007). In essa si è precisato che, al fine del con­teggio delle richieste di visto che possono essere accettate dalle Federazioni sportive nazionali entro il limite delle quote loro assegnate, bisogna calcolare sia gli atleti che effettuano il primo ingresso in Italia, sia quelli già presenti sul territorio nazionale con un regolare permesso di soggiorno (solo per motivi spor­tivi, di lavoro, familiari e fatte salve le norme che regolano i vivai giovanili).

[7] Cfr., ex multis, il Regolamento organico federale della Federazione scacchistica italiana, all’art. 36, ove si dice che «Per partecipare all’attività sportiva, il cittadino italiano ovunque residente e il cittadino straniero residente in Italia deve essere regolarmente tesserato per la FSI»; lo Statuto 2014, vigente, della Federazione Italiana Biliardo Sportivo, all’art. 11, comma 4, secondo cui «Hanno facoltà di tesserarsi alla FIBiS persone di ambo i sessi di nazionalità italiana o straniera con residenza italiana, immuni da provvedimenti di radiazione emessi dalla FIBiS o da altri organismi o Federazioni sportive riconosciuti dal CONI»; il Regolamento Organico 2015, tutt’ora vigente, della Federazione italiana arrampicata sportiva, all’art. 22, comma 1, ove è detto che «La FASI promuove ed agevola l’attività sportiva dei cittadini comunitari ed extracomunitari, legalmente residenti in Italia, con iniziative che favoriscano la loro partecipazione a gare ufficiali»; il Regolamento Organico 2013, tutt’ora vigente, della Federazione Italiana Sport Bowling, all’art. 11, comma 1, secondo cui «Possono tesserarsi gli Atleti/e stranieri residenti in Italia e partecipare alle Manifestazioni Federali ed a tutti i Tornei autorizzati dalla FISB; lo Statuto delle Sezioni di Tiro a Segno nazionale, edizione 2015 tutt’ora vigente, della Unione Italiana Tiro a segno, all’art. 3, co. 4, che prevede che possano far parte della Sezione, tra gli altri, “Gli stranieri residenti in Italia non appartenenti all’U.E.”, in possesso dei requisiti prescritti per i cittadini italiani e comunitari, sempre che analoga facoltà di esercizio del tiro a segno sia riconosciuta nel loro Stato ai cittadini italiani».

[8] Così prevede la Circolare informativa su Affiliazioni e Tesseramento FIR 2013/2014 del 19 aprile 2013.

[9] V., ad esempio, l’art. 20, comma 3, del Regolamento organico della FiRaft e l’art. 9 del Regolamento organico della FITw.

[10] Come è noto, l’art. 165 (ex art. 149 del Trattato CE), per quel che riguarda lo sport, afferma che «l’Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa» (comma 1) e che l’a­zione della Comunità è intesa, tra gli altri scopi, «a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuo­vendo l’imparzialità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani» (com­ma 2). L’affermazione del principio di specificità dello sport, nel solco del riconoscimento già prima operato dalla giurisprudenza della Corte europea di giustizia della sporting exception, comporta che le regole puramente sportive, quali, ad esempio, quelle concernenti la composizione delle squadre nazionali ovvero le regole di gioco, fuoriescono dall’ambito di applicazione del diritto comunitario e, pertanto, possono an­che porsi in contrasto con esso. In argomento, v. G. Liotta, Lo sport nelle politiche comunitarie, in G. Liotta, L. Santoro, Lezioni di diritto sportivo, 3a ed., Milano, 2016, p. 16 ss.

[11] Così, ad esempio, la Federazione Italiana Kickboxing, Muay Thai, Savate, Shootboxe esclude gli stranieri dai campionati italiani, nazionali, sia individuali che a squadre (art. 33, comma 3 del R.O. 2010, vigente); la Federazione Italiana Rugby ammette i giocatori stranieri di categoria juniores e propaganda soltanto ai Campionati di Categoria (art. 41, comma 3 del R.O. 2006, vigente); la Federazione Italiana Triathlon prevede una specifica regolamentazione per la partecipazione degli atleti stranieri alle gare di Campionato Italiano (Circolare Rinnovi Affiliazioni, Tesseramenti e Trasferimenti 2016, emanata il 30 ottobre 2015); la Federazione italiana Tiro con l’arco prevede che gli atleti stranieri «purché residenti in Italia da almeno un anno, possono partecipare ai Campionati Italiani solo come membri di una squadra ma non comparire nelle classifiche individuali dei Campionati stessi» (R.O. 2014, vigente, art. 27.1); la Federazione Italiana Giuoco Squash prescrive che «Ai Campionati italiani, maschili e femminili individuali, assoluti e di categoria, sono ammessi a partecipare tesserati FIGS (…) di nazionalità straniera, purché con le seguenti caratteristiche: – non abbiano giocato, nei 36 mesi precedenti l’inizio del Campionato, in rappresentanza di altre Nazioni, in una qualsiasi manifestazione sportiva internazionale; – l’Italia sia: la Nazione nella quale si è nati o nella quale si è stati residenti a partire dall’anno precedente la data di inizio del Campionato, avendo, nel corso di tale periodo, svolto attività agonistica di squash in modo continuativo» (art. 70 del R.O. 2015, vigente); la Federazione Ginnastica d’Italia prescrive che «La A.S. può richiedere il tesseramento di atleta straniero/a (proveniente da Federazione Straniera o della Unione Europea) per i Campionati di Serie A in numero non superiore ad uno per ogni sezione delle attività olimpiche» (art. 8, comma 16 del R.O. 2016).

[12] Tali prescrizioni attengono al fornire al calciatore minorenne un’adeguata istruzione tecnica ed allenamenti in linea con il più alto standard nazionale, nonché un’adeguata istruzione scolastica che permetta al calciatore minorenne di poter avere una carriera di lavoro alternativa a quella calcistica qualora decidesse di non giocare più, e, infine, tutte le misure necessarie a garantire la migliore soluzione di sistemazione e assistenza presso il club di appartenenza sotto la guida di un tutor.

[13] Il testo del disegno di legge presentato alla Camera si intitolava «Disposizioni per favorire l’inte­grazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali». Dopo la sua approvazione ed il passaggio al Senato, il disegno di legge ha mutato intitolazione con l’aggiunta in coda, dopo le parole «federazioni nazionali», dell’inciso «alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva».

[14] L’espressione ‘ordinamento sportivo istituzionalizzato’, per indicare il sistema CONI e le attività sportive rappresentate dalle Federazioni sportive e Discipline sportive associate da esso riconosciute, è impiegata in G. Liotta, L. Santoro, Lezioni di diritto sportivo, 3a ed., 2016, passim.

[15] V. L. Santoro, Analisi della nozione di sport, in G. Liotta, L. Santoro, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 2 ss.; L. Santoro, Sport estremi e responsabilità, Milano, 2008, p. 110 ss.

[16] Si pensi che il numero iniziale di 24 Federazioni, tante quante erano quelle elencate nella legge 16 febbraio 1942, n. 426, si è oggi più che raddoppiato.

[17] Si pensi, tanto per fare un esempio tratto dalla cronaca degli ultimi giorni, al riconoscimento espresso che è stato operato dal Ministro dello sport britannico Tracey Crouch del Parkour, quale attività sportiva, con il conseguente accesso ai fondi pubblici per lo sport ricavati dalle lotterie e ad altri finanziamenti e benefici pubblici.

[18] L’art. 90, comma 20, della legge n. 289/2002, nel testo anteriore alla modifica attuata dalla legge n. 128/2004, prevedeva che presso il CONI fosse istituito un registro delle società e delle associazioni spor­tive dilettantistiche distinto in tre sezioni, dedicate rispettivamente alle associazioni sportive senza perso­nalità giuridica, alle associazioni sportive con personalità giuridica e alle società sportive costituite nella forma di società di capitali. L’iscrizione in questo registro era condizione per l’accesso ai contributi pub­blici di qualsiasi natura in favore delle società ed associazioni sportive, così come prescritto al comma 22 della stessa legge n. 289/2002. L’abrogazione della sopra detta disposizione, fortemente sollecitata dal mondo dell’associazionismo sportivo, si è resa necessaria al fine di evitare che, per il solo elemento for­male della assenza di iscrizione nel registro, potesse negarsi ad una associazione l’accesso ai finanzia­menti pubblici, pur in presenza dei requisiti sostanziali prescritti per esso.

Fascicolo 2 - 2016